Dai primi insediamenti al fenomeno urbano. Mondo etrusco-italico e romano
di Paolo Sommella
Premessa indispensabile di un quadro dello sviluppo della città antica in Italia è l'acquisizione della duplicità dei significati connessi all'"urbanistica": da un lato quello della definizione del complesso delle norme che contribuiscono a delineare la programmazione, l'elaborazione e il funzionamento del piano di un'area insediativa; dall'altro quello dell'individuazione degli aspetti politici (e quindi economici) che sono alla base di una formazione urbana, sia nell'ambito della scelta del sito, che non può essere mai casuale in quanto legata a ben individuabili linee di sviluppo, sia dal punto di vista della valenza tecnica e dunque dell'adesione progettuale. I primi sistemi abitativi riconoscibili anche nei significati planimetrici, oltre che in quelli unilaterali di insiemi culturali, con la piena età del Bronzo Recente, vedono numerosi insediamenti nella pianura veronese e un fiorente popolamento. Segue, nel corso del XII sec. a.C., un abbandono forse causato da una fase di deterioramento climatico e dalla conseguente crisi economica, probabili conseguenze dell'innalzamento dei letti fluviali che provocò la distruzione di abitati per lo più stanziati su bassi terrazzi fluviali. A partire dagli inizi dell'XI secolo, la diffusione di nuovi insediamenti protovillanoviani fu certo favorita dalle migliorate condizioni ambientali venutesi a creare nella Pianura Padana. Accanto al più antico insediamento di Mariconda di Melara, sulla riva destra di un antico ramo settentrionale del Po, si può ricordare l'abitato di Frattesina di Fratte Polesine, che nell'arco di vita che si conclude con la metà del IX secolo si afferma come porto fluviale la cui posizione, allora molto più vicina al mare, facilitava collegamenti marittimi e terrestri su una vasta area geografica, dalle regioni tirreniche ai passi alpini e all'Adriatico. A partire dal secolo successivo, l'incremento demografico è evidente a Padova, che mostra una fisionomia definita e autonoma rispetto ad Este: ma è l'abitato di quest'ultima che corrisponde a un preciso progetto insediativo e a un criterio di pianificazione nell'ottica territoriale, leggibile nella scelta di un luogo favorito dalla presenza di numerosi corsi d'acqua. Solo più tardi, con l'età arcaica, a sud di Este si forma il grande emporio di Adria, a seguito dello spostamento degli interessi commerciali etruschi verso i nuovi sbocchi sull'Adriatico solcato dal commercio greco. Nel frattempo il confine meridionale del territorio veneto continua ad essere segnato da fitti insediamenti. Caratteristiche di questi abitati, alcuni dei quali attivi fino all'età romana, sono case a pianta rettangolare, a volte seminterrate, con muri di pietra locale, spesso con elevato e tetti di legno o di lastre di calcare, secondo un modello comune nello stesso periodo a tutta l'area alpina. Nell'occidente subalpino lo sviluppo insediativo segue altre linee, sicché il tratto di Pianura Padana tra Adda e Oglio diventa un preciso confine culturale destinato a permanere per molti secoli. Mentre a oriente di questo confine si sviluppa la cultura delle Terramare, a occidente si stabilizza un'area di cultura comune a tutta l'Italia nord-occidentale, compresa la Liguria e parte delle vallate appenniniche emiliane. Qui, con il passaggio al VII sec. a.C., si avvia a conclusione un processo di formazione di grosse concentrazioni demografiche, con l'articolarsi di tutto il territorio su aree culturali legate ad individuati centri preminenti. Esempio tipico è lo sviluppo protourbano di Golasecca, ove nel V secolo si assiste ad un'espansione dell'abitato, probabilmente attuata con un disegno urbanistico che, se non regolare, presuppone precise normative. Mentre in ambito ligure i modelli insediativi rimangono a uno stadio di sviluppo più arcaico, con il territorio organizzato per nuclei sparsi e piccoli villaggi a scarsa consistenza demografica, nell'evidente assenza di fenomeni di concentrazione degli insediamenti, in area golasecchiana la futura Mediolanum svolge il ruolo di agglomerato centrale degli Insubri, come attesta Polibio (XI, 34) in relazione agli avvenimenti della guerra del 222 a.C. Infatti al contrario di altre popolazioni celtiche, succedutesi con l'invasione del IV sec. a.C. e che beneficiarono di strutture urbane preesistenti senza creare nuove città, la tradizione antica definisce "fondatori di città" quegli Insubri i cui interventi pianificatori preromani emergono ora negli strati urbani di Como, Brescia, Bergamo, oltre che Milano. Nel mondo umbro il sistema abitativo appare distribuito in una serie di oppida di media o piccola dimensione, cinti a volte da mura e situati, in un rapporto vitale con il territorio, a mezza costa di alture affacciate lungo le principali vie di fondovalle o risalenti i valichi appenninici. Il fenomeno sembra derivare dalle radicali trasformazioni dell'assetto insediativo del subappenino emiliano verificatesi nella prima metà del IV sec. a.C. e provocate dalla discesa dei Galli a sud del Po e dalla loro conquista di ampi territori. Probabilmente infatti, proprio la minaccia rappresentata dalla pressione etnica e militare degli invasori transalpini indusse a modificare le primitive forme di popolamento sparso di queste genti umbre, spingendole a unirsi e a concentrarsi in un luogo facilmente difendibile, adeguatamente organizzato dal punto di vista infrastrutturale, che si ponesse come capoluogo civile e come roccaforte militare dell'intera comunità. È certo che la costruzione delle grandi cinte murarie che caratterizzano queste zone coinvolgerà precedenti aree necropolari solo con la fase dell'assimilazione anche politica a Roma, secondo logiche di sviluppo che verranno poi sanzionate dai tracciati della viabilità romana. È comunque indubbio che segno specifico della città sono le mura urbane, spesso disegnate secondo criteri strategici che prevedono perimetri continui con alzati in opera quadrata rinforzati da aggeri. Nelle città etrusche, in particolare nell'Etruria meridionale, in età arcaica le strutture urbane sono già definite: anche se in molti siti le difese sono legate alla situazione naturale, è evidente che un'esigenza di apprestamenti defensionali tecnicamente evoluti deve essersi manifestata a logica premessa delle poderose mura delle città del IV-III sec. a.C. L'urbanizzazione segue comunque regole di chiara derivazione dall'esperienza del mondo greco dell'Italia meridionale. Tra le fondazioni urbane che si impiantano ex novo con piani regolari, dati precisi derivano da Spina e Marzabotto: quest'ultima si conferma, a partire dal 500 a.C., come caposaldo di una valle appenninica, fondato su schemi allogeni ma con adeguamenti funzionali specifici e con testimonianze locali delle tecniche di pianificazione (pietre, anche con decussis, sepolte agli incroci principali della maglia ortogonale), che si affiancano a una specificità religiosa sottesa dall'identità tra l'orientamento urbano e quello dei templi e degli altari dell'acropoli. Le città etrusche, in specie quelle di nuova fondazione, sono dotate di fortificazioni che, pur nell'assenza di dati puntuali, si generalizzano nel V secolo e appaiono in alcuni casi di eccezionale imponenza monumentale. Gli oltre 6 km della cinta di Veio esemplificano integralmente gli analoghi, ma a volte scarsamente noti, sistemi defensionali di Cerveteri, Tarquinia e Vulci: organizzate su linee murate spesso integrate da aggere e fossato, le imponenti cerchie evidenziano esperienze architettoniche e tecnologiche differenziate dall'uso dell'opera quadrata o dell'apparecchio poligonale (nell'Etruria settentrionale) collegato al materiale lapideo disponibile nelle cave viciniori al centro abitato. Il collegamento dei maggiori punti urbani con un sistema viario di raccordo - anche interregionale - anticipa lo sviluppo della rete viaria romana nell'ambito della politica di completa ristrutturazione che caratterizza la conquista del III secolo. Il caso di Bolsena ne è esempio emblematico: la città etrusca, già organizzata ortogonalmente nell'area di Orvieto, viene rifondata in zona diversa, secondo i canoni tecnico- politici che permeano il fenomeno dell'espansionismo romano irradiatosi dopo le guerre sannitiche. In stretta analogia si pone lo spostamento di Falerii, riprogrammata in area pianeggiante, lontano dal sito originario adattato al sistema collinare di Civita Castellana, secondo il sistema romano della viabilità principale cruciforme. I contesti mesoitalici vedono contrapposte le realtà insediative sui due versanti appenninici. Nell'area adriatica le forme aggregative sono costituite già in età arcaica da ambiti territoriali organizzati in pagi in cui l'assetto politico delle comunità regolerà solo in seguito (III-II sec. a.C.) la diffusione di specifiche forme architettoniche, tra cui le unità santuariali di aggregazione etnica: allo stato attuale, le documentazioni non permettono letture analitiche, se si escludono sistemi difensivi tecnicamente elementari, che, almeno nelle scelte strategiche, inducono a ricostruire una fitta rete di punti fortificati in zone naturalmente arroccate. Diversamente, nella regione laziale tra VII e VI secolo la città definisce precise realtà formali con valenze anche monumentali. Su aree selezionate in base ad analoghi criteri geomorfologici, si differenziano gli aspetti funzionali e soprattutto quelli cultuali: motivo ricorrente è costituito dalle fortificazioni continue, che caratterizzano i centri laziali di più recente documentazione, con difese ad aggere di terra (Roma, Lavinium, Ardea, Anzio, ecc.), sia a spina che contraffortate, ulteriormente protette da fossati. Il quadro insediativo è efficacemente completato da Plinio il Vecchio (Nat. hist., V, 68 ss.) che riporta gli elenchi di comunità scomparse sine vestigiis, uno comprendente 20 città famose, l'altro 30 populi definiti Albenses e ricollegati al rito della spartizione delle carni sul Monte Cavo. Le liste, che rispecchiano il popolamento del Lazio in una fase preurbana, evidenziano un preciso riferimento geografico a quella che sarà la situazione dei centri abitati nel Latium vetus, quando Roma ne assume progressivamente la leadership politica e culturale. Nell'Urbe gli adeguamenti urbani datati dalla tradizione annalistica e interpretati dai documenti archeologici appaiono significativi dei settori di intervento che dovevano essere generalizzabili nelle megapoleis del periodo. Dalla stesura, nella parte centrale del foro, di un consistente battuto pavimentale alla limitazione dell'area poi occupata dalla Regia, dalla sistemazione dell'area del Comizio contestualmente alla costruzione della prima Curia e delle prime case fino alla definizione del sistema idrologico della valle forense, lo svolgersi del progetto funzionale urbanistico che accompagna l'architettura "maggiore", quella cultuale, è il segnale della trasformazione progressiva di Roma in una grande città. Nel versante etrusco dell'Italia meridionale meglio si può recepire la progressiva diffusione formale e funzionale delle norme e delle tecniche urbanologiche greche, derivate dai primi impianti coloniali, che vengono ad incidere in aree già contraddistinte da precoci capacità di organizzazione aggregativa. È quanto ad esempio risulta dal rispetto delle aree a funzione differenziata nel rapporto città-necropoli a Capua. Qui sembra che le sepolture più antiche (età del Ferro) siano collocate in una zona all'esterno dell'area destinata all'abitato sui limiti che questo ebbe in età storica: sembrerebbe così indiziarsi un insediamento protostorico già definito, anche se organizzato su nuclei sparsi che solo in seguito verranno coagulati con forme regolari. Tale processo formativo della città permette di elaborare un modello che forse può leggersi nella successione topografica desumibile dai dati archeologici di Pontecagnano, nucleo territoriale del resto associabile a Capua nell'ambito di una scelta areale favorevole agli scambi e ai contatti sia marittimi che terrestri, oltre che alla intermediazione con le popolazioni dell'entroterra. In diverso contesto, rispetto al sistema agricolo città-territorio dell'interno, l'insediamento di Cuma pre-ellenica, situato su una rupe costiera, appare finalizzato al controllo delle rotte marine obbligate dalle correnti e costituisce una sorta di cuneo nella fascia litoranea, in sintomatico pendant italico con la presenza greca dell'emporio di Pithecusa nell'Isola d'Ischia. Nell'assenza di dati del periodo presso il caposaldo puteolano, spunti cronologici e formali provengono da Napoli, città che ha conservato in massima parte il tessuto stradale antico nel continuum abitativo caratterizzato da parametri ‒ direzionali e persino dimensionali ‒ antichi. Programmata allo scadere del primo venticinquennio del V sec. a.C., utilizza l'esperienza urbanistica collegata al primitivo impianto portuale situato sul promontorio di Pizzofalcone e amplia il dispositivo urbano con terrazze che digradano verso il mare e si collegano al sistema viario dell'entroterra in significativa discordanza funzionale con la città vecchia. Il nuovo sistema risulta articolato su tre plateiai estovest e su una ventina di assi ortogonali nord-sud che inquadrano isolati stretti ed allungati e che trova riscontri anche altrove. Ad esempio, sul versante ionico, la rimodellazione d'età classica di impianti regolari arcaici trova un preciso episodio ad Eraclea, che sostituisce ed amplia le funzioni urbane di Siris con il nuovo insediamento distribuito in strade portanti rettilinee su cui si attestano viabilità minori rigorosamente disposte ad angolo retto. Anche qui, alla variazione delle misure, che riduce la lunghezza delle strigae arcaiche, fa riscontro una pianificazione pubblica e sacrale dell'area urbana mediana su sistemi terrazzati che vedono dislocarsi topograficamente le attività commerciali all'interno di fortificazioni. La testa di ponte per la diffusione dei modelli urbanistici ortogonali greci si rivela la testimonianza urbana per la quale la tradizione antica ci ha lasciato il nome del progettista: Thurii, la colonia panellenica del 444/3 a.C. insediata in base al programma delineato da Ippodamo di Mileto. I precedenti formali nell'Italia magnogreca e in Sicilia prevedevano parametri urbanologici e normative che riassumevano, accanto alla dislocazione di aree fondamentali nella vita della città come l'agorà, soprattutto la delineazione di isolati stretti e allungati in forma di rettangoli attestati su un rapporto tra unità e multiplo di 35 m. Se ne discosta, come indicativa dell'urbanistica di V secolo ed esemplificazione della scuola milesia legata al nome di Ippodamo, la nuova città fondata per la volontà politica di Pericle in coincidenza topografica ma non formale con l'arcaica Sibari, tra i fiumi Crati e Coscile. Gli scavi hanno materializzato l'impianto descritto da Diodoro Siculo (XII, 10, 7) che "fotografa" una città di fondazione disegnata su quattro plateiai incrociate da tre strade, parimenti di grande importanza. All'interno una fitta serie di strade minori suddivide lo spazio edificabile, con una dislocazione delle funzioni particolarmente curata nell'ambito di una impostazione anche socio-economica, in cui l'aspetto planovolumetrico costituisce solo uno dei livelli logici. Lo schema generale viene poi suddiviso in modo che la maglia per strigas, ovvero a rettangoli allungati, risulti frazionata in parcellature rettangolari che non creano sistema ma servono, in modo più adattabile, alla migliore utilizzazione degli spazi edificabili. Molti sono gli echi "locali" di questo sistema urbanistico ortogonale. Nella distribuzione insediativa di tipo diffuso che caratterizza la valle del Sarno tra VII e VI secolo, viene fondata Pompei, centro marittimo in cui fin dall'inizio l'area dell'abitato ha la stessa estensione della futura città sannitica. Qui il modello urbano, greco nella forma, è adattato ai parametri italici, con schemi sensibili alle variazioni dei profili altimetrici che portano al concetto delle percorrenze disassate, alla regolarità di quartiere non generalizzata su tutta l'area intramuranea ed infine all'uso coordinato tra architetture (anche terrazzate) e viabilità. Il tipo articolato di pianificazione regolare ricollega il centro pompeiano alla koinè urbanistica che si diffonde a partire dal tardo Arcaismo e, soprattutto nel V secolo, viene accettata in ambiente italico con un adeguamento locale delle tecniche urbanologiche esportate dai centri greci della costa nei diversi contesti della penisola. Il sistema pompeiano si confronta infatti con altri centri, da quelli tirrenici (Laos), a quelli adriatici (Larinum), all'interno (Grumentum). Ben datato è il caso di Serra di Vaglio che, adeguandosi nella forma e nell'organizzazione ai non lontani esempi urbanistici coloniali (Metaponto), presenta l'eco di un'organizzazione viaria regolare. L'informazione innovativa ‒ e finalmente puntuale ‒ è dunque quella di centri con planimetrie regolari ma modellate sul terreno, risalenti al momento dell'impianto, soprattutto nei decenni iniziali del III sec. a.C., poli collegati al passaggio di vie a lunga percorrenza e con caratteristiche comuni nell'area italica (da Castiglione di Paludi a Pomarico, ecc.). Ovviamente il modello non è unico. Uno sguardo sulle consistenze insediative dell'hinterland campano non può prescindere da quei nuclei fortificati che costituiscono un pendant a quanto si conosce lungo le dorsali appenniniche dell'Abruzzo e del Molise, oltre che nell'area ciociara ai confini del Lazio meridionale. Si tratta di punti fortificati, a volte di notevole ampiezza topografica, con cinte per lo più in opera poligonale. Spesso il sistema difensivo è a struttura territoriale e, identificabile su ampio sviluppo areale, si svolge con una serie di cinte situate a vista in uno schema che abbraccia passaggi obbligati o valli attrezzate per l'utilizzo comune ai fini del pascolo e della transumanza (Monti Trebulani, massiccio del Matese, ecc.). Se il caso di Thurii non sembra isolato nel comprensorio ionico, perché dopo un decennio si assiste a Taranto ad una analoga applicazione su un'urbanizzazione di grande respiro, è indubbio che in altri contesti l'esperienza trova ulteriori applicazioni. Il fenomeno è ben noto nel mondo fenicio-punico insulare, ove Tharros conserva le tracce della rete stradale della fase punica sotto la città romana, e ancor più Caralis tradisce nell'impianto regolare romano la fase punica che si sviluppava su direttrici ad incroci ortogonali. Del pari avviene in Sicilia, ove la terrazzata Solunto presenta, su una dislocazione orograficamente impegnativa, un piano di chiara derivazione dalla teorizzazione greca. Del tutto diversa è la documentazione urbanistica che l'ambiente dell'Adriatico meridionale fornisce con i diversi tipi di insediamento esistenti in Daunia a partire dall'età del Ferro, inquadrabili sia in gruppi di abitati d'altura compatti e difesi (villaggi del Gargano) sia in strutture sparse dislocate intorno a luoghi naturalmente forti (Canosa). Archeologicamente noti sono anche gli insediamenti sparsi, sul modello di Banzi e di Lavello: disposti ad occupare in modo non continuo ampie porzioni di territorio (recentissimo il riconoscimento della Venusia preromana), si presentano facilmente accessibili e senza cinte di difesa, in alcuni casi almeno fino al IV sec. a.C. (Herdoniae). Complessi infine i sistemi di pianura ove all'interno di enormi recinti fortificati si distendono insediamenti che possono definirsi di tipo disaggregato (le difese di Arpi sviluppano 13 km), caposaldi di sistemi territoriali paganico-vicani. La notazione introduttiva riguardante il fenomeno della "romanizzazione" deve premettere che un modello "ippodameo", nell'ambito dell'urbanologia romana, può leggersi solo per quei centri in cui la ristrutturazione amministrativa, conseguenza dello statuto imposto da Roma, venga ad incidere su un assetto effettivamente greco di precedente fondazione. Le città rifondate derivano pertanto da forme planimetriche che possono risalire alle città regolari del VI e V secolo: un preciso riscontro è dato dall'esemplificazione di Paestum che presenta infatti il fenomeno dell'inserimento politico-amministrativo coloniale romano in un'area urbanizzata fin dall'età arcaica. Riguardo alla forma urbana delle città fondate da Roma, in generale si possono organizzare due distinte categorie di impianti: da un lato le colonie di cittadini (coloniae optimo iure) che, solitamente posizionate lungo le coste della penisola, assumono anche il nome di coloniae maritimae. Dall'altro le colonie latine, contraddistinte dallo ius Latii che ne delimita alcuni aspetti politico-amministrativi. Queste ultime, sotto il punto di vista planimetrico, risentivano fortemente della scelta dell'insediamento in contesti oroidrografici condizionanti essendo spesso posizionate lungo direttrici viarie dell'interno peninsulare. Ne consegue che, a fronte della regolarità dello schema della viabilità intramuranea, il perimetro delle fortificazioni si adegua all'irregolarità dei contesti geografici. Al contrario le colonie marittime sono caratterizzate da forme regolari sia nella viabilità, che divide lo spazio cittadino su modello ortogonale, sia nel percorso delle fortificazioni, che non sono condizionate da fattori esterni a causa dell'andamento pianeggiante delle località costiere prescelte. Esse risultano, almeno in origine, di piccola dimensione essendo legate ad una deduzione ridotta di abitanti, diversamente dalle colonie latine che hanno una funzione di ripopolamento e di sfruttamento agricolo oltre che di controllo militare areale. Ulteriori diversificazioni derivavano dagli stessi statuti politico-amministrativi che comportavano la presenza o meno di particolari tipologie edilizie. Con il passare del tempo le diversità formali delle città romane fondate ex novo tendono comunque ad azzerarsi e si assiste con il II sec. a.C. a una sostanziale omogeneizzazione delle planimetrie cittadine indipendentemente dagli assetti amministrativi. Da tale data inoltre le colonie latine risultano piuttosto legate al riassetto di precedenti insediamenti che a nuove deduzioni. Tra le colonie latine del tipo canonico si ricordano gli esempi di Cosa, lungo la via Aurelia (273 a.C.) e, di poco anteriori, Alba Fucens non lontano dal lago Fucino e Atri nel Piceno con il suo pendant di Venosa in Lucania, tutte fondate nel decennio tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. Se ne può dedurre che caratteristica in questi centri è la posizione lungo un pendio collinare o sulla cima di basse alture che contribuiscono alla difesa e giustificano la disposizione della città su terrazze. Accanto a questo tipo di città leggiamo in Ostia lo standard della colonia romana, con forma geometrica e impianto stradale cruciforme che converge nel punto centrale della città, secondo uno schema, a volte chiamato "castrense": giustamente si è però distinto tale modello da quello degli accampamenti, di cui ben si conosce la forma. In effetti altri tipi di impianti urbani hanno piuttosto titolo per essere accostati formalmente ai castra in quanto spesso si tratta della ricostruzione stabile ("pietrificazione") di originarie forme precarie di insediamenti militari. È il caso delle augustee Aosta e Torino, alle quali pienamente si adatta l'osservazione polibiana (VI, 31, 10) sull'accampamento "simile ad una città", chiarificatrice del rapporto cronologico e formale che intercorre fra impianti militari ed urbani regolari. Nel II secolo, dunque, dopo che il processo di urbanizzazione si è generalizzato in tutta l'Italia romana, si origina una casistica di centri che non più arroccati sulle posizioni meglio difendibili, ma lontane dalle vie commerciali, hanno come caratteristica quella di gravitare sui più importanti assi stradali delle penisola. Lungo tali direttrici si organizzano centri a valenza di caposaldo territoriale (ad es., le città della via Emilia), ma anche quelli che sviluppano funzioni più specifiche, come i centri di mercato e gli stessi porti. A Luni la colonia romana ha forma tradizionale, con il canonico rettangolo che presenta lo schema regolare orientato sulla viabilità originante Aemilia Scauri, ma si adegua su un lato all'andamento dell'antica linea di costa. Questo ne sottolinea fin dall'inizio la vocazione portuale, anche se l'incremento dello scalo è legato allo sfruttamento delle cave di marmo, proprietà della colonia passate nella prima età augustea nel possesso imperiale. In alcune aree gli insediamenti conservano a lungo il plafond architettonico del momento della fondazione, anche se già con l'età successiva alla vittoria su Annibale l'Italia si monumentalizza grazie alla progressiva acquisizione di un patrimonio edilizio di grande varietà, che vede anche l'assimilazione di modelli diffusi nel mondo ellenistico (basiliche, grandi portici, ecc.). Tali innovazioni nell'apparato interno delle città sono agevolate dalle rivoluzioni tecnologiche che si succedono in campo edilizio nel II sec. a.C. e permettono, attraverso l'uso generalizzato del conglomerato cementizio, costruzioni su più piani che ridisegnano gli scenari cittadini tradizionali, come i grandi complessi che strutturano i pendii collinari con costruzioni a vari livelli. Dal punto di vista urbanistico, se gli schemi restano quelli dei primi impianti, l'organizzazione degli spazi si modifica in funzione architettonica, grazie all'inserimento intramuraneo di grandi superfici edificate, secondo un fenomeno ben individuato dagli anfiteatri nei centri della Campania. L'adeguamento si moltiplica con l'acquisizione diversificata di tipologie architettoniche che vanno da quelle funzionali (assoluta novità gli acquedotti che rivoluzionano il tradizionale approvvigionamento idrico), a quelle per il tempo libero (i teatri si affiancano agli anfiteatri, ma con utenza differenziata) e a quelle in costante sviluppo tecnologico (le terme, nate in zone d'acque calde, giungono nel I secolo al sistema di riscaldamento artificiale). È da rilevare che l'innovazione urbanistica che nell'arco di un cinquantennio collega tutte le città dell'Italia preaugustea è riferibile al fenomeno innescato dalla Guerra Sociale, che nelle fonti sarà più volte ricordato come un momento tragico per le sorti di Roma stessa. Gli episodi del 90/89 a.C. sono ormai letti come originati non certo da una ricerca di autonomia, quanto dall'esasperazione delle tendenze all'equiparazione politica e in definitiva dalla volontà del completo inserimento nelle strutture gestionali attraverso l'acquisizione della cittadinanza. Ne è logica conseguenza che il fenomeno bellico origina il momento della ristrutturazione, che vede diffondersi un modello urbano su tutta la penisola, con la generalizzazione di tipologie edilizie anche d'immagine (porte urbiche) che evidenziano una progressiva assimilazione dei valori dell'urbanitas da parte delle aristocrazie cittadine. I ceti emergenti dedicano il loro impegno all'adeguamento architettonico delle città, che sempre più si rifanno a modelli standardizzati e con schemi urbani codificati uniformemente. I decenni immediatamente successivi alla lex Pompeia, che nell'89 a.C. concede lo ius Latii alla Gallia transpadana e soprattutto la piena cittadinanza ai magistrati locali, lasciano tracce in tutti quei grandi centri dell'Italia settentrionale che ancora oggi presentano nella conservatività del piano stradale ortogonale la programmazione antica e a volte la stessa zonizzazione (ad es., nelle aree pubbliche con la corrispondenza tra il foro antico, la piazza della cattedrale e il comune). L'organizzazione razionale degli spazi preparati per l'impostazione del programma edilizio, l'utilizzo del modulo ottimale dei due actus quadrati (70 × 70 m) nella scacchiera del piano poi scandita dai percorsi stradali differenziati per importanza, la definitiva acquisizione delle reti infrastrutturali, la diffusione dell'edilizia anche funzionale ed in particolare la monumentalizzazione degli impianti politico-amministrativi nell'area forense proiettano questi centri in un'ottica di modernità urbana che li differenzia nettamente rispetto alla tradizione dei precedenti insediamenti a nord e a sud della fascia padana. È un fenomeno che comunque non conosce più distinzioni di carattere areale e che si diffonde su tutta la penisola, coinvolgendo nuove e vecchie comunità con una normativa che, pur emanata dal potere centrale in un ambito di consensus politico, si adegua all'effettivo differenziarsi delle esigenze della gestione locale rispettandone le specifiche anche etniche.
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di Manlio Lilli
La conquista romana dell'Italia, iniziata con la presa di Veio nel 396 a.C. e proseguita per tutta l'età repubblicana, si è sviluppata attraverso l'incorporazione di terre confiscate ai popoli sconfitti ed è proseguita proprio grazie alla perfetta organizzazione dei nuovi territori, a volte semplicemente distribuiti tra coloni (deduzioni viritane) senza fondazione di città, altre volte controllati con il supporto di strutture pseudourbane non dotate di autonomia politica (fora e conciliabula), altre ancora, nei casi di maggiore interesse strategico, occupati con la deduzione di colonie di diritto latino o romano. In molti casi conosciamo attraverso le testimonianze delle fonti letterarie antiche o di quelle epigrafiche anche le date alle quali riferire questi avvenimenti. Gli impianti urbani romani in gran parte appaiono noti, seppur con numerose eccezioni, magari con incertezze nell'interpretazione (funzionale e cronologica) di alcuni monumenti o di alcune aree; anzi in molti casi la realizzazione di nuovi scavi, unita alla riconsiderazione della documentazione di vecchie indagini mai pubblicate, ha permesso la puntualizzazione di alcuni problemi. Generalmente minori risultano le nostre conoscenze sugli abitati precedenti la romanizzazione, specialmente per quello che riguarda la loro organizzazione interna. Per quelli in cui l'impianto romano si è sovrapposto in tutto o in parte a quello precedente, evidenziando in tal modo la bontà della scelta iniziale del sito, solo l'attento riconoscimento delle diverse sequenze stratigrafiche nelle ricerche di archeologia urbana effettuate negli ultimi venti-trenta anni del Novecento ha permesso l'individuazione delle fasi urbane preromane. In tutte le circostanze nelle quali si sia verificata continuità nell'insediamento e quindi vi sia stato un intervento romano (sia nel caso che esso abbia riguardato un semplice adeguamento sia nel caso in cui invece abbia assunto la forma di una radicale ristrutturazione), nonostante il progresso registrato nelle indagini di scavo e l'ausilio di moderni strumenti di rilevamento, risulta estremamente difficoltoso recuperare testimonianze dell'insediamento preromano e addirittura arduo ricostruirne la pianta nel suo dettaglio. Per quanto riguarda, invece, gli abitati abbandonati in coincidenza della romanizzazione, che potenzialmente dovrebbero offrire dati meno frammentari, la necessità di scavi di ampie proporzioni, già supportata dagli inizi della seconda metà del Novecento dalla lettura delle fotografie aeree, da alcuni anni può essere integrata, almeno parzialmente, da più moderni mezzi d'indagine. D'altra parte, per questi ultimi, anche le tecniche edilizie utilizzate in età più antica per la realizzazione delle diverse strutture ed in particolare di quelle abitative non hanno agevolato la loro conservazione, limitando quindi le possibilità di ipotesi ricostruttive. Di ben altra evidenza risultano, invece, i recinti fortificati (da quelli in ciottoli a quelli in opera poligonale), i quali costituiscono spesso le fonti principali, almeno circa l'estensione, degli abitati preromani. Non può comunque ignorarsi come proprio in questo periodo inizi la sperimentazione di tecniche costruttive che saranno poi utilizzate, nel pieno delle loro potenzialità, in monumenti di Roma. Nella maggior parte dei casi il sito prescelto presenta caratteristiche naturali ben definite come alture facilmente difendibili, spesso non lontano da corsi d'acqua, e terrazzi alluvionali, delimitati su almeno un lato da un fiume, a volte in prossimità della linea di costa (rispondenti alle necessità del momento). Non di rado questi abitati si trovano lungo, o più spesso in prossimità, di primitivi tracciati stradali anche a lunga percorrenza (in grado di assicurare la comunicazione con altre zone). Le differenze riscontrabili nelle diverse aree d'Italia sia nel numero degli abitati, che nelle loro caratteristiche, in chiara relazione con i diversi ethne, non devono imputarsi solamente ad una conoscenza parziale, spesso diretta conseguenza delle tradizioni negli studi esistenti nelle diverse regioni: in realtà, come hanno dimostrato in maniera sempre più puntuale le più recenti indagini, queste diversità rispecchiano realtà dissimili. La conoscenza della situazione antecedente la romanizzazione, pur presentandosi ancora regionalmente disomogenea, inquadrabile cronologicamente tra il V e la metà del III sec. a.C., tuttavia ha registrato un forte incremento attraverso le numerose ricerche intraprese negli ultimi venti anni del Novecento. È così che a territori scarsamente documentati, come ad esempio quelli preappeninici della Campania o quello dei Sidicini, corrispondono aree in cui le ricerche hanno prodotto interessanti risultati, come nel caso del Latium vetus, dell'Etruria tirrenica e del settore magnogreco. La situazione osservabile agli inizi del IV sec. a.C. risulta di grande importanza per comprendere la quantità e la qualità degli insediamenti esistenti; tuttavia non sembra possibile analizzarne le caratteristiche senza un qualche riferimento alle fasi precedenti, diciamo a partire dal VII sec. a.C. Durante questo periodo è possibile rilevare una generale tendenza alla creazione di nuclei urbani, seppur con le differenze riscontrabili nei diversi ambiti geografici. Ad esempio, tra VII e VI sec. a.C. è nota l'esistenza di tombe principesche, contenenti materiali preziosi di importazione greca ed etrusca, in numerose aree non urbanizzate della Puglia, della Lucania, dell'Umbria e del Piceno (Armento e Colle del Forno in Lucania, Sirolo-Numana e Pitino di San Severino nel Piceno). Tra VI e V sec. a.C. sembra documentata una generale crescita di alcuni insediamenti, che raggiungono una fisionomia quasi urbana. Questo fenomeno ben documentato per le aree geograficamente vicine alle colonie magnogreche, basti pensare ai casi di Serra di Vaglio in Lucania e di Cavallino in Puglia oppure ai numerosi centri dell'Apulia ‒ da Arpi a Monte Sannace ‒, appare meno avvertibile per la Sabina, l'Umbria e il Piceno dove gran parte delle conoscenze sono riferibili alle necropoli. Tra gli ultimi decenni del VI sec a.C. e gli inizi del V sec. a.C. dati importanti sono noti per due aree geograficamente contrapposte e cioè per l'Etruria padana, con Marzabotto e Spina, e per la Campania, con Capua. Si tratta di centri ai quali si è soliti fare riferimento insieme dal momento che comuni sono in esse forme ortogonali. Se di Capua è nota solo per sommi capi la disposizione dell'abitato, maggiori indicazioni sono offerte da Spina, individuata attraverso la lettura della fotografia aerea a partire dagli anni Sessanta del Novecento e indagata archeologicamente solo in minima parte, e soprattutto da Marzabotto, la cui analisi può quindi risultare di qualche utilità. La città, fondata in un luogo strategico per le comunicazioni tra Etruria e Pianura Padana, in prossimità di un guado del fiume Reno, presenta una suddivisione funzionale degli spazi legata alle caratteristiche morfologiche del sito: infatti mentre una piccola altura a nord-est fu occupata dall'acropoli, sede dei santuari collettivi, ed in primis dell'auguraculum, l'abitato venne impiantato nell'area pianeggiante posta a sud-est dell'acropoli. Questo settore, che occupa circa 25 ha ed è difeso da un aggere, si presenta organizzato in maniera regolare. Secondo la ricostruzione proposta dagli scavatori sembra che esso sia stato realizzato secondo un reticolo di strade ortogonali, partendo da un asse generatore principale nord-sud largo 15 m. Come per altre situazioni è innegabile che un grande peso nelle trasformazioni urbane lo abbiano giocato le vicende socio- politiche, che influendo ora positivamente ora negativamente su determinati ambiti geografici crearono le premesse per fasi di stallo o di sviluppo, come ad esempio è documentato da un lato, per il V sec. a.C., nell'area etrusco-latina e dall'altro, per il VII e VI sec. a.C., in numerose zone, dalla Puglia alla Lucania, dalla Sabina Tiberina all'Umbria al Piceno. Il caso della Lucania appare paradigmatico della esistenza di diversi tipi di insediamenti agli inizi del IV sec. a.C. Centri di altura, fortificati con circuiti poderosi, riconducibili al modello arcaico degli oppida, appaiono documentati sia nelle zone più interne che in quelle paracostiere. Tuttavia, mentre nelle zone più interne questi abitati continuano a conservare le stesse caratteristiche anche con il IV sec. a.C., nelle altre zone è possibile osservare come l'abitato inizi ad estendersi al di fuori della primitiva cerchia muraria, interessando gli altipiani sottostanti. Al primo gruppo sembrano riferibili ad esempio gli abitati di Montecoppolo, Cersosimo, Satriano, Serra di Vaglio, caratterizzati da scarsi segni di organizzazione urbana interna. Contemporaneamente, sono noti casi come quello di Roccagloriosa, nei quali viene superato il modello degli oppida indirizzandosi verso forme urbane più vicine a quelle proprie della città. Rimanendo all'esempio di Roccagloriosa, è noto come l'iniziale insediamento sul versante montano più elevato, munito di un poderoso sistema di fortificazioni alla fine del V sec. a.C., sia interessato da significativi cambiamenti a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C.: il segno più evidente di questo processo evolutivo, interrotto dalla conquista romana del secondo e terzo decennio del III sec. a.C., vede l'abitato occupare zone al di fuori delle mura disponendosi in maniera regolare. Indicazioni più chiare sono comunque offerte dall'impianto lucano di Laos, posto anch'esso sulla fascia tirrenica. La città presenta un impianto viario regolare il cui fulcro è costituito da una plateia centrale larga 12 m, intersecata a distanze regolari da stenopoi di larghezza compresa tra 4,7 e 4,8 m, cosicché ne risultano isolati di 96 m. Caratteristiche non troppo dissimili sembra avere l'impianto lucano di Grumentum. In parte diverso il caso di Paestum dove l'occupazione lucana, trovandosi in presenza di un impianto già ben strutturato in età greca, sembra aver preferito la soluzione meno impegnativa, riutilizzando monumenti ed aree e apportando solo piccolissime modifiche come nel caso, ad esempio, dell'ekklesiasterion, nel quale un altare con dedica in lucano prese il posto di quello di Zeus. Anche in area apula è possibile ritenere che il progresso urbano sia stato interrotto proprio dalla romanizzazione. A Monte Sannace, ad esempio, tra IV e III sec. a.C. è documentata dalla realizzazione di mura, di ampi spazi pubblici e stoài, abitazioni di impianto ellenistico, una monumentalizzazione che investe l'intero abitato. In Italia centro-settentrionale una straordinaria importanza è rivestita dalle aree picena, umbra e sannitica. Le conoscenze sui centri piceni ed umbri risultano ancora frammentarie e comunque i resti più frequenti sono relativi a cinte murarie e più di rado a tracciati viari. Seppur con la cautela che la conoscenza ancora imperfetta di molti abitati impone, è possibile ipotizzare che lo sviluppo urbano abbia riprodotto senza mutamenti un'occupazione protostorica e arcaica per oppida. Un aspetto significativo è costituito spesso dalla concentrazione di abitati, come ad esempio nella valle tra Assisi e Spoleto, dove in età romana sono noti oltre alla colonia latina di Spoleto, ben sei municipi (Asisium, Hispellum, Urvinum Hortense, Fulginae, Mevania, Trebiae). Più raramente tuttavia è possibile che già a partire da età arcaica, come sembrerebbe indicare il caso di Gubbio, di cui sono noti i confini attraverso il testo delle Tavole Iguvine, uno degli insediamenti ne abbia assorbito altri minori. Per quanto riguarda più specificatamente l'area picena, la conoscenza ancora superficiale di molti centri romani, per i quali vi sono indizi per supporre la presenza di un abitato precedente, ci priva senz'altro di numerose informazioni sulla urbanizzazione della regione prima della romanizzazione. Degli abitati, spesso testimoniati dal rinvenimento di materiale ceramico, nella maggior parte dei casi rimangono scarsi resti di strutture, come nel caso di Osimo (ceramica d'impasto buccheroide e frammenti di vasellame attico sia a figure nere che rosse) e di Senigallia. Informazioni sono variamente note ad esempio per Pesaro (area tra via Mazza e via delle Galligarie) e Matelica (area del teatro comunale), dove sono state individuate abitazioni con pareti costruite in blocchi (in basso) e a graticcio (in alto) e con copertura in coppi e tegole, a Camerino (area di Piazza Garibaldi) e ad Ancona (colle dei Cappuccini). Profonde differenze esistono, rispetto ai territori piceni e umbri, in quelli sanniti, corrispondenti approssimativamente all'area occupata attualmente dall'Abruzzo, dal Molise e dalla parte montana della Campania, dove il modello urbano non sembra affermarsi anteriormente alla municipalizzazione. Il modello diffuso in prevalenza è quello cosiddetto "paganico-vicanico", organizzato per centri preferibilmente di altura nei quali la struttura di maggior significato sembra essere costituita da mura perlopiù in opera poligonale. Basti pensare tra gli altri ai casi di Frosolone oppure di Fonte del Romito (Isernia). Qui recenti indagini hanno rivelato un insediamento con funzione di presidio come indica l'esistenza di un recinto in opera poligonale il quale racchiude una superficie di 227.000 m², che sembra possibile far risalire all'epoca delle guerre sannitiche, tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. All'interno delle mura, provviste di un unico punto di accesso, mancano strutture che facciano pensare a forme di insediamento stabile. Un importante ausilio per la comprensione dell'organizzazione abitativa di queste aree viene dai testi epigrafici (ad es., la legge iscritta su tavola bronzea da Rapino), i quali ricordano l'esistenza di entità abitative note secondo la terminologia politico-istituzionale locale come touta e ocar. Ugualmente importante risulta il ricorso alla terminologia giuridica per comprendere la distinzione esistente tra vicus (Fest., p. 502 Lindsay) e pagus (Fest., p. 247 Lindsay), dal momento che nei testi epigrafici essi definiscono entità insediative di estensione e caratteristiche formali simili. Ne risulta che questi territori sono articolati in aree paganiche, nelle quali gravitavano i vici di cui spesso rimangono le cinte fortificate che recingevano le arces. In questa organizzazione rivestono una grande importanza alcuni santuari, da quelli di interesse locale (santuari di Furfo nel territorio vestino e di Vastogirardi in territorio pentro) a quelli che raggiungeranno l'importanza di centri politico-sacrali durante il I sec. a.C. (santuari di Mefite a Rossano di Vaglio e di Pietrabbondante). Numerosi sono gli insediamenti noti nel Lazio, a partire da quelli sorti nel settore della pianura pontina compreso tra Norba e l'altura di Monte Carbolino. Qui infatti già alla fine del VII sec. a.C. sono note forme urbane come quella su Monte Carbolino, a monte dell'Abbazia di Valvisciolo, che per la monumentalità della struttura difensiva appare un caso unico nel panorama della cultura laziale dell'epoca. Oltre all'abitato di Monte Carbolino possono ricondursi ad epoca arcaica l'insediamento con cinta muraria circolare sull'altura di Serrone di Bove, l'abitato sulle pendici di Monte Gentile disposto su terrazzi, quasi paralleli, realizzati in opera poligonale e l'insediamento sul pianoro di Contrada Casali, nelle vicinanze di Sermoneta. Ugualmente abitati di età arcaica sono variamente documentati nel sito dove in età romana si svilupperanno le città di Alatri, Anagni, Ferentino e Segni, caratterizzate da fortificazioni in opera poligonale. Tra le fortificazioni più antiche caratteri particolari mostrano quelle di Ardea dove è documentata già nel VII sec. a.C. una triplice linea di mura (terrapieni con fossato antistante al limite nord-orientale dei pianori di Civitavecchia e Casalazzara, e forse sull'acropoli), le quali presumibilmente dovevano includere aree disabitate. Altri elementi significativi sono offerti dall'abitato di Ardea per il VI sec. a.C.: infatti a questo periodo sono riferibili i numerosi tratti di cunicoli scavati nel tufo, rinvenuti sull'acropoli e sulla Civitavecchia, i quali vanno riferiti al sistema delle fognature e della canalizzazione, e i templi dell'acropoli e della Civitavecchia e di Monte della Noce. In territorio cispadano, occupato dai Celti (i quali nel corso del IV sec. a.C. invasero antiche aree etrusche, umbre e picene), i nuclei urbani sono organizzati per oppida e vici.Tra questi abitati caratterizzati da modestissime strutture abitative, dati rilevanti provengono dallo scavo dell'oppidum di Monte Bibele nella valle dell'Idice in Emilia. Sul mosaico di realtà urbane così descritte, spesso non cronologicamente coincidenti, Roma intervenne in maniera quanto mai differenziata producendo esiti diversi. Questo intervento, che può ritenersi concluso nel corso del I sec. a.C. con la formale urbanizzazione e romanizzazione di tutta la penisola, nonostante le trasformazioni radicali che spesso indusse, non cancellò le antiche differenze, come testimonia la suddivisione in regiones voluta da Augusto.
P. Gros - M. Torelli, Storia dell'urbanistica. Il mondo romano, Bari 1988, pp. 5-60; G. Gullini, L'architettura e l'urbanistica, in G. Pugliese Carratelli (ed.), Princeps Urbium. Cultura e vita sociale dell'Italia romana, Milano 1991, pp. 417-735; M. Castoldi et al., Popoli Italici e culture regionali, Cinisello Balsamo 1997; P. Sommella, s.v. Urbanistica, in EAA, II Suppl.1971-1994, V, 1997, pp. 899-904.
di Giuseppe M. Della Fina
Il tema della formazione della città nell'Italia preromana e, segnatamente, in Etruria è stato oggetto negli ultimi decenni di un accesso dibattito incrementato in anni recenti dai dati scaturiti dai risultati dei primi scavi, realizzati su larga scala, nelle grandi aree urbane. Solo agli inizi degli anni Ottanta del Novecento sono iniziate infatti ricerche a Tarquinia, coordinate da M. Bonghi Jovino, e a Cerveteri, dirette da M. Cristofani, e, ancora più di recente, a Veio. Intorno alla metà del XX secolo, ma già nei decenni finali dell'Ottocento, non mancarono indagini pioneristiche in aree urbane, ma quasi sempre si arrestarono agli strati di epoca romana o interessarono edifici sacri in cui era frequente, alla stessa maniera che nelle tombe, rinvenire reperti di notevole livello artistico. Con una eccezione, particolarmente significativa, quella di Marzabotto, che resta tuttora l'abitato etrusco che conosciamo meglio. Qui scavi regolari iniziarono nel 1862 per iniziativa di P. Aria e di G. Gozzadini; interrotti, furono ripresi nel 1888 da E. Brizio. Dopo una nuova interruzione, le indagini archeologiche ripartirono regolarmente nel 1950 e, dopo una sosta ulteriore, nel 1988 su impulso di G. Sassatelli. A cavallo fra l'esperienza avviata nell'Ottocento e quelle recenti si collocano le ricerche effettuate nell'area urbana di Roselle, promosse nel 1942 dall'Istituto Nazionale di Studi Etruschi e Italici e subito interrotte per essere riprese a partire dal 1959 (nel 1957 l'Istituto Archeologico Germanico aveva, nel frattempo, iniziato ad interessarsi delle mura), e nel sito di Acquarossa, presso Viterbo, riportato alla luce a partire dal 1966 dagli scavi dell'Istituto Svedese di Studi Classici. All'insieme di queste risultanze vanno aggiunti i dati scaturiti da indagini topografiche effettuate con metodi particolarmente accurati. Alle pionieristiche ricerche di G.F. Gamurrini, A. Cozza, A. Pasqui e R. Mengarelli, primi estensori della Carta Archeologica d'Italia (ma vanno ricordati almeno G. Dennis, con il suo The Cities and Cemeteries of Etruria, e L. Canina per L'antica Etruria marittima), si sono affiancate le ricognizioni promosse negli anni Cinquanta da J.B. Ward Perkins in un'area molto estesa corrispondente ai centri e ai territori di Veio, Capena, Anguillara e Campagnano. Per citare altri esempi, vanno menzionate le indagini promosse nell'ambito del progetto Forma Italiae, legato alle attività dell'Istituto di Topografia dell'Università di Roma "La Sapienza", o quelle effettuate nella valle dell'Albegna e nell'Ager Cosanus o nel territorio di Tuscania. La mole dei nuovi dati a disposizione non deve offuscare le indicazioni scaturite dagli scavi effettuati in necropoli, che costituiscono a tutt'oggi la stragrande maggioranza delle informazioni a nostra disposizione, o dall'analisi della tradizione letteraria greca e latina attenta al tema della città. Un ampio dibattito si è sviluppato intorno al concetto stesso di città e come per il mondo antico essa possa caratterizzarsi e riconoscersi: in cosa differisce, nel concreto, nell'Italia preromana, un centro protourbano da una città? Una domanda che si lega strettamente alla determinazione del momento stesso della nascita della città nella penisola italiana e, conseguentemente, al ruolo svolto in merito dalla colonizzazione greca. Un'altra questione centrale è la valutazione dei processi formativi: sinecistici o nucleari? Ovvero la città è sorta dal progressivo sinecismo di più villaggi presenti magari sullo stesso pianoro, o da un "atto rivoluzionario" rispetto a un precedente modo di occupare il territorio? E, in tal caso, da quali fenomeni è stato determinato e a quali si è accompagnato? Anche quest'ultimo non è un interrogativo di poco momento considerando che per alcuni ‒ segnatamente R. Peroni e la sua scuola ‒ la nascita della città in Italia sarebbe stata contemporanea e intrecciata, in più modi, con l'affermazione della proprietà privata della terra. Un altro aspetto da valutare è il rapporto intercorso, una volta affermata la scelta urbana, tra la città e il territorio: si è parlato, ad esempio, di città aperta, ovvero di un rapporto di scambio continuo con la campagna circostante. Dalla discussione non è restata fuori la constatazione che non tutti i popoli dell'Italia preromana fecero una scelta a favore della città e che per quelli che la compirono divenne in seguito quasi un carattere distintivo rispetto ad altri ethne e ad altre culture: non si deve dimenticare infatti che ampie zone della penisola conobbero il fenomeno urbano solo a seguito della romanizzazione. Un livello ulteriore del dibattito ha mostrato che all'interno dello stesso popolo non tutte le diverse fasce sociali fecero la scelta urbana con la stessa convinzione. Stando al caso etrusco ‒ certamente il più analizzato ‒ si è visto che l'aristocrazia, legata strettamente alla proprietà della terra, condivise la scelta a favore della città (altrimenti non sarebbe stata possibile), ma conservò un certo distacco da essa, mentre il demos, il ceto "imprenditoriale" intermedio a vocazione artigianale e commerciale, la sostenne con una convinzione maggiore. Una testimonianza di ciò si è voluta vedere, ad esempio, nella rinascita, durante il IV sec. a.C., di insediamenti piccoli e medi nel territorio delle maggiori città-stato quasi a costituire una possibile alternativa ideale ad esse, dopo la nota crisi del V sec. a.C. che aveva colpito soprattutto il demos e che lo aveva costretto a ridimensionare il proprio potere d'indirizzo politico. Un'altra testimonianza della "freddezza" dell'aristocrazia nei confronti della città si è voluta vedere nel sorgere, sempre durante il IV sec. a.C., di necropoli gentilizie distinte da quelle regolate dalle autorità cittadine: è il caso a Velzna (Orvieto) delle necropoli di Settecamini e di Castel Rubello, che accolgono le tombe dipinte Golini I, Golini II ed Hescanas, rispetto a quelle di Crocifisso del Tufo e di Cannicella. In questa ottica (e quasi come primo, provvisorio bilancio delle ricerche in corso) va segnalata la vistosa diversità, il dislivello tra l'impegno profuso nelle tombe e, in misura minore, nei santuari e quello riservato alle abitazioni e alle città nel loro insieme; ciò ha, come ha suggerito G. Colonna (1988), "la sua radice ultima nella strutturazione della società e può essere ricondotto, in termini generali, al maggior peso da un lato del privato rispetto al pubblico, dall'altro del sacro rispetto al profano". Sui processi di formazione della città il dibattito scientifico in atto ha raggiunto risultati di particolare significato. Gli scavi, ma, in questo caso, soprattutto le ricognizioni topografiche avevano segnalato, già da qualche decennio, l'abbandono, tra la fine del II e gli inizi del I millennio a.C., nell'Etruria meridionale, di sedi di dimensioni medie comprese tra i 5 e i 6 ha a favore di altre che presentavano caratteristiche naturali simili, ma dalle dimensioni considerevolmente più ampie e oscillanti tra i 100 e i 150 ha. Nell'area in questione è stato osservato che, alla fine dell'età del Bronzo, erano stati abbandonati circa 80 villaggi in concomitanza con la formazione dei centri protourbani di Veio, Cerveteri, Tarquinia, Vulci, Bisenzio e Velzna (Orvieto). Quali sono le cause che determinarono un tale mutamento nel modello d'insediamento? Le risposte alla domanda non sono univoche: alcuni vi hanno visto un'attenta pianificazione delle élites protovillanoviane (Colonna 1988; Guidi 1992), altri, invece, contrasti all'interno delle stesse élites risolti da alcune "fazioni" con la scelta di occupare proprio i vasti pianori e di assegnare la terra ai singoli gruppi familiari attirando così gli abitanti delle rocche dell'età del Bronzo Finale e svuotandole (Peroni 1988; Pacciarelli 1994; Carandini 1997). Al di sopra dei pianori si era notata da tempo una modalità di occupazione definita a "macchie di leopardo", con gruppi di capanne alternate a spazi vuoti, che aveva fatto pensare all'esistenza di villaggi indipendenti. Ora il quadro, grazie alle analisi dei dati scaturiti da nuove ricognizioni, appare mutato e si propende per una unitarietà di fondo dei centri protourbani (Pacciarelli 1989-90, 1991; Peroni 1996). Il che, ovviamente, pone, su basi nuove, il problema del rapporto tra la nascita della città e il ruolo assolto in merito dalla colonizzazione greca. Molto equilibrata, in proposito, appare la posizione di M. Pacciarelli: "l'interazione fra l'elemento greco e quello indigeno avrà un peso notevole per la definizione delle forme istituzionali e culturali in cui concretamente si realizzerà il fenomeno urbano nell'area medio-tirrenica, ma è certo che le condizioni sociali ed economiche dello sviluppo delle comunità urbane indigene hanno le loro radici più profonde in quel radicale processo di ristrutturazione svoltosi nell'area medio-tirrenica all'inizio del primo millennio, i cui effetti a lungo termine non sono certamente estranei al formidabile sviluppo delle comunità urbane dell'Etruria e di Roma stessa". L'ulteriore salto di qualità verso la città si sarebbe avuto grazie, da un lato, a un notevole incremento demografico che avrebbe portato ad un'occupazione più intensiva dell'intero spazio urbano e, pressoché contestualmente, a una ripresa degli insediamenti nel territorio, e, dall'altro, a processi di forte accentramento del potere politico: sarebbe, il caso, ad esempio, della fase romulea di Roma, già in precedenza un insediamento al passo coi maggiori centri protourbani dell'area medio-tirrenica. A sud del Tevere, il processo di formazione della città presenta caratteristiche diverse: gli insediamenti protourbani compaiono solo nella fase iniziale della prima età del Ferro e occupano pianori di 50 ha circa e quindi sono di dimensioni considerevolmente minori, anche se va tenuto presente, che, più tardi, nel VII sec. a.C., centri come Gabi e Ardea riuscirono a raggiungere e a superare gli 80 ha. Dall'area medio-tirrenica, tale modello d'insediamento si diffuse in altre aree dell'Italia. Nella Sabina, nel VII sec. a.C., alcuni centri, come, ad esempio, Cures Sabini, riuscirono a raggiungere estensioni fino a 20-30 ha. Nelle Marche, nella prima età del Ferro, sembra continuare a prevalere invece l'insediamento diffuso, ma vanno segnalate le eccezioni rappresentate da Fermo e da Ancona, che durante l'VIII sec. a.C. erano già centri protourbani considerevoli. Nell'Italia nord-orientale gli abitati di Frattesina e di Montagnana costituirono il retroterra su cui s'innestò l'origine di Este e di Padova, che, già durante la prima età del Ferro, raggiunsero un notevole livello di unitarietà e un'estensione di quasi 100 ha. Nel Veneto sono noti anche altri centri caratterizzati dalla presenza di strade e di quartieri artigianali: Oderzo, Oppeano Veronese, Concordia. Ad est del Tagliamento è attestata la presenza di grandi abitati a Palse (40 ha) e a Montereale Valcellina (oltre 20 ha), in un'area considerata la "periferia" del mondo veneto (Capuis 1993; Guidi 2000). Nell'Italia nord-occidentale, scavi e ricognizioni topografiche hanno consentito l'individuazione di un grande abitato (VII sec. a.C.) a Castelletto Ticino, mentre Como sembra che abbia raggiunto, nel VI sec. a.C., la ragguardevole estensione di 150 ha. In Liguria, la formazione di Genova è datata ora agli inizi del V sec. a.C. (De Marinis 1996). In questa rapidissima rassegna non vanno certo tralasciati insediamenti sorti direttamente su impulso degli Etruschi, quali, a sud, in Campania, Capua, Pontecagnano e Sala Consilina, con dimensioni oscillanti fra i 100 e i 150 ha, e, a nord, in Emilia-Romagna, Bologna e Verrucchio. Mentre più tarda, in coincidenza con la "seconda colonizzazione" padana, è la fondazione di Marzabotto. Né si deve dimenticare di sottolineare che, nella parte settentrionale della cosiddetta "Etruria propria", l'urbanizzazione fu meno precoce e meno convinta. Il quadro che la ricerca archeologica ci ha restituito presenta infatti una notevole differenza fra le due Etrurie: la meridionale e la settentrionale. Nella prima il modello della città sembra incontrare ampio favore e s'impose ‒ come si è visto ‒ rapidamente, nell'altra il fenomeno dell'inurbamento delle popolazioni delle campagne appare più tardo e più lento e sotto certi aspetti nemmeno mai concluso. Le cause delle profonde divergenze sembrano di carattere economico e sociale: l'aristocrazia dell'Etruria settentrionale sembra avere fronteggiato con maggiore successo l'avanzata del demos. Appare evidente anche la difficoltà di cogliere elementi comuni fra le stesse città settentrionali, che avevano vocazioni diverse: da quelle emporiche di Pisa a quelle manifatturiere di Populonia, o a quelle agricole di Chiusi. Le poleis meridionali sembrano avere maggiori elementi di contatto e rappresentano tutte, con sicurezza, il centro egemone sotto il profilo politico, sociale e culturale di distretti territoriali abbastanza ampi. Comune, ad esempio, è la delega dello svolgimento delle attività emporiche principali a insediamenti portuali fatti sorgere direttamente sulla linea di costa: è il caso, ad esempio, di Pyrgi per Cerveteri e di Gravisca per Tarquinia. Una vocazione spiccatamente commerciale sembrano peraltro avere avuto Marzabotto, che sorse in prossimità di un importante guado del fiume Reno, sulla via che collegava l'Etruria propria a Bologna, e Spina proiettata verso i mercati adriatici divenuti sempre più importanti, dopo che, con la sconfitta patita nella battaglia navale di Cuma (474 a.C.), fu precluso di fatto agli Etruschi il Tirreno meridionale. Un carattere particolare e finora unico in Etruria sembra avere avuto il centro abitato scavato presso il Lago dell'Accesa (Massa Marittima) da G. Camporeale. L'insediamento si presenta articolato in quartieri distanti alcune centinaia di metri l'uno dall'altro; ognuno di essi, costituito da una decina di abitazioni, aveva una propria necropoli. È una forma d'insediamento di tipo protostorico, ma qui attestata ancora nei decenni finali dell'Orientalizzante e in età arcaica. Le dimensioni sono quelle di un insediamento di tipo urbano, ma senza le infrastrutture e i servizi che lo renderebbero tale: lo stesso spazio del sacro sembra confinato eccezionalmente nella sola sfera del privato e finora nessuna traccia di templi è stata rinvenuta. L'evidente anomalia è stata spiegata in maniera convincente dagli scavatori col carattere manifatturiero del centro controllato da alcune gentes della vicina Vetulonia. La fondazione di una città era legata nell'Italia preromana e segnatamente nel mondo etrusco e latino ad un preciso rituale. Festo (p. 358 Lindsay) afferma esplicitamente che: "nei libri etruschi dei riti sta scritto secondo quale rito sono fondate le città, consacrati gli altari e i templi, con quale inviolabilità i muri e secondo quale regime giuridico (sono determinate) le porte". La fondazione di una città viene a rappresentare quindi un atto essenzialmente religioso, impressione che è rafforzata dal fatto che la scelta del sito era preceduta dalla presa degli auspici, come suggerisce bene il racconto della fondazione della stessa Roma. Il consenso degli dei consentiva all'augure di delimitare una porzione di territorio che diveniva effatus e liberatus, ovvero definito con precisione e liberato dalle presenze soprannaturali che potevano ostacolare lo sviluppo dell'insediamento umano. Il rapporto con le divinità, da quel momento, sarebbe avvenuto in luoghi specifici, i templi ‒ il cui spazio sarebbe stato effatus, liberatus, ma anche consecratus ‒, e secondo rituali ben precisi (Briquel 2000). Ottenuti gli auspici, le azioni successive sono ben descritte da Catone nelle Origines: "i fondatori di una città aggiogavano un toro a destra e una vacca nella parte interna. Cinti alla maniera di Gabi, e cioè con il capo coperto da un lembo della toga rimboccata, essi reggevano il manico dell'aratro piegato in modo da far ricadere le zolle all'interno. E nel tracciare il solco in questa maniera, determinavano il luogo delle porte sollevando l'aratro". Ma quando i Romani di età repubblicana e imperiale compivano queste azioni erano ben consapevoli di ripetere un rituale ben più antico e, con buone probabilità, sorto in ambito etrusco, come sembrano suggerire i pochi dati dell'"etrusca disciplina", giunti fino a noi e la constatazione dell'origine etrusca di un termine quale mundus e la trasmissione al latino, attraverso l'etrusco, del termine groma pur di origine greca.
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di Sergio Rinaldi Tufi
Alla metà del II sec. d.C., nel celebre Elogio a Roma, Elio Aristide descriveva l'Impero come una sorta di federazione di città-stato: al di là delle ovvie suggestioni encomiastiche, il quadro tratteggiato dal retore di cultura greca non era troppo lontano dalla realtà. Con l'età antonina si raggiunse infatti l'apice dello sviluppo del modello urbano su tutto il territorio dell'Impero. Realtà complesse e a volte molto diverse finirono con l'essere incanalate entro modelli istituzionali e urbani tutto sommato omogenei. La politica intrapresa fu assai equilibrata e rispettosa nelle aree di antica tradizione urbana, come Grecia e province orientali, mentre più incisiva e intensa fu l'opera dove le strutture urbane erano meno radicate. Nell'area europea centro-settentrionale il fenomeno dell'urbanizzazione si identifica essenzialmente con il momento della romanizzazione. È un'area in massima parte caratterizzata, in età preromana, dalla civiltà celtica; e sappiamo che un aspetto importante di tale civiltà era il modo di abitare prevalentemente sparso nel territorio: le varie civitates (popolazioni) avevano però come punti di riferimento santuari e/o luoghi fortificati dove all'occorrenza convergere. La vita urbana è quindi una novità introdotta da Roma: a partire da Cesare e soprattutto da Augusto, il fenomeno della costruzione di città assume dimensioni impressionanti, tanto più se si pensa che a tale fenomeno si accompagnano, in misura ugualmente rilevante, ulteriori forme di organizzazione del territorio, come la creazione di reti viarie su ampia scala e la suddivisione e l'assegnazione (centuriatio) dei terreni coltivabili.
Un primo fertile terreno di intervento è costituito dalla Gallia Narbonese, sottomessa soprattutto grazie alle campagne condotte tra il 125 e il 121 a.C. contro Salluvii, Allobrogi, Arverni: venne subito tracciata la via Domizia, che metteva in comunicazione l'Italia con le province iberiche, e vennero fondate Aquae Sextiae Salluviorum (Aix-en-Provence) e la futura capitale Narbo Martius (Narbonne). Anche se la costituzione della provincia non fu immediata, si avviò un intensissimo processo di romanizzazione. In questa regione la cultura classica esercitava da tempo influssi più avvertibili che altrove, grazie alla presenza dell'antica colonia greca di Marsiglia. L'antica capitale dei Salluvii, Entremont, era una città gallo-greca; Glanum (Saint- Rémy) si era sviluppata all'uscita di una gola nella catena delle Alpilles, con un'area sacra, un'area residenziale di ricche dimore e, al centro, un'area amministrativa e monumentale, in cui spicca un foro-agorà di pianta trapezoidale. Qui i Romani si trovarono non a costruire insediamenti ex novo, ma a intervenire con modifiche e restauri in città già strutturate. A Glanum, ad esempio, gli interventi furono sostanzialmente di tre tipi: riutilizzazione, con alcune modifiche, delle dimore dell'area residenziale; valorizzazione, anche con l'aggiunta di nuovi altari e templi, dell'area sacra; totale rifacimento (con obliterazione degli edifici precedenti) dell'area centrale, attuato in età augustea. Il nuovo foro ha una struttura alquanto originale, in quanto, provvisto di basilica e (più tardi) di curia, si affaccia su una piazza che ospita monumenti celebrativi e onorari. Su questa piazza si affacciano anche da un lato il teatro, dall'altro una coppia di templi tetrastili dedicati a Gaio e Lucio Cesare, con l'asse perpendicolare a quello del foro. Nell'insieme, il disegno di questo centro monumentale presenta un aspetto piuttosto originale e ci dimostra fin d'ora quanto possa essere ampia la varietà delle soluzioni adottate nel coordinare la disposizione di foro, curia, basilica, tempio o templi, teatro. Altrove abbiamo preziose indicazioni non solo sull'organizzazione delle spazio cittadino, ma anche sull'assetto del territorio; è il caso della colonia cesariana, e poi augustea, di Arausio (Orange), che ha restituito una pianta marmorea dell'età di Vespasiano, dove è riprodotta con esattezza la mappa delle campagne circostanti, divise in appezzamenti coltivabili (Catasto di Orange). La Colonia Paterna Arelate (Arles) ebbe anch'essa il suo sviluppo decisivo con Augusto, non lontano dalla grande palude della Camargue, sul sito di un antico centro celto-ligure sul Rodano. Le autorità romane concepirono questa città quasi come modello di urbanizzazione in territorio provinciale, con i punti focali nel grande foro (dotato di criptoportico), in un teatro e in un anfiteatro notevolissimi. Anche allo scopo di organizzare il consenso attraverso l'architettura e l'urbanistica, Augusto ‒ insieme con Agrippa ‒ attuò in tempi molto brevi il programma di urbanizzazione. La Gallia Belgica, in territorio celto-germanico, è caratterizzata dalla presenza di importanti vie di terra e di acqua ed appunto sulla Mosella sorgeva Augusta Treverorum (Treviri), definita urbs opulentissima già nel 45/6 d.C. La città, che ebbe con Claudio il titolo di colonia, era provvista di un impianto ad assi ortogonali, anche se gli isolati non sono di dimensioni ovunque costanti. Al centro era il foro, più tardi ampliato e integrato con un complesso palaziale, sede di funzionari della provincia. All'inizio del II sec. d.C. sorsero, all'estremità orientale del principale asse est-ovest, un anfiteatro, e più tardi, all'estremità opposta, grandi terme; fra 180 e 200 d.C. si costruirono le mura, che inclusero le porte monumentali, come la celeberrima Porta Nigra, e in cui venne inglobato lo stesso anfiteatro. Una serie di grandi lavori si ebbe quindi in età costantiniana: un palazzo con basilica per le udienze, due chiese gemelle, un nuovo grande impianto termale, che peraltro, sembra, non avrebbe funzionato a lungo come tale, presto trasformato (con Graziano) in edificio di rappresentanza e residenziale per le truppe. Anche altre città della Belgica, oltre alla capitale, presentano un impianto ortogonale: Atuatuca Tungrorum (Tongeren), dove fra l'altro si sono rinvenuti i resti di un grande fanum di tipo celtico (cella quadrata circondata da portico per processioni), e poi ancora Samarobriva (Amiens), Bagacum (Bavai), Aventicum (Avenches), Augusta Raurica (Augst), tutte caratterizzate dalla complessità architettonica dell'area forense. Questa a Samarobriva è arricchita da tempio, portici, botteghe, macellum (mercato) e addirittura da un anfiteatro (che in genere occupa posizioni più decentrate), il tutto individuabile forse come luogo di culto di Roma e Augusto. A Bagacum la piazza è dotata di un grande criptoportico; ad Augusta si ha un insieme eccezionale, che si inserisce nella maglia topografica con alcune irregolarità, non prive peraltro di effetti scenografici: due templi, due fori, basilica, curia, teatro. È da sottolineare, qui come altrove, la frequente presenza del teatro (o, più raramente, dell'anfiteatro) in area non lontana dal foro, probabilmente per ospitare non solo spettacoli, ma anche manifestazioni politico-celebrative. Quanto al foro, prevale lo schema tripartito foro-basilica-tempio. Intensamente romanizzata, sia dal punto di vista degli assetti urbani sia dal punto di vista dell'organizzazione del territorio (rete stradale, uso delle vie fluviali), è anche la Gallia Lugdunese. Il caso più interessante, non privo di problemi, è proprio quello della capitale Lugdunum (Lione), alla confluenza fra Rodano e Saône. Questa favorevole posizione aveva fatto pensare che qui, prima della colonia fondata nel 43 a.C. e rifondata da Augusto, esistesse un importante centro indigeno e addirittura che questa fosse la "capitale naturale" delle Gallie. In realtà lo sviluppo della città è testimoniato con certezza solo a partire da Augusto; va anche detto che, rispetto ad altre grandi città galliche come Treviri e Arles, Lione ebbe una fioritura più breve: un duro colpo fu la crisi della fine del II sec. d.C., all'epoca delle lotte fra Settimio Severo e Clodio Albino. La città ci è nota non tanto nel suo insieme, quanto per alcuni nuclei fondamentali. Sulle pendici e sulla sommità della collina detta oggi di Fourvière sorge l'area monumentale centrale: foro, con tempio e criptoportico, edifici per spettacolo (teatro e odeon), templi; su un'isola posta in corrispondenza della confluenza fra Rodano e Saône, Condate, era un quartiere artigiano; sulla lingua di terra triangolare costituita dalla confluenza stessa, Druso Maggiore aveva fondato nel 12 a.C. il grande altare dedicato a Roma e Augusto, presso il quale si svolgeva ogni anno un'assemblea religiosa e politica detta concilium. Si trattava del punto di riferimento per tutte le popolazioni delle Tres Galliae: accanto all'altare (noto attraverso riproduzioni su monete) sorse un anfiteatro (in buona parte conservato), che certamente era la sede dell'assemblea, al quale si aggiunse un circo-ippodromo, dove presumibilmente avevano luogo i ludi celebrativi. Alesia, oppidum protagonista della resistenza gallica contro Cesare, andò trasformandosi in città romana a partire da Augusto o da Tiberio, con uno sviluppo che tuttavia ebbe il suo culmine solo nel II secolo. Sul luogo di un santuario preromano di Taranis sorse in età imperiale un nuovo tempio, poi completato da una piazza porticata e da una basilica: si realizzò quindi anche qui un foro tripartito. Un foro tripartito era anche presente a Lutetia Parisiorum (Parigi), dove peraltro l'abitato si estendeva in maniera abbastanza regolare sulla riva sinistra della Senna e nell'area oggi occupata da Notre-Dame, e dove, oltre al complesso forense, spiccavano due teatri e due grandi edifici termali. Mentre Lutetia restò a lungo senza mura, Augustodunum (Autun) presentava fin da età augustea una cinta molto ampia, dalla pianta approssimativamente trapezoidale. Il cardo maximus, fiancheggiato da portici, era il tratto urbano della grande "via di Agrippa" da Lugdunum al canale della Manica. Tracce di un impianto urbanistico regolare sono individuabili a Caesarodunum (Tours) e a Condivincum (Nantes). L'Aquitania già in epoca preromana aveva sviluppato cultura e condizioni di vita alquanto avanzate; ben strutturata era anche la rete viaria di terra e d'acqua, con un punto di forza nel porto atlantico di Burdigala (Bordeaux), che successe presto a Mediolanum Santonum (Saintes) nel ruolo di capitale. È difficile ricostruire un quadro urbanistico preciso dell'antica Bordeaux: nell'area centrale era un complesso monumentale costituito da una serie di spazi porticati; vi è inoltre un importante edificio termale del I sec. d.C., in cui si inserì nel III secolo un mitreo, mentre, lungo la Garonna, la rilevanza economica e commerciale dell'emporion è rivelata dalla presenza di magazzini monumentali ospitati in un criptoportico. Sull'altro fiume, la Devèze, era un porto interno, che si aggiungeva a quello marittimo penetrando nell'abitato: notevoli sono i resti delle banchine e anche di un grosso mercato sorto nel II-III secolo. Argentomagus, non lontano dall'attuale Argenton-sur-Creuse, è particolarmente interessante, in quanto documenta il passaggio da un notevole centro celtico (difeso da un terrapieno) a una città romana, che si sviluppò soprattutto nel I sec. d.C. con un teatro, un anfiteatro e soprattutto con alcuni templi. Si tratta di due fana di tipo celtico, a pianta quadrata con galleria perimetrale, costruiti all'inizio del I sec. d.C. e poi rifatti, nell'ambito di un grande recinto rettangolare, in età neroniana. Si è ipotizzato che questi fana non siano una ripresa o una continuazione di modelli celtici (come si pensava), ma che costituiscano anch'essi un'invenzione romana, sia pure destinata a culti sincretistici con presenza di divinità galliche.
Dopo la conquista di Claudio nel 43 d.C., il territorio romanizzato ebbe un grande ampliamento verso nord con la spedizione di Agricola; l'assetto definitivo (se si eccettua l'effimero ampliamento sotto Antonino Pio) è datato dalla costruzione di un'opera gigantesca, il Vallo di Adriano, che resterà il confine settentrionale dell'Impero romano fino alla sua fine. La provincia era intensamente militarizzata: quasi tutte le città si svilupparono dunque da insediamenti militari e non persero mai il carattere strategico. Londinium (Londra) venne fondata dopo la conquista in prossimità di un guado del Tamigi. Il primitivo abitato in legno, incendiato nel 60 d.C. durante una rivolta degli Iceni, fu ricostruito occupando due colline a est e a ovest del piccolo affluente Wallbrook. Piuttosto ampia (132 ha), ma difficilmente individuabile sotto la metropoli attuale, Londinium aveva, sembra, una pianta approssimativamente trapezoidale; probabilmente non aveva assetto regolare l'impianto urbanistico, in cui si sono individuati resti del foro e del praetorium, e soprattutto, proprio presso il fiume Wallbrook (il cui corso è oggi scomparso), di un importante mitreo, databile al III secolo. A lungo la città rimase sprovvista di mura, protetta da un castrum che sorgeva all'angolo nord-occidentale: una cinta vera e propria fu creata all'inizio del III sec. d.C. e rafforzata da torri attorno al 270.
In Germania Superiore, si segnalano Mogontiacum (Magonza) e Argentorate (Strasburgo), che in età augustea erano castra di presidio sul Reno e accentuarono il loro sviluppo "civile", quando, in epoca flavia, il confine dell'Impero fu spostato più avanti. Le canabae, residenze originariamente precarie di mercatores, di artigiani e di altri operatori di vario tipo che seguivano gli spostamenti di truppe, si consolidarono (qui come altrove) fino a divenire città. Mogontiacum, in particolare, divenne capitale della provincia: fra i resti noti, i più rilevanti sono quelli del praetorium e soprattutto quelli di un portico al quale appartenevano plinti e lastre decorati da rilievi. Un notevole punto di riferimento visivo era costituito, a sud, dal mausoleo di Druso, morto proprio a Magonza nel 9 a.C. Al di là del Reno, sulla riva destra, si elevava, quasi come pendant al mausoleo, un arco onorario dedicato a Germanico, figlio di Druso stesso: faceva parte di un insediamento (oggi Kastell) con funzioni di testa di ponte. Nella Germania Inferiore, la Colonia Claudia Ara Agrippinensium (Colonia) fu fondata da Claudio sul luogo di un precedente castrum in riva al fiume, dove era nata Agrippina: castrum a sua volta sorto laddove era stata in precedenza collocata l'ara Ubiorum, punto di riferimento per il culto di Augusto e Roma da parte degli Ubii, popolazione germanica da tempo amica dell'Urbe. I cardines della colonia sono orientati in senso nord-sud; i decumani non sono perfettamente perpendicolari, ma lievemente deviati verso nord-est. All'interno di questo impianto sono distribuiti alcuni nuclei qualificanti: il Capitolium, il foro, il teatro, le terme, le mura, la Casa di Dioniso e il Palazzo del Governatore. La Colonia Ulpia Traiana (Xanten) sorse presso la confluenza della Lupia (Lippe) nel Reno, non lontano dal sito dove erano stati costruiti i due castra (entrambi con vita piuttosto breve) di Vetera I e Vetera II. Anche qui, pur all'interno di una cinta muraria non del tutto regolare, è ricostruibile un impianto di tipo ortogonale, nel cui ambito si collocano foro, templi, anfiteatro, case e strutture artigianali. Le province alpine, insieme alla provincia Rezia e Vindelicia, furono annesse per volere di Augusto per rendere più sicuro il limite settentrionale dell'Italia. L'importanza di queste aree era, quindi, soprattutto strategica e l'urbanizzazione non assunse aspetti eclatanti. In particolare, per quanto riguarda la Rezia, la capitale Augusta Vindelicum (Augsburg), pur sviluppandosi da un originario castrum augusteo, non sembra avere impianto regolare. Al contrario, a Cambodunum (Kempten) si conoscono insulae di assetto regolare, terme e soprattutto un importante complesso foro-tempio-basilica. Castra Regina (Regensburg/Ratisbona), sul Danubio, e Brigantium (Bregenz), sul Lago di Costanza, sorsero sul sito di precedenti oppida celtici: mentre la prima, con un castellum dell'età di Vespasiano e con un castrum risalente a Marco Aurelio, mantenne la sua prevalente vocazione militare, la seconda conobbe uno sviluppo urbano, testimoniato soprattutto dai resti del foro. Il Norico, annesso all'Impero con Augusto, ricevette l'assetto provinciale con Claudio: la romanizzazione si avviò dunque prima del formale inserimento nello stato romano. È il caso dell'abitato sul Magdalensberg, circa a metà strada fra il Danubio e Aquileia, che, già florido all'inizio del I sec. a.C., conobbe un notevole salto di qualità alla metà dello stesso secolo, con la creazione di un ampio foro provvisto di basilica e tabernae. In età tiberiana si aggiunsero un praetorium, un edificio per riunioni, un tempio dedicato ad Augusto e Roma. In connessione con la costituzione della provincia, la città si trasferì nella sottostante pianura, con il nome di Virunum: sarà la capitale provinciale, con un impianto urbanistico abbastanza regolare, imperniato su un asse centrale e su un complesso foro-basilica-Capitolium. La Pannonia, definitivamente assoggettata da Tiberio nel 10 d.C., fu lungamente il baluardo dell'Impero lungo il Danubio: anche qui le città principali si svilupparono in genere da insediamenti militari. È il caso di Carnuntum e di Vindobona (Vienna), che inizialmente avevano fatto parte del Norico, di Emona (Lubiana), che a partire dal II sec. d.C. fu assegnata all'Italia, di Aquincum (Budapest) e anche di centri situati in retrovia, come Gorsium. Non sembrano avere avuto invece origini castrensi Scarbantia, Savaria, Sopianae e Sirmium, su un affluente del Danubio, la Sava: città che sembra avere avuto per le fortezze danubiane la stessa importanza (punto di smistamento e rifornimento, nonché sede organizzativa) che ebbe Treviri per il fronte renano. Un'altra importante provincia danubiano-balcanica, la Mesia, presenta situazioni nettamente differenziate nella sua parte orientale, detta Inferiore, dove, sulle coste del Mar Nero, costituivano una preesistenza fortemente condizionante le colonie di antica fondazione greca, e in quella detta Superiore (più a monte lungo il corso del Danubio), caratterizzata soprattutto dagli insediamenti fortificati lungo il limes, che costituiscono una prosecuzione della linea retico-norico-pannonica. Questi centri, però, non si svilupperanno in senso civile e non elaboreranno perciò progetti urbanistici impegnativi, neppure quando, con la conquista della Dacia, il confine si allontanerà verso nord. Eppure dal punto di vista politicoamministrativo vi furono delle "promozioni": Singidunum (Belgrado), alla confluenza della Sava nel Danubio, divenne prima municipio e poi colonia; Viminacium (Kostolac), base della flotta fluviale, divenne con Adriano Colonia Aelia; infine, fu forse fondata su un precedente castrum, fra la prima e la seconda guerra dacica, anche la Colonia Ulpia Traiana Ratiaria, dove si conoscono cospicui avanzi di due cinte murarie, una traianea in blocchi di pietra e una più tarda in mattoni con torri sporgenti. Nella Mesia Inferiore una prima serie di insediamenti, lungo l'ultimo tratto di corso del Danubio, mantenne anch'essa caratteristiche eminentemente castrensi: Novae, Sucidava, Capidava, Dinogetia, Carsium (sorta addirittura su un oppidum indigeno grecizzato), Troesmis. In tale tratto spicca però la Colonia Ulpia Oescus: l'insediamento presenta un impianto ortogonale, con strade pavimentate in lastre di calcare; all'incrocio fra cardo maximus e decumanus maximus è il complesso forense, comprendente anche una basilica e (cosa stranamente inconsueta per l'area mesica e tracia) un Capitolium: quest'ultimo, per giunta, costituito non da un tempio a triplice cella, ma da tre celle separate. Nel tratto di Mesia Inferiore a ridosso del Mar Nero (Dobrugia), la romanizzazione si attuò non con la creazione di nuovi centri, ma con interventi di varia natura e misura in città che avevano già una loro fisionomia. Histria, colonia milesia del VII sec. a.C. più volte distrutta e ricostruita, ebbe una seconda fondazione in età augustea, con numerose insulae dall'aspetto regolare e con più di una basilica; da attivo porto, comunque, la città si trasformò (a causa dell'interramento del bacino antistante) in centro di produzione agricola. Il porto di Tomis (oggi Costanza, anch'essa fondazione milesia, ma del VI sec. a.C.) fu invece rilanciato e la città divenne "metropoli" di tutta la costa occidentale del Mar Nero. A Callatis (Mangalia), colonia megarese del VII sec. a.C., si aggiunsero in età romana una via porticata, un teatro, un edificio termale: il tessuto urbano appare costituito da insulae regolari. Nella Mesia Inferiore interna, invece, l'unico centro di grande importanza è Naissus (Niš), sul corso di un affluente del Danubio, il Margus (Nišava), in corrispondenza di un importante snodo stradale nel cuore della Penisola Balcanica. Occupata dai Romani nel I sec. a.C., ebbe notevole importanza commerciale e strategica; fu porto fluviale della flotta imperiale. In età tardoantica fu capitale dell'effimera provincia di Dardania. Un caso a parte, in Dobrugia, è quello di Tropaeum Traiani (Adamclisi), il luogo dove fu eretto il trofeo che commemorava la conquista della Dacia: qui Traiano stabilì un nuovo abitato popolato da Daci e da veterani delle campagne daciche. In Tracia (corrispondente all'incirca all'attuale Turchia Europea), la costituzione della provincia risale a Claudio. L'antico centro macedone di Philippopolis (Plovdiv), che a sua volta sorgeva su un nucleo tracio detto Pulpudeva, ebbe con Marco Aurelio nuove mura che, come la precedente (e più ridotta) cerchia macedone, avevano un tracciato alquanto irregolare. Malgrado questo, e malgrado la presenza, all'interno della città, di tre alture (Trimontium), sembra che la città presentasse un impianto tendenzialmente ortogonale. Seuthopolis (Kazanlak), già appartenuta a Filippo II e al re tracio Setheus III, aveva impianto regolare e quartieri gerarchicamente differenziati; non si sa però quale fosse la portata degli interventi romani. Regolare era anche la Colonia Ulpia Serdica (Sofia), fondata da Traiano sul luogo di un insediamento tracio. Più avanzata verso il Mar Nero era invece Nicopolis ad Histrum, fondata da Traiano presso il fiume detto oggi Jantra. La cinta muraria aveva pianta quadrangolare (e al nucleo principale si aggiungeva una sorta di castellum difensivo esterno); l'impianto urbanistico era ortogonale, mentre in posizione quasi centrale è il foro databile all'età adrianea, ma con importanti interventi successivi. Per la Dalmazia, definitivamente assoggettata in età augustea, non disponiamo di aree di scavo particolarmente estese se non a Iader e, soprattutto, a Salona e a Doclea (testimonianze di una certa rilevanza si trovano tuttavia anche a Narona, Aenona, Scodra, Aequum). L'unico esempio chiaro di urbanistica regolare, con disposizione a scacchiera degli edifici, è Iader, impianto che ha lasciato tracce evidentissime nell'ordito del centro di Zara medievale e moderna. Questa città portuale su una penisoletta di forma allungata, già florida in età repubblicana, divenne colonia in età augustea: la pianta era del tipo ad assi centrali, basata cioè sull'incrocio di un cardo maximus e di un decumanus maximus; il foro non è al centro, ma spostato notevolmente verso sud-est, probabilmente sul sito di quella che era stata un'arx preromana. Questo complesso, oltre che dal foro vero e proprio, era costituito da un tempio in posizione sopraelevata (Capitolium) e da una basilica: uno schema frequente, ad esempio, in Gallia, ma che qui costituisce invece l'unica attestazione. Il primo impianto dovrebbe datarsi all'età augustea; il portico, con criptoportico che circonda il Capitolium, è di età flavia, mentre la basilica fu aggiunta in età severiana. La Dacia, prima della conquista da parte di Traiano, aveva sviluppato con i suoi re, e soprattutto con l'ultimo, Decebalo, un formidabile sistema di fortezze in altura a protezione della capitale Sarmizegetusa. Anche dopo la romanizzazione, il territorio mantenne (sia pure in situazioni diverse) la sua vocazione strategica; i castra conosciuti (alcuni meglio, molti in maniera sommaria) sono circa ottanta. La capitale della provincia, sorta in pianura ai piedi dell'altura che ospitava l'antica capitale dacica, era Ulpia Traiana Sarmizegetusa. La città aveva una pianta approssimativamente quadrata, con un poderoso muro di cinta dagli angoli arrotondati (il modello dei castra era evidentemente ben presente); all'interno tuttavia conosciamo non tanto l'impianto urbano nel suo insieme, quanto alcuni monumenti, fra cui il foro, bordato da un portico sul lato nord.
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di Josep Guitard i Dunand
Al termine della seconda guerra punica, verso la fine del III sec. a.C., buona parte del territorio della Penisola Iberica fu incorporata nello stato romano. Iniziò il processo di romanizzazione: un fenomeno innovatore che produsse nel corso di duecento anni trasformazioni molto profonde in tutti gli aspetti (culturali, linguistici, sociali, economici, politici, religiosi) e pose le basi di quella solidissima costruzione sociopolitica che il governo di Augusto inquadrò nelle tre provinciae Hispaniarum: la Tarraconese, la Betica e la Lusitania. Lo sviluppo del fenomeno urbano e la sua progressiva estensione a tutto il territorio peninsulare furono senza dubbio gli strumenti chiave di tali trasformazioni. È necessario segnalare in primo luogo le accentuate differenze culturali tra i diversi popoli della Penisola Iberica nelle fasi iniziali di questo processo, sebbene in linea generale si debba distinguere nettamente la situazione dei popoli del versante mediterraneo e sud-peninsulare da quella dei popoli delle regioni interne. Nel sud, la Hispania Ulterior, territorio del mitico regno di Tartessos che aveva ricevuto una forte influenza punica, era la zona di maggiore tradizione urbana. Vi si trovavano centri urbani pienamente consolidati sia sulla costa che nell'interno: alcuni di origine coloniale, come Malaka (Malaga), Sexi (Almuñecar) o l'importante Gadir (Cadice), i cui inizi sono datati dalla tradizione al 1100 a.C.; altri autoctoni, come Hasta Regia (Mesas de Asta, Jerez de la Frontera), Hispalis (Siviglia), Carmo (Carmona), e molti altri. La Hispania Citerior mediterranea, dai Pirenei fino alle regioni sud-orientali della penisola era abitata da popoli di cultura iberica con forte influenza punica e greca. In alcune zone, dove la colonizzazione era stata particolarmente intensa, come nelle odierne province di Murcia e Alicante, la strutturazione urbana degli abitati indigeni era già senza dubbio in via di definitiva maturazione. Più a nord, comunque, il panorama dei numerosi popoli iberici ricostruito dall'archeologia testimonia probabilmente alcuni gruppi che senza dubbio avanzavano già verso l'urbanizzazione, sebbene questo processo non si fosse ancora solidamente definito. È possibile che ciò spieghi perché qui, sebbene con eccezioni, la romanizzazione abbia comportato un mutamento radicale nell'ubicazione e nella tipologia dei nuclei di insediamento. Infine, all'interno, le regioni settentrionali e nord-occidentali della penisola erano abitate da popoli molto diversi, con strutture tribali ancora primitive e in parte ancora non sedentarizzati: Lusitani, Celtiberi, Baschi, Celti del nord-ovest. Durante il II sec. a.C. l'attività urbanizzatrice di Roma in Hispania fu molto limitata, sebbene esistessero già le prime fondazioni citate nelle fonti antiche. È il caso di Tarraco (Tarragona), base logistica romana durante la guerra punica, di Italica (Santiponce, Siviglia), fondata nel 206 a.C., di Gracchuris (Alfaro, La Rioja) e Iliturgi (Mengíbar, Jaen), fondazioni di Tiberio Sempronio Gracco nel 179 a.C., di Carteia, fondata nella baia di Algeciras (Cadice) nel 171 a.C., di Corduba (Cordova) risalente alla metà del secolo, di Brutobriga e Valentia (Valencia), fondazioni di Decimo Giunio Bruto nel 138-133 a.C., di Palma e Pollentia nell'isola di Maiorca, fondazioni di Cecilio Metello Balearico nel 123/2 a.C. Il ruolo centrale che alcune di queste città assunsero successivamente non deve comunque far dimenticare l'eccezionalità delle fondazioni, proprio per questo minuziosamente citate nelle fonti. Il dominio militare romano nella penisola sviluppava le infrastrutture necessarie, ma non era ancora iniziato il movimento colonizzatore propriamente detto. Durante questo primo secolo di romanizzazione, il segno dei tempi venne marcato dalla continuità e dallo sviluppo delle strutture e dei centri preesistenti. Due esempi possono illustrare tale continuità: l'antica colonia greca di Emporion (La Escala, Gerona) e l'emblematica Saguntum (Sagunto). Emporion, fondata alla metà del VI sec. a.C., conobbe sotto il controllo romano un momento di auge e di sviluppo urbano, con ampliamenti e vaste ristrutturazioni dell'area centrale nel corso del II secolo. Saguntum, assediata e distrutta da Annibale, venne rapidamente ricostruita; agli inizi del II sec. a.C. risale un tempio a pianta quadrata con tre cellae, forse un primo Capitolium. A partire dall'età augustea la città, divenuta municipium, avrebbe dato avvio a un processo di monumentalizzazione di cui sono evidenze significative il foro, costruito nella zona contigua a quel tempio più antico, e il teatro, già dell'epoca di Tiberio. Con i primi anni del I sec. a.C. l'opera di urbanizzazione si fece più intensa. Le ricerche archeologiche in Catalogna documentano il sorgere in questi anni di diverse città, che furono probabilmente frutto di un programma di fondazioni accuratamente ideato e pianificato, il cui fine era certamente quello di installare fortezze, con un chiaro intento strategico, e forse condurre a termine una cosciente colonizzazione agraria del territorio. Baetulo (Badalona), Iluro (Mataró), Iesso (Guissona), Aeso (Isona) e la città romana di Ampurias sono gli esempi più chiari dell'intensa attività urbanizzatrice di questi anni. Ampurias offre anche il miglior esempio del modello urbanistico utilizzato per dar forma a queste nuove fondazioni: all'interno di un perimetro rettangolare fortificato, la città era organizzata sulla base di un reticolo ortogonale, con isolati allungati (2 × 1 actus); nel foro quadrangolare, con il tempio dedicato alla Triade Capitolina, si incrociavano decumano e cardine massimi. Sembra dunque chiaro che, sebbene non siano formalmente appartenute alla categoria giuridica di colonia, queste città vennero edificate seguendo gli assetti urbanistici propri dei modelli coloniali romani. Un'altra fase nel processo di romanizzazione e nell'attività urbanizzatrice è rappresentata dagli anni Settanta del I sec. a.C., quando la guerra civile di cui furono protagonisti Sertorio e i due generali inviati dal Senato per combatterlo, Pompeo e Metello, ebbe come scenario le province ispaniche e in particolar modo la Citerior. A questi anni risalgono importanti fondazioni nella valle dell'Ebro, come Pompaelo (Pamplona), creata da Pompeo, e, in Lusitania, Metellinum (Medellín), fondata da Metello. La definitiva strutturazione urbana dell'Hispania venne comunque iniziata da Cesare ed ebbe il suo culmine con Augusto, nel quadro della riorganizzazione politica e amministrativa delle province ispaniche, una volta terminate le guerre cantabriche. Molto rappresentative dell'importante ruolo che il fenomeno urbano rivestì nella strutturazione territoriale della penisola sono tre delle fondazioni coloniali augustee di nuova pianta: Emerita Augusta (Mérida), Caesaraugusta (Saragoza) e Barcino (Barcellona). La colonia Emerita Augusta, capitale provinciale della Lusitania, venne fondata nel 25 a.C. in un luogo strategico della via che collegava le terre della Betica con le zone ancora in conflitto del Nord della penisola. La partecipazione alla fondazione di veterani di diverse legioni che avevano preso parte alla guerra cantabrica documenta il peso della componente militare della nuova città. I resti delle mura, del tempio definito di Diana nel foro, del teatro e dell'anfiteatro e dei suoi tre acquedotti mostrano come, dai primi anni della colonia, si sviluppò un'architettura pubblica imponente, che successivamente, nel corso del I sec. d.C., trasformò la città in un importante centro monumentale. Caesaraugusta, sul corso medio dell'Ebro, fondata poco dopo il 19 a.C., fu un insediamento di veterani ubicato in un punto strategico e una città accuratamente pianificata fin dagli inizi, come testimonia il suo perimetro fortificato con torri a pianta semicircolare e porte complesse. Le ricerche archeologiche hanno portato alla luce i resti del foro, situato a nord della città in prossimità del fiume, in intima relazione con il ponte e forse con un possibile porto fluviale. Una funzione distinta dovette certamente assumere la Colonia Iulia Augusta Faventia Paterna Barcino, fondata anch'essa ex novo alla fine del I sec. a.C. Le piccole dimensioni, di molto inferiori a quelle usuali, contrastano con la monumentalità dei suoi edifici pubblici, tra i quali risalta il tempio forense. Certamente la sua fondazione rispondeva alla finalità di inquadrare amministrativamente, nell'assetto giuridico coloniale, i numerosi cittadini romani già da anni insediati in diversi centri del territorio. La nuova città dovette essere concepita in questo caso come centro religioso, politico e amministrativo di una colonia il cui territorio inglobasse i nuclei urbani preesistenti. Oltre alle nuove fondazioni, grande importanza ebbero le promozioni coloniali e municipali di molte città. Così, alcuni dei nuclei urbani preesistenti dell'Hispania, che già avevano assolto un ruolo centrale nei primi anni della romanizzazione e ai quali nella nuova organizzazione veniva conferito un ruolo significativo, furono promossi alla categoria di colonia romana, con o senza deductio di nuovi coloni. Altre città furono trasformate in municipia, con l'istituzione di uno statuto municipale e la concessione dei corrispondenti privilegi. Per completare questo panorama è utile un riferimento alle fondazioni urbane nei territori nord-occidentali della penisola. Esse sono ben esemplificate dalle fondazioni augustee delle città che in seguito avrebbero rispettivamente assunto il ruolo di capitali dei tre distretti giuridici in cui sarebbero stati strutturati i territori: Bracara Augusta (Braga), Asturica Augusta (Astorga) e Lucus Augusti (Lugo). Nonostante l'importante ruolo politico che erano destinate ad assumere, queste tre città non furono coloniae e inizialmente nemmeno municipia: si direbbe che per l'integrazione di questi nuovi territori il governo romano avesse nuovamente scelto un sistema di maturazione progressiva simile a quello che decenni prima avevano vissuto con buoni risultati i restanti territori ispanici. A questa politica di urbanizzazione fecero riscontro, a partire dall'età augustea, un intenso sforzo edilizio e una politica di edilizia pubblica che dovette anche rivestire un profondo significato ideologico. L'esempio più significativo è costituito da Tarraco, che, a partire dall'epoca di Augusto, assunse il ruolo di capitale della Tarraconese e divenne una delle città più importanti dell'Occidente romano. Nell'arco di un secolo, tra l'epoca augustea e la fine del I sec. d.C., Tarraco si trasformò profondamente attraverso l'applicazione di successivi programmi edilizi di grande portata. Molto importante fu il primo di essi, che comportò il rimodellamento del foro coloniale e la costruzione della basilica e del teatro e che costituisce un'attestazione di come teatro e foro fossero gli edifici urbani più importanti nei primi anni dell'Impero, dal momento che, oltre alle loro funzioni specifiche, condividevano il compito di rappresentare il nuovo ordine imperiale instaurato da Augusto. La grande monumentalizzazione di Tarraco si compì alla seconda metà del I sec. d.C., con la costruzione del grande complesso architettonico del foro provinciale, sede del concilium provinciae. Qui, come a Mérida, si riprodusse nel recinto dedicato al culto imperiale un programma iconografico ispirato a quello del Foro di Augusto di Roma. Nei primi anni dell'Impero venne dunque fissata la struttura urbana dell'Hispania ed ebbe inizio un importante processo di monumentalizzazione delle sue città, che in termini generali arrivò a definitiva maturazione in età flavia, nella seconda metà del I sec. d.C. Negli aspetti strutturali e giuridici il punto di maturazione venne segnato dalla concessione dello ius Latii agli Ispanici da parte dell'imperatore Vespasiano e dall'applicazione concreta di questa concessione, che provocò un considerevole salto nell'estensione dell'organizzazione municipale come strumento per esercitare i nuovi diritti. A partire dal II sec. d.C. l'evoluzione delle città ispaniche non avvenne secondo un programma organico e coerente e non è quindi facilmente generalizzabile; si può invece affermare che, nella sua essenza, la rete urbana di cui si dotò la Penisola Iberica agli inizi dell'epoca imperiale perdurò fino ad epoca tardoantica e, in certa misura, soprattutto in alcune zone della penisola, ha tuttora un peso nella struttura urbana locale.
Los foros romanos de las provincias occidentales, Madrid 1988; M.A. Marin Díaz, Emigración, colonización y municipalización en la Hispania republicana, Granada 1988; R. Marcet - E. Sanmarti, Empúries, Barcelona 1989; Les villes de Lusitanie romaine, Paris 1990; W. Trillmich - P. Zanker (edd.), Stadtbild und Ideologie. Die Monumentalisierung hispanischer Städte zwischen Republik und Kaiserzeit, München 1990; La casa urbana hispanorromana, Zaragoza 1991; La ciudad hispanorromana, Barcelona 1993; La ciudad en el mundo romano. XIV Congreso Internacional de Arqueología Clásica, I-II, Tarragona 1994; P. León (ed.), Colonia Patricia Corduba. Una reflexión arqueológica, Sevilla 1996; J. Arce - S. Ensoli - E. La Rocca (edd.), Hispania romana. Da terra di conquista a provincia dell'Impero (Catalogo della mostra), Roma 1997.
Se gli interessi romani nell'area mediterranea del continente africano risalgono a periodi assai antichi, un processo di urbanizzazione vero e proprio si realizza solo in età imperiale, con un picco significativo in età severiana, sotto la dinastia che aveva in Tripolitania origini e clientele. Altro fattore notevole dello sviluppo delle città africane, in particolar modo quelle costiere, è il crescente sviluppo che condurrà alcune province africane a svolgere un ruolo preponderante nella vita economica e commerciale dell'Impero. Il panorama urbano dell'Africa romana è tuttavia scarsamente omogeneo, con divergenze notevoli tra le diverse realtà culturali e geografiche. Nell'Africa Proconsolare l'urbanizzazione divenne consistente solo nel I sec. d.C., con la costruzione di complessi pubblici, quali il foro di Ippona di età augustea e quello di Dougga di epoca traianea, oltre che di infrastrutture (ponti, acquedotti, mercati, strade, teatri e anfiteatri). Si sviluppa così un processo di adattamento di centri preesistenti ai moduli urbanistici romani che privilegia le città costiere (Ippona, Utica) ed i centri interni a vocazione agricola, su cui si fonda l'economia della provincia (Theveste, Dougga, Mactar), e del quale restano tracce sia monumentali che epigrafiche. Gli esiti di questa trasformazione appaiono compiuti alla fine del secolo successivo, quando si assiste da una parte alla moltiplicazione dei capitolia anche in centri di minore entità (Furnus Maius, Ucubi, Belaris Maios, ecc.) desiderosi di adeguarsi al modello romano, dall'altro alla promozione di luoghi di culto dedicati a divinità locali o legate alla vocazione agricola e commerciale della regione, come ad esempio il tempio di Saturno a Dougga, edificato nella posizione canonica di fronte al mercato ma realizzato nei moduli architettonici della tradizione africana, con tre celle affiancate aperte sulla piazza. Coeva è la creazione di tre fori, rispettivamente di Althiburos, Sufetula e Thuburbo Maius, dalle caratteristiche così differenti da lasciar intendere una libertà di moduli architettonici e spaziali funzionali alle specifiche esigenze sociali ed economiche dei centri nei quali furono realizzati. Se ad Althiburos mancano gli edifici a destinazione pubblica ed il Capitolium è separato dalla piazza, a Thuburbo Maius l'aspetto cultuale appare dominante, con un massiccio Capitolium che aggetta dal lato nord-occidentale. A Sufetula invece tre templi tra loro collegati si affacciano sulla piazza pressoché quadrata. Il desiderio di uniformarsi ai canoni delle città romane promuove la realizzazione di strutture termali e di edifici per gli spettacoli, oltre che di archi onorari e trionfali. Nel secolo successivo il processo di monumentalizzazione prosegue secondo le dinamiche fin qui accennate e in età severiana si aggiunge un nuovo elemento, con la creazione di strutture abitative private esemplate su quelle di stampo classicamente italico, come attesta l'edilizia privata di Bulla Regia. Un'intensa campagna di restauro venne promossa in età dioclezianea; decisamente più scarsa appare essere l'attività di Costantino, mentre nella seconda metà del IV secolo la decisione imperiale di restituire alle città africane un quarto dei vectigalia al fine di risarcire gli edifici pubblici, riportata dal Codex Theodosianus, stimola una ripresa edilizia sia pubblica che privata, unitamente al mantenimento degli edifici di spettacolo, alcuni dei quali attivi anche in età vandala. In Tripolitania la romanizzazione interessa in primo luogo i centri costieri: nel corso del II sec. d.C., Sabratha e Leptis Magna vengono arricchite di luoghi di spettacolo e di culto organizzati secondo gli schemi urbanistici romani e che a livello cultuale consentono una commistione continua tra il vecchio ed il nuovo Pantheon. La ristrutturazione di Leptis da parte di Settimio Severo è un'opera architettonicamente organica, che prevede tra l'altro la risistemazione del porto, con ingenti opere di sbarramento e la realizzazione di nuovi moli, del faro e del tempio di Giove Dolicheno. Dal porto la via colonnata giunge alle terme di Adriano e costeggia il nuovo impianto forense, in un'area precedentemente non urbanizzata, terminato da Caracalla in forme più modeste, ma che comunque tradiscono l'unitarietà progettuale con le altre costruzioni e la capacità di adeguamento alle preesistenze. In Cirenaica, il processo di romanizzazione è molto graduale, così che la prima campagna di ristrutturazioni in grande stile è conseguente alla rivolta giudaica del 115-117 d.C., che aveva prodotto danni ingenti all'apparato monumentale. Nel corso del II secolo la ricostruzione di Cirene, sede del governatore, si muove proprio nell'aderenza dei moduli urbanistici e architettonici alla tradizione romana, quali la diffusione dei portici, l'innalzamento dei templi su podi, l'uso dell'ordine corinzio e dell'arco. Durante il secolo seguente, il centro urbano gravita nell'area di fondovalle, con strade porticate che scandiscono gli spazi; nel percorso verso l'agorà si eleva il propileo dedicato ad Alessandro Severo, un monumento unico nel suo genere in Cirenaica. Alla crisi del III sec. d.C. si aggiunge il terremoto del 262, così che soltanto nel IV secolo si vedono i segni di una ripresa che tuttavia non interessa tutti i centri urbani, ma soprattutto la nuova capitale, Tolemaide, con la ristrutturazione della via colonnata che conduceva all'aula per le udienze e la creazione di un arco alle sue estremità occidentali. *
P. Romanelli, Storia delle provincie romane dell'Africa, Roma 1959; R. Bianchi Bandinelli - E. Vergara - G. Caputo, Leptis Magna, Roma 1963; P.-A. Février, Urbanisation et urbanisme de l'Afrique romaine, in ANRW, 10, 2 (1982), p. 351 ss.; H. Jouffroy, La construction publique en Italie et dans l'Afrique romaine, Strasbourg 1986; L. Bacchielli, La Tripolitania, in Storia di Roma, III, 2, Torino 1993, pp. 339-49; Id., La Cirenaica, ibid., pp. 603-609; F. Ghedini, L'Africa Proconsolare, ibid., pp. 309-25.
di Luigi Caliò
Dopo le devastazioni tardorepubblicane, l'impero di Augusto portò nuova prosperità nelle province orientali, che, già fortemente urbanizzate, non conobbero ulteriori fondazioni in periodo romano. Le città vissero un momento di grande ricchezza per tutto l'Alto Impero, soprattutto i grandi centri fondati sulle principali vie di commercio (Palmira, Damasco, Gerasa, Bostra, Petra) e i porti del Mediterraneo (Efeso, Mileto, Nicomedia, Smirne). La ricostruzione avvenne sotto l'egida dello stesso imperatore e con l'inizio del principato si assistette ad un forte intervento imperiale sull'organizzazione urbanistica, sull'assetto del territorio e sulla distribuzione demografica per incorporare le varie regioni nel sistema amministrativo romano; a questi interventi si accompagnò anche la romanizzazione dell'aspetto delle città più importanti, in modo diverso da regione a regione. Nella Grecia, che non partecipava dello stesso benessere delle città orientali, i grandi programmi edilizi vennero promossi direttamente dall'imperatore e furono volti sia all'esaltazione della stessa casa imperiale, sia alla glorificazione delle città più famose per il loro passato. Paradigmatico è l'esempio di Atene, oggetto di un programma edilizio promosso dallo stesso Augusto: l'Agorà fu completamente risistemata da Agrippa, che vi costruì l'odeon, con un atto volto a cancellare la valenza politica dello spazio centrale della piazza. Lo spazio pubblico fu ulteriormente ristretto dalla ricostruzione del tempio di Ares, trasportato probabilmente da Acarnai, che richiamava il tempio di Marte Ultore del Foro di Augusto. All'Agorà greca si affiancò la nuova Agorà romana, progettata da Cesare nel 47 a.C., ma inaugurata solo tra l'11 e il 9 a.C., che divenne il nuovo centro delle attività commerciali. Solamente a partire dall'inizio del II sec. d.C. Atene subirà un processo edilizio assimilabile a quello delle grandi città orientali, con la monumentalizzazione delle strade di rappresentanza (la via delle Panatenaiche e la via che dalla Stoà di Attalo porta all'Agorà romana). Durante il regno di Adriano Atene conobbe una vera e propria risistemazione urbanistica, con il completamento del tempio di Zeus Olympios e la costruzione dell'arco che segna l'entrata alla Neapolis adrianea, che si sarebbe dovuta costruire sulle sponde dell'Ilisso e che sarà completata successivamente con la costruzione dello stadio di Erode Attico. Nel vecchio tessuto urbano di Atene Adriano inserì la biblioteca, un Pantheon e probabilmente una basilica. Diversa è la situazione a Corinto, dove, dopo la distruzione del 146 a.C., fu fondata una colonia romana nel 44 a.C. Il centro politico e religioso della città fu completamente riadattato alle nuove esigenze amministrative della colonia, con una nuova agorà romana su un sito dove tuttavia rimanevano preesistenze ellenistiche importanti, come la stoà sud. Gli ambienti di quest'ultima, in particolare, completamente ristrutturati, furono utilizzati come uffici amministrativi della città, compreso il bouleuterion. Anche in questo caso gli edifici monumentali di Corinto testimoniano una forte propaganda augustea, dovuta forse all'influenza di Agrippa, patrono della città tra il 20 e il 15 a.C. In Asia Minore le città, sicuramente più prospere, vennero monumentalizzate non solo per intervento imperiale, ma anche ad opera dei cittadini più influenti e in esse si nota una maggiore attività architettonica e urbanistica. Efeso, rifondata da Lisimaco, rimase in secondo ordine durante il regno degli Attalidi, per divenire poi, nel 29 a.C., centro amministrativo della provincia d'Asia. I primi interventi, come la risistemazione della rete viaria e la costruzione degli acquedotti, sono ancora legati al potere centrale; sempre ad iniziativa imperiale sono dovute le costruzioni nell'agorà civile, atte ad esaltare la persona e la famiglia dell'imperatore. Contemporaneamente cominciò a farsi strada anche l'evergetismo privato: così due liberti di Agrippa dedicarono la porta monumentale sud-orientale dell'agorà tetragona, probabilmente già all'inizio del periodo augusteo, mentre la famiglia dei Tiberi Celsi all'inizio del II sec. d.C. costruì la Biblioteca di Celso, la cui facciata richiama una frons scaenae, secondo uno schema ampiamente sfruttato in quest'area geografica. Nella zona del porto in epoca adrianea Claudio Veruliano donò alla città un grande portico adibito a palestra e nella zona nord della città P. Vedio Antonino finanziò un ginnasio dedicato ad Artemide e ad Antonino Pio. Più particolare è il discorso per Mileto che, essendo priva di importanza amministrativa, fu oggetto di minori interventi da parte del potere imperiale; a partire dall'inizio del I sec. a.C. si monumentalizzò tuttavia il tratto iniziale della via processionaria che univa il Delphinion al santuario di Apollo a Dydima. La parte meridionale, prima di giungere all'agorà, era occupata da due edifici di grande impatto decorativo: il ninfeo monumentale, di periodo traianeo, e la porta nord dell'agorà meridionale, costruita alla metà del II sec. d.C. Gli edifici ripropongono, come già ad Efeso e in numerosi altri esempi, le decorazioni delle frontes scaenae e dovevano dare la stessa impressione di ricchezza delle sale marmoree delle terme imperiali, giocando sull'equivoco tra spazio esterno e interno. La nuova sistemazione della città si regolava sulla successione di spazi chiusi e monumentalizzati, che delimitavano lo spazio cittadino in diversi ambienti e che avevano valenze profondamente diverse da quelle delle antiche agorài di area greca. A partire dalla creazione nel 64 a.C. della provincia di Siria, sembra che Roma abbia continuato la politica urbanistica dei Seleucidi. La formazione della Decapoli ne è un chiaro esempio: l'organizzazione di queste città, quasi tutte in Transgiordania, è generalmente attribuita a Pompeo, ma le ricerche recenti hanno fatto risalire questa organizzazione del territorio al periodo augusteo. Lo scopo era quello di costituire una barriera contro i nomadi delle steppe, le ambizioni commerciali dei Nabatei e le mire espansionistiche dei principi Asmonei di Giudea. Questo programma non dovette tuttavia riuscire e gli stessi Nabatei si stabilirono in seguito a Gerasa. La politica romana non richiedeva nuove fondazioni, ma piuttosto un rafforzamento delle vecchie: tutte le città della Decapoli sono definite infatti come fondazioni dello stesso Alessandro e lo Stato romano non fece altro che confermare formalmente la loro condizione di poleis indipendenti e autonome. Interventi romani diretti non sono frequenti in questo periodo: si possono citare i casi di Bostra e di Philippopolis e, in Siria, un solo episodio di fondazione di colonia militare (Berytus/Heliopolis). In maniera analoga si conservò inalterato il sistema della Tetrapoli siriana e le città furono solamente trasformate nel loro impianto monumentale. Così l'aspetto esteriore di Antiochia venne profondamente modificato per la prima volta sotto Tiberio, facendo della via principale un'ampia strada colonnata, trasformata successivamente tra Traiano e Antonino Pio. Apamea di Siria presenta una situazione interessante: distrutta da un terremoto nel dicembre del 115 d.C., fu oggetto di un vasto programma di rinnovamento edilizio; molto probabilmente l'impianto della nuova città, che sembra riprendere quello più antico, era più vasto della città precedente. La grande arteria colonnata, costruita a partire dagli ultimi anni di Traiano (116/7 d.C.) sopravvive ancora oggi per circa 2 km di lunghezza. A circa metà della via si trova l'agorà, fondata nel secondo quarto del II sec. d.C. e preceduta dal tempio di Tyche che si affaccia direttamente sulla grande strada. Se tuttavia nel caso delle città di fondazione ellenistica troviamo generalmente una sovrapposizione delle strutture del periodo romano che non alterano profondamente il tessuto urbanistico, diversa appare la situazione di Palmira. Lo sviluppo urbano in età romana cominciò nel 19 d.C., sotto Tiberio: la strada colonnata fu costruita a partire dalla seconda metà del II sec. d.C. per unire con un'arteria i vari quartieri. La distribuzione dei quartieri della città si fondava su base tribale a carattere familiare: le quattro tribù di Palmira avevano infatti un'area specifica, al centro della quale sorgeva un santuario; per questo i vari quartieri mantennero orientamenti diversi e la strada colonnata dovette seguire un andamento spezzato in tre tronconi per collegare i poli abitativi e arrivare al santuario di Bel, centro religioso della città. L'enfatizzazione di questo percorso principale, che oltre al ruolo di cardo aveva anche un forte carattere religioso (le stesse colonne dei portici sono consacrate alle divinità), è dovuta al tentativo di dare alla città un'apparenza ellenizzante, che tuttavia è solo esteriore. Gli stessi cambiamenti di rotta della strada colonnata sono mistificati con la presenza di un arco monumentale a pianta triangolare (inizio III sec. d.C.) e di un tetrapilo. Philippopolis, infine, è di fatto l'unica fondazione romana in Siria, promossa da Filippo l'Arabo sul sito del villaggio di Shahba, di cui forse era originario. L'impianto generale del sito è quello del castrum, come mostra il circuito murario urbano nel quale si aprivano quattro porte monumentali a tre fornici. L'incrocio degli assi viari principali della città era sottolineato da un grande tetrapilo e a nord-ovest del decumano si trovava il centro monumentale tra le strutture del quale si riconosce il Philippeion, santuario dedicato al dio Marino, padre divinizzato dell'imperatore.
S. Alcock, Archaeology and Imperialism: Roman Expansion and the Greek City, in JMedA, 2, 1 (1989), pp. 87-135; Ead., Graecia Capta. The Landscape of Roman Greece, Cambridge 1993; F. Zayadine, L'urbanisation des cités du désert. Petra, Palmyre, Doura-Europos et Gerasa, in La ciudad en el mundo romano. Actas del XIV Congreso Internacional de Arqueología Clásica, Tarragona 1994, pp. 381-93; F.M. Fales (ed.), Siria. Guida all'archeologia e ai monumenti, Venezia 1997; D. Willers, Griechische Kunst, 4. Kaiserzeit, in H.-G. Nesselrath, Einleitung in die griechische Philologie, Stuttgart - Leipzig 1997, pp. 659-77; P. Baldassarri, Sebastoi Soteri. Edilizia monumentale ad Atene durante il Saeculum Augustum, Roma 1998.
di Luisa Migliorati
Accanto alla definizione degli elementi urbanistici estrapolabile dai dati archeologici, resta insostituibile per la nostra conoscenza la letteratura latina sull'argomento, desumibile in particolare dal De architectura di Vitruvio, che risulta essere una codifica a posteriori di quanto era stato ampiamente applicato già nei secoli antecedenti l'età augustea. La sua affermazione sulla necessità dell'architetto di metabolizzare le esperienze e applicare l'elaborazione esprime gli esiti del percorso evolutivo romano nel campo dell'urbanistica, che si distingue per flessibilità e adeguamento sia ai portati culturali allogeni sia ai suggerimenti geomorfologici. Anche per Vitruvio la prima generica distinzione nell'ambito formale urbano avviene tra spazio pubblico e privato; i criteri di definizione del primo, di cui fanno parte le mura, sono di difesa, religione, utilità; si elencano in tal modo i concetti ispiratori dell'impianto che dovranno trovare concreta manifestazione nelle costruzioni a fruizione collettiva. Come in ambiente greco, il percorso, la forma, le dimensioni del perimetro murario sono già i primi elementi distintivi della forma urbana corrispondenti alla funzionalità primaria di difesa alla quale devono adeguarsi le città romane. L'esigenza difensiva, teoricamente indipendente dallo status giuridico del centro, deve confrontarsi con la vocazione specifica della fondazione ex novo, e dunque con i percorsi territoriali a lungo raggio; il rapporto con questi trova generalmente il punto di scambio nei varchi murari (Terracina come Rimini), ma si attua anche attraverso settori viari di raccordo (Alba Fucens, Cosa), in tal caso con minore condizionamento reciproco. Le mura compaiono come primo atto costitutivo tanto in Vitruvio quanto in iscrizioni di diversa cronologia; la lettura comparata dei dati evidenzia gli elementi che in ogni tempo (dal I sec. a.C. al V sec. d.C.) hanno simboleggiato la strutturazione, o il rifacimento, di un centro urbano: le fortificazioni con le porte, e di seguito le specifiche del foro e degli edifici commerciali ( porticus ovvero commercia), che nel caso di Verona lasciano alla sola indicazione cloacas il compito di suggerire la globale ristrutturazione dell'impianto attraverso la realizzazione della rete fognante. La legislazione sulle vie urbane ripropone, dalla Repubblica agli editti del Tardo Impero, anche il divieto parziale di circolazione veicolare, per contenere un volume di traffico eccessivo rispetto all'inadeguato dimensionamento delle sedi stradali; fattore, questo, condizionante il facile coinvolgimento di interi quartieri in pur piccoli incendi, ai quali, a Roma, non poté ovviare neppure la normativa neroniana con lo specifico latis viarum spatiis. Nelle altre città gli assi secondari hanno una larghezza media tra i 3 e i 4,5 m, mentre 6 m circa sono destinati a quelli principali. Alcune ampiezze fuori dalla norma sono dovute ad una preesistenza della viabilità rispetto all'insediamento (ad es., la via Postumia all'interno di Libarna). Accanto al sistema stradale e fognario, secondo Dionigi di Alicarnasso (III, 13), il terzo elemento della "grandezza dell'Impero romano" era rappresentato dagli acquedotti. In effetti, se se ne esclude la monumentalità, che è da sempre un elemento costitutivo del paesaggio, le strutture dell'approvvigionamento idrico della città romana sono una delle principali note caratterizzanti il funzionamento degli impianti urbani a partire soprattutto dall'età di Augusto, che ne curò particolarmente la normativa. Tuttavia l'immagine della città si realizza prima di tutto nell'emergere del luogo collettivo rispetto all'arearesidenza; infatti quest'ultima non assicura l'identità urbana, rinnovabile e modificabile com'è, senza soluzione di continuità (si vedano gli esempi pompeiani di compravendita con esiti planimetrici completamente disorganici), per riuscire a riprodurre uno spazio naturale adeguato alle esigenze climatico-ambientali, secondo le norme igieniche diffuse da Ippocrate in poi. I criteri distributivi del tipo abitativo, in cui si inserisce spesso un'attività artigianale, sono tuttavia vincolati ad una forma geometrizzata, cellula prima di un isolato, che a sua volta diventa modulo dell'aggregato; è su tale base che si determina la variazione nel tempo del rapporto insulare con un modulo programmatico tendente all'unitario nella prima età imperiale. La definizione dell'impianto viario, seconda fase del programma urbanistico, prevede di conseguenza, visto il rapporto di interdipendenza tra strade e isolati, l'articolazione interna del piano, anche se esplicitato dal testo vitruviano solo attraverso l'enunciazione di una precisa gerarchia tra gli assi urbani (plateiai e angiportus) e della loro migliore disposizione in relazione ai fattori climatici, che come si è detto, coinvolge l'assetto delle case nell'esposizione e nell'illuminazione. La ripartizione degli spazi è dunque contestuale e la selezione delle aree per le varie funzioni (religiosa, politico-amministrativa, reliquisque locis communibus) prevede come parametri l'utilità e la migliore fruizione da parte della collettività, alla quale deve cedere l'interesse individuale. È quanto esemplificato nella metà del II sec. a.C. dal caso ostiense, in cui il pretore Caninio definisce con previdenza mediante cippi le zone demaniali riservate allo Stato fino al Tevere, togliendole alla possibilità di espansione edilizia privata. Per quanto concerne invece il tema della zonizzazione dei culti, il suggerimento della dislocazione del tempio alla Triade Capitolina nel luogo più elevato non trova riscontri se non in centri situati in zone a orografia interna differenziata, come Cosa, con la trasformazione di un tempio precedente sull'arx e non nel foro, o Brescia; ma in casi come quello veronese il dislivello tra la piazza forense e il Capitolium non poteva rispondere a tale esigenza. Qui, come del resto a Brescia, come a Luni o a Minturnae, Ostia, Augusta Raurica, Augusta Bagiennorum, Ampurias, l'evidenziazione e la distinzione del settore religioso sono ottenute mediante la separazione dell'area sacra dal resto del quadro forense attraverso l'asse principale di percorrenza urbana. La disposizione degli edifici civili (basilica, curia o uno solo dei due) presenta delle variabili legate talvolta anche a problemi di saturazione edilizia: sul lato breve della piazza (Brescia, Augusta Raurica, Augusta Bagiennorum), su uno dei lati lunghi (Ostia e Verona, confrontabili anche per la separazione del complesso generalmente unitario curia-basilica tramite un asse viario, forse anche Ampurias e Luni per la sede del senato), o alle spalle del tempio quando limitati alla sola curia (Potentia, Augusta Bagiennorum); tuttavia il rapporto spaziale che si viene a determinare con l'elemento templare, chiarificato anche tramite il sistema di accesso alla piazza stessa, sembra essere in diretta rispondenza con le funzioni ideologiche affidate agli edifici: una preponderanza del sacro, ovvero l'immagine di una operativa attività politico-amministrativa. Quest'ultima viene ad essere sottolineata, sia in Italia che nelle provincie, in piccoli centri nei quali è primaria la vocazione amministrativa: a Lucus Feroniae, Veleia, Calleva Atrebatum (Silchester), Ruscino (Château Roussillon), Venta Icenorum (Caistor-by-Norwich) è la basilica ad acquistare nel tessuto urbano una posizione di primo piano con la limitazione del settore sacro a una semplice aedes Augusti. Il foro è ormai un contesto cronologicamente articolato, che ha comunque superato per ogni centro il momento della fondazione; non ci sono infatti testimonianze di un'area catalizzatrice di tutte le funzioni pubbliche per le prime colonie romane, che per statuto erano effigies parvae simulacraque Romae. Nel quadro monumentale forense, predeterminato da costanti edilizie (luoghi di culto, curia, comizio, mercato), la basilica non appare che tardivamente, introducendosi quasi inavvertitamente all'interno degli impianti con l'utilizzazione di uno degli spazi porticati bordanti la piazza, locus adiunctus che non ha ancora acquisito la dignitas che l'esempio progettuale di Fano documenta come reale componente dell'organismo forense. Ma, per quanto riguarda i primi impianti basilicali, il ricordo della chiusura di parte della stoà sud dell'agorà di Priene per crearvi un'aula di riunioni giustifica la denominazione di stoà data agli edifici romani da Dione Cassio. È d'altra parte quanto si verifica ad Ampurias o a Luni, ove la basilica utilizza un'ala della porticus triplex intorno al Capitolium in una manifesta indisponibilità areale per mancata previsionalità. Anche ad Alba Fucens il tardivo (I sec. a.C.) inserimento dell'edificio giudiziario in un foro strutturato dal III sec. a.C. comporta l'obliterazione di strutture abitative. Tuttavia nel suo aspetto definitivo il foro della colonia latina tradisce indubbiamente una programmazione areale coerente, con la successione, da nord-ovest, delle zone amministrativa, commerciale, religiosa, inserite tra i due assi di fondovalle (tracciato originante lo schema urbanistico) nella coincidenza di fulcro topografico e civico e lascia quindi il dubbio per la struttura demolita che si tratti di una costruzione privata impropriamente posizionata. D'altra parte, la dislocazione dell'area forense, che raramente si allontana dalla posizione centrale (ad Aosta l'area pubblica raggiunge come limite nord le mura), non poteva che esprimere in tutti i centri la volontà di una progettualità d'impianto definita sin dalla prima fase urbana. Non è ovviamente escluso l'eventuale ripensamento, come documentato ad esempio dagli ampliamenti del foro di Florentia. Tra le aree specialistiche gravitanti sulla piazza pubblica, quella commerciale si presenta spesso duplicata attraverso le strutture individuali delle tabernae e il complesso centripeto del macellum. Le prime possono effettivamente collocarsi ovunque, sbriciolandosi nel tessuto urbano o coagulandosi presso i grandi horrea in una specializzazione areale che vede ad esempio, sia a Milano che a Brescia, definire l'importanza commerciale di settori paramuranei collegati a vettori territoriali, o nei centri portuali selezionare le zone presso la costa per le strutture di immagazzinaggio (Ostia, Pozzuoli, Ancona). L'impegno monumentale del macellum non vede che una destinazione in zona centrale e dunque in caso di scelta obbligata per l'area centrale tra strutture cellulari e mercato polivalente si assiste all'azzeramento delle prime in funzione del secondo. È così a Pompei, che vede le botteghe del lato orientale del foro sostituite progressivamente dal macellum di II sec. a.C. e dai successivi edifici che sino all'eruzione del Vesuvio compongono in termini monumentali le semplici strutture del settore est. L'esempio pompeiano sembra proprio ricondurci alla completa tipologia edilizia necessaria all'espletamento delle funzioni pubbliche; la sua forma allungata, eccessivamente secondo i canoni vitruviani di un rapporto di 2:3, può accogliere anche l'erario, il carcere e una sede corporativa, mentre ne viene escluso l'impianto termale di I sec. a.C., che trova una localizzazione in zona non lontana probabilmente erede della primitiva fascia pomeriale inedificata. Quest'ultima tipologia edilizia decisamente aggregante (si pensi alla costruzione delle Terme Centrali con l'obiettivo di decongestionare almeno in parte il "centro storico" di Pompei) difficilmente risulta inserita direttamente sulla piazza forense, soprattutto nei casi di adeguamento tipologico ai canoni diffusi dai grandi impianti imperiali. Un'altra componente del settore "tempo libero" risponde in modo ottimale alle esigenze degli abitanti sia della città che della campagna: l'anfiteatro, una delle costanti edilizie a partire dall'età augustea (con precedenti significativi in Campania). Ovviamente una serie ampia di motivi induce alla dislocazione dell'anfiteatro in area periferica o extramuranea: la funzione, legata principalmente ai combattimenti gladiatori, e dunque la partecipazione di masse di spettatori non culturalmente motivate e in gran parte provenienti dal territorio, fattori determinanti possibili incidenti e suggerenti un rapporto topografico molto stretto con le mura; il settore ergonomico, con la riduzione dei tempi di trasporto del materiale edilizio, con il conseguente sensibile ridimensionamento dei costi-uomo e dei tempi-uomo; i problemi di circolazione, per l'impianto e la durata del cantiere per una costruzione di tanta mole; non ultimo, infine, l'impegno areale che necessitava l'acquisizione di una vasta superficie in un centro generalmente già strutturato e i conseguenti problemi di esproprio. Per il teatro il discorso è diverso. Se talvolta si assiste alla dislocazione unitaria del binomio teatro-anfiteatro (Teramo, Aosta, Carsulae), la vocazione culturale del primo, associata alla valenza cultuale materializzata nella vicinanza con un edificio templare, ne rende attuabile la collocazione anche in zona urbana paraforense, secondo i dettami vitruviani (Brescia, Minturnae, Rimini, Tusculum, ecc.) o comunque quasi sempre intramuranea (Luni, Torino, Lucca, Grumento, ecc.). Non è da dimenticare inoltre la preferenza di adeguamento collinare della cavea secondo un concetto, forse più tipico dell'ambiente greco, ma ampiamente diffuso nel mondo romano, che ne condiziona ovviamente la dislocazione in riferimento all'impianto. In un contesto di continua espansione, valido per quasi tutti i centri, non sempre sono sufficienti le frequenti larghe previsionalità dei piani programmatici; caratteristici diventano dunque i fenomeni di superamento dei limiti urbani originari, che investono anche settori inizialmente destinati ad aree cimiteriali intatte fino ad allora per la rigorosa ottemperanza alla legge, mai caduta in disuso, delle XII Tavole. Zone necropolari arealmente compatte a Roma (Esquilino) come ad Ostia o a Capua subiscono la necessaria bonifica, mentre lungo le viabilità in uscita si alternano strutture ricettive a luoghi sepolcrali.
P. Rossi (ed.), Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, Torino 1987; P. Sommella, Italia antica. L'urbanistica romana, Roma 1988; P. Gros, Les étapes de l'aménagement monumental du forum: observations comparatives (Italie, Gaule Narbonnaise, Tarraconaise), in La città nell'Italia settentrionale in età romana, Roma 1990, pp. 29-68; J.-Ch. Balty, Curia Ordinis, Bruxelles 1991; G.L. Grassigli, "Sintassi spaziale" nei fori della Cisalpina. Il ruolo della curia e della basilica, in Ocnus, 2 (1994), pp. 79- 96; La ciudad en el mundo romano. Actas del XIV Congreso Internacional de Arqueología Clásica, Tarragona 1994; Splendida civitas nostra, Roma 1995; P. Gros, L'architecture romaine, 1. Les monuments publics, Paris 1996.
di Luigi Caliò
Fondamentalmente diversa rispetto al mondo greco è la situazione in Italia, anche se per il periodo più antico i sistemi di fortificazione urbana sono influenzati dalle cinte delle città greche d'Occidente. I primi esempi di mura in opera poligonale sono attestati in varie zone italiane tra il VI e il III sec. a.C., dall'ambiente magnogreco (Velia) all'Italia centrale. Le mura di Alatri sono datate variamente tra il IV ed il I secolo, mentre a Ferentino coesistono tecniche costruttive diverse. Particolarmente antica, forse della fine del V sec. a.C., sembra essere la cinta di Arpino, in cui l'unica porta conservata espone il fianco sinistro agli assalitori. Le mura di Roma, oltre ad essere emblematiche per la grandiosità dell'opera, hanno il privilegio di essere datate con una certa sicurezza. La cinta muraria, costruita dopo il sacco dei Galli del 390 a.C., nelle parti ancora conservate segue, in diversi tratti, il tracciato di una cinta più antica; il lato più debole era fortificato con un sistema complesso che comprendeva una fossa, un muro e un terrapieno (agger), per una larghezza complessiva di circa 90 m. Il paramento esterno è in blocchi di tufo disposti per testa e per taglio, secondo una tecnica già nota in Grecia e nelle città greche d'Occidente. Più difficile è stabilire quali siano i rapporti tra le fortificazioni greche ed etrusche, anche se si può presupporre un generico debito a queste da quelle. In Etruria caratteri generali sono l'adattamento all'orografia del terreno e un tracciato discontinuo. Si nota soprattutto l'assenza di bastioni o di torri. Le fortificazioni mantengono in genere un aspetto arcaizzante con un frequente utilizzo di apparati pseudoisodomi. Bisogna attendere la costituzione delle prime colonie romane a partire dall'inizio del IV secolo per trovare un tipo di organizzazione cittadina che utilizza le mura come elemento principale per la definizione dello spazio urbano. L'impianto delle colonie romane più antiche (Ostia, Minturno, Pyrgi) è dettato dalla sistemazione del perimetro rettangolare della cinta e dalla sistemazione dei due assi ortogonali interni. Diversamente le colonie di diritto latino, meno legate a schemi rigidi, presentano modelli urbanistici di derivazione greca e adottano circuiti più liberi, legati alla orografia del terreno. Elementi di derivazione greca si riscontrano nelle mura di Paestum (273 a.C.), come la corte interna o, nella porta della Sirena, l'uso dell'arco che richiama la Porta Rosa di Velia. A Cosa (273 a.C.) le mura sono costruite con un apparato poligonale; le porte presentano un sistema a doppia corte all'interno del circuito murario. In pieno stile ellenistico è anche la cinta muraria di Falerii Novi (241 a.C.), costruita in un apparato isodomo di blocchi di tufo, che ha lungo il circuito 50 torri quadrangolari. Dopo le guerre che hanno caratterizzato l'inizio del I secolo i magistrati locali finanziano soprattutto opere di difesa: in questo periodo sono costruite in Italia 35 cinte fortificate e almeno altre 20 sono state restaurate. Si diffondono le tecniche di poliorcetica utilizzate in Oriente e le nuove cinte presentano sistemi difensivi avanzati soprattutto per quanto riguarda la costruzioni di porte e torri. Alcune cinte sono particolarmente ricche, come le mura della città sannita di Telesia che su un circuito di 2,5 km hanno 35 torri e 3 grandi porte. In periodo augusteo si assiste ad un fiorire senza precedenti delle mura urbane, anche in città che già avevano una cinta muraria. Paradossalmente proprio dopo la pacificazione, il paesaggio urbano si militarizza in modo simbolico con fortificazioni monumentali, anche se in alcuni casi poco funzionali, come a Spello o a Verona. Così in Italia, in Gallia, nella Penisola Iberica vengono solennizzati i limiti della città che, con la costruzione delle mura, esprimono la dignitas della comunità ed il consensus all'imperatore. Infatti non è possibile costruire cinte murarie senza l'autorizzazione imperiale e la loro presenza costituisce un privilegio importante. Simbolo della nuova epoca è ad esempio il donativo di una cinta di circa 6000 m da parte dello stesso imperatore alla colonia di Nîmes. Soprattutto in Gallia, dove l'edilizia militare era stata meno forte che in Italia, si costruiscono grandi cinte murarie (Fréjus, Aix-en-Provence, Autun, Vienne), che circondano un'area molto più grande dell'abitato effettivo e si caratterizzano per la loro monumentalità. La scarsa importanza dell'aspetto militare delle nuove fortificazioni ci viene testimoniata ad esempio dal caso di Benevagienna in Piemonte, dove sono state costruite le torri e le porte, ma non sono state trovate tracce delle strutture che le dovrebbero legare. Soprattutto le porte si monumentalizzano e a volte diventano dei veri e propri archi onorari, come l'Arco di Augusto a Rimini e la Porta Aurea di Ravenna. Generalmente le porte augustee sono costituite da passaggi singoli o doppi per i veicoli, fiancheggiati da uno o più passaggi pedonali. La difesa delle porte a volte riprende formalmente schemi ellenistici, con corte interna o, come nel caso di Fréjus, con la porta situata tra due torri all'interno di una concavità delle mura secondo lo schema della Porta A di Mantinea. A Spello la Porta Consolare e quella di Venere sono a tre fornici. In particolare quest'ultima, compresa tra due torri a base quadrata e alzato con 12 lati, è decorata ai lati da clipei con funzione onoraria. La stessa sistemazione delle torri compare nelle porte di Como e di Torino. A Verona, la Porta dei Borsari, a due fornici, conserva nella parte superiore due gallerie sovrapposte con finestre. Rispetto alle altre cinte coeve, particolari sono quelle di Torino e di Aosta che invece riprendono lo schema del castrum, seguendo un circuito rettangolare. A Torino nel muro con torri rettangolari si apre una porta particolarmente monumentale fiancheggiata da due imponenti torri poligonali. Dopo Augusto, con l'Impero pacificato, gli interventi sulle cinte murarie diventano rari. Il consenso all'imperatore si esprime attraverso altri veicoli e le mura costituivano un serio impedimento all'espansione urbana, anche se le mura di Avenches, costruite sotto i Flavi, hanno ancora, soprattutto nella realizzazione delle porte, forti echi augustei. Durante il II e all'inizio del III sec. d.C. la costruzione delle cinte fortificate è limitata alle regioni con più alto bisogno difensivo. In questo periodo sono fortificate Aquileia, Salona, ma anche in Oriente Callatis, Philippopolis, Odessos. Particolarmente ricca di nuove fortificazioni in questo periodo è la Britannia: Glevum (Glouchester), Eburacum (York), Camulodunum (Colchester). In Gallia vengono ancora costruite mura prestigiose come quelle di Tongres, forse della metà del II secolo che riprendono schemi costruttivi augustei. In generale il disegno delle mura si standardizza: le mura sono di spessore medio (1-3 m) e le torri, circolari o quadrangolari, sono poste a cavallo delle stesse mura. Caratteri più conservatori si hanno nelle porte come la Porta Nigra di Treviri. Tuttavia se in Occidente non si notano grandi innovazioni tecniche dal punto di vista militare, in Oriente, lungo il confine con l'impero partico, che aveva sviluppato una forte esperienza militare, si notano le novità più importanti come l'uso di torri ad U fortemente aggettanti e di torri angolari, che verranno utilizzate successivamente anche in Occidente. La crisi che nasce nel III sec. d.C. con la rivolta dei Gordiani (238) coinvolge tutto l'Impero. Diverse cinte murarie vengono ricostruite e rinforzate. A Verona nuove mura furono costruite nel 265 in soli otto mesi. Vengono fortificate Vindonissa (260) e Milano (268) in Occidente e in Grecia Valeriano protegge Atene con una nuova cinta. Particolarmente attivo nella costruzione di cinte murarie è Aureliano, a cui si possono attribuire oltre alle mura di Roma anche quelle di Pisaurum e di Fanum. Nella costruzione delle mura si impone un diverso sistema dovuto a nuove esigenze tattiche, ma anche alla necessità di costruire fortificazioni velocemente e con poco impegno economico. Si assiste così a costruzioni che sfruttano preesistenze architettoniche o materiale di reimpiego. Le mura hanno una considerevole altezza e sono normalmente fornite di torri aggettanti che superano di un piano l'altezza normale delle cortine. Generalmente i camminamenti sono su più piani. In alcuni casi le cortine esterne hanno decorazioni formate con la disposizione dei mattoni che richiamano quelle di periodo augusteo o postaugusteo. In Occidente il prototipo delle mura tardoromane è dato dalla cinta di Aureliano. Costruita in modo da sfruttare gli elementi geografici vantaggiosi alla difesa, come il fiume o i rilievi orografici, ingloba diversi monumenti preesistenti. Per tutto il Tardo Impero continua una preoccupazione costante per la difesa che si concretizza in alcune opere di grande spessore architettonico come le mura di Salonicco o di Costantinopoli. Ancora nel 396 Arcadio ed Onorio promulgano una legge che invitava le città a costruire nuove mura o a rinforzare le vecchie e Teodosio II nel 413 erige la nuova cinta di Costantinopoli, nel 439 la prolunga sul fronte marino.
S. Johnson, Late Roman Fortifications, London 1983; H. Jouffroy, La construction publique en Italie et dans l'Afrique romaine, Strasbourg 1986; Les enceintes augustéennes dans l'Occident romain, Nîmes 1987; S. van de Maele - J.M. Fossey (edd.), Fortificationes antiquae, Amsterdam 1992.
di Pierre Leriche
Secondo le fonti letterarie il Vicino Oriente achemenide era assai poco urbanizzato, se si eccettuano le città fenicie o le capitali regionali come Damasco. Sidone aveva opposto ad Artaserse la barriera di alte mura protette da un triplo fossato e Tiro possedeva torri e mura alte 16 m, "spesse in proporzione e formate da larghi filari di pietre legate da intonaco". Le mura di Babilonia erano invece già in rovina all'arrivo di Alessandro e antiche capitali, quali Karkemish, Hama e Qadesh, come hanno dimostrato gli scavi, erano oramai decadute. Il Vicino Oriente conquistato da Alessandro era, con ogni probabilità, essenzialmente rurale; allo stesso modo la Palestina, teatro di ripetute operazioni militari, rivela nel IV sec. a.C. un incontestabile declino. Questa situazione spiega la vigorosa politica di urbanizzazione dei Seleucidi, che crearono molte nuove città di grandi dimensioni (Seleucia di Pieria e, sul Tigri, Laodicea sul mare), o ricostruirono, ingrandendole, quelle già esistenti (Aleppo-Beroia, Damasco). Tutte erano circondate da mura che, sottolineando visivamente il dominio e la forza del potere fondatore, divenivano il simbolo stesso della città. Per la prima volta ad Antiochia veniva creata la personificazione della Tyche della città, sotto forma di una donna ornata di corona turrita, un'allegoria che avrebbe conosciuto una grande diffusione. In seguito, dalle colonie militari impiantate lungo le vie di comunicazione e nelle zone poco urbanizzate nacquero numerose città ellenistiche: Cyrrhus o Edessa sulla strada dell'Eufrate e dell'Iran, Gadara in Fenicia-Palestina, Babilonia in Mesopotamia, Seleucia dell'Eulaios nell'Elam. Allo stesso modo, la colonia militare di Dura-Europos, fondata per controllare la strada del medio Eufrate, nella metà del II sec. a.C. fu trasformata in città ippodamea di 75 ha, con possenti fortificazioni in pietra. In Palestina, nel I sec. a.C., la piccola città fortificata di Macheronte, base avanzata della dinastia degli Asmonei contro i Nabatei, fu dotata di una cittadella e di una spessa cinta muraria a pianta poligonale, rinforzata da torri poderose (fino a 25 × 10 m). Le fortificazioni di queste città ci sono note grazie alle scoperte degli ultimi decenni (Ibn Hani, Apamea di Siria, Dura-Europos, Gebel Khaled, Apamea sull'Eufrate e Gadara), mentre altre città, prima ritenute ellenistiche, vengono ora attribuite all'epoca romana (Gerasa). Le città ellenistiche situate in una posizione strategica posseggono tutte una cittadella posta nel punto più elevato, al quale si raccordano le mura urbane, che sfruttano le asperità del rilievo. Sul terreno pianeggiante, alcune adottano un tracciato rettilineo (Aleppo, Seleucia sul Tigri), altre applicano con intelligenza i precetti di Filone di Bisanzio (ad es., le mura a scaglioni di Apamea sull'Eufrate, le numerose postierle di Gadara). A Seleucia sul Tigri il sistema difensivo era rinforzato da canali che assolvevano alla funzione di veri e propri "muri d'acqua". Si afferma una nuova tecnica costruttiva, che impiega blocchi modulari di pietra tenera, talvolta associati ad un apparato poligonale, la cui estetica contribuisce al prestigio della città. Le città greche passate sotto la dominazione partica conservarono la loro autonomia e non svolsero funzioni di appoggio per il sistema difensivo del potere centrale. A Dura-Europos le fortificazioni furono neglette dall'esercito partico, che stazionava in un campo più a nord, nella vallata. Fu allora, probabilmente, che Apamea sull'Eufrate, divenuta città di frontiera dell'impero partico, cessò di vivere. Seleucia sul Tigri, dal canto suo, perdette il suo rango di capitale, dopo la rivolta contro i Parti nel 35-42 d.C., a vantaggio della nuova città di Ctesifonte (non ancora localizzata), sulla riva sinistra del Tigri. Lo sviluppo della città-santuario di Hatra, invece, rappresenta un eccellente esempio della qualità e dell'evoluzione delle fortificazioni urbane partiche a un secolo di distanza. Nel I sec. d.C. la città era circondata da una fortificazione quadrangolare in mattoni crudi, spessa 3 m, su uno zoccolo di pietrisco, munita di torri quadrangolari da 5 a 6 m di larghezza e 3,5 m di spessore. In una seconda fase la città estese i suoi confini e fu circondata da una cinta muraria dal tracciato approssimativamente ovale, che racchiudeva numerose tombe-torri e si apriva su una porta a labirinto. Un muro parallelo duplicava la muraglia interna, mentre all'esterno era un fossato con parapetto interno eminente, sì da formare un muro avanzato (proteichisma), a sua volta preceduto da una scarpa. La muraglia principale, spessa 3 m, era costruita in mattoni crudi su uno zoccolo in pietra concia, alto 1 m, ed era munita di torri cave rettangolari con feritoie su tre lati a livello del suolo. In seguito alcune di queste torri furono rafforzate, in modo che aggettassero maggiormente dalla cortina. Dal I sec. a.C. alla metà del III d.C., le città tendono a sottolineare la propria importanza per mezzo delle fortificazioni, che esse mantengono o ricostruiscono in maniera identica, come Apamea di Siria dove, dopo le scosse sismiche, si aggiunse una nuova porta a quella settentrionale, in forma di arco trionfale. Le città di nuova formazione si circondarono ugualmente di mura in pietra con torri ridotte e porte monumentali, come a Bostra, Gerasa o Shahba-Philippopolis, edificata sotto Filippo l'Arabo (poco dopo il 244). Questa funzione, di prestigio più che militare, testimonia la relativa sicurezza che regnava all'epoca nell'Impero, specie nelle regioni distanti dalle frontiere. La città di Halebiye, fondata dalla regina di Palmira, Zenobia, fu dotata di fortificazioni in pietra, appoggiate ad una cittadella elevata, fornite di due porte monumentali e rinforzate da possenti torri quadrate. La concezione della difesa in generale e le tecniche di costruzione presentano numerosi punti in comune con le mura di Dura-Europos, costruite quattro secoli prima. Nel Vicino Oriente, risale ad Ardashir I (224-241) la fondazione di Coche, di fronte a Seleucia. La città, a pianta approssimativamente circolare, è circondata da una cinta muraria in mattoni crudi, spessa 10 m, composta di segmenti rettilinei, agli angoli dei quali sono poste torri a ferro di cavallo larghe 10 m. La necessità di rinforzare le frontiere a ridosso dell'impero partico e la grande offensiva di Shapur I determinarono un cambiamento totale nella concezione delle difese urbane. Le città sull'Eufrate e quelle situate nei dintorni furono poderosamente fortificate. Questo clima di insicurezza si constata a Palmira, conquistata da Aureliano e dotata, sotto Diocleziano, di una cinta muraria circoscritta al solo quartiere monumentale, munita di tombe-torri e rinforzata da torri cave a ferro di cavallo o da bastioni quadrati. L'accuratezza della costruzione e la presenza di postierle laterali ornate sulle torri, indicano che all'opera si affidava ancora una importante dimostrazione di prestigio. Resafa, castellum di equites promoti indigenae all'epoca di Diocleziano, divenuta nel 400 d.C. un centro di pellegrinaggio per la presenza della tomba di s. Sergio, ha pianta quagrangolare, simile a quella di Philippopolis. Giustiniano la dotò di una cinta muraria in pietra, con bastioni quadrati alternati a torri allungate quadrangolari o a ferro di cavallo e torri circolari agli angoli; la facciata interna del lato sud era rinforzata da arcate, entro le quali si aprivano delle feritoie; su ciascun lato si apriva una porta monumentale riccamente ornata. Sull'Eufrate, a Dura-Europos, le fortificazioni, mai restaurate sotto i Parti, subirono un'opera complessiva di rinforzo, con la ringrossatura delle cortine, la costruzione di nuove torri e di un grande spalto in mattoni crudi; ciò tuttavia non permise alla città di resistere all'assedio sasanide, che mise fine alla sua esistenza nel 256 d.C. La difesa della frontiera dell'Eufrate si appoggiava su antiche città rifortificate, come Halebiye o Zeugma, e su città di nuova fondazione; tra queste si annoverano Circesium (Zeugma) della frontiera dell'Eufrate a partire da Diocleziano che, considerata "fortezza imprendibile", possiede una possente cittadella interna, o Sura, principale città fortificata del Medio Eufrate, la cui cinta muraria del III sec. d.C., restaurata da Giustiniano, era munita di torri quadrangolari a intervalli di 40 m circa, di due porte protette da torri e di una cittadella quadrata.
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