Dai primi insediamenti al fenomeno urbano. Africa
di Rodolfo Fattovich
Società urbane precoloniali caratterizzate dalla presenza di vasti insediamenti che potevano ospitare fino a 50.000-100.000 abitanti, come la capitale del regno del Congo nel XV secolo, apparvero nell'Africa tropicale e subsahariana a partire dalla fine del III millennio a.C. Le evidenze più antiche sono attestate nella media valle del Nilo, dove una città di grandi dimensioni con chiari resti di architettura monumentale e tracce di mura di cinta si sviluppò a Kerma (Sudan) tra il 2300 e il 1500 a.C. Tuttavia, nelle regioni a sud del Sahara, i siti urbani si diffusero soprattutto a partire dal I millennio a.C. In seguito le regioni maggiormente interessate dal processo di urbanizzazione furono la media valle del Nilo in Nubia (Sudan), l'Altopiano Etiopico in Etiopia e in Eritrea, il Saleh occidentale nel Mali, la costa dell'Africa orientale tra la Somalia e la Tanzania, la foresta tropicale dell'Africa occidentale in Nigeria e nel Ghana, l'Africa centrale (in particolare l'Uganda e la Repubblica Democratica del Congo) e l'altopiano dello Zimbabwe nell'attuale Zimbabwe. In Nubia una società urbana si formò agli inizi del I millennio a.C. e si affermò tra la metà del I millennio a.C. e la metà del I millennio d.C. Sull'Altopiano Etiopico abitati di tipo sicuramente urbano apparvero nell'Etiopia settentrionale e in Eritrea verso la metà del I millennio a.C. e si consolidarono nel I millennio d.C. Nel Saleh occidentale essi emersero verso la metà del I millennio d.C. Lungo la costa dell'Africa orientale e nella foresta dell'Africa occidentale i più antichi siti urbani risalgono alla fine del I millennio d.C., mentre in Africa centrale essi datano agli inizi del II millennio d.C. Sull'altopiano dello Zimbabwe, infine, insediamenti urbani si svilupparono nella prima metà del II millennio d.C. Il processo di urbanizzazione nell'Africa subsahariana presenta caratteristiche peculiari che lo distinguono in parte da quello di altri continenti e particolarmente dall'Europa. Esso è senza dubbio correlato con l'emergere e il diffondersi di società rurali con un'economia di sussistenza basata sulla coltivazione di Graminacee, riso e/o piante a tubero e con il conseguente incremento demografico delle popolazioni interessate, ma non necessariamente con un processo di progressiva sedentarizzazione. Al contrario, l'ampia diffusione di forme di agricoltura seminomade, con il disboscamento delle aree coltivabili mediante incendi e la loro coltivazione per un periodo limitato di tempo, ha fatto sì che gli insediamenti stessi subissero spostamenti anche nel giro di pochi decenni. In molte regioni le città in cui risiedevano i sovrani venivano spostate all'inizio di ciascun nuovo regno, in relazione alla località scelta dal re come sede. Ciò era anche facilitato dal fatto che gli abitati erano spesso costruiti con materiali leggeri e pertanto potevano essere facilmente demoliti e ricostruiti altrove. In alcuni casi, come ad esempio tra le popolazioni di allevatori seminomadi dell'Eritrea e del Sudan orientale, grandi accampamenti o villaggi che assolvevano tutte le funzioni di un centro urbano (residenza del capo, amministrazione, commercio), posti ai terminali delle vie di transumanza, potevano essere abbandonati e riutilizzati stagionalmente. A differenza della popolazione delle città occidentali, la maggior parte di quella dei centri urbani africani era dedita all'agricoltura e all'allevamento, praticati nell'area immediatamente circostante l'insediamento, e solo una piccola parte svolgeva attività specializzate, quali l'artigianato e il commercio. Non vi era pertanto una netta dicotomia tra cittadini e popolazione rurale. La popolazione urbana inoltre era spesso organizzata in base a rapporti di parentela, piuttosto che secondo fattori di interdipendenza funzionale. Elementi distintivi degli insediamenti urbani erano la centralità nell'assetto del territorio, il loro ruolo politico-amministrativo e spesso quello cerimoniale. Come in altri continenti, comunque, anche nell'Africa subsahariana lo sviluppo di insediamenti urbani è fortemente correlato con la formazione di società complesse e stati nelle singole regioni. Questo processo a sua volta è stato largamente determinato dal progressivo inserimento di ciascuna regione nei circuiti di interscambio commerciale a lunga distanza. Non a caso, società complesse e stati con insediamenti urbani apparvero in quelle regioni che meglio controllavano il flusso di prodotti (principalmente oro, avorio, pietre preziose e schiavi) dalle regioni interne del continente verso la costa e da qui verso l'Europa, l'Asia e più tardi le Americhe. Il commercio egiziano nel III e nel II millennio a.C. e successivamente quello sudarabico, greco-romano e bizantino nel I millennio a.C. e nel I millennio d.C. hanno avuto un ruolo cruciale nell'emergere di società urbane in Nubia e nel Corno d'Africa. Il commercio arabo nell'Oceano Indiano favorì lo sviluppo delle città Swahili lungo la costa dell'Africa orientale e quello dei primi centri urbani sull'altopiano dello Zimbabwe tra la fine del I e gli inizi del II millennio d.C. Il commercio arabo transahariano stimolò la formazione di regni e insediamenti urbani nell'Africa occidentale alla fine del I millennio d.C.; quello portoghese accentuò lo sviluppo, intorno alla metà del II millennio d.C., di centri urbani lungo la costa e nell'entroterra delle regioni dell'Africa centrale che si affacciano sull'Oceano Atlantico. Bibl.: G. Connah, African Civilizations. Precolonial Cities and States in Tropical Africa: an Archaeological Perspective, Cambridge 1987.
di Giovanna Antongini, Tito Spini
Nell'Africa subsahariana l'individuazione di agglomerati urbani e di formazioni statali precoloniali viene generalmente affidata più all'etnostoria e alle tradizioni orali che ai risultati di campagne archeologiche; ciò non soltanto a causa della frammentarietà degli scavi, che hanno privilegiato alcune zone escludendone altre, o delle difficoltà politiche ed economiche che, soprattutto a partire dagli anni Settanta, hanno fortemente limitato le ricerche sul campo. I siti indagati sono stati in prevalenza quelli che offrivano evidenze archeologiche più facilmente riconoscibili, quali vestigia in pietra o in laterizio; ma ad esempio Rubaga, capitale del Buganda (riprodotta in un disegno da H.M. Stanley del 1875 e annoverata da R.P. Ashe nel 1889 tra le maggiori città africane) era interamente costruita d'erba, legno e altri materiali organici e inoltre veniva spostata alla morte del locale sovrano per essere ricostruita altrove. Le tecniche più moderne di rilevamento archeologico in grado di individuare depressioni e avvallamenti artificiali del terreno possono tuttavia fornire essenziali conferme e integrazioni ai dati, talvolta discutibili se non addirittura fantasiosi, di antichi viaggiatori e tradizionalisti locali. Evidenze archeologiche di rilievo mancano infatti per una vasta area che comprende Congo, Angola, Zambia, Rwanda, Burundi e Uganda, laddove le fonti storiche citano grandi agglomerati urbani fortemente consolidati già nel XVI secolo. Ricordiamo solo la pianta di Loango (Congo) riprodotta da O. Dapper nel 1686 che, al di là di possibili approssimazioni e "licenze artistiche", ne testimonia la notevole dimensione e organizzazione; o ancora Mbanza Kongo (São Salvador, Angola settentrionale), descritta nel 1591 da F. Pigafetta sulla base dei racconti di D. Lopes, la cui popolazione venne stimata da Leone Africano attorno a 100.000 unità, ma le cui uniche evidenze archeologiche sono alcune tombe portate alla luce a Mbanza Mbata da P. de Maret. Nella vicina Repubblica Democratica del Congo lo stesso de Maret è riuscito a ricostruire, a partire da reperti archeologici di necropoli situate lungo le rive del Lualaba, una sequenza culturale completa che interessa un arco di tempo dal V al XIX secolo e traccia una linea di continuità dall'età del Ferro alle città del regno Luba. A seconda della collocazione geografica e culturale, il termine "città" si applica a contesti e realtà storiche molto diversi. Comune, sia per le prime formazioni urbane note, sia per agglomerazioni più tarde, è tuttavia il concetto di centralità, in quanto punto di convergenza di assi commerciali, correnti religiose, culturali e politiche, apparati statali e professionali. Segno dell'effettiva presenza di una città è dunque l'organizzazione dello spazio, ricostruibile da resti di suddivisioni in quartieri e dalla loro dipendenza rispetto a un punto, generalmente sopraelevato, dove sorgeva il palazzo del sovrano o signore locale. Spesso le evidenze archeologiche restituiscono solo frammentarie testimonianze di ciò che furono le città nell'Africa precoloniale e ancor meno sappiamo sugli insediamenti preislamici, ossia precedenti il XIIIXIV secolo. Scavi e analisi hanno per lo più mirato alla scoperta di "monumenti" o "produzioni artistiche", da confrontare secondo criteri etnocentrici, piuttosto che all'individuazione di complessità e articolazioni delle diverse formazioni politiche e culturali che li produssero. Si potrebbero citare ad esempio le città-stato della Nigeria (Oyo, Benin City, Ife), le città-territorio, centri strategici dei grandi regni medievali, la funzione commerciale di Djenné, quella politica di Gao o culturale di Timbuctù e ancora, Walata, Zimbabwe, Kano, Ouidah, Abomey, Kong, Timbo, Sokoto, Abeoukuta, Aksum, Gondar o Addis Abeba, che sono state abbandonate e rioccupate in una continua serie di distruzioni e sovrapposizioni e, infine, svuotate di gente e di potere all'avvento della colonizzazione in favore di un diverso disegno economico-politico. Motivazioni tattiche hanno steso una cortina di silenzio sugli antichi insediamenti, come ad esempio in Sudafrica, dove la storia delle città sembra iniziare dal XVII secolo, ossia da quando un equipaggio olandese della Compagnia delle Indie Orientali naufragò sulle sue coste. Le città disseminate lungo la stretta fascia litoranea di 2400 km che va dal Sud della Somalia sino al Nord del Mozambico già nel XIV secolo destarono l'ammirazione di Ibn Battuta che decantò l'ampiezza, la bellezza e le ricercate architetture di Kilwa (Tanzania), Mogadiscio (Somalia) e Malindi (Kenya). I reperti archeologici, essenzialmente rovine di moschee, tombe e qualche resto di abitazione costruita in pietra, di evidente influenza dapprima islamica (proveniente dal Golfo Persico e dalle coste arabiche) e, a partire dalla fine del XV secolo, portoghese, hanno condotto a identificare queste città mercantili come coloniali; tuttavia il primo periodo di occupazione di Kilwa è stato fissato intorno all'VIII secolo, dunque prima dei contatti con il mondo arabo. I lavori di J.S. Kirkman e di P.S. Garlake a Gedi (Tanzania) hanno portato alla luce un nucleo urbano cinto da mura che presenta due fasi strutturali: una prima città di circa 18 ha e una più tarda di circa 7 ha, con un palazzo, numerose abitazioni e diverse moschee; in base alla datazione di ceramiche importate provenienti da una tomba con un'iscrizione calendariale corrispondente al 1399 è stato possibile fissare la fondazione di Gedi al XIII secolo, il suo abbandono agli inizi del XVI secolo e un breve periodo di rioccupazione alla fine dello stesso secolo, epoca a cui risale la cinta della città minore, in cui le piante delle abitazioni mostrano forme di organizzazione sociale preportoghese. A sua volta, l'Ilha de Moçambique (da cui l'attuale nazione ha derivato il nome), occupata da popolazioni Bantu attorno al 200-300 d.C., conserva resti di importanti nuclei abitativi costruiti in legno e con muri in terra di notevole spessore in epoca anteriore ai rapporti commerciali con gli Arabi, iniziati attorno al Mille. Se dunque a partire dal XIII secolo, periodo in cui alcuni capi islamizzati fondarono i grandi imperi (Mali, Gao, Kanem-Bornu) e sorsero i regni Hausa, è accertata l'influenza se non addirittura il monopolio islamico delle relazioni commerciali, non altrettanto fondata è l'ipotesi che all'Islam si debba l'origine delle città africane. Tradizioni, fonti storiche, cronache arabe hanno spesso fornito i primi indizi per iniziare campagne di scavo che hanno condotto a importanti ritrovamenti. Così, ad esempio, la ricorrenza del toponimo Maranda citato da storici arabi del I millennio d.C. ha indotto gli archeologi a indagare nei pressi di un punto d'acqua chiamato Marandet, ubicato a sud di Agadez nell'attuale Niger. Benché a causa dell'erosione fluviale e della fragilità dei materiali costruttivi il nucleo abitativo apparisse in pratica cancellato, il ritrovamento di ammassi di ceneri miste a frammenti di utensili in terracotta e ossa calcinate, probabili luoghi di raccolta dei rifiuti, e soprattutto la presenza di 42.500 (ma il numero totale è stato valutato a 200.000) crogioli troncoconici contenenti residui di rame e di ferro (che suggerisce l'esistenza di un importante quartiere di artigiani) fanno di Marandet il solo sito di abitazione permanente del I millennio sinora noto in quest'area. Inversamente, il mutare dell'assetto urbanistico di Djenné (Mali) ha consentito di individuarne le fasi storiche e le diverse occupazioni. Sulla base di foto aeree che hanno coperto un raggio di 4 km attorno all'attuale Djenné (McIntosh - McIntosh 1980) sono state scoperte evidenze di occupazione risalenti al III sec. a.C. là dove si suppone sorgesse Djenné-Djeno ("Djenné l'antica") prima della sua dislocazione nell'area oggi occupata; fondata nell'XI secolo, la città fece in seguito parte dell'impero del Mali, diventando, oltre che importante centro religioso (nel 1300 il palazzo del locale sovrano venne abbattuto e sostituito da una Grande Moschea), anche uno strategico porto fluviale, punto di convergenza dei traffici dell'oro e degli schiavi. Sotto il dominio dei Songhay, Djenné sviluppò l'industria del cotone e vi sorsero università, tra cui particolarmente celebre quella di medicina. La conquista da parte dei Marocchini attorno alla fine del XVI secolo mutò il suo stile architettonico e l'organizzazione dei quartieri, introdusse l'uso delle armi da fuoco e nuove tecniche di agricoltura. Durante il governo dei Peul (XIX sec.), le numerose piccole moschee nate a causa della discordia tra i diversi marabutti locali furono dapprima abbandonate e in seguito, dopo l'epidemia di colera del 1868, trasformate in cimiteri ancora oggi frequentati. Gli scavi effettuati a Tegadaus (Mauritania settentrionale) ne hanno consentito l'identificazione con la città di Awdaghost, storicamente nota per essere uno dei maggiori centri del commercio transahariano; in questo sito si sono rilevate sette fasi di occupazione, le prime delle quali definibili preurbane, che vanno dal VII-VIII al XVII secolo. L'ipotesi che Kumbi Saleh (Mauritania, VIII-XI sec.) sia stata anticamente la capitale dell'impero del Ghana viene consolidata dal ritrovamento di resti di edifici a più piani in pietra (scisto grigio di estrazione locale), allineati sul lato più corto di un rettangolo di 1-2 km, e di due immensi cimiteri islamici. La città presenta un'architettura ricercata, caratterizzata da grandi abitazioni con scale in pietra, nicchie elaborate e pavimentazioni in lastre di scisto, al di sotto delle quali esistono tracce di altri edifici più antichi. Accanto, rovine di pietra isolate testimoniano l'esistenza di quartieri, probabilmente costruiti d'argilla e paglia, abitati dalle classi meno abbienti. Va tuttavia ricordato che alla metà dell'XI secolo al-Bakri descrisse Kumbi Saleh come composta da due città, l'una islamica (verosimilmente quella localizzata) e l'altra, la città regale a 6 miglia di distanza, a tutt'oggi non individuata. Niani (Guinea) fu a lungo ritenuta la capitale dell'impero del Mali all'epoca del suo massimo splendore, durante il regno di Kankan Musa nel XIV secolo, ma gli scavi sinora condotti attestano un'occupazione nel periodo compreso tra il VI e il X secolo e una probabile rioccupazione nel XVI e XVII secolo, confermando così la tradizione orale che colloca la capitale di Kankan Musa a Kangaba, ubicata assai più a nord-est. Si è di fronte al problema della riscrittura dei nuclei urbani africani; ai tradizionali metodi di indagine archeologica andrebbero affiancati rilievi dell'estensione di territori che, presentando tracce di antiche coltivazioni e sistemi di irrigazione, suggeriscano la presenza di importanti concentrazioni umane. L'analisi delle risorse (principalmente oro, sale, avorio, cola, ma anche rame e ferro), il cui controllo ha reso necessarie centralizzazioni di potere e stratificazioni sociali, oltre che specializzazioni funzionali, consentirà di individuare strutture di autorità (gli Stati) e aggregazioni di popolazioni (le città) nelle aree di produzione, così come lungo i maggiori assi commerciali.
O. Dapper, Description de l'Afrique..., Amsterdam 1686; H.M. Stanley, Through the Dark Continent, London 1878; R.P. Ashe, Two Kings of Uganda, London 1889; R. Mauny, Tableau géographique de l'Ouest Africain au Moyen Âge, d'après les sources écrites, la tradition orale et l'archéologie, Dakar 1961; J.S. Kirkman, Gedi: the Palace, The Hague 1963; P.S. Garlake, The Early Islamic Architecture of the East African Coast, London 1966; F. Pigafetta, Relazione del Reame di Congo (ed. G.R. Cardona), Milano 1978; G.B. Ramusio, Navigazioni e viaggi (ed. M. Milanesi), I, Torino 1978; P. de Maret, Luba Roots: the First Complete Iron Age Sequence in Zaire, in CurrAnthr, 20, 1 (1979), pp. 233-35; S.K. McIntosh - R.J. McIntosh, Prehistoric Investigations in the Region of Jenné, Mali, Cambridge 1980; F. van Noten, The Iron Age in the West and South, in E. van Noten - F. van Noten (edd.), The Archaeology of Central Africa, Graz 1982, pp. 77-96.
di Rodolfo Fattovich
L'archeologia urbana nell'Africa subsahariana è ai suoi primi passi, pertanto la nostra conoscenza dell'impianto spaziale e funzionale delle città antiche in questa parte del continente è ancora molto frammentaria. Scavi abbastanza estesi sono stati comunque condotti in insediamenti urbani in Eritrea, Etiopia, Kenya, Tanzania, Zimbabwe e Mali; le evidenze raccolte attestano che essi avevano caratteristiche diverse nelle singole regioni e rispecchiavano le tradizioni culturali di ciascuna popolazione. Siti urbani attribuibili al regno di Aksum (I millennio d.C.) sono stati scavati ad Adulis, Matara e Aksum, in Eritrea e in Etiopia settentrionale. Il sito di Matara (Eritrea centrale), in particolare, offre una visione abbastanza completa della struttura di una città aksumita. Esso suggerisce una suddivisione dello spazio urbano in tre aree distinte: un'area residenziale di élite con "ville" ben definite ad est; un'area con abitazioni di tipo intermedio tra le "ville" e le abitazioni comuni a sud-ovest; un'area con abitazioni comuni a nord-ovest. Le ville consistevano in complessi costituiti da un edificio a pianta quadrangolare centrale e da un sistema di locali annessi allineati che lo circondavano, delimitando una serie di cortili e formando una cinta esterna rettangolare. Le abitazioni di tipo intermedio erano rappresentate da edifici a pianta quadrangolare, simili a quelli delle ville, ma inseriti in un sistema di vani più articolato che li inglobava quasi completamente. Le abitazioni comuni erano costituite da una serie di vani e da piccole case a pianta quadrata, addossate le une alle altre e talvolta separate da stretti vicoli che permettevano l'accesso. Un'area cerimoniale, con almeno una basilica di tipo paleocristiano, era invece localizzata a nord-est dell'abitato. Un impianto simile è rilevabile anche ad Adulis, il maggiore porto aksumita, sulla costa eritrea. Gli scavi, sia pure parziali, suggeriscono infatti la localizzazione dell'abitato (con residenze comuni e forse dimore signorili) nel settore occidentale del sito e quella dell'area cerimoniale con basiliche di tipo paleocristiano in quello nord-orientale. Diverso sembra essere stato l'impianto urbano della capitale del regno, Aksum, nel Tigrè (Etiopia settentrionale). La città era apparentemente divisa in due aree principali: un'area occidentale con grandi ville nobiliari e un'area settentrionale con abitazioni presumibilmente di rango inferiore. Al centro dell'abitato vi erano un'area cerimoniale con una grande basilica di tipo paleocristiano (Mariyam Tsion), di fronte alla quale erano collocati i troni per le assemblee del re e dei nobili e la necropoli reale. Città islamiche di età medievale, attribuibili alla cultura Swahili, sorgevano lungo la costa dell'Africa orientale, in Somalia, Kenya e Tanzania, ma solo alcune di esse sono state scavate in modo più o meno esteso. In Somalia l'insediamento più importante è Mogadiscio, la cui fondazione risale al X secolo. Purtroppo la documentazione archeologica non permette di ricostruire il suo impianto urbano originario, in quanto solo la moschea principale è stata scavata estesamente. Da fonti arabe possiamo tuttavia dedurre che la città era divisa in due quartieri distinti, posti rispettivamente a nord e a sud; essi avevano dimensioni quasi uguali ed erano circondati da proprie cinte murarie, separate da uno spazio privo di abitazioni. In Kenya va ricordata Gedi, nell'entroterra di Malindi, occupata prevalentemente tra il XIII e il XVIII secolo. Si tratta dell'unica città Swahili finora nota, posta ad alcuni chilometri dalla costa. Lo scavo, benché parziale, ha messo in evidenza due cinte murarie grosso modo concentriche con andamenti quasi rettangolari, che suggeriscono una forma di pianificazione dell'insediamento. A sua volta l'abitato, all'interno della seconda cinta, presentava un nucleo centrale costituito dalla cosiddetta Grande Moschea, un palazzo che si affacciava su una grande piazza e alcuni blocchi di abitazioni separati da vicoli stretti. L'area compresa tra la cinta interna e quella esterna sembra essere stata solo in parte occupata da abitazioni. In Tanzania la città più nota è Kilwa, posta su un'isoletta in prossimità della costa e fiorita tra il XIII e il XV secolo; gli scavi hanno portato alla luce soltanto alcune componenti della struttura urbana. È stata individuata la Grande Moschea, una possibile caserma per la guarnigione circondata da un recinto turrito e il palazzo del sultano, comprendente sale, padiglioni, cortili e depositi di merci disposti lungo un asse che portava alla sala delle udienze, in posizione sopraelevata. Del tutto diverso è l'impianto urbano di Great Zimbabwe, sull'altopiano dello Zimbabwe, le cui origini risalgono al XII-XIII secolo, ma che raggiunse il suo massimo sviluppo agli inizi del XV secolo. L'insediamento è caratterizzato da imponenti cinte murarie in pietra, tondeggianti o ellittiche, che racchiudevano o collegavano capanne circolari costruite con materiali leggeri di tipo nettamente africano. Esso perciò rappresenta una composizione architettonica sicuramente indigena, probabilmente sviluppatasi quale risposta a problemi locali usando le opportunità offerte dall'ambiente circostante. L'abitato era suddiviso in due aree principali. La prima, in posizione sopraelevata, convenzionalmente denominata "acropoli", comprendeva due cinte principali (cinta occidentale, di dimensioni maggiori, e cinta orientale). La seconda, in una posizione più bassa e separata dalla precedente da una piccola valle, ospitava la struttura più estesa di tutto l'insediamento, denominata Edificio Ellittico: con quattro ingressi e un diametro massimo di circa 96 m, è questa la più grande struttura singola dell'Africa subsahariana, che probabilmente includeva numerose capanne. Un ultimo esempio di insediamento urbano nell'Africa subsahariana è costituito da Djenné (Mali), che raggiunse il suo apogeo tra la fine del I e la prima metà del II millennio d.C., con l'affermarsi del commercio trans-sahariano. Nella fase di maggiore sviluppo l'abitato era circondato da un muro di cinta in mattoni crudi. Al suo interno, l'area residenziale era costituita da abitazioni a pianta circolare o quadrangolare addossate le une alle altre e talvolta collegate da muri, con stretti vicoli che permettevano il passaggio tra le varie strutture; inoltre, tutto l'abitato apparentemente gravitava su una piazza centrale adibita a mercato. Le abitazioni non presentano elementi evidenti di differenziazione sociale, suggerendo pertanto una comunità priva di una marcata gerarchia sociale.
P.S. Garlake, Great Zimbabwe, London 1973; F. Anfray, Deux villes axoumites: Adoulis et Matara, in Atti del IV Convegno Internazionale di Studi Etiopici, Roma 1974, pp. 745-65; R.W. Hull, African Cities and Towns before the European Conquest, New York 1976; P. Cuneo, Storia dell'urbanistica. Il mondo islamico, Bari 1986, pp. 245-50; D.W. Phillipson, African Archaeology, Cambridge 1993.
di Giovanna Antongini - Tito Spini
In Africa, scavi e rilievi archeologici hanno messo in luce pressoché ovunque tracce di imponenti muraglie e di fossati a difesa dei centri abitati. Delimitazione e difesa sono stati i criteri primari nella fondazione di ogni città e di ogni nucleo abitativo umano. Se i confini, talvolta virtuali, erano prioritariamente finalizzati alla separazione (interno-esterno, noi-altri), fossati, mura e labirinti vegetali non sempre ebbero scopi militari. Già in contesto neolitico e persino preneolitico gruppi di cacciatori- raccoglitori o agricoltori eressero centri fissi di potere, di cui rimangono ruderi di mura e resti di strutture fortificate che sfruttano caratteristiche del terreno (aree Yoruba in Nigeria, Shona nell'attuale Zimbabwe, regni interlacustri). A Inyanga (XVI-XVIII sec.) sussistono estesi resti di mura a rinforzo dei terrazzamenti, costruite con massicci blocchi di granito locale; tuttavia, la difesa sembra riferibile più a fini agricoli che a ragioni militari, come protezione per i raccolti e il bestiame contro le scorrerie provenienti dalle regioni orientali. Analogamente, il regno Chwezi (Uganda settentrionale e Rwanda nordorientale) fondato da pastori Hima attorno al XIV secolo, era composto da città fortificate di piccole dimensioni con al centro la residenza del sovrano e il suo parco-bestiame; un profondo fossato, a tratti scavato nella roccia, ne difendeva l'accesso. Solo l'incremento dei rapporti commerciali, il monopolio del bestiame e dei prodotti agricoli e, più tardi, le razzie per soddisfare la crescente richiesta di schiavi trasformarono queste "aree difese" in vere e proprie cittadelle cinte da massicce muraglie, torrioni di vedetta e profondi fossati. Sulle falesie del Dhar, di Tichitt e di Akreijit (Mauritania), il rilevamento fotogrammetrico ha permesso di identificare un'area di insediamento, il cui nucleo più antico risale al 1880 a.C., formata da circa 500 villaggi fortificati, allineati lungo 400 km; ogni villaggio raggruppava qualche centinaio di abitazioni e necropoli. Djenné-Djeno (ubicata tra Timbuctù e l'attuale Djenné, Mali), la cui origine risale al 250 a.C., fu costruita su un'elevazione fortificata al riparo della piena del Niger; tra il 400 e il 900 d.C., il sito di 12 ha venne circondato da un'alta muraglia in terra lunga 2 km. Zimbabwe, che alla fine del XII secolo deteneva il monopolio dello sfruttamento delle vicine miniere d'oro, conserva una parte delle colossali mura in pietra a secco, al cui interno sono visibili resti di abitazioni facenti parte della residenza regale: la sua acropoli, dapprima erroneamente identificata come fortificazione, ospitava probabilmente un santuario ai cui piedi era installato il centro politico del regno. Spazi oggi deserti sono stati in passato sedi di importanti apparati difensivi, come Garoumeli, capitale del Kanem-Bornu prima di Birni, fondata alla fine del XV secolo e dotata di una muraglia di cinta, alta 9 m e larga 6, che si estendeva per oltre 3 km. Difficilmente identificabili sono anche le tracce delle fortificazioni confinarie romane che, seppure con discontinuità, attraversavano Europa, Africa e Asia. Di altre elaborate strutture difensive descritte dagli antichi viaggiatori non resta oggi alcuna traccia a causa dei materiali deperibili con cui vennero realizzate; è questo il caso, ad esempio, della cinta di cinque palizzate concentriche eretta attorno al palazzo reale di Morovoay, capitale del regno Sakalava (Madagascar), descritta da un negriero olandese nel XVIII secolo. Nel 1491 i Portoghesi giunti a Mbanza-Kongo (oggi São Salvador) trovarono una città difesa da una recinzione lunga 1 km e realizzata con picchetti legati da liane; al suo interno, una seconda palizzata a labirinto circondava la residenza del sovrano. F. Pigafetta, che visitò il luogo nel 1587, descrive un muro di difesa che delimitava da un lato la città portoghese e dall'altro il palazzo reale; ognuna delle due cinte misurava oltre 2 km. Ulteriori sistemi difensivi arcaici sono rintracciabili nel mimetismo ambientale che caratterizza gli insediamenti in zone rocciose, come, ad esempio, il villaggio di Niongono (Mali), fondato nel XV secolo da alcuni clan Dogon in fuga dalle scorrerie nemiche e dall'islamizzazione. Altre popolazioni, costituite in società acefale, come i Lobi del Burkina Faso o i Somba del Benin, hanno affidato la propria salvaguardia a singole unità abitative fortificate da pareti polilobate continue, alte sino a 3 m. Cessate le motivazioni di difesa da guerre e razzie, queste casefortezza sono entrate a far parte dei caratteri d'identità delle popolazioni che ancora le costruiscono, mentre le grandi strutture difensive, fossati, muraglie e torrioni, non sono più state rinnovate a partire dalla fine del XIX secolo, epoca in cui le grandi potenze diedero inizio al loro progetto di colonizzazione e la diffusione dei cannoni sul continente ne dimostrò l'inadeguatezza.
M. Albin - J. Rykwert, The Idea of a Town, Princeton 1976 (trad. it. L'idea di città. Antropologia della forma urbana nel mondo antico, Torino 1981); D.T. Niane (ed.), Histoire générale de l'Afrique, IV, Paris 1985; P. Rossi (ed.), Modelli di città: strutture e funzioni politiche, Torino 1987; C. Coquery-Vidrovitch, Histoire des villes d'Afrique Noire. Des origines à la colonisation, Paris 1993.