Dai primi insediamenti al fenomeno urbano. Sud-Est asiatico
di Fiorella Rispoli
La transizione da mobili comunità di cacciatori-raccoglitori a stanziali comunità di villaggio in Asia sud-orientale è direttamente connessa, da una parte, agli avvenimenti geologici occorsi tra la fine del Pleistocene e l'alba dell'Olocene e, dall'altra, alle particolarità assunte dall'ecosistema monsonico, subtropicale e tropicale, che caratterizza il Sud-Est asiatico. Il più importante cambiamento ambientale è da riconoscersi nei fenomeni di trasgressione e regressione marina (iniziatisi tra 15.000 e 8000 anni fa) che portarono alla lenta separazione della porzione insulare occidentale (Sumatra, Giava, Borneo e l'isola di Palawan) dalla piattaforma continentale di Sunda e alla separazione della Nuova Guinea dalla piattaforma continentale di Sahul. Mentre per molte aree dell'Asia la stanzialità è strettamente connessa al fenomeno della coltivazione e domesticazione di specie vegetali e alla domesticazione/allevamento di specie animali, in Asia sud-orientale si ipotizza che la stanzialità possa essere stata determinata dalla disponibilità e dalla continuità di accesso alle risorse naturali offerte da quel tipo di ecosistema. Si tratterebbe di risorse ad alto contenuto proteico (piccoli mammiferi, uccelli, pesci) e, soprattutto, di specie vegetali la cui raccolta selettiva potrebbe averne anche favorito (attraverso l'orticoltura e il giardinaggio) la crescita spontanea. Tale ipotesi sembrerebbe suffragata sia da dati etnografici, sia da recenti rinvenimenti archeologici, che testimoniano stabili comunità di cacciatori-pescatori-raccoglitori all'inizio del II millennio a.C. (Nong Nor e Khok Phanom Di, Thailandia sud-orientale). Le evidenze archeologiche precedenti il III millennio a.C., però, sono per ora inaccessibili, sepolte sotto gli spessi strati di limo e argilla depositati dalle trasgressioni marine.
Sicure evidenze di sedentarietà si hanno a partire dal tardo Neolitico (2500-1500 a.C. ca.), in regioni limitate per la maggior parte alle sole valli fluviali dell'Asia sud-orientale continentale. Si tratta, in ogni caso, di informazioni indirette, ovvero desunte da rinvenimenti necropolari. Gli intensi fenomeni di disturbo naturale e antropico, tipici dei depositi archeologici nelle regioni a clima monsonico subtropicale, hanno avuto come effetto una vera e propria omogeneizzazione delle stratigrafie archeologiche, non permettendo, salvo che in casi eccezionali, la conservazione stratificata e leggibile delle attività antropiche. Di tali attività si rinvengono indicazioni solo in estese aree di discarica e piccoli gruppi di buchi di palo: labili evidenze di strutture architettoniche di cui, però, è ignota la pianta. Impossibile, dunque, tentare una ricostruzione anche parziale dei primi modelli insediativi e delle tipologie abitative dell'Asia sud-orientale tra la fine del III e la prima metà del I millennio a.C.: la sedentarietà è evidenziata quasi esclusivamente da estese necropoli pluristratificate ad inumazione che hanno permesso, da una parte, di riscontrare un'utilizzazione del territorio non episodica, dall'altra di ricostruire, dall'estensione dei depositi archeologici a cui esse sono associate e dalla loro distribuzione, l'economia e il sistema sociale di quelle prime comunità sedentarie. Gli insediamenti (da 0,5 a 5 ha ca.) erano preferibilmente situati nelle valli interne dei sistemi fluviali, in cui le piogge monsoniche creavano ampie zone paludose; in tali aree, naturalmente inondate, la crescita del riso può avvenire per germinazione spontanea. Resti di questo cereale, forse già coltivato, sono attestati alla fine del III - inizi del II millennio a.C. dal Khorat (cultura Ban Chiang, Thailandia nord-orientale) alla pianura centrale thailandese e, verso est, nei siti neolitici della valle del Fiume Rosso (cultura di Phung Nguyen, Vietnam). L'analisi necropolare indica una società in via di gerarchizzazione e, verosimilmente, una divisione interna in clan (o famiglie allargate), come i ricorrenti piccoli gruppi di sepolture affiancate o sovrapposte sembrerebbero indicare. I manufatti che fanno parte del corredo funerario attestano una matura tecnologia della ceramica, dei monili (in conchiglia, pietra, osso e carapace di tartaruga) e degli utensili (per lo più accette a spalla, quadrangolari e rettangolari) in pietra o conchiglia. Dalle vaste discariche degli abitati della fine del III e del II millennio a.C. è stato possibile, inoltre, reperire numerose informazioni di carattere economico e ambientale: oltre al cane domestico e ai gallinacei, ai molluschi e al pesce, i resti di cariosside di riso attestano l'avvenuto passaggio verso forme di protoagricoltura. Durante l'età del Bronzo (1500-500 a.C. ca.) gli insediamenti non mostrano sostanziali incrementi nella grandezza o nell'impianto rispetto a quelli del tardo Neolitico, ma anche per questo periodo la struttura delle abitazioni, l'organizzazione dei luoghi comunitari e la consistenza numerica degli abitanti che occupavano i villaggi sono ignote. I numerosi rinvenimenti di buchi di palo, insieme alla totale assenza di piani di calpestio, sembrerebbero indicare la presenza di abitazioni sopraelevate, del tipo noto in Asia monsonica dalla tarda età del Bronzo a tutta l'epoca storica.
Intorno al VI-V sec. a.C. l'Asia sud-orientale continentale, da un punto di vista socio-economico, si scinde in due aree distinte, che durante l'età del Ferro (ca. 500 a.C. - 500 d.C.) avranno differenti sviluppi: da una parte l'area dell'altopiano Yunnan-Guizhou (Cina sud-occidentale) e del Vietnam settentrionale e, dall'altra, le piane fluviali dal Khorat al Golfo di Thailandia. La cultura Dong Son (Vietnam settentrionale, V-I sec. a.C. ca.) e la cultura Dian (Yunnan, Cina sud-occidentale, V-II sec. a.C. ca.) rappresentano, seppure indirettamente, lo stadio di avvenuta urbanizzazione: nelle vaste necropoli Dong Son e Dian sono stati infatti rinvenuti raffinati tamburi, contenitori, situlae, fibbie, armi e ornamenti di bronzo, le cui ricche e complesse decorazioni offrono importanti indicazioni sul sistema sociale, aggregativo, politico ed economico di quelle società che li hanno prodotti. Le scene di vita rappresentate su tali preziosi manufatti fusi a cera persa restituiscono l'immagine di villaggi composti da abitazioni sopraelevate su pali, caratterizzate da un complesso tetto a due spioventi; nella porzione sopraelevata delle abitazioni si possono riconoscere scene di vita domestica o eventi rituali, mentre nella parte inferiore e accanto alla casa avevano luogo le attività artigianali (filatura, concia di pelli, ecc.); in aree comuni, molto probabilmente sacre, si svolgevano poi complessi rituali nei quali il posto centrale è spesso occupato dalla rappresentazione di uno o più tamburi. Poche sono le indicazioni dirette sull'assetto degli insediamenti o sulla tipologia delle abitazioni tra la fine del I millennio a.C. e l'inizio del I millennio d.C.: le evidenze di pilastri e piani in legno scavate negli anni Trenta da O. Janse nei loci 8, 9 e 9 bis a Dong Son (II-I sec. a.C.) e il terrapieno mediano di recinzione del sito di Co Loa (Vietnam settentrionale) databile al III sec. a.C. Vero è, in ogni caso, che lo storico Sima Qian, testimone diretto della conquista Han di quei territori, riferisce di insediamenti cinti da terrapieno, all'interno dei quali vivevano diverse centinaia di abitanti gerarchicamente organizzati e con funzioni specializzate. Nelle piane fluviali a sud della regione di Bac Bo una simile tipologia insediamentale è attestata dalla metà del I millennio a.C.: si tratta di grandi aree abitative e necropolari circondate da un profondo fossato con terrapieno, probabilmente difensivo (moated sites). La posizione costante di questi insediamenti all'interno di meandri fluviali è strettamente legata alla facilità di accesso a materie prime quali l'acqua e il sale, strategiche per la sopravvivenza della comunità, o quali la laterite e il legno, necessari per la fusione del ferro. I siti circondati da fossato e terrapieno sono, inoltre, spesso accompagnati da un certo numero di siti specializzati (metallurgia, ceramica, ecc.), che si trovano ad una distanza variabile tra 20 e 30 km dal centro fortificato. Tra questo e i siti monofunzionali sembrerebbe esserci un legame economico più che politico: non si tratterebbe della preminenza del sito maggiore sugli altri più piccoli dislocati nella sua orbita, ma di gruppi tecnologici, ovvero di insiemi di siti ergonomicamente legati gli uni agli altri. I dati relativi ai siti circondati da fossato e terrapieno sono però ancora molto scarsi, la possibilità che essi siano stati "centri di aggregazione urbana" rimane ancora ipotetica; le indicazioni che suggeriscono un'arcaica forma urbana sono rintracciabili nelle dimensioni degli insediamenti (da 20 a 60 ha ca.), dall'impianto difensivo (fossato e terrapieno) che circonda l'area interna e dalla ricorrente presenza di canali e di bacini per la raccolta delle acque. L'uso di utensilerie in ferro contribuì sicuramente all'espansione delle aree coltivate e, conseguentemente, al controllo del territorio, all'organizzazione del lavoro, all'aumento della produzione agricola e all'accantonamento del surplus, principale veicolo della crescita demografica e necessario sostentamento delle nascenti élites. Lo scavo archeologico di Tha Kae (Prov. di Lopburi, Thailandia centrale), un sito di circa 30 ha circondato da fossato e terrapieno, ha permesso di rileggere i dati e di ipotizzare la presenza, all'interno di questo moated site, di una comunità artigianale ed agricola. Nel 1993, infatti, è stata messa in luce una necropoli con fosse di sepoltura rettangolari che, nella maggior parte dei casi, erano profondamente scavate fino allo strato sterile, attraversando gli strati appartenenti all'età del Bronzo e al tardo Neolitico. Gli elaborati rituali d'inumazione (tombe multiple con più individui affiancati e sovrapposti) evidenziano sepolture a carattere familiare, utilizzate più volte entro un arco di tempo non breve (almeno tre generazioni). I manufatti facenti parte del corredo funebre forniscono, invece, informazioni sulle attività artigianali (scorie di fusione che attestano la locale pirotecnologia del bronzo e del ferro), sulle pratiche agricole (vanghe, badili e falcetti in ferro per la coltivazione del riso in vasca), sull'allevamento (cane, maiale e bufalo d'acqua) e sulla fitta rete di scambi (elementi di collana in corniola, agata zonata e serpentino; cavigliere in piccole perle di vetro; foralobi di avorio, ceramica e conchiglia) che univa questo sito ai centri di produzione interni del Sud-Est asiatico e al più vasto e nascente mercato costiero con il Subcontinente indiano. È in seno a tali comunità, aggregate all'interno dei siti circondati da fossato e terrapieno, che si svilupparono quelle élites regionali che furono responsabili della creazione, sul finire del I millennio d.C., di centri cerimonialipolitici- abitativi, in cui è possibile riconoscere una originale forma di urbanizzazione definibile come "città centro sacrale", avente preponderanti valenze cosmologiche e rituali associate a quelle politiche e amministrative.
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di Nicoletta Celli
Lo sviluppo urbano in Asia sud-orientale presuppone idee informatrici assai particolari, per gran parte dipendenti da concezioni filosofico-religiose di origine indiana, lontane dal concetto occidentale di "città" come centro di aggregazione sociale ed economica promosso e sostenuto dalla popolazione organizzata in classi differenziate. L'idea di città, nel Sud-Est asiatico, viene piuttosto a coincidere con quella di capitale, di centro sacro di quelle particolari strutture politico-territoriali, note come maṇḍala, caratterizzate da limiti fluidi e da un rapporto instabile tra centro e periferia, essenzialmente basato sul credito che il centro maggiore riesce ad accumulare e a mantenere nel proprio ambito territoriale. In Asia sud-orientale, quindi, l'idea di città rimane sostanzialmente coincidente, almeno fino ai secoli XIX-XX, con il sito di residenza del signore del luogo, sede delle sue funzioni e prerogative. La forma urbis resta invece determinata dai dettami rituali in base ai quali essa, centro sacro del cosmo ordinato, è pianificata e disegnata: un vero e proprio riflesso del modello quadrato del Monte Meru, l'asse dell'Universo sulla cui piatta sommità sono le residenze degli dei. In questa prospettiva la dimensione mitico-religiosa viene ad escludere, da un lato, la formazione di entità urbane relativamente indipendenti e a promuovere, dall'altro, il controllo attuato da parte del potere centrale (lo Stato, il sovrano) delle attività produttive dei villaggi, che hanno carattere eminentemente agricolo, sebbene possano talvolta acquisire particolari competenze nella conduzione di attività specializzate artigianali o industriali (tessitura, lacca, vimini, ceramica, estrazione mineraria), oltre a fornire la manovalanza necessaria alla costruzione di opere pubbliche. Tali caratteristiche spiegherebbero, dunque, l'assenza di un tessuto urbano vero e proprio o comunque lo scarso rilievo della città come centro di concentrazione e redistribuzione di beni e servizi, a cui si sostituisce invece una rete di villaggi, sostanzialmente omologhi, dispersi su un territorio più o meno ampio. Sarebbero assenti, in altre parole, fenomeni a noi familiari, come il borgo o i centri sviluppatisi in funzione e conseguenza di attività specializzate, quali le città commerciali, militari, portuali o sede di attività agricole, artigianali o industriali specializzate. Se questa premessa delinea, in generale, le idee informatrici della città come essa si sviluppa negli "Stati" (o maṇḍala) del Sud-Est asiatico nella seconda metà del I millennio d.C., più complesso è inquadrare la genesi di tale fenomeno urbano per i periodi anteriori alla formazione delle entità protostatali e statali o per le situazioni in cui l'organizzazione politica ed economica del luogo non sia ancora sufficientemente chiara. Sebbene i dati archeologici relativi al periodo compreso tra la metà del I millennio a.C. e la metà del successivo, che deve aver visto il formarsi delle società stratificate decentralizzate responsabili degli sviluppi urbani sopradelineati, siano ancora limitati e geograficamente dispersi, tuttavia essi sono sufficienti per cogliere le direttrici di sviluppo che ebbero per esito la città come centro sacro. Informazioni provenienti soprattutto da siti indagati in territorio thailandese, infatti, hanno permesso di ipotizzare che la concomitanza della manifattura di attrezzi agricoli in ferro e della diffusione della risicoltura abbia favorito l'affermarsi di élites locali (che si manifestano, soprattutto, nella ricchezza dei corredi funerari), residenti all'interno di insediamenti cinti da fossato e terrapieno. Vastissima è l'area di distribuzione di tali insediamenti, che interessa le valli fluviali dell'intero Sud-Est asiatico continentale. È lecito ipotizzare che l'associazione tra spazio insediamentale fisicamente delimitato, potere locale (rappresentato dall'élite residente all'interno di quello spazio) e i parafernalia di tale potere costituisca il terreno fertile in cui l'idea indiana della città come centro sacro avrebbe con successo attecchito. Un ulteriore elemento che impedisce la completa ricostruzione della fisionomia dei più antichi centri urbani, ma che al tempo stesso esalta il carattere sacro di quel tipo di città, è il fatto che non siano rimaste tracce di costruzioni civili, tradizionalmente edificate in materiali leggeri e deperibili (legno e bambù, soprattutto), mentre, per contro, si siano spesso conservate strutture con funzione rituale o religiosa. Nell'odierna Birmania le più antiche vestigia urbane appartengono a Beikthano (VI sec. ca.), antica città Pyu, dalla pianta quadrata di 3 km di lato, di cui restano tracce della cinta muraria in mattoni, delle porte fortificate e di edifici religiosi (stūpa e monasteri). Le rovine dell'antica capitale del regno Pyu, Shrikshetra, localizzate a pochi chilometri di distanza dall'odierna Prome, indicano che la città era delimitata da una cinta di mattoni quasi circolare, di circa 4 km di diametro, e aveva porte fortificate analoghe a quelle di Beikthano. Edifici religiosi (templi e stūpa), che anticipano l'architettura di Pagan, si conservano fuori e all'interno delle mura. Affini alle rovine di queste due città sono anche i resti del terzo sito Pyu, Halin, il più settentrionale dei tre. La cinta urbana presenta una forma rettangolare ed è costruita in mattoni con porte fortificate simili alle precedenti, ma in numero maggiore. All'esterno un ampio fossato cinge le mura lungo tutto il perimetro (3 × 1,5 km). Nella zona compresa tra le foci dei fiumi Salween e Sittang restano le rovine della città Mon di Thaton, pressappoco coeva al regno Pyu. L'imponente muro di cinta (2,3 × 1,2 km), dotato di fossato esterno di protezione, dà la misura di quello che doveva essere un importante centro regionale, abitato, secondo le stime fatte dagli studiosi, da circa 30.000 persone. Ben pochi sono invece i resti civili dell'antica capitale del regno birmano, Pagan, la cui costruzione sarebbe iniziata nell'849 con l'edificazione delle mura, mentre lo sviluppo urbano vero e proprio è convenzionalmente collocato tra l'XI e il XIII secolo. Della cinta in mattoni si conserva oggi solo una parte, assieme alla porta orientale (Sarapa) della città. Pagan sorgeva al centro di una rete di vie di comunicazione che la metteva in contatto con la fertile pianura di Kyaukse, a sud con le città dei Mon, a nord con l'Arakan e lo Yunnan e, attraverso il porto fluviale sull'Irrawady, con le vie di commercio con l'India. All'interno della cinta muraria si trovavano probabilmente solo il palazzo reale, gli edifici amministrativi e quelli religiosi, mentre la popolazione occupava l'area circostante la città in abitazioni fatte di materiali leggeri. Come nel caso di Angkor, buona parte dei resti archeologici di Pagan è costituita da edifici religiosi, destinati per lo più al culto buddhista, disposti sia all'interno sia all'esterno della città, su un'area di 50 km². Come per la capitale dell'impero Khmer, anche a Pagan l'importanza della religione, quale principale guida delle attività umane e riferimento per l'ordine sociale, si riflette nella continua attività costruttiva promossa dai sovrani e dal clero buddhista. Alcuni studi recenti, relativi ai cambiamenti nello spazio e nel tempo occorsi nella costruzione dei monumenti di Pagan, hanno messo in evidenza un aspetto di instabilità del complesso urbano, caratterizzato dallo sviluppo di numerose isole periferiche che davano alla città un carattere disperso anziché accentrato. Sulla base di questi dati, è stato ipotizzato (Aung-Thwin 1985) che il declino di Pagan non sia stato una conseguenza dell'invasione mongola, ma che lo sforzo per l'edificazione di monumenti religiosi sostenuto dai sovrani e dal clero abbia comportato un aumento gravoso dei costi per costruire, come anche per mantenere gli edifici, segnando la graduale decadenza della capitale a partire dal XIV secolo. Per quanto riguarda il tardo periodo protostorico, negli odierni stati di Thailandia e Malesia, recenti dati archeologici confermano, da una parte, che diversi insediamenti costieri riferibili all'inizio del I millennio, aperti ai traffici marini, svolsero un importante ruolo nella trasmissione verso l'interno di elementi ideologici di origine indiana, dall'altro evidenziano come tali elementi siano stati accettati e localizzati in quanto funzionali alla crescita della complessità sociale in atto nell'intero Sud-Est asiatico continentale. Note attraverso le fonti cinesi, alcune di tali località costiere sono divenute una realtà archeologica grazie alle ricerche compiute negli ultimi decenni. Basti ricordare il "regno" di Langkasuka (corrispondente all'attuale Yarang), la cui storia più che millenaria (II-XVI sec.) è stata recentemente ricostruita. I resti di questa città-stato, situata a pochi chilometri dal mare, indicano che Langkasuka fu un importante centro di commerci, di approdo per i pellegrini cinesi diretti in India e di collegamento con i maṇḍala delle piane fluviali interne, come ad esempio Dvaravati. La rete fluviale esistente nell'area di Langkasuka venne ulteriormente sfruttata come via di comunicazione, attraverso la costruzione di una complessa rete di canali che ricorda quelli di Oc Eo, antico centro portuale del maṇḍala costiero noto con il nome di Funan, anch'esso documentato nelle coeve fonti cinesi. Va infine ricordato che è nella porzione meridionale della penisola malese che si deve, con ogni probabilità, situare il "regno" di Shrivijaya (VII-XIII sec.), del quale non sono note con esattezza né l'estensione né la capitale e sul quale la documentazione archeologica è a tutt'oggi assai scarsa. Nell'area continentale si pensa che lo sviluppo urbano coincida con la formazione delle prime strutture statali nella regione. Alcuni studiosi hanno ritenuto di poter identificare i resti della città di Nakhon Pathon, dal perimetro rettangolare (2,1 × 3,2 km), come la capitale del regno Mon di Dvaravati (attestato a partire dal VI sec.). Più a nord, nella Thailandia settentrionale, sono stati identificati i resti di antiche città Mon, riferibili al VII secolo, con bastioni e fossato (Haripunjaya, Muang Sema) dalla caratteristica pianta ovale, che ricorda l'impianto degli insediamenti con fossato e terrapieno di periodo preistorico a cui sopra si è accennato. Ancora alla fase di formazione delle più antiche strutture statali del Sud-Est asiatico continentale risalgono i resti di Oc Eo sul delta del Mekong, nell'attuale Vietnam meridionale. Le ricerche in questo importante centro costiero del "regno" del Funan (IVI sec.) ne hanno messo in rilievo il carattere commerciale, evidente sia dal rinvenimento di oggetti importati o di imitazioni di manufatti alloctoni (cinesi e indiani, soprattutto) sia dall'estesa rete di canali artificiali che serviva come via di comunicazione con l'interno e come fonte continua, ed inesauribile, di approvvigionamento delle acque per la coltivazione delle terre. Restano invece sospese le ipotesi sulla capitale del "regno", di cui Oc Eo deve aver fatto parte, variamente identificata con Ba Phnom o Angkor Borei. Nell'odierna Cambogia la fase anteriore al periodo angkoriano (IX-XIII sec.) è testimoniata dai resti di diverse strutture urbane Khmer. All'epoca della formazione dell'impero (VII sec.) risale la prima capitale, Ishanapura, le cui rovine sono state identificate a Sambor Prei Kuk. La città, di pianta quadrata, era cinta da mura e provvista di un bacino idrico sul lato meridionale; all'esterno si trovava un complesso di edifici sacri costituiti da santuari in mattoni. Dopo le oscure vicende politiche dell'VIII secolo, a Ishanapura seguirono altre quattro capitali edificate dal re Jayavarman II (inizi del IX sec.). Nell'ultima di queste, Hariharalaya, il re Indravarman inaugurò, alla fine del IX secolo, la forma urbis che, rimasta inalterata nei secoli, fu il modello della futura Angkor. La pianta della città, quadrata e orientata secondo i punti cardinali, riflette una preoccupazione simbolica che appare costante in ogni monumento Khmer. Lo schema è infatti una rappresentazione ridotta dell'Universo: un modello propizio, atto a perpetuare l'armonia tra Cielo e Terra, ulteriormente rafforzata dall'identificazione del sovrano con la divinità. Esempio principale di queste analogie è la collocazione del santuario, che ospita il simulacro della divinità, espressione anche della regalità divina, al centro della città, vero e proprio simbolo dell'axis mundi: da esso si dipartono le quattro vie principali che dividono la capitale in quattro quadranti, per terminare in corrispondenza delle porte assiali della cinta, circondata da un fossato. A questo disegno si uniforma anche la pianta di Angkor, edificata per la prima volta con il nome di Yashodharapura dal re Yashovarman (889/900), cui succedettero numerosi sovrani ai quali sono attribuiti i monumenti religiosi e le opere pubbliche sino ad oggi rimasti. Nulla resta, invece, del palazzo reale e delle costruzioni civili, edificate in materiali leggeri e destinate alle strutture dell'amministrazione. Particolarmente leggibile nella sua struttura simbolica è la pianta di Angkor Thom, l'ultima capitale, che è stata parzialmente ricostruita sui resti delle precedenti dopo la distruzione della città da parte dei Cham (1177). La nuova capitale, voluta da Jayavarman VII (1181- 1219), è circondata da un fossato e da un'imponente cinta di pietra aperta in corrispondenza di quattro porte assiali, alle quali si aggiunge una quinta porta nel lato orientale sulla strada per il palazzo reale. Accanto a questo e in corrispondenza del centro della città sorge il santuario del Bayon. Oltre ai templi, si conserva buona parte della struttura idraulica della capitale, di cui sono esempio i due grandi bacini (baray) e la rete di dighe e di canali della pianura intorno ad Angkor. All'ingegnoso insieme delle opere idrauliche sono state attribuite differenti interpretazioni: secondo alcuni la stessa Angkor è il centro di un sistema di irrigazione per la coltura del riso, fondamento della ricchezza e della potenza Khmer; per altri, invece, templi e bacini sono parte integrante del disegno simbolico ispirato alla cosmologia indiana e in accordo con le concezioni religiose Khmer. L'ipotesi più plausibile è che i grandi baray, oltre ad avere una funzione simbolica, servissero al rifornimento idrico della città e che le opere di canalizzazione fossero anche impiegate per irrigare le risaie, aumentando così i raccolti annuali. Scarse sono invece le informazioni riguardanti l'Indonesia, soprattutto per il periodo più antico della fase storica. Per quanto riguarda in particolare l'isola di Giava, le vicende politiche sono meglio note solo a partire dall'VIII secolo, ovvero all'epoca della dinastia degli Shailendra. Anche in questo caso, la priorità assegnata alla dimensione religiosa, buddhista o hinduista, si riflette nella sopravvivenza dei grandi complessi e monumenti edificati in pietra nella piana di Giava centrale e orientale da sovrani che, verosimilmente, ebbero il proprio centro politico in prossimità di quei monumenti. Quest'ultimo si identifica con il kraton, il complesso palaziale del sovrano noto da più tarde fonti, che può forse aver avuto sviluppo nei secoli anteriori. Tuttavia le conoscenze attuali non consentono di formulare che ipotesi: infatti, l'esistenza di un complesso palaziale come centro del potere è attestata a partire dal X secolo in concomitanza con l'organizzazione più sistematica del territorio durante il periodo di Kadiri (929-1222), termine, quest'ultimo, che deriva dal nome della prima capitale nota di Giava orientale. Per quanto concerne infine l'odierno Vietnam, dell'antico "regno" del Champa rimangono soprattutto i resti dei santuari religiosi edificati, come per molte altre regioni del Sud-Est asiatico continentale, nelle vicinanze del centro politico del regno. Tra le capitali, sorte in zone diverse del territorio, si conservano in parte i resti dell'ultima, Vijaya (area di Binh-Dinh), fondata nel 1000, dal tracciato rettangolare, delimitato da mura in terra battuta e laterite. La parte settentrionale del Paese conserva invece i resti di strutture urbane edificate sia durante gli alterni periodi di occupazione cinese, tra il I sec. a.C. e il X sec. d.C., sia nel corso delle successive dinastie vietnamite: in ogni caso si tratta di città chiaramente informate ai canoni della forma urbis cinese, soprattutto nella pianta e nella disposizione degli edifici.
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