Dai primi insediamenti al fenomeno urbano. Vicino Oriente ed Egitto
di Mario Liverani
Le prime città del Vicino Oriente sono probabilmente le più antiche conosciute e quelle su cui si ha maggiore documentazione (scritta e archeologica) per la fase iniziale. Perciò gli studi sull'origine della città come istituzione politica e struttura socioeconomica si sono accentrati in particolare sulla documentazione vicino-orientale. Relativamente meno studiato è il successivo sviluppo storico della città in rapporto al contesto economico, sociale, culturale, politico. Le grandi sistemazioni evoluzionistiche ottocentesche (da L.H. Morgan a F. Engels) riservavano alla città il ruolo di elemento distintivo nel passaggio dalla "barbarie" alla "civiltà". La città era vista come contesto indispensabile per lo sviluppo di organizzazioni complesse dei rapporti politici, sociali, produttivi. Sin d'allora il tema dell'origine della città era inserito in quello più vasto dell'origine dello Stato e della politica e la sociologia ottocentesca mise a punto quei concetti basilari che avrebbero poi chiarito le linee portanti del fenomeno urbano: la contrapposizione tra legami di sangue e legami territoriali (H. Maine), tra "comunità" e "società" (F. Tönnies), tra solidarietà meccanica e organica (E. Durkheim). Le città antico-orientali erano però allora archeologicamente quasi ignote (a metà dell'Ottocento erano state scavate le capitali assire) e non inserite nel quadro generale. Gli studi ottocenteschi hanno stimoli soprattutto teorico-filosofici e poco si giovano della documentazione archeologica. La struttura interna e il processo formativo della città erano studiati sui dati letterari greci (origine della polis), latini (Roma arcaica), eventualmente biblici (Israele premonarchico), tutti relativi a processi di urbanizzazione "secondaria" e recente (età del Ferro). Uno spezzone di storia, piuttosto limitato nel tempo e nello spazio, assurse a parametro di valore generale. Se alla città "antica" (cioè greco-romana, come definita da N.D. Fustel de Coulanges) si affiancava il tipo della città "orientale", questa era piuttosto basata su dati recenti e disparati (Islam, India, Cina) ed era contrapposta a quella europeo-mediterranea e considerata quasi negazione della vera città (piuttosto un palazzo allargato o un campo militare consolidato), per mancanza degli specifici elementi dell'autonomia e della democrazia interna. Il discrimine di civiltà attribuito allo scontro tra città greche e impero persiano produsse una valutazione di parte del fenomeno "città", quasi che gli imperi non avessero anch'essi le loro città. Con i primi decenni del Novecento si dispone ormai di dati sufficienti per tentare un'analisi della città orientale antica, dati non solo archeologici (gli scavi avendo evidenziato piuttosto singoli palazzi e templi che non interi tessuti urbani) quanto soprattutto testuali. Nella ricerca del tipo "originario" della città vicino-orientale, stante la difficoltà di visualizzare la città egiziana e rimanendo prive di chiarimenti testuali le grandi concentrazioni urbane dell'Indo, lo studio si appuntò sulla città sumerica. Una lettura drastica della documentazione amministrativa portò a teorizzare il tipo della "città-tempio" (Schneider 1920), implicante un ruolo centrale del tempio nello sviluppo economico e istituzionale della città e dello stato, la secondarietà del palazzo laico, l'efficacia delle motivazioni ideologico-religiose, la connessione con l'irrigazione e con la mobilitazione di grandi masse di manodopera agricola. L'apporto dei testi cuneiformi e dell'archeologia orientale è ancora ignorato nell'autorevole sistemazione di M. Weber, che, pur usando largamente dati "orientali" (da Israele alla Cina) di tipo ottocentesco, conclude che l'Oriente poteva aver conosciuto grandi concentrazioni urbane, ma non il senso della città e della cittadinanza. La "città occidentale" di Weber, scaturita dal mercato e dall'aristocrazia, prescinde totalmente dal problema della genesi della città in termini di storia mondiale. Tale posizione è ancora operante in M. Hammond (1972), che minimizza gli apporti vicino-orientali alla nascita della città(-stato) che è solo greca. I progressi di lavoro sul campo e di elaborazione teorica compiuti dall'archeologia protostorica trovarono il loro "manifesto" nell'articolo di V.G. Childe sulla rivoluzione urbana (1950) quale tappa fondamentale nello sviluppo culturale e istituzionale. L'articolo è doppiamente importante: perché propone una decina di elementi archeologicamente riscontrabili che distinguono la città dalla non-città, sia nel tempo (inizio dell'urbanizzazione), sia sul piano gerarchico (rispetto al villaggio), e perché permette di riformulare in termini archeologicamente documentati le ottocentesche sistemazioni evoluzionistiche. Altri punti ricorrenti nell'opera di Childe hanno minore validità teorica e hanno incontrato crescente dissenso: il diffusionismo che privilegia il focolaio vicino-orientale e la motivazione tecnologica del mutamento istituzionale. Su questi temi peraltro si accentra tuttora il dibattito (urbanizzazione primaria e secondaria, fattori demografici, ecologici, culturali). La nuova impostazione data da Childe al problema dell'origine e caratterizzazione della città ebbe vasta risonanza anche fuori dell'ambito archeologico: se ne trovano influenze in opere autorevoli degli anni Sessanta, come quella comparativo-sociologica di G. Sjoberg o quella storico-culturale di L. Mumford. Il ventennio 1955-75 segna progressi decisivi nella raccolta ed elaborazione dei dati, soprattutto per iniziativa di R.McC. Adams e dell'Oriental Institute di Chicago. Il convegno del 1960 su City Invincible inizia a delineare lo sviluppo storico e le varietà regionali (cfr. la definizione di J.A. Wilson dell'Egitto come "civiltà senza città", contrapponibile a quella di A.L. Oppenheim [1969] della Mesopotamia come "terra dalle tante città"). Il saggio di Adams (1966) pone esplicitamente il problema dell'individuazione dei caratteri specifici del fenomeno urbano sulla base dei pochi casi "primari" rispetto ai moltissimi "secondari" (cioè indotti). Il confronto tra i due casi sicuramente primari della Mesopotamia e del Messico evidenzia parallelismi nel momento "rivoluzionario", nei successivi cicli di recessione e sviluppo, nei complessi meccanismi produttivi e sociopolitici che causano l'urbanizzazione. Nel lavoro sul campo Adams ricavò un'enorme massa di dati da estensive ricognizioni di superficie effettuate in Mesopotamia. Le parallele ricognizioni sovietiche portate avanti nell'Asia Centrale e quelle successive in Iran, Palestina, Siria, Anatolia (assai meno in Egitto e Pakistan) hanno globalmente consentito di studiare l'insorgenza e lo sviluppo della città nel Vicino e Medio Oriente su base documentaria statisticamente valida e integrata dallo scavo effettivo di siti-chiave. L'analisi dei dati (da parte di Adams stesso e di altri studiosi) ha portato decisivi chiarimenti al problema. Si segnalano tre grandi temi:
1) connessione tra urbanizzazione e irrigazione artificiale; alla vecchia teoria "idraulica" (come definita da K. Wittfogel) è subentrata quella di una crescita parallela di insediamenti, canali, organizzazione sociopolitica.
2) Distribuzione spaziale e gerarchizzazione degli insediamenti, rapporti città-villaggi e città-campagna; il modello dapprima adottato è quello sui cosiddetti "luoghi centrali" (da W. Christaller), ma l'identificazione archeologica di funzioni, gerarchie, servizi non è semplicemente rapportabile al parametro immediato dell'estensione dei siti.
3) Motivazione e meccanica della rivoluzione urbana: al modello tecnologico di Childe è stato contrapposto quello demografico di E. Boserup, anch'esso (pur se in senso opposto) incentrato sull'incremento produttivo, mentre Adams privilegia i fattori organizzativi, di mediazione sociopolitica tra componenti diverse. Parallelamente, la tematica politico-antropologica delle formazioni protostatali (che si intreccia in vario modo con quella della rivoluzione urbana) conosceva una ripresa di interesse, in senso neoevoluzionistico, a partire dai lavori di E. Service e M. Fried, con notevole influenza sugli studi protostorici soprattutto americani. Il neoevoluzionismo americano viene completamente ignorato dal marxismo ortodosso degli stessi anni e a sua volta sottostima il suo debito alle sistemazioni ottocentesche. Gli ultimi decenni hanno visto notevoli approfondimenti ed una certa divaricazione tra correnti di studi. L'archeologia americana (e in parte inglese) di taglio antropologico si è caratterizzata per: rinuncia all'impostazione storico-istituzionale e all'eurocentrismo di eredità ottocentesca e adozione di un evoluzionismo più tipologico che storico (comparazione tra casi omologhi, ma cronologicamente e spazialmente distanti), imperniato sul concetto di "complessità" quale soglia delle società urbanizzate e statalizzate; attenzione quasi ossessiva al fattore ecologico quale condizione per l'origine e lo sviluppo della città (a partire almeno da Ucko - Tringham - Dimbleby 1972); adozione di modelli neogeografici più sofisticati (ranksize e altri) e di spiegazioni "sistemiche", anche grazie all'elaborazione elettronica dei dati; considerazione più dell'insieme "cantonale" città-villaggi (in rapporto alla propensione americana per ricognizioni e scavi limitati), che non dei caratteri interni della città. L'archeologia europea continentale (specie francese e tedesca) ha invece approfondito l'analisi architettonica e urbanistica della città antico-orientale e delle sue componenti più vistose (palazzi e templi), in rapporto alla tradizione di grandi scavi urbani (tipo Mari e Uruk per la Mesopotamia) e alla revisione di scavi passati (Mohenjo Daro). Anche l'archeologia europea ha adottato talora l'approccio regionale e i modelli neogeografici (nonché il ricorso all'informatica). Infine, da parte filologica (assiriologi, poi anche egittologi) si sono avute utili sistemazioni dei dati testuali non per proporre modelli "totalizzanti", ma al contrario per sottolineare la complessità del fenomeno urbano e la sua traduzione in casi storici sempre diversi. Numerose monografie su singole città (ad es., Harris 1975; Larsen 1976) restano estranee al vecchio tentativo di caratterizzare la città orientale in contrapposizione a quella occidentale. È piuttosto allo studio della documentazione di chiara connotazione ideologica (iscrizioni regie, decorazione palatina) che resta affidata la ricerca di una fisionomia tipica della città antico-orientale nell'ambito del suo contesto economico, politico, religioso.
A. Schneider, Die sumerische Tempelstadt, Essen 1920; V.G. Childe, The Urban Revolution, in TownPlanR, 21 (1950), pp. 3-17; R.McC. Adams, The Evolution of Urban Society, New York 1966; A.L. Oppenheim, Mesopotamia. Land of Many Cities, in I. Lapidus (ed.), Middle Eastern Cities, Berkeley 1969, pp. 3-18; M. Hammond, The City in the Ancient World, Cambridge (Mass.) 1972; P.J. Ucko - R. Tringham - G.W. Dimbleby (edd.), Man, Settlement and Urbanism, London 1972; R. Harris, Ancient Sippar, Istanbul 1975; M.T. Larsen, The Old Assyrian City State, Copenhagen 1976; M. Liverani, The Ancient Near Eastern City and Modern Ideologies, in G. Wilhelm (ed.), Die orientalische Stadt, Saarbrücken 1997, pp. 85-107.
di Marcella Frangipane
La possibilità per le comunità umane di risiedere stabilmente o semistabilmente in un posto è in relazione diretta con la possibilità di ottenere le risorse per la propria sussistenza da un ambiente geografico relativamente circoscritto. L'abbondanza delle risorse disponibili è poi il secondo fattore che può consentire, oltre alla residenza fissa, un'aggregazione piuttosto consistente di individui. Queste condizioni, che sono alla base della nascita del villaggio, furono raggiunte in maniera ottimale quando l'economia divenne un'economia produttiva, quando cioè i mezzi di sussistenza vennero creati grazie all'agricoltura e all'allevamento. Tuttavia nel Vicino Oriente antico la presenza di particolari risorse con caratteristiche produttive e riproduttive altamente favorevoli, come i cereali selvatici (grano e orzo) e il potenziale faunistico addomesticabile (caprovini, bovini e suini), stimolò l'orientamento dei gruppi umani ad uno sfruttamento intensivo di queste risorse e l'organizzazione di forme di vita tendenzialmente, anche se solo parzialmente, sedentarie ancor prima della nascita dell'agricoltura. Questa regione del mondo costituisce un laboratorio primario di analisi del fenomeno della sedentarizzazione, in cui le stesse cause che portarono ad un'iniziale tendenza alla stabilità di residenza in fasi preagricole, stimolarono una nascita precoce dell'agricoltura e dell'economia produttiva in genere, con effetti di ritorno sullo sviluppo di aggregazioni sempre maggiori e sempre più sedentarie di popolazione. La comparsa delle prime comunità di villaggio, che rappresentano una rivoluzione nei modi del vivere e del convivere, cioè nella forma e nella struttura stessa delle società, nel Vicino Oriente può essere seguita tanto nei suoi processi formativi nel corso del tempo, quanto nella sua variabilità e ricchezza di manifestazioni e modi di realizzazione nello spazio geografico. Qui si possono osservare, infatti, non solo vari gradi di sedentarietà, ma anche diverse tipologie di aggregazione sociale, espresse in sistemi insediativi e modelli architettonici differenti, ognuno legato a forme economiche e a modelli di società suoi propri.
I due fattori menzionati (concentrazione di risorse ad alta produttività e loro abbondanza) e il tipo di organizzazione dei gruppi epipaleolitici delle diverse zone del Vicino Oriente ‒ elemento chiave, accanto alle condizioni ambientali, nel determinare le scelte economiche che seguirono ‒ stimolarono anche una diversa propensione alla sedentarietà nelle due principali aree della Mezzaluna Fertile, i monti Zagros ad est e il Levante-Tauro ad ovest. Nella prima regione i gruppi rimasero a lungo piccoli e nomadici, spostandosi in movimenti probabilmente stagionali tra i diversi piani topografici alla ricerca delle risorse ivi disponibili nei vari momenti dell'anno e seguendo gli spostamenti di animali tendenzialmente solitari, come le capre, o comunque avvicinabili da piccoli gruppi di cacciatori, come nel caso delle pecore. Gli insediamenti variavano da stazioni di caccia di alta quota a campi-base che raccoglievano comunità di limitata entità numerica. Le case erano capanne circolari appena interrate di scarsa consistenza architettonica e con strutture in materiale deperibile, evidentemente abbandonate dopo una temporanea occupazione. I primi veri e propri villaggi negli Zagros comparvero con l'affermazione dell'economia agropastorale e comunque non furono neanche allora di dimensioni rilevanti. Nel Levante, invece, già nel periodo natufiano (12.000- 10.000 a.C., con date radiocarboniche calibrate), i campi-base dei cacciatori di gazzelle e dei raccoglitori di cereali selvatici radunavano nuclei di popolazione più consistenti ed erano costituiti da capanne sempre circolari, ma costruite con più cura e impegno di lavoro, con le pareti della fossa rivestite di muretti a secco in pietra, a volte intonacati, che dovevano pertanto sorreggere un alzato più solido. Queste capanne, accompagnate spesso da strutture di supporto, quali pozzetti per immagazzinare e macine e mortai in pietra a volte infissi nel pavimento, suggeriscono un ritorno periodico all'abitato e un riutilizzo, almeno parziale, delle stesse strutture. La maggiore stanzialità dei gruppi natufiani, che fu la premessa per i successivi sviluppi verso l'economia agricola, corrispondeva ad un'organizzazione collettiva in cui le attività di sussistenza dovevano richiedere la cooperazione di un numero piuttosto elevato di persone (caccia ad animali di branco, raccolta di cereali selvatici concentrata nel breve periodo della loro maturazione). Questi abitati, che possono essere considerati in un certo senso i primi "villaggi", si associarono dunque a sistemi economici basati sulla collettivizzazione della produzione e del consumo dei beni di sussistenza e le singole strutture abitative probabilmente, secondo il modello elaborato da K.V. Flannery (1972), non corrispondevano ad unità socioeconomiche distinte, ma si integravano in quella che doveva essere l'unità vera, cioè il gruppo nel suo insieme. La trasformazione più profonda, tuttavia, e la nascita del vero villaggio come tipo di abitato e di aggregazione sociale completamente nuovo si ebbe con l'avvento dell'economia agricola. A questa si associò una sedentarietà marcata, almeno per la maggior parte del gruppo, e, per la prima volta, un'identificazione della comunità con il luogo del suo abitare, il villaggio appunto, che divenne il simbolo del suo radicamento sul territorio. Ciò che muta totalmente con l'agricoltura, infatti, è il legame con la terra, reso forte e indispensabile dalla separazione temporale tra il lavoro per procacciarsi il cibo (aratura e semina) e il momento del suo ottenimento e della sua fruizione (raccolto e consumo dilazionato in attesa del nuovo raccolto). È in questo momento (8700-7800 a.C.) che nel Vicino Oriente comparvero le prime case a pianta rettangolare, che indicavano una nuova concezione della funzione della casa stessa, non più solo riparo, ma anche spazio definito atto ad accogliere le attività lavorative di un'unità familiare ed i suoi beni. Gli spazi, dunque, divennero per la prima volta articolati all'interno dell'abitazione, con la creazione di vari ambienti destinati a diverse funzioni, e le nuove case pluricellulari, passibili di modificazioni e aggiunte, furono il simbolo e l'espressione della nuova struttura delle società, in cui l'agricoltura dava alle famiglie un ruolo economico e sociale di primo piano. Questa articolazione architettonica, tuttavia, presentò caratteristiche differenti nel tempo e anche nello spazio, da regione a regione, mostrando la complessità e la varietà di soluzioni che accompagnarono la creazione della "casa" in relazione alle diverse forme organizzative e alle diverse strutture rivoluzione neolitica". Alla forma differente delle abitazioni, infatti, corrispondeva una loro diversa disposizione reciproca nello spazio ed evidenza all'interno dell'abitato, che dava risalto di volta in volta più al villaggio come unità o ai suoi nuclei interni (le famiglie). Su questa base si crearono tre grandi tradizioni nelle tipologie di abitato vicino-orientale, riferibili ognuna a regioni distinte e a particolari caratteristiche sociali ed economiche, che furono all'origine anche del successivo sviluppo di diverse forme di urbanizzazione: il villaggio a case isolate generalmente standardizzate, il villaggio agglutinato e il villaggio composito. La prima di queste forme di organizzazione dello spazio abitativo fu caratteristica sia dei più antichi villaggi agricoli del Levante e del Tauro orientale nel Neolitico preceramico B, tra l'8500 e il 7500 a.C., sia dei più recenti sviluppi del villaggio in ambiente mesopotamico, meridionale e centrale, a partire dalla prima occupazione documentata della piana alluvionale nel periodo Samarra e comprese tutte le fasi della cultura di Ubaid (tra la fine del VII e la metà del V millennio a.C.). Tuttavia nei due contesti si registrano diversità significative, oltre che nelle tecniche costruttive, nella forma e nell'articolazione degli spazi della casa, come pure nelle caratteristiche degli edifici pubblici, che delineano una differente funzione delle strutture e un diverso ruolo delle unità sociali che in esse abitavano e/o operavano. I villaggi del Neolitico preceramico, che raggiunsero dimensioni notevoli (fino a 3-4 ha), erano costituiti da case rettangolari allungate con lo spazio interno suddiviso in settori di grandezza costante trasversali all'asse longitudinale, fortemente standardizzate nella forma e nella dimensione e spesso orientate in maniera simile. La standardizzazione era molto forte in ambito regionale, come si evidenzia dal fatto che, nel quadro di una concezione e suddivisione dello spazio domestico fondamentalmente simile in tutta l'area occidentale della Mezzaluna Fertile, si distinguono nettamente i moduli propri della regione del Tauro orientale, dove sono fra l'altro molto rigidi, da quelli del Levante meridionale. Gli spazi esterni, che pure in alcuni casi erano sede di attività, essendo totalmente privi di strutture, non mostravano alcuna definizione architettonica, né relativamente alla loro appartenenza a questo o a quell'edificio, né come spazi autonomi di uso collettivo. In alcuni siti del Tauro (Çayönü e Nevalı Çori), inoltre, santuari di straordinaria imponenza, costruiti con cura obbedendo a moduli architettonici molto caratterizzati, si ergevano in un'area fissa dell'abitato e mostravano una planimetria diversa da quella delle case, consistente in un unico ambiente indiviso idealmente disposto in modo trasversale e con l'entrata sul lato lungo. Non si sono individuati, infine, luoghi per l'immagazzinamento comune. Tutti questi elementi suggeriscono che in queste prime comunità di villaggio si andava delineando la funzione delle famiglie come nuclei economici e sociali distinti, ben rappresentata nella maggiore complessità e dimensione delle case e, probabilmente, nell'immagazzinamento domestico, ma al tempo stesso doveva esserci un bisogno molto forte di contrastare le spinte centrifughe che da questa trasformazione dovevano scaturire e di mantenere l'unità del gruppo attraverso l'obbedienza a regole rigidissime (standardizzazione architettonica, cambiamenti concomitanti in tutto il villaggio) e l'importante ruolo attribuito agli aspetti cerimoniali-religiosi come leganti e strumenti ideologici di coesione sociale. Tali tendenze, apparentemente contrastanti, dovevano dipendere dal carattere composito dell'economia, che dava sempre più spazio alle pratiche agricole, ma che al tempo stesso manteneva il ruolo dominante della caccia per l'approvvigionamento di carne, con la conseguente conservazione di molte delle vecchie "relazioni di produzione". Ben diverso si presenta il modello di sviluppo del villaggio mesopotamico. Qui, sin dal periodo Samarra, comunità con economia mista di agricoltura e allevamento si insediarono in abitati in cui il ruolo della casa come unità base di riferimento appare fortemente sottolineato. Mentre l'isolamento delle case dei siti del Neolitico preceramico occidentale può essere considerato l'esito di una continuità con la concezione della capanna di epoca precedente più che di una forte accentuazione del ruolo separato delle singole unità familiari, la dimensione molto rilevante e l'articolazione complessa degli ambienti delle case mesopotamiche del VII-V millennio a.C., che non sono più unità fondamentalmente monocellulari suddivise all'interno, ma mostrano vere e proprie moltiplicazioni degli spazi, le rendono microcosmi architettonici, che sembrano riflettere una separazione della società in nuclei almeno parzialmente autonomi. Nasceva già in questi antichi villaggi la tipica grande casa mesopotamica a pianta tripartita, costituita da un'ampia sala centrale allungata, generalmente con focolare, fiancheggiata ai lati da due ali di stanze spesso simmetriche e variamente disposte. Case di questo genere dovevano accogliere nuclei familiari piuttosto ampi e/o comunque destinare gli spazi interni ai più svariati usi. Il perimetro esterno a volte non era continuo e regolare, così che permetteva facilmente l'aggiunta di diverse parti ed eventuali modifiche. Nonostante la planimetria generale fosse, anche in questo caso, abbastanza standardizzata, i moduli erano maggiormente variati, soprattutto nelle dimensioni. Questo fenomeno si accentuò con il passare del tempo, così che, mentre non era quasi per niente percepibile in villaggi del periodo Samarra, come nel caso di Tell es-Sawwan, divenne ben evidente già nel periodo successivo di Ubaid 3 a Tell Abada nella regione del bacino dello Hamrin. Qui, in particolare, una casa mostrava non solo dimensioni molto maggiori delle altre, ma caratteristiche peculiari, come oggetti per la contabilità e numerose sepolture di bambini sotto i pavimenti. Nei villaggi Ubaid non sembrano esserci stati edifici di culto a carattere pubblico, che invece probabilmente si trovavano solo in alcuni siti, dove sorgevano per la prima volta vere e proprie aree monumentali con templi in mattoni crudi su piattaforma (Eridu). Questi templi, a differenza di quelli neolitici del Tauro, ricalcavano in pieno la pianta della casa, modificando soltanto il rapporto dimensionale tra le parti, in accordo con le esigenze diverse, e dotandosi di elementi decorativi e di monumentalità loro propri. Anche le attività che si svolgevano all'interno dei templi erano varie e comprendevano transazioni economiche, anche se in certo modo probabilmente ritualizzate. Non solo, dunque, le grandi case tripartite riflettevano un'articolazione della società in unità distinte e il loro isolamento nello spazio doveva riflettere l'autopercezione di tale distinzione, ma la gestione dell'"interesse pubblico" e dell'autorità politica e religiosa era nelle mani di una o più di queste unità familiari, sia pure intese ancora come rappresentanti dell'intera comunità, come si riflette anche da un punto di vista simbolico e formale nella probabile concezione del tempio come "casa". Casa del dio, ma anche idealmente del capo, suo rappresentante, che in essa esercitava l'autorità. I villaggi Ubaid non sembrano tanto l'espressione di comunità coese tendenti all'unità e alla cooperazione, quanto il riflesso di società articolate e con probabile competizione interna, i cui rapporti dovevano forse già estendersi al di là dei limiti del villaggio stesso. La presenza di un sito come Eridu e di alcuni abitati di considerevoli dimensioni nella piana alluvionale meridionale suggeriscono la nascita di località centrali e l'identificazione del gruppo con entità più ampie dei singoli villaggi. L'iniziale riferimento a concetti di territorio, anche se estremamente flessibili e non ancora politicamente definiti, può essere suggerito anche dalla comparsa delle necropoli al di fuori degli abitati, che rappresentano un segno del legame di appartenenza con spazi geografici esterni a quello architettonico abitativo. Uno sviluppo completamente diverso è rappresentato dal villaggio agglutinato, con case addossate le une alle altre al punto da non essere chiaramente distinguibili, che sembra esprimere un concetto di comunità fortemente coesa e poco differenziata. In questi villaggi, caratteristici dell'ambiente anatolico, in particolare dell'Anatolia centrale, dove si rinvengono già con le prime manifestazioni di vita sedentaria nell'VIII millennio a.C. (villaggio di Aşıklı), le case erano piccole, generalmente poco standardizzate e addossate le une alle altre spesso mediante l'accostamento di due muri. Solo raramente vi erano spazi aperti, strade o cortili, e l'entrata doveva avvenire dal tetto, come è attestato nell'ormai famoso sito di Çatal Hüyük. Non si notano differenze significative tra le case, né veri e propri edifici pubblici. Villaggi di questo tipo ospitavano comunità fondamentalmente egalitarie con scarsa strutturazione politica, in cui non vi era alcuna forma di gestione centralizzata, neppure dell'ideologia. Le stesse rappresentazioni plastiche e pittoriche sui muri delle case di Çatal Hüyük, con i loro evidenti riferimenti a ben definite credenze e modelli simbolici, si distribuivano uniformemente in molte delle case, suggerendo una gestione diffusa dell'apparato ideologico. La terza tipologia di abitato, definita qui "villaggio composito", sembra funzionalmente e concettualmente molto più vicina al modello agglutinato, che a quello a case isolate, anche se non siamo in presenza di una vera e propria agglutinazione. Le case, infatti, pur non essendo addossate le une alle altre, sono piccole e poco standardizzate e separate da spazi che tuttavia sono riempiti da numerose strutture minori, quali forni, vaschette, pozzetti, attrezzature varie, che li rendono visivamente e architettonicamente attribuiti alle abitazioni più vicine. A volte si formano veri e propri cortili, di forma però solitamente irregolare e dai contorni non ben definiti. Questo tipo di villaggio, piuttosto eterogeneo, caratterizzò gli sviluppi delle società agropastorali della Gezira siro-irachena sin dalle prime occupazioni di questa regione e fino all'affermazione della cultura di Halaf. In questo modello di abitato, che, rispetto agli altri prima descritti, probabilmente prevedeva forme di maggiore mobilità (questi villaggi erano spesso abbandonati e rioccupati), comparivano anche strutture di uso comunitario, come magazzini e aree di lavoro, che insieme alla scarsa definizione spaziale dei singoli nuclei domestici, suggeriscono anche in questo caso un peso prevalente del gruppo nel suo complesso rispetto alle unità minori che lo componevano. Anche nei villaggi della Gezira non vi erano edifici pubblici monumentali o cerimoniali e la coesione dei gruppi sembra essere stata assicurata dalla loro stessa rete di relazioni economiche (villaggi specializzati) e sociali (ampia circolazione di ceramiche dipinte ed elementi simbolici come esito della circolazione di persone) su ampi territori, che sola poteva permettere un'efficiente gestione dell'economia mista nelle fasi della sua prima affermazione in zone ad agricoltura non irrigua.
La nascita delle città non riguardò solamente l'aumentata estensione degli insediamenti e la loro densità demografica, ma coinvolse una profonda trasformazione delle relazioni interne ed esterne agli abitati. La presenza di centri ragguardevoli che possiamo definire urbani doveva essere legata, infatti, alla capacità di questi centri e delle loro istituzioni di attirare beni di sussistenza dalla campagna alla città, attraverso una rete di relazioni economiche reciproche basate sulla specializzazione e coinvolgenti un certo ambito territoriale. È questo aspetto che rende qualitativamente diverso un sistema insediativo urbano, mentre l'articolazione e la specializzazione interna al singolo abitato si accrescono notevolmente rispetto alla struttura del villaggio, ma non costituiscono una totale novità. Molti villaggi o piccoli centri nel Vicino Oriente avevano, infatti, già settori di specializzazione all'interno del sito. I modi e i gradi dell'integrazione di più abitati su un territorio, come pure l'estensione dell'area coinvolta e la natura dell'integrazione (prevalentemente economica o politica), variarono tuttavia notevolmente nelle diverse regioni del Vicino Oriente, dove tradizioni socioeconomiche differenti avevano portato a quei variegati modelli insediativi e organizzativi di cui si è parlato. Proprio la diversità di funzione dei centri urbani sul territorio determinò la varietà delle loro tipologie. Il fenomeno dell'urbanizzazione ebbe le sue manifestazioni più precoci e più eclatanti in Mesopotamia, in particolare in Bassa Mesopotamia, dove già agli inizi del IV millennio a.C. si delineano agglomerati che raggiungono i 30-40 ha. Le prime società urbane mesopotamiche sono quelle in cui più forte appare l'integrazione economica tra centri rurali ed urbani e quindi più alte le stesse possibilità espansive delle città. Tale capacità di pervadere le strutture produttive di base permise probabilmente l'integrazione nel tessuto economico a gestione centralizzata anche delle componenti nomadiche pastorali che gravitavano intorno alla piana alluvionale. Molto diverse furono le caratteristiche dell'urbanizzazione nelle aree perimediterranee del Levante e dell'Anatolia. Qui i centri urbani, sviluppatisi tra la fine del IV e gli inizi del III millennio a.C., ebbero limitata estensione e furono caratterizzati dalle fortificazioni che circondavano o l'intera città, come nel caso della maggioranza dei siti palestinesi, o solo le acropoli con gli edifici importanti, come avvenne in Anatolia occidentale in vari siti della cultura di Troia e degli ambienti ad essa legati (Karataş). Questo tipo di urbanizzazione era probabilmente correlato con una funzione più politica che economica dei centri urbani, in una situazione in cui le élites non ebbero il radicamento e i privilegi conquistati nella società mesopotamica, più competitiva sin dalle origini, ma probabilmente acquisirono potere nel regolare i conflitti sul territorio tra villaggi agricoli e tra sedentari e nomadi, come dovette avvenire soprattutto in Palestina. In questo quadro il controllo del territorio dovette essere meno capillare e per ciò stesso il grado di conflittualità endemica sempre più alto.
C.W. Blegen, Troy and the Trojans, London 1963; J. Mellaart, Çatal Hüyük. A Neolithic Town in Anatolia, London 1967; K.V. Flannery, The Origins of the Village as a Settlement Type in Mesoamerica and the Near East: a Comparative Study, in P.J. Ucko - G.W. Dimbleby (edd.), Man, Settlement and Urbanism, London 1972, pp. 23-54; R.McC. Adams, Heartland of Cities. Surveys of Ancient Settlement and Land Use on the Central Floodplain of the Euphrates, Chicago 1981; O. Aurenche, La maison orientale. L'architecture du Proche Orient ancien des origines au milieu du quatrième millénaire, Paris 1981; R.J. Braidwood - L. Braidwood (edd.), Prehistoric Village Archaeology in South-eastern Turkey, Oxford 1982; J.D. Forest, Aux origines de l'architecture obéidienne: les plans de type Samarra, in Akkadica, 34 (1983), pp. 1-47; M. Liverani, L'origine delle città, Roma 1986; J.D. Forest, La grande architecture obéidienne: sa forme et sa fonction, in J.L. Huot (ed.), Préhistoire de la Mésopotamie, Paris 1987, pp. 385-423; B.F. Byrd - E.B. Banning, Southern Levant Pier-Houses: Intersite Architectural Patterning during the Pre-Pottery Neolithic B, in Paléorient, 14, 1 (1988), pp. 65-72; S.A. Jasim, Structure and Function in an 'Ubaid Village, in E.F. Herickson - I. Thuesen (edd.), Upon this Foundation, Copenhagen 1989, pp. 79-90; J.C. Margueron, Architecture et société à l'époque d'Obeid, ibid., pp. 43-77; M. Roaf, Social Organization and Social Activities at Tell Maddhur, ibid., pp. 91- 146; P. de Miroschedji (ed.), L'urbanisation de la Palestine à l'âge du Bronze Ancien, Oxford 1989; M. Özdoğan - A. Özdoğan, Çayönü. A Conspectus of Recent Work, in Paléorient, 15, 1 (1989), pp. 65-74; W. Schirmer, Some Aspects of Building at the "Aceramic-Neolithic" Settlement of Çayönü Tepesi, in WorldA, 21, 3 (1990), pp. 363-97; C. Breniquet, Tell es-Sawwan. Réalités et problèmes, in Iraq, 53 (1991), pp. 75-90; U. Esin, Salvage Excavation at the Pre Pottery Site of Aşıklı Hüyük in Central Anatolia, in Anatolica, 17 (1991), pp. 123-74; P.M.M.G. Akkermans, Villages in the Steppe, Ann Arbor 1993; G. Algaze, The Uruk World System, Chicago 1993; H. Hauptmann, Ein Kultgebäude in Nevalı Çori, in M. Frangipane et al. (edd.), Between the Rivers and over the Mountains. Archaeologica Anatolica et Mesopotamica Alba Palmieri dedicata, Roma 1993, pp. 37-69; A.H. Joffe, Settlement and Society in the Early Bronze I and II Southern Levant, Sheffield 1993; J. Cauvin, Naissance des divinités naissance de l'agriculture, Paris 1994; J.L. Huot, Les premiers villageois de Mésopotamie, du village à la ville, Paris 1994; Th.E. Levy (ed.), The Archaeology of Society in the Holy Land, London 1995; M. Frangipane, La nascita dello stato nel Vicino Oriente, Roma - Bari 1996.
di Paola Davoli
Pochi sono i dati e le testimonianze archeologiche fino ad ora noti che possano consentire una ricostruzione storica coerente della nascita del fenomeno urbano in Egitto. Alcuni studiosi ritengono che i primi insediamenti con caratteri urbani fecero la loro comparsa prima della nascita dello Stato unitario, ovvero nel periodo che precede la cosiddetta Dinastia 0, chiamato Gerzeano o anche Naqada II (3650-3300 a.C. ca.). Durante il periodo predinastico antico (5500-4000 a.C. ca.) si diffusero nel territorio egiziano le tecniche agricole e dell'allevamento del bestiame che favorirono la nascita di piccoli insediamenti stanziali di comunità rurali. I primi insediamenti noti, che dovevano ospitare dalle 40 alle 100 persone (Badari, Matmar, Merimde Beni Salama, el-Omari, Buto, Naqada, Hemamija), non presentano alcuna cinta muraria e sono costituiti da poche capanne sparse di pianta circolare od ovale, del diametro variabile tra 1 e 4 m, costruite con fango e pietre locali e con copertura probabilmente conica formata da paglia e arbusti. Fra le capanne sono stati riconosciuti recinti per l'allevamento di ovini e piccoli granai. A el-Omari, poco a sud del Cairo, sono stati individuati due tipi di capanne, uno di pianta ovale, costruito in legno su fondamenta di pietra, l'altro circolare e seminterrato. Gli scavi archeologici effettuati nell'area dell'antica città di Hierakonpolis hanno portato alla luce numerosi insediamenti databili dal Predinastico recente e le relative necropoli. Alla fase di passaggio fra i periodi denominati Naqada I (= Amraziano, 3800-3650 a.C.) e Naqada II (= Gerzeano, 3650-3300 a.C.), appartengono abitazioni seminterrate di pianta rettangolare (4 × 3,5 m) costituite da una sola stanza al cui interno era un piccolo forno. Questi insediamenti aperti, costituiti da abitazioni rettangolari, presentano già una precisa suddivisione degli spazi riservati alle abitazioni, alle discariche e ai laboratori artigianali. Si ritiene infatti che la prosperità economica dovuta alla naturale ricchezza del Paese e la diffusione delle attività stanziali (agricoltura e allevamento) in un periodo caratterizzato anche da un clima relativamente umido favorirono l'aumento della popolazione e l'insorgere di attività artigianali. La diversificazione e la specializzazione del lavoro conferirono alla società una struttura gerarchica, chiaramente riscontrabile nell'ambito delle necropoli dell'orizzonte Naqada II. L'architettura e i corredi funerari testimoniano molto chiaramente lo sviluppo di una società complessa, a capo della quale era una élite. È ascrivibile a questo periodo la più antica tomba dipinta fino ad ora conosciuta, la n. 100 di Hierakonpolis, costruita in mattoni crudi. Su uno dei muri vi era un dipinto su intonaco in cui erano raffigurate su un fondo di colore giallo chiaro sei grandi barche di due diversi tipi, uomini e animali. Tombe appartenute a signori locali sono inoltre presenti nella "necropoli T" di Naqada. Anche nel sito di Maadi, a sud-est del Cairo, è molto evidente la presenza di una gerarchia sociale dovuta anche qui, probabilmente, alla specializzazione del lavoro: oltre all'agricoltura, all'allevamento, alla caccia e alla pesca, sono attestate attività connesse con l'artigianato e con il commercio intrattenuto sia con le altre zone del territorio egiziano sia con l'area palestinese. Nello stesso periodo Hierakonpolis svolgeva attività di commercio con la Nubia e Naqada rivestiva un importante ruolo nell'importazione e nel commercio dell'oro. Seppure vi siano poche testimonianze archeologiche, si ritiene che verso la fine del periodo Naqada II/Gerzeano si siano formati i primi centri abitati con caratteri urbani, favoriti dalla presenza di élites locali che detenevano il monopolio della produzione e del commercio dei beni di lusso. Tali centri si posero a capo di regni o principati attraverso alleanze o conquiste dei vicini villaggi. La coesione di diverse comunità tribali venne favorita, oltre che da motivi economici, anche dalla formazione di un'ideologia religiosa comune, con serie di miti e di riti che dopo l'unificazione dell'Egitto confluirono nella religione del nuovo Stato. Nello stesso periodo avvenne una prima unificazione culturale del territorio compreso fra la I cateratta del Nilo e il Mediterraneo, fino a quel momento caratterizzato sostanzialmente da due differenti gruppi culturali del Nord (Basso Egitto) e del Sud (Alto Egitto). In questo nuovo orizzonte culturale (Naqada III/Protodinastico, 3300-3100 a.C. ca.) si diffuse l'uso dei metalli, si perfezionò la lavorazione della pietra, si attuarono opere artificiali per l'irrigazione e venne introdotta la scrittura. Sempre in tale periodo, secondo alcuni studiosi, si assiste ad un progressivo diffondersi della cultura materiale dell'Alto Egitto nelle regioni settentrionali. Tale fenomeno, che un tempo si riteneva causato da un'unica conquista militare, sembra essere invece il frutto di un processo più complesso, in cui i principati del Sud seppero imporsi attraverso alleanze e conquiste, forse per potenziare i loro traffici commerciali col Vicino Oriente. Le tavolozze cerimoniali figurate rinvenute nell'Alto Egitto, tra le quali possono essere ricordate quella di Narmer, quella detta "delle città" o "del tributo libico" e quella "del toro", testimoniano avvenimenti bellici e la presenza di città fortificate con possenti mura turrite, che vengono di volta in volta distrutte o costruite. È durante il Protodinastico che sorgono grandi insediamenti urbani, precursori di alcune delle più importanti città dell'Antico Regno, come Thinis, Ombos, Coptos, Nekheb, Nekhen (Hierakonpolis), Edfu ed Elefantina, talora cinti da mura ad andamento regolare o fortemente irregolare. Con l'unificazione politica dell'Egitto e con la creazione di un grande Stato unitario con a capo un unico sovrano, il capostipite della I Dinastia o uno dei suoi predecessori, si completa anche l'unificazione culturale, attuata attraverso una raffinata opera intellettuale e ideologica che pose le basi per una grande e coerente tradizione nazionale. Va comunque tenuto presente che esistono interpretazioni contrastanti su questa fase cruciale per la formazione della cultura egiziana antica e anche sulle modalità della formazione dello stato unitario dovute alla relativa scarsità di dati a disposizione degli studiosi. Grazie alla recente ripresa degli scavi archeologici nella necropoli dei sovrani protodinastici a Umm el-Qaab (Abido) sarà possibile in futuro delineare in modo più preciso la storia degli avvenimenti e dei sovrani che si susseguirono in questo periodo ancora oscuro.
M.A. Hoffman, Egypt before the Pharaohs, Austin 1979; M. Bietak, La naissance de la notion de ville dans l'Égypte ancienne, un acte politique?, in CRIPEL, 8 (1986), pp. 29-35; M. Rice, Egypt's Making. The Origins of Ancient Egypt 5000-2000 B.C., London - New York 1990; A.J. Spencer, Early Egypt. The Rise of Civilization in the Nile Valley, London 1993.
di Mario Liverani
La città del Vicino Oriente antico (3500-300 a.C. ca.) ha una storia lunga e precoce, che le conferisce un ruolo di primo piano nel dibattito teoretico e nello studio storico (anche per l'eredità trasmessa all'urbanistica classica e islamica). Malgrado l'enfasi urbana dell'archeologia orientale e il notevole stato di conservazione di diversi centri antico-orientali, la problematica specifica della città è di recente formulazione e la sua applicazione all'antico Oriente ancora parziale.
L'uso del concetto e del termine stesso di "città" nell'ambito dell'antico Oriente solleva ricorrenti perplessità e richiede qualche chiarimento. Le obiezioni riguardano gli aspetti dimensionali, assai modesti se confrontati alle moderne megalopoli occidentali o del Terzo Mondo, e gli aspetti strutturali, che divaricano la città palatina e templare dell'antico Oriente dalla "comunità di cittadini" della tradizione europea. Sul piano dimensionale, una volta messo da parte il fuorviante confronto con la realtà moderna, le città antico-orientali appaiono tutt'altro che modeste, sia rispetto ad altre aree del mondo antico, sia allo specifico quadro demografico delle società alle quali appartengono. Sin dalla fase di prima urbanizzazione Uruk raggiunge i 100 ha (per superare i 500 nella successiva fase protodinastica) e su tale ordine di grandezza si stabilizzano poi i maggiori centri dell'età del Bronzo, concentrati in zone alluvionali in Mesopotamia, in Egitto (Menfi e Tebe hanno estensioni enormi, sugli 800 ha ciascuna, ma è difficile valutarne la densità), nella valle dell'Indo (Mohenjo Daro, 125 ha), in Iran (Shahr-i Sokhta, 80 ha; Tall-i Malyan, 175 ha); generalmente minori i siti della Siria-Palestina (Ebla, 55 ha; Hazor, 75 ha), dell'Anatolia (Khattusha eccezionalmente tocca i 150 ha), della Turkmenia (Namazga Depe, 50 ha; Altin Depe, 25 ha). Dopo il ridimensionamento dell'urbanizzazione nell'età del Ferro (diffusa anche in zone montane e semiaride) un nuovo sviluppo si ebbe con le grandi capitali imperiali, assire (Ninive raggiunse i 750 ha), babilonesi (Nabucodonosor II ampliò Babilonia da 470 a quasi 1000 ha) e persiane (ma Persepoli e Pasargade sono piuttosto centri cerimoniali che non insediativi). Queste dimensioni rientrano nello stesso ordine di grandezza delle città classiche e medievali. La traduzione degli ettari in numero di abitanti, stante l'inadeguatezza dei dati testuali, viene effettuata adottando parametri basati o sul confronto con città moderne di analoga densità abitativa o sul computo del numero di abitazioni per ettaro combinato con l'entità dei nuclei familiari. Si tratta di calcoli approssimativi e le proposte oscillano tra le 100 e le 200 (ed oltre) persone per ettaro. Ciò porta a stime del tipo di 50.000/100.000 abitanti per la Uruk protostorica e fino a 200.000 per Babilonia; non mancano stime ancora superiori.
Città e villaggio - Più del semplice dato dimensionale è significativo il rapporto con gli insediamenti non urbani: centri intermedi e villaggi. Insieme costituiscono un tipico assetto a tre ordini gerarchici che riflette l'organizzazione economica e politica di livello statale. La città è sede delle "grandi organizzazioni" pubbliche del palazzo e del tempio, con attività di direzione e amministrazione, accentramento di risorse (alimentari e tecniche), accentuata specializzazione lavorativa, luogo di cerimonia e di interazione socioculturale. Il centro intermedio serve alla diffusione nel territorio dei servizi centrali e ancor più al controllo della produzione agropastorale e al suo inoltro verso la città; il villaggio è dedito alla produzione agropastorale e tributario della città palatina. Un tipico "modulo protostatale" poteva comportare una città di 100 ha, una mezza dozzina di centri intermedi sui 10 ha, un centinaio di villaggi da un ettaro ciascuno. Lo stacco dimensionale e strutturale (funzione e organizzazione interna) tra città e villaggio è dunque enorme e giustifica l'adozione di termini differenziati, che spesso non esistono nelle lingue dell'epoca. Così in accadico il termine ālu designa qualunque insediamento; ma ad esempio le iscrizioni assire distinguono chiaramente tra āl šarrūti "città regia" (la capitale), ālāni dannūti "(altre) città(dine) fortificate" e ālāni ša limētišu "insediamenti del circondario" (i villaggi). Anche in ebraico il termine 'îr designa qualunque insediamento, ma contrapposto a termini specifici per insediamenti minori indica la città (cfr. ad es., 'ārîm wĕḥaṣrêhen "le città e i loro villaggi", con chiaro rapporto di appartenenza/subordinazione). In egiziano nıwt è città, ma anche villaggio (che però ha un termine specifico: wḥt), inizialmente contrapposto a ḥwt (palazzo, insediamento palatino) e dmu è qualunque concentrazione residenziale, dalla città al quartiere cittadino.
Città e potere politico - La città antico-orientale è per definizione la sede del potere politico, il nucleo dello stato palatino; in questo si contrappone nettamente a certe forme tipiche della tradizione occidentale della città come comunità autonoma e svincolata, talvolta persino conflittuale, rispetto ad un potere politico (palazzo reale o imperiale) che ha sede altrove. La funzione originaria della città quale capitale del modulo protostatale viene però superata e sfumata nel corso del tempo. La tendenza all'unificazione politica su scala regionale porta alla sottomissione e inclusione di parecchi moduli sotto il dominio di un solo centro. Le città ex capitali perdono il ruolo politico, ma non il carattere cittadino che viene soltanto modificato: si riproduce su scala allargata il rapporto già esistente tra città regie e centri intermedi. In particolare, la componente "palatina" della città viene reimpiegata nel ruolo di "palazzo provinciale" (con nuclei dirigenti allogeni); la componente "templare" può acquistare maggiore autonomia, in rapporto alla decentralizzazione del culto in compagini statali allargate; lo stesso vale per certe attività economiche, soprattutto artigianali e mercantili in città portuali e carovaniere. Ciò che entra soprattutto in crisi con la perdita dell'autonomia è la produzione culturale (artistica e letteraria: legate ai bisogni del palazzo) e il ruolo di autoidentificazione nei rispetti del territorio e della popolazione circostante. Ma, nell'ambito di una formazione politica molto più vasta, la città tende a ristrutturarsi come comunità dotata di autogoverno e a tale scopo essa utilizza e valorizza certe strutture di "villaggio residuale" (assemblea, anziani) e certe franchigie concesse dal potere centrale.
La formulazione di un "tipo" della città antico-orientale rappresenta una forzatura (necessaria a livello comparativo o teorico) rispetto alla variegata realtà storica che si estende su tre millenni e su un'area che va dall'Egeo all'Indo e dalla Turkmenia al Sudan. Le tradizioni regionali, pur se in prolungata interazione, mantengono fisionomie proprie per la diversa base ecologica e per motivi specificamente storico-culturali. D'altro lato, si individuano veri e propri cicli di sviluppo e crisi (talora collasso) dell'urbanizzazione, estesi su gran parte dell'area, collegabili talvolta a mutamenti climatici o a fatti migratori, ma più in generale rapportabili alla difficoltà di fondo incontrata dalle civiltà antico-orientali (coi loro livelli demografici e produttivi) nel sostentare a lungo ampie concentrazioni urbane per loro natura non autosufficienti. Alla stabilità di lunga durata del sistema dei villaggi e dei gruppi pastorali, fa riscontro un andamento sussultorio del sistema urbano, sia localmente sia su scala regionale e complessiva.
Uruk e la prima urbanizzazione - È difficile parlare di una fase formativa dell'urbanizzazione. Certamente il Calcolitico presenta casi vistosi di lavorazione specializzata (metallurgia in Anatolia, Transcaucasia, Palestina), nell'alluvio lo scavo dei canali richiede uno sforzo di coordinamento locale, la popolazione aumenta e la produzione ceramica si standardizza. Soprattutto nella Bassa Mesopotamia della fase Ubaid (V millennio a.C.) prende forma il tempio quale centro cerimoniale dei maggiori insediamenti; ma la dimensione dei centri anche più ricchi rimane ridotta e la stratificazione interna modesta. La "rivoluzione urbana" è un fatto abbastanza preciso che si verifica per la prima volta in Bassa Mesopotamia nella fase detta "di Uruk" nel corso del IV millennio a.C. (sottofasi: Antico Uruk, 4000-3500 a.C.; Tardo Uruk, 3500-3100 a.C.). Nel giro di pochi secoli prende forma la città nei suoi aspetti demografici e urbanistici, economici e politici. Questa svolta, coi fenomeni collegati dell'emergenza dello stato, della stratificazione socio-economica, della scrittura, muta (o in certo senso inizia) la storia mondiale. Lo sviluppo della prima urbanizzazione si segue al meglio nella stessa Uruk, con il crescendo del complesso templare dell'Eanna e poi con la diffusione della cultura Tardo Uruk in Alta Mesopotamia, in Khuzistan (Susa) e fino ai centri "coloniali" sul medio Eufrate (Habuba Kabira), agli avamposti commerciali in Anatolia sud-orientale e sugli Zagros, ai centri indigeni influenzati nella loro struttura protourbana dal modello meridionale (Arslantepe). Il ciclo è piuttosto breve, ma esemplare per la messa a punto di caratteri che resteranno tipici dell'urbanizzazione vicino-orientale: centralità dell'organizzazione templare, concentrazione demografica, introduzione di meccanismi amministrativi (che culminano con la prima scrittura) per registrare e gestire una complessa economia redistributiva pubblica. Se il modello Uruk ha direttamente stimolato fenomeni di urbanizzazione indotta, esistono anche casi di sviluppo parallelo, con dubbi (e comunque generici) influssi basso-mesopotamici: soprattutto l'Egitto protodinastico con unificazione politica, arte e architettura monumentale, scrittura e meccanismi di amministrazione pubblica, rientra nel quadro della prima urbanizzazione. Il caso egiziano è un po' sfasato nel tempo rispetto a quello basso-mesopotamico ed è stato a lungo sottostimato per la difficoltà di individuare i più antichi centri urbani, lacuna in parte colmata dalle indagini più recenti che hanno evidenziato il tipo della città protodinastica, rettangolare, murata, sui 16-20 ha (Elefantina, Hierakonpolis, Abido, ecc.).
Il Bronzo Antico e la seconda urbanizzazione - Nelle aree alluvionali (Egitto e Bassa Mesopotamia) si hanno una sostanziale continuità di urbanizzazione e una maturazione che porta alla piena formulazione degli specifici caratteri anche architettonici e urbanistici di quelle civiltà (passaggio dalla fase Uruk/Gemdet Nasr alla fase protodinastica in Mesopotamia; passaggio dall'età thinita all'Antico Regno in Egitto). Invece nelle aree periferiche si hanno un netto collasso della prima urbanizzazione e un riemergere di culture locali non urbane. Verso la metà del III millennio a.C. inizia un secondo ciclo di urbanizzazione che investe pienamente l'Alta Mesopotamia, la Siria (Ebla), la Palestina, l'Anatolia centro-orientale. Questa seconda urbanizzazione (Bronzo Antico III) deve anch'essa una generale ispirazione alla Bassa Mesopotamia (in Alta Mesopotamia e in Siria evidenziata dall'uso del cuneiforme e da espressioni artistiche di derivazione sumerica), ma si realizza in forme specifiche in ogni regione. Tra i caratteri generali si segnala la centralità del palazzo e il ruolo subordinato del tempio (in contrasto con la prima urbanizzazione). Lo stesso ciclo si estende a regioni nuove e non contigue al nucleo basso-mesopotamico: Egeo (Primi Palazzi cretesi), Iran orientale (Shahr-i Sokhta, Mundigak), Asia Centrale (Namazga Depe, Altin Depe), valle dell'Indo (Harappa e Mohenjo Daro) conoscono una fioritura di centri urbani e di organizzazione palatina che rivaleggia con quelle dell'Egitto e della Mesopotamia e che copre ormai tutte le zone agricole del Vicino e Medio Oriente. Restano fuori dalla frontiera dell'urbanizzazione le aree di rilievo e di steppa, a prevalente economia pastorale e a bassa concentrazione demografica e produttiva.
Il Bronzo Medio e Tardo: crisi e concentrazione - La fine del Bronzo Antico è segnata in gran parte dell'area da movimenti di popolazione, con momentanea prevalenza delle tribù pastorali e crisi delle città e degli stati palatini. Ma inizia ben presto un terzo ciclo di urbanizzazione che abbraccia senza soluzione di continuità il Medio e Tardo Bronzo e insiste sulle stesse aree già teatro del precedente ciclo. Il nuovo ciclo è caratterizzato da un progressivo restringimento delle aree urbanizzate. Alcune regioni entrano in crisi profonda: nel XVIII-XVII sec. a.C. la valle dell'Indo e l'Iran "esterno" escono progressivamente (e salvo parziali eccezioni) dal panorama dell'urbanizzazione (le migrazioni indoariane sono state addotte quale spiegazione). Altrove (Alta Mesopotamia, Siria-Palestina) vengono abbandonate le zone meno favorite per suolo e acqua e le città sussistono nelle vallate e lungo le coste. Nelle regioni residue l'urbanizzazione conosce uno dei suoi picchi, anche in corrispondenza di una lunga stabilità politica e di un accentuato sfruttamento delle campagne. Nell'Egitto del Nuovo Regno e nell'Anatolia hittita si sviluppano grandi capitali con eccezionale concentrazione demografica e monumentale (Tebe, Khattusha). Anche nei piccoli regni siriani (come Ugarit) l'urbanizzazione conosce un apogeo se non quantitativo certo qualitativo. Il vecchio centro bassomesopotamico ha ormai un ruolo marginale, con calo demografico e dissesto territoriale, e non riesce più a supportare grandi città, se non in quanto residui centri religiosi. In questa congiuntura si inserisce anche la fondazione di città "nuove", come Emar sul medio Eufrate, e di effimere capitali, come Dur Kurigalzu in Babilonia, Kar-Tukulti- Ninurta in Assiria, Dur Untash in Elam e la più famosa di tutte el- Amarna in Egitto.
L'età del Ferro: ridimensionamento e innovazioni - L'inizio dell'età del Ferro è segnato nel Mediterraneo orientale da movimenti di popoli. Mentre nelle regioni a est dell'Eufrate prevale la continuità, nel Levante (Siria, Palestina, Cipro), in Anatolia sud-orientale e nell'Egeo prende forma un nuovo tipo di città, di dimensione minore in confronto ai grandi centri dell'età del Bronzo, portato delle nuove formazioni politiche della città-stato e dello stato etnico. Certe capitali dell'età del Ferro sono poco più che borghi fortificati e la divaricazione tra città e villaggio si attenua alquanto (molti villaggi sono ora cinti da mura). Col venir meno dei grandi apparati di accentramento e redistribuzione e col crescere di funzioni di scambio e trasformazione, anche l'enfasi urbanistica si sposta dalla concentrazione demografica alla complessità funzionale. Il nuovo tipo urbano si adatta alle acquisizioni insediamentali dell'età del Ferro. Vengono insediate e urbanizzate zone di rilievo collinare e montano (precedentemente boscose) e vengono attivate le grandi rotte carovaniere nella steppa e nel deserto (nell'età del Bronzo demograficamente irrilevante). Questa duplice espansione porta ad un'occupazione territoriale più omogenea, anche se più leggera, in forte contrasto con la concentrazione urbana nell'alluvio che aveva raggiunto il culmine nel Tardo Bronzo. Intere regioni vengono urbanizzate per la prima volta: in particolare sorgono i centri carovanieri dell'Arabia centrale (Teima e altri) e meridionale (Saba, Main e altri); sorgono i centri urbani della Transcaucasia (Urartu) e degli Zagros. Altre regioni conoscono una ripresa di urbanizzazione dopo la crisi del II millennio: Iran nord-orientale e Asia Centrale si costellano di cittadelle connesse allo sfruttamento irriguo delle oasi; la Nubia si riurbanizza (Napata) dopo l'abbandono degli Egiziani.
Gli imperi: tra megalopoli e desolazione - Con la metà dell'VIII sec. a.C. lo sviluppo dell'urbanizzazione subisce le conseguenze, negative e positive, della costituzione ed espansione degli imperi (assiro, babilonese, persiano). In negativo si assiste alla distruzione e all'abbandono di numerose città (già capitali di regni autonomi) nel Sud-Est anatolico (Malatya, Karkemish e altri centri neohittiti), nella Siria interna (Hama e altri centri aramaici), in Palestina (Samaria, poi Gerusalemme): tutta la zona tra Assiria e costa mediterranea subisce un collasso demografico e produttivo. Anche le città della Babilonia subiscono un ulteriore tracollo per effetto combinato delle devastazioni belliche e del degrado agricolo: l'urbanizzazione recede a livelli analoghi a quelli pre- Uruk. E viceversa le città assire resteranno a loro volta distrutte e spopolate dopo il crollo improvviso e vistoso del loro impero. In positivo si assiste alla creazione di grandi capitali imperiali, che privilegiano gli aspetti urbanistici e monumentali (soprattutto se di nuova fondazione o rifondazione pianificata) e concentrano grandi masse di popolazione. Dopo la realizzazione di Kalkhu (Nimrud) e dell'effimera Dur-Sharrukin (Khorsabad), l'urbanistica neoassira culmina con la Ninive del VII sec. a.C. Un secolo dopo la breve dinastia caldea realizza la crescita imponente di Babilonia, ma anche la rivitalizzazione di centri provinciali (Borsippa, Sippar, Ur). Infine, la costituzione dell'impero persiano comporta sia il riassetto di centri preesistenti (la meda Ecbatana e l'elamica Susa), sia l'edificazione della grande Persepoli. L'urbanistica achemenide si sviluppa immediatamente, usufruendo dei modelli architettonici e delle esperienze organizzative precedenti, soprattutto neoassiri, ma anche babilonesi, urartei, elamici. Costituisce il coronamento dell'urbanistica antico-orientale, nella fase storica in cui si pone il confronto culturale (e lo scontro politico) con la città greca e il diverso mondo da essa rappresentato. L'età achemenide segna infine una piena affermazione della città nelle aree dell'Iran orientale, settentrionale ed "esterno" (già sede dell'urbanizzazione centroasiatica del Bronzo Antico): capitali di satrapie che sono al tempo stesso centri agricoli (col retroterra di grandi oasi irrigue), militari e amministrativi, carovanieri (sulla grande direttrice della Via della Seta) e frontiera verso il mondo non urbanizzato degli Sciti. Sulla frontiera orientale dell'impero persiano, la valle dell'Indo, dopo almeno un millennio di depressione insediamentale (1500-500 a.C. ca.), vede una forte ripresa di urbanizzazione e statalizzazione (Gandhara, Panjab), in parte stimolata da influenze achemenidi, che prelude al fiorire della civiltà indiana classica (a partire dall'età del Buddha) e alla sua espansione ad est nella valle del Gange (Kosala, Patna, Magdha) e fino alla costa orientale (Kalinga).
Volendo caratterizzare più in dettaglio la città antico-orientale al di là delle varianti spazio-temporali occorre segnalare innanzi tutto alcuni aspetti propriamente urbanistici.
Fortificazioni, città alta, città bassa - La città è quasi sempre cinta di mura (con l'eccezione della "città aperta" egiziana nella fase centrale della sua storia), che sono dapprima (età del Bronzo) enormi terrapieni con corrispondente fossato esterno ed eventuale coronamento in pietra e diventano più tardi (età del Ferro) veri muri in mattoni (alluvio) o in pietra (zone montane e aride). Punti critici e significativi sono le porte urbiche, alle quali la larghezza dei terrapieni conferisce profondità e complessità notevoli e che si caricano di funzioni commerciali e giudiziarie oltre che difensive. Le cinte murarie restano tutt'oggi ben visibili nei centri rimasti abbandonati (in particolare durante l'età del Bronzo). Ma la tecnica costruttiva (col prevalente uso del mattone crudo) e il susseguirsi di distruzioni hanno portato alla progressiva colmatura della cinta originaria e alla crescita verticale dell'insediamento (che acquista la tipica forma del tell o del tepe o hüyük), al quale corrisponde archeologicamente un'accentuata stratificazione. Processi di crescita urbana rispetto a nuclei già stratificati portano all'occupazione di aree esterne (poi a loro volta murate), che si configurano come "città bassa" rispetto ad una "città alta" o cittadella o acropoli che può essere sia centrale sia decentrata. La divisione tra acropoli e città bassa, se ha spesso motivi storici, ha però una netta ragione strutturale: distingue la parte propriamente palatina della città dalla parte abitativa. L'acropoli è la sede del palazzo reale e degli edifici pubblici, la città bassa è il "villaggio residuale". Prova ne sia che tale bipartizione è riprodotta anche nelle città di fondazione pianificata, che isolano (e spesso innalzano) l'area palatina con una cinta interna. Diversa è la soluzione della civiltà dell'Indo: la cittadella è separata dalla città bassa e posta ad ovest di essa.
Gli edifici pubblici - All'interno della città sono le "grandi istituzioni" a conferire l'aspetto generale. Tempio e palazzo sono la sede di molteplici attività di trasformazione, amministrazione, cerimonialità. Da essi dipendono direttamente o indirettamente gran parte dei cittadini, che svolgono le loro funzioni su commissione (in forme giuridicamente varie nel tempo e nello spazio) e a stretto contatto logistico (spesso all'interno stesso) del tempio o del palazzo. Tempio e palazzo costituiscono anche il motivo di richiamo per le visite in città della popolazione rurale in occasioni sia cerimoniali (festività) sia lavorative (corvée). Il palazzo, non solo abitazione della famiglia reale, ma anche sede di attività amministrative, di immagazzinamento e di lavorazioni specializzate, ha struttura complessa. Se ne distinguono due tipologie fondamentali: il palazzo onnicomprensivo, soprattutto in Mesopotamia, da Mari a Ninive, diviso al suo interno in settori funzionali (magazzini, appartamenti reali, archivi, sale di ricevimento, harem, cappelle, ecc.) e organizzato attorno a cortili aperti (eventualmente porticati) su cui affacciano unità edilizie modulari; esiste poi, soprattutto nelle regioni montane, l'area palatina frammentata in edifici distinti (la casa del re, i magazzini, la sala a colonne, il tempio palatino, ecc.) separati da spazi esterni e complessivamente racchiusi da un muro di cinta. Esempi tipici vanno da Khattusha a Persepoli e anche l'Egitto rientra piuttosto in questa seconda tipologia. Gli edifici di culto possono essere o riuniti in un'area "sacra" (tipica l'Eanna di Uruk o il temenos di Ur), ovvero sparsi nel tessuto urbano. La prima soluzione sembra connessa ad un'originaria funzione di centro direzionale (anche politico ed economico), la seconda ad una più precisa limitazione delle attività di culto (ovviamente politeistico) rispetto ad un centro direzionale "laico". Il singolo tempio può avere dimensioni e complessità maggiori se accorpa attività economiche, con magazzini e botteghe (Mesopotamia, Egitto, dove i templi di Ptah a Menfi e di Amon a Karnak raggiungono i 30 ha), o minori se si qualifica esclusivamente quale "casa del dio" (Siria-Palestina); può avere uno sviluppo orizzontale o anche verticale (templi su piattaforma, poi vere e proprie ziqqurrat in Mesopotamia e in Elam). Esistono anche templi extraurbani, come la bīt akītu delle città babilonesi o come Yazılıkaya rispetto a Khattusha. Normalmente extraurbani sono i complessi funerari regi di carattere monumentale, che conoscono uno sviluppo particolare in Egitto, dai complessi di piramidi dell'Antico Regno (Giza, Saqqara) sino alla grande città funeraria di "Tebe ovest" nel Nuovo Regno. La centralità del tempio o del palazzo è un dato generale che si concretizza in misura disparata: si va dalle città della valle dell'Indo, apparentemente prive di "palazzo" (la cittadella ospita granai collettivi, bacini, sale di assemblea), a centri puramente cerimoniali (ad es., in Egitto) ai quali sembra mancare il normale tessuto urbano. In entrambi i casi la documentazione potrebbe però essere parziale e ingannevole. Anche il rapporto tra tempio e palazzo è problematico. In generale il tempio ha presenze multiple (struttura politeistica del Pantheon cittadino) e ruolo subordinato al palazzo; si è però posto il caso della sua priorità e unicità iniziale, rispetto ad un secondario emergere del palazzo "laico". Tale sequenza, basata su dati mesopotamici, non è né certa né tanto meno generalizzabile.
I quartieri abitativi - Detratti gli edifici pubblici, resta il normale tessuto abitativo, suddiviso in isolati da un reticolo di viuzze per lo più di modeste dimensioni e di andamento irregolare, anche se spesso tendente all'ortogonalità per effetto della prevalente forma rettangolare delle abitazioni. I singoli isolati comprendono più case (cioè abitazioni di famiglie diverse), la cui pianta va decifrata dagli accessi e percorsi interni più spesso che non da una tipologia organica. Le procedure di spartizione ereditaria (e poi di vendita, permuta, accorpamento) modificano periodicamente il confine del singolo appartamento all'interno dell'isolato. È spesso attestata l'esistenza di un piano superiore, di norma non preservato archeologicamente: ciò che complica l'analisi funzionale (e certe attività lavorative potevano svolgersi anche sulla terrazza) e i calcoli demografici. La stessa identificazione di cortili interni presenta problemi (specie per scavi non recenti), ma va considerata abituale. Problematica è la definizione di quartieri o "vicinati" sulla base della parentela degli occupanti (possibile in presenza di testi giuridici; Stone 1987). Più agevole (anche in superficie) è l'individuazione di quartieri specializzati in certe lavorazioni, come la metallurgia o la ceramica, in base a impianti, scorie, scarti di lavorazione, prodotti non finiti. Le attività mercantili sono identificabili soprattutto se enucleate in quartieri extraurbani ("colonie" paleoassire di Cappadocia), ovvero in impianti portuali (dalle città fenicie all'indiana Lothal). Infine, una diversa fisionomia dei quartieri risulta dalla stessa dimensione e ricchezza delle case, che configurano zone residenziali per alti funzionari ovvero per modeste famiglie di produttori, fino a quartieri chiusi e pianificati per lavoratori dipendenti, caratteristici dell'Egitto (da Kahun a el-Amarna, a Deir el-Medina).
Pianificazione e rinnovamento - Se da una parte lo sviluppo storico delle città tende a confonderne gli elementi costitutivi, però le periodiche distruzioni e ricostruzioni (per il prevalente impiego del mattone crudo, per il sopravvento di guerre e terremoti, infine per decisioni politiche) offrono occasioni per assetti urbani in certa misura pianificati. Già in fase preistorica sono spesso evidenti villaggi regolari, riconducibili alla forma rotonda o alla griglia ortogonale. La pianta rotonda è attestata anche nelle città storiche, dalla Mari protodinastica alla Zincirli dell'età del Ferro. Si tratta piuttosto di una forma della cinta muraria esterna (la forma più "economica" nel rapporto tra perimetro e area) che non del tessuto urbano che resta condizionato piuttosto dalla griglia viaria. Ma in certe cittadine palestinesi dell'età del Ferro (Beersheba) si ha una positiva corrispondenza tra perimetro ovale e struttura interna a vie concentriche e spiazzo centrale. Più spesso la pianificazione sceglie una pianta rettangolare: se ne hanno esempi convincenti nella Mesopotamia paleobabilonese (Shaduppum, Haradum). Nelle valle dell'Indo la pianta ortogonale è grosso modo evidente e anche la separazione tra area pubblica e area insediativa sembra frutto di pianificazione cosciente. Più tardi il modello rettangolare è intenzionalmente applicato alla capitale neoassira di Dur- Sharrukin; i testi dell'epoca confermano che l'ortogonalità è considerata elemento di ordinato assetto urbanistico. Babilonia e Persepoli presentano anche regolarità e ortogonalità prevalenti e pianificate. La griglia "ippodamea" ha senza dubbio antecedenti lontani e prossimi nel Vicino Oriente.
Dal punto di vista economico la città antico-orientale si caratterizza per un rapporto ineguale con la campagna. In quanto sede del nucleo decisionale e delle attività specialistiche di trasformazione, scambio e "servizi" (culto, amministrazione, difesa), la città impone al suo entroterra agricolo una fornitura tributaria di mezzi di sussistenza in cambio della diffusione di servizi e prodotti specializzati. Come il singolo specialista (artigiano o scriba o altro) non potrebbe sopravvivere senza il cibo prodotto dal contadino, così la città nel suo complesso non potrebbe sopravvivere senza l'apporto di cibo dalla campagna. Ma questa apparente debolezza o dipendenza viene ribaltata, nel normale funzionamento del sistema, in una posizione egemonica e in scelte decisionali che vanno a vantaggio della città stessa. Nella realtà questa schematica contrapposizione, che colloca tutta la produzione di cibo nei villaggi e tutte le attività specialistiche e direttive nella città, viene sfumata per la presenza in città di produttori primari (il già citato "villaggio residuale") e per la presenza nei villaggi di attività specialistiche (fino a veri e propri villaggi specializzati). Sul piano pratico del vettovagliamento lo stesso tetto dimensionale della città è fissato dalla capacità produttiva del suo retroterra agropastorale. Perciò il fenomeno urbano è precoce e vistoso in zone di alluvio irriguo ad alto rendimento cerealicolo (in Bassa Mesopotamia si hanno rendimenti del 20 o 30:1), che per di più usufruiscono di collegamenti fluviali o di canale che soli consentono il trasferimento di raccolti a costi sopportabili. Nelle zone ad agricoltura pluviale, meno produttive, il tetto dimensionale rimane sempre più basso; modestissime sono le cittadine che fioriscono nelle ristrette vallate intermontane e nelle oasi desertiche. La tecnologia dell'epoca determina in linea generale una fascia di pochi chilometri attorno alla città, per lo sfruttamento diretto mediante "fattorie", sia palatine o templari sia private, e per il flusso giornaliero di manodopera dalla città stessa, ed una seconda fascia più ampia di villaggi tributari della città (cessione della "decima" del raccolto, fornitura di lavoro coatto). Il commercio a lunga distanza fa affluire alla città solo materiali ad alta concentrazione di valore (metalli, pietre dure, legni pregiati, spezie) e facile trasportabilità. Nell'ambito dell'unità "cantonale" (città e suo retroterra), solo la città dispone simultaneamente dell'intera gamma tecnologica di una determinata cultura, mentre i villaggi (sia agricoli, sia eventualmente specializzati) ne coprono solo uno o pochi aspetti. Solo la città, soprattutto nel suo settore dirigenziale, utilizza risorse a scopo ostentatorio, sia in ambito religioso (edifici di culto, dedica di ricchezze al santuario, spese del culto giornaliero, feste periodiche), sia in ambito politico (tesaurizzazione e redistribuzione cerimoniale, consumi di lusso che semantizzano i rapporti gerarchici interni). In momenti di crisi politica, quando viene meno la capacità del nucleo dirigente di imporre le sue decisioni, il ridotto afflusso di cibo dalla campagna alla città mette in crisi quest'ultima e ne provoca il tracollo. Più frequenti delle crisi acute sono i casi di sovrasfruttamento di un retroterra agricolo che progressivamente si impoverisce di uomini e di prodotti, mettendo in difficoltà la città che tale disagio ha provocato. Questa vulnerabilità di fondo della città risulta archeologicamente nel fenomeno degli abbandoni (regionali o localizzati, totali o parziali) e nelle sequenze di distruzioni stratificate. Anche se nel complesso le culture dell'antico Oriente sono caratterizzate da un evidente accentramento urbano, però sul piano statistico le zone e i periodi in cui la città è in difficoltà o in crisi sono probabilmente prevalenti. Le spiegazioni spesso addotte, di carattere climatico o ecologico, migratorio o bellico, sono inadeguate e non necessarie rispetto alla più generale spiegazione in termini di complessivo sistema economico.
Senza dubbio, almeno per tutta l'età del Bronzo, la città vicino- orientale è istituzionalmente caratterizzata quale sede del potere politico e delle sue strutture organizzative. La città coincide per lo più con la capitale e la sua vita è condizionata da quanto si svolge e si decide nel palazzo. Tuttavia a margine di questo abnorme nucleo dirigenziale (abnorme rispetto alla città stessa, ma adeguato alla dimensione dello stato nel suo complesso), esistono istituzioni e procedure di autogoverno della comunità cittadina in quanto "villaggio residuale" che si ritrovano anche negli insediamenti non urbani (Finet 1982). Esistono per lo più due organismi collegiali: uno più ampio, detto "l'assemblea" (sumerico ukkin, accadico puḫrum, egiziano ḏ3ḏ3t, hittita pankus, ecc.) o anche "la città", probabilmente composto da tutti i capifamiglia, e uno ristretto di "anziani" o "padri". Esistono poi figure di "sindaci" (accadico ḫazānu, egiziano ḥ3tj-῾) di nomina palatina, ai quali incombe il rapporto col potere politico centrale. Le competenze degli organismi collegiali sono limitate agli aspetti giudiziari, civili e penali, alla gestione delle strutture comunitarie (pascoli, pozzi, canali, proprietà vacanti), alla determinazione delle quote di lavoro e tassazione da inoltrare al palazzo: si tratta dunque di organismi di autogoverno locale, ma non politici. Solo in caso di momentanea mancanza di un re gli "anziani" possono assumere un ruolo politico. È soprattutto con l'ampliarsi degli stati regionali in veri e propri imperi che questi organismi di autogoverno locale acquistano un rilievo politico, sempre nell'ambito dell'impero. La distanza fattasi incolmabile del palazzo porta a rivalutare i livelli decisionali intermedi. In alcune zone (Babilonia, Egitto) sono i templi a riemergere quali strutture portanti dell'intera comunità cittadina, specie qualora ai templi stessi facessero capo grosse estensioni di terre e grossi nuclei di lavoratori dipendenti. In altre zone (Fenicia, città carovaniere) sono le "corporazioni" di mercanti e di artigiani ad assumere un ruolo o almeno una presenza politica che rispecchia la loro preminenza nel determinare le fortune economiche e il genere di vita della comunità tutta. Città templari o ex capitali decadute ricevono spesso, in grazia del loro antico prestigio, franchigie fiscali e immunità giuridiche (incluso il diritto di asilo), consegnate per iscritto in documenti regi, che configurano una sorta di "libertà" (babilonese kidinnūtu) cittadina alla quale si attribuisce un alto valore simbolico oltre che pratico. Città di asilo e "levitiche" sono attestate anche in Israele (alla metà del I millennio a.C.). Così verso il termine della sua parabola, la città antico-orientale, con le sue autonomie e i suoi organi collegiali di autogoverno, rappresenta un parallelo non troppo difforme dal tipo "occidentale" che si era costituito nel frattempo a partire dalla Grecia, al di fuori degli imperi (Liverani 1993). All'estremo opposto resta la capitale imperiale, con la sua pertinenza palatina totale e "totalizzante", sottolineata dalla fondazione pianificata, dal popolamento mediante funzionari e deportati, dalla permanente mobilitazione militare. A questo tipo estremo di città orientale manca ogni tradizione e opportunità di autogoverno e di organismi rappresentativi e la sua contrapposizione alla polis è possibile e non forzata.
Numerosi testi letterari (sumerici, accadici, egiziani, biblici) celebrano la città o suoi elementi significativi (templi e palazzi). La celebrazione è funzionale all'autoidentificazione della comunità statale, dapprima, nell'età del Bronzo, in termini palatino- templari (identificazione nella dinastia regia e nel dio cittadino), poi, nell'età del Ferro, in termini "nazionali". Il caso estremo di Gerusalemme, celebrata soprattutto dopo la sua distruzione, non fa che sottolineare questi valori. Al di là del simbolismo e delle allusioni specifiche, si individuano due elementi qualificanti: la centralità e la complessità. La centralità non è topografica quanto cosmologica: la città e soprattutto il tempio cittadino segnano l'asse verticale del cosmo, che mette in comunicazione il mondo umano con quello divino. Centralità in questo senso significa soprattutto presenza rassicurante della divinità, rispetto ad una periferia caotica in quanto senza tutela divina. Segni palesi del favore divino sono: la presenza in città del sovrano che ordina e sottomette il mondo circostante; la concentrazione di popolazione e di produzione, dunque di "vita", in contrapposizione ad una periferia rarefatta e sede della morte; la vita regolata e comprensibile secondo le norme regie di ispirazione divina. La centralità della città viene evidenziata nei resoconti di costruzione di templi e palazzi reali, ai quali contribuisce tutto il mondo con le varie materie prime (e i vari specialisti) caratteristiche dei singoli Paesi stranieri. È un topos che attraversa tutta la letteratura regia antico-orientale (dalla Lagash di Gudea alla Persepoli di Dario) e che configura un mondo diversificato in funzione dell'unico luogo centrale in cui tutte le risorse vengono poste in opera. L'afflusso di beni dai Paesi lontani (sia esso opera del tributo o del commercio, della spontanea ammirazione o della feroce conquista), come pure dei prodotti agricoli dalla campagna circostante qualifica la città come l'unico luogo in cui la vita può svilupparsi al meglio per la contemporanea disponibilità di risorse che nelle periferie di origine sono inutilizzate o addirittura sconosciute o al massimo configurano delle monoculture non adatte alla complessità della vita. La città non è l'opposto della campagna, ma ne è la massimizzazione: in città c'è più abbondanza e più varietà, dunque più sicurezza e maggiore scelta. Ma non mancano in ambiti di derivazione tribale (come Israele) tendenze antiurbane e idealizzazione della vita nomade e rurale. Gli aspetti ideologici, resi espliciti dalle composizioni letterarie, dovevano essere espressi in forma implicita (e che a noi sfugge in gran parte) dalle stesse forme architettoniche e urbanistiche. Se le piante rotonde o quadrate possono rappresentare semplicemente delle inevitabili "forme semplici", certe piante di palazzi e cittadelle (in particolare centroasiatici: Sapalli, Dashli 3) raffigurano vere e proprie immagini cosmiche. Gli stessi nomi delle città (di nuova fondazione), soprattutto i nomi delle porte urbiche e dei templi, costituiscono motti di celebrazione e di propaganda. I resoconti di fondazione di nuove capitali (da el- Amarna a Dur-Sharrukin) insistono sulla delimitazione dell'area urbana rispetto al mondo esterno e preesistente, con allusioni anche ad aspetti giuridici e cerimoniali che confermano il carattere, pure se non strettamente sacro, certo almeno delimitato e pregnante dello spazio urbano.
Opere generali:
M. Liverani, L'origine delle città, Roma 1986; J.-L. Huot - J.-P. Thalmann - D. Valbelle, Naissance des cités, Paris 1990; M. Liverani, Uruk la prima città, Roma - Bari 1998. Caratterizzazione della città vicino-orientale: A. Schneider, Die sumerische Tempelstadt, Essen 1920; K.H. Kraeling - R.McC. Adams (edd.), City Invincible, Chicago 1960; La ville dans le Proche-Orient ancien, Leuven 1983; M. Liverani, La città vicino- orientale antica, in P. Rossi (ed.), Modelli di città. Strutture e funzioni politiche, Torino 1987, pp. 57-85. Contesto ecologico: P.J. Ucko - R. Tringham - G.W. Dimbleby (edd.), Man, Settlement and Urbanism, London 1972.
Analisi regionali:
Bassa Mesopotamia: A.L. Oppenheim, Mesopotamia. Land of Many Cities, in I. Lapidus (ed.), Middle Eastern Cities, Berkeley 1969, pp. 3-18; R.McC. Adams, Heartland of Cities, Chicago 1981. Alta Mesopotamia: H. Weiss (ed.), The Origins of Cities in Dry-Farming Syria and Mesopotamia, Guilford 1986. Egitto: B.J. Kemp, The City of el-Amarna as a Source for the Study of Urban Society in Ancient Egypt, in WorldA, 9, 2 (1977), pp. 123-39; Id., The Early Development of Towns in Egypt, in Antiquity, 51 (1977), pp. 185-200; J. Parlebas, Les Égyptiens et la ville, in Ktema, 2 (1977), pp. 49-57; M. Bietak, Urban Archaeology and the "Town Problem" in Ancient Egypt, in K. Weeks (ed.), Egyptology and the Social Sciences, Cairo 1979, pp. 97-144; E.P. Uphill, Egyptian Towns and Cities, Aylesbury 1988. Siria-Palestina: A. Kempinski, The Rise of an Urban Culture. The Urbanization of Palestine in the Early Bronze Age, Jerusalem 1978; G.R.H. Wright, Ancient Building in South Syria and Palestine, I-II, Leiden - Köln 1985. Israele: V. Fritz, Die Stadt im alten Israel, München 1990. Asia Centrale: R. Biscione - M. Tosi, Protostoria degli stati turanici, Napoli 1979.
Età imperiale: C. Castel, Habitat urbain néo-assyrien et néo-babylonien, III, Paris 1992.
Monografie e base testuale:
R. Harris, Ancient Sippar, Istanbul 1975; M.T. Larsen, The Old Assyrian City State, Copenhagen 1976; E. Stone, Nippur Neighborhoods, Chicago 1987.
Pianificazione: H.W. Fairman, Town Planning in Pharaonic Egypt, in TownPlanR, 20 (1949), pp. 32-52; H. Frankfort, Town Planning in Ancient Mesopotamia, ibid., 21 (1950), pp. 99-115; A. Badawy, Orthogonal and Axial Town Planning in Egypt, in ZÄS, 85 (1960), pp. 1-12; P. Lampl, Cities and Planning in the Ancient Near East, New York 1968 (solo una raccolta di piante); Y. Shiloh, Elements in the Development of Town Planning in the Israelite City, in IsrExplJ, 28 (1978), pp. 36-51.
Nuove fondazioni: S. Mazzoni (ed.), Nuove fondazioni nel Vicino Oriente antico, Pisa 1994.
Istituzioni urbane: H. Finet (ed.), Les pouvoirs locaux en Mésopotamie et dans les régions adjacentes, Bruxelles 1982; M. Liverani, Nelle pieghe del despotismo, in StStor, 34 (1993), pp. 7- 33.
Ideologia: S. Lackenbacher, Le palais sans rival, Paris 1990; P. Matthiae, Il sovrano e l'opera, Roma - Bari 1994.
di Stefano De Martino
I testi hittiti menzionano centinaia di città e villaggi che facevano parte del regno di Khatti. In realtà il determinativo sumerico URU che, nei testi in hittita cuneiforme, viene preposto ai toponimi può riferirsi sia a città di notevole grandezza e importanza, sia ad agglomerati di poche case. Le ricognizioni archeologiche hanno identificato alcuni siti nei quali sono riconoscibili tracce, sia materiale ceramico, sia resti architettonici, attribuibili all'età hittita, ma in numero di gran lunga minore rispetto ai toponimi documentati nelle fonti scritte. Ancora meno numerosi sono i centri che gli scavi archeologici hanno riportato alla luce; oltre alla capitale del regno hittita Boğazköy/Khattusha (posta a nord-est di Ankara), i siti più significativi sono: Maşat Höyük, corrispondente alla città hittita di Tapigga; Ortaköy, il cui nome hittita era Shapinuwa; Alaca Hüyük, forse da identificare con la città hittita di Zippalanda; Alişar Höyük, da parte di alcuni studiosi ritenuta la città hittita di Ankuwa; Kültepe, cioè l'antica Kanish/Nesha; Kuşaklı, di recente scoperta, che sulla base della documentazione testuale ivi ritrovata, può essere identificato con la città hittita di Sharishsha; İnandiktepe, centro di una certa importanza nell'età dell'Antico Regno. L'Anatolia ha una lunga tradizione urbana che antedata alla nascita dello stato hittita. Il regno di Khatti si è formato grazie alle conquiste territoriali di alcuni principati hittiti e, primo tra tutti, quello di Kushshara; in seguito a queste conquiste sono state inglobate nel regno hittita la gran parte delle città anatoliche del Medio Bronzo. La stessa Khattusha era stata una città khattica, distrutta dal re Anitta, il progenitore della dinastia hittita, e poi rifondata (all'inizio del XVI sec. a.C.) da Khattushili I, che prese il suo nome dinastico proprio da quello della capitale del suo regno. Il sito di Kültepe/ Kanish/Nesha, già centro commerciale di grande prestigio, è una delle città di più antica tradizione hittita, dal momento che gli Hittiti definivano il loro ethnos e la loro lingua con espressioni derivate da questo toponimo. Alaca era stata un centro di notevole ricchezza negli ultimi secoli del Bronzo Antico; anche Alişar presenta una continuità abitativa dal Bronzo Antico. Così accade pure nelle regioni periferiche, come ad esempio a Tarso, dove la città hittita sorge sulle rovine dell'insediamento più antico. Un aspetto che contraddistingue svariati insediamenti hittiti è costituito dai particolari caratteri morfologici dei luoghi sui quali tali insediamenti si trovano; infatti, si tratta per lo più di rilievi montuosi o collinari irregolari, sui quali si innalzano le mura e gli edifici adattandosi alle asperità del terreno. Esemplificativa in tal senso è la stessa Khattusha: essa sorge su una serie di picchi rocciosi, sui quali si impiantano le varie fabbriche. Dalla città alta, dall'acropoli, dalle mura di Büyükkaya si domina l'intero orizzonte a perdita d'occhio e per chi giunge da lontano il sito si staglia con una straordinaria imponenza. Proprio la maestosità naturale del luogo e la sua posizione difesa da protezioni naturali, oltre a motivi di carattere ideologico e soprattutto alla volontà di richiamarsi alla tradizione più antica, devono essere state tra le ragioni per cui la capitale del regno rimase Khattusha, anche quando gli interessi politici ed economici del regno hittita erano ormai proiettati verso la Siria e il Mediterraneo, e vano rimase il tentativo del re Muwatalli II di spostare la capitale a Tarkhuntashsha, in Cilicia. La predilezione degli Hittiti per luoghi difesi naturalmente come sede per le proprie città si riconosce anche nel sito siriano di Meskene/Emar, dove gli scavi hanno portato in luce la città che fu fondata dal re hittita Murshili II alla fine del XIV sec. a.C. Emar sorge su un fianco della falesia ‒ rimodellato artificialmente a terrazzamenti, sui quali sono stati costruiti gli edifici ‒ e isolato, così da essere ben difendibile. Mentre la scelta di un sito impervio e l'opera di rimodellamento di esso rimandano alla tradizione hittita, le planimetrie degli edifici rispondono a modelli locali. Anomalo potrebbe apparire il caso di Ortaköy, posta a nord-est della capitale hittita, non lontano da essa; una spedizione archeologica turca, diretta da A. Süel ha riportato alla luce, in anni molto recenti, i resti di una grande città hittita. Le tavolette cuneiformi conservate in uno degli edifici della città hanno permesso di identificare questo sito con il centro hittita di Shapinuwa, residenza reale alternativa a Khattusha al tempo del re Tudkhaliya III (nella prima metà del XIV sec. a.C.). Shapinuwa, diversamente dalla gran parte delle altre città hittite, non è in un'area sopraelevata, ma in un'ampia pianura delimitata da rilievi montagnosi, cui la piana si collega mediante terrazzamenti naturali. Tuttavia, i rilievi che la circondano sembrano costituire una sorta di cinta muraria naturale e, dunque, ci troviamo, ancora una volta, di fronte ad un caso di integrazione e sfruttamento dei caratteri morfologici del territorio all'interno dell'impianto urbanistico. Un altro elemento comune alle città hittita, ma questa volta comune anche a molti altri centri vicino-orientali del Medio e del Tardo Bronzo è costituito dall'articolazione del sito in una cittadella fortificata, e un'ampia città bassa, circondata da una possente cinta muraria. Mentre la cittadella ospita gli edifici sede del potere e dell'amministrazione e alcuni templi, nella città bassa si trovano altri templi, i quartieri abitativi e i laboratori artigianali. La cittadella può ergersi in un'area centrale dell'insediamento, come nel caso di Kuşaklı/Sharishsha, ma può sorgere anche in posizione fortemente eccentrica, là dove si trovino alture naturali, come nel caso di Khattusha oppure in quello di Ortaköy/Shapinuwa, dove, secondo A. Süel, l'acropoli sarebbe da riconoscere in un'area posta sui rilievi occidentali. Per quanto riguarda le dimensioni delle città hittite, la capitale si estende su un'area di oltre 160 ha. Le altre città del regno di Khatti hanno dimensioni di gran lunga inferiori: Alişar Höyük e Kuşaklı/Sharishsha, ad esempio, hanno una superficie di circa 18 ha.
Le città hittite sono munite di un'imponente cinta muraria. La cinta muraria di Khattusha è stata in gran parte riportata in luce e restaurata; essa sfrutta al massimo le irregolarità del terreno che fungono da strutture difensive naturali, come ad esempio sul lato orientale e settentrionale, dove la parete rocciosa scende verso il torrente Büyükkaya. Diversamente, a sud, dove la morfologia del territorio non presenta tali caratteri, l'area della città è stata separata artificialmente dal territorio circostante mediante un profondo fossato che si congiunge a est e a ovest alle depressioni naturali. La terra prelevata per scavare il fossato è stata utilizzata per innalzare un terrapieno a scarpata alto circa 20 m e largo alla base circa 80 m, sul quale si impiantano le mura. Le mura di Khattusha sono state costruite in due diverse fasi; in una prima fase, documentata nella cinta muraria della città bassa, esse constano di una fortificazione "a casematte" formata da due muri paralleli congiunti da muri trasversali, così da formare delle camere che sono colmate con materiale di riempimento, per uno spessore totale di circa 8 m. A intervalli regolari vi sono delle torri aggettanti. Le fondazioni e parte dell'elevato sono costruite con blocchi di pietra squadrati; su questi si impianta una struttura muraria in mattoni di argilla e travi lignee che termina, forse, con merli, come sembrerebbe indicare il frammento di bordo di un vaso d'argilla, rinvenuto a Khattusha, che riproduce, appunto, una cinta murale con merli. Le mura di età più recente, cioè quelle della città alta, hanno anch'esse una struttura a "casematte", ma sono di spessore minore. Inoltre di fronte a questa cinta muraria se ne erge un'altra più esterna, posta a distanza di circa 4 m da quella più interna. Un analogo sistema difensivo costituto da due fortificazioni parallele è stato recentemente identificato nel sito di Kuşaklı/Sharishsha; qui la cinta muraria è stata messa in luce solo in brevissimi tratti, ma è stata rilevata mediante una prospezione geomagnetica. Si tratta di un muro più interno cui se ne affianca un altro a "casematte"; anche a Kuşaklı, come a Khattusha, questa struttura difensiva è andata a sostituire una precedente fortificazione unica "a casematte", di maggiore imponenza. Una struttura difensiva, databile al Bronzo Tardo, costituita da un muro "a casematte", che ricorda quelle delle città hittite, si trova anche in Anatolia occidentale nel sito di Mileto, sulla costa del Mar Egeo. La città di Milawata, frequentemente menzionata nelle fonti hittite e identificata ormai con il consenso di quasi tutti gli studiosi con il sito di Mileto, per un certo periodo fu sottoposta al dominio di Khatti; ciò potrebbe spiegare la presenza in questo sito di una fortificazione di tipo hittita. Ancora oggetto di discussione è il problema della mancanza di fortificazioni a Alişar Höyük nel Tardo Bronzo I e II; mentre per alcuni studiosi questo potrebbe indicare solo una fase di abbandono della città, un riesame del sito e dei ritrovamenti databili a questo periodo ha portato R.L. Gorny ad avanzare l'ipotesi che questa città hittita per un certo periodo sia rimasta, per particolari motivi di carattere politico, priva della cinta muraria. Lungo le mura urbiche delle città hittite, a intervalli più o meno costanti, si aprono le porte della città; oltre a queste, la città comunicava con l'esterno per mezzo di postierle collegate alla città da tunnel ricavati al di sotto della cinta muraria: passaggi che avevano una funzione strategica in caso di assedio e che si trovano a Khattusha, ad Alaca Hüyük e ad Alişar Höyük. Per quanto riguarda le porte, queste constano di un vestibolo e poi di una o due camere parallele; qui si trovavano massicci portali lignei che venivano bloccati dall'interno. Ogni porta è difesa da due torri all'interno delle quali si trovano diversi ambienti; porte di questa tipologia si trovano a Khattusha, come anche a Kuşaklı/Sharishsha. Alcune delle porte della capitale hittita, cioè la Porta dei leoni e la Porta del re presentano una fortificazione ad angolo retto che si imposta sul muro più esterno della cinta e protegge la rampa di accesso alla porta. Una struttura semplificata ha la Porta delle sfingi, che aveva però una funzione, verosimilmente, solo cerimoniale. Tutte queste ultime tre porte presentano decorazioni a rilievo, rispettivamente, di leoni, sfingi e di una figura maschile stante (forse un sovrano, oppure il dio della tempesta), decorazioni dalle quali esse derivano i loro nomi.
Gli edifici dell'acropoli della capitale hittita, acropoli che si trova sul picco roccioso di Büyükkale, formano un complesso unitario di fabbriche palatine di notevole articolazione. Büyükkale si presenta come una fortezza naturale: a nord e a est la parete rocciosa scende a picco e anche a ovest il pendio è fortemente scosceso. Gli Hittiti hanno reso edificabile l'intera superficie di questo picco roccioso costruendo terrazzamenti verso sud e verso ovest. L'intera area ha una forma trapezoidale dell'ampiezza di 260 × 150 m circa. Gli edifici i cui resti sono ora visibili risalgono alla tarda età imperiale, quando tutta l'acropoli fu riedificata in base ad un progetto edilizio unitario. Le varie fabbriche si articolano lungo tre grandi corti, che corrispondono ciascuna ad aree funzionalmente distinte. L'accesso principale all'acropoli è attraverso la corte inferiore, a sudovest; su questa si aprono gli edifici M, N, G, H cui sono collegati anche gli edifici B e C. L'esatta funzione di ciascuno di questi edifici è ancora oggetto di discussione tra gli studiosi; un complesso a carattere cultuale sembra essere riconoscibile negli edifici B, C, H, che forse si impiantano su santuari di età più antica. Sulla corte mediana si aprono le grandi fabbriche D e A; la prima è la più imponente di tutta l'acropoli ed ospita al suo interno una grande sala a colonne che doveva essere la sala delle udienze. Si tratta di una costruzione che non ha confronti nell'architettura hittita e per la quale è stata ipotizzata una derivazione dalle sale ipostile dei templi e dei palazzi egiziani. L'edificio A, invece, ospita la biblioteca dell'acropoli. A fianco della sala delle udienze vi sono due fabbriche palaziali, E e F, che dovevano avere funzione residenziale. Tra queste, l'edificio E, caratterizzato da un vestibolo che si apre con portico in facciata, riproduce una planimetria di origine siriana documentata a Alalakh e ad Emar e rappresenta un antecedente del tipo di edificio detto ḫilāni, ben documentato nell'area siro-anatolica dell'età del Ferro. Sulla corte superiore, infine, sorgevano edifici, purtroppo mal conservati, che dovevano ospitare gli alloggi dei membri della famiglia reale. Un complesso palaziale in qualche modo analogo a quello di Khattusha, se pure in dimensioni minori, si trova anche a Alaca. Inoltre, un palazzo si è parzialmente conservato a Maşat/Tapigga; si tratta di un grande edificio i cui vani si articolano intorno ad un'ampia corte. Recentemente è stata portata in luce anche parte di una struttura palaziale a Ortaköy/Shapinuwa. Non si conoscono ancora bene vasti quartieri abitativi all'interno delle città hittite, tuttavia abitazioni sono state scavate nella capitale e anche in altri siti, come a Maşat e a Tarso. Le case, analogamente ai palazzi, hanno planimetrie piuttosto irregolari, ma che presentano, in genere, ambienti situati intorno ad una corte o ad un vestibolo coperto. Indipendentemente dalla loro planimetria, le case erano, in genere, raggruppate a blocchi, circondati da strade o da vicoli. In certi casi esse dovevano avere due piani. L'elevato era in una muratura di mattoni di argilla e travi lignei; i tetti dovevano essere piatti.
Elementi costitutivi dei templi, sono il portale di accesso, un'ampia corte, la cella o le celle di culto, una serie di ambienti di servizio o magazzini. I perimetri e le facciate dei templi mostrano uno spiccato gusto per l'irregolarità, riconoscibile anche in alcune fabbriche palatine (ad es., nel palazzo di Maşat/ Tapigga). All'Antico Regno si data il tempio di Inandik, che però ci è giunto in cattivo stato di conservazione; esso aveva pianta rettangolare e facciate esterne con aggetti e rientranze. Molte altre testimonianze di architettura religiosa hittita provengono da Khattusha; qui particolarmente degno di nota è il grande complesso del Tempio I, dedicato al dio della Tempesta e alla dea Sole di Arinna. Si tratta di un edificio di grandi dimensioni, di 160 × 140 m. La struttura centrale, che ospita il tempio vero e proprio, presenta una planimetria che risulta analoga a quella dei templi II-V di Khattusha e del tempio recentemente scoperto nel sito provinciale di Kuşaklı/Sharishsha. Un vestibolo immette in un'ampia corte rettangolare con un portico sul lato opposto a all'ingresso; da questo portico, attraverso una serie di vani minori si accede alla cella o alle celle del culto. La facciata esterna che delimita quest'area del tempio è caratterizzata da forti aggetti. Nel complesso del Tempio I, intorno al tempio vero e proprio vi sono ampi edifici composti da ambienti paralleli di pianta rettangolare con funzione di magazzini, laboratori e archivi di tavolette. Alla fine dell'età imperiale, nella capitale Khattusha, nella città alta, venne edificato un quartiere sacro, progettato in maniera unitaria e realizzato in un lasso di tempo piuttosto breve. I templi di questo quartiere presentano planimetrie standardizzate, molto più regolari rispetto al Tempio I e agli altri templi analoghi sopra menzionati, per le quali si potrebbero ipotizzare modelli di origine siro-mesopotamica.
Si tratta dell'unico centro hittita che sia stato scavato in maniera estensiva e del quale siamo in grado di ricostruire con una certa precisione l'impianto urbanistico. La città come la vediamo oggi è il frutto di una totale riedificazione progettata e realizzata nella tarda età imperiale dai sovrani Khattushili III e Tudkhaliya IV. Mentre la città più antica si estendeva solo sull'area di Büyükkale e della città bassa, nella tarda età imperiale venne inglobata nel tessuto urbano anche la vasta area della città alta. Essa fu fortificata mediante una possente cinta muraria che andava a ricollegarsi alle mura più antiche. In seguito a questo grandioso progetto edilizio Khattusha divenne una delle più grandi città del mondo. I palazzi, residenza del re e della famiglia reale, l'edificio con la sala delle udienze, la biblioteca si trovano tutti sull'acropoli. Come si è detto, essa si innalza sul lato orientale della città. A ovest dell'acropoli è collocata la città bassa; qui vi è il complesso del Tempio I, centro cultuale e amministrativo della capitale fino dall'età più antica. Punto di raccordo ideale tra il Tempio I e l'acropoli è la cosiddetta Casa sul Pendio, un imponente edificio, forse con funzione amministrativa, dove è stato rinvenuto un archivio di tavolette. La città bassa ospita anche un quartiere di abitazioni private e laboratori artigianali connessi con il Tempio I. A nord dell'acropoli si colloca il picco di Büyükkaya, dove, oltre a possenti fortificazioni, sono stati trovati numerosi silos, destinati a conservare grandi quantitativi di cereali, scorte alimentari per la città. A sud dell'acropoli e della città bassa si estende la vasta area della città alta; questa si presenta come un declivio che si innalza dalla città bassa e raggiunge il suo culmine a Yerkapı, dove si trova la Porta delle Sfingi. All'interno di quest'area si innalzano alcuni picchi rocciosi: Yenicekale, Sarıkale, Nişantepe. Su questi picchi si trovano edifici anche di età anteriore al momento in cui, al tempo di Tutkhaliya IV, la città alta fu fortificata ed edificata. Questi edifici esistevano in parte già all'inizio dell'età imperiale, ma si trovavano fuori dalla città; in seguito essi divennero parte integrante della città alta. Particolarmente degno di nota è il complesso delle strutture dell'area di Niṣantepe; sul picco roccioso di Niṣantepe sorgeva una struttura che doveva avere carattere cultuale e che, secondo alcuni studiosi, sarebbe un santuario rupestre come quello che gli Hittiti definivano E NA4ḫekur. A nord-est di questo sono state trovate le rovine di un edificio che doveva avere funzione amministrativa, come dimostrano le tavolette di argilla lì rinvenute e le numerosissime bulle di argilla che sigillavano altrettante tavolette di legno incerate, ora perdute. Il complesso di Nişantepe era collegato alla porta meridionale dell'acropoli mediante un viadotto, che permetteva di superare il forte dislivello del terreno. Come P. Neve ha rilevato, il picco di Nişantepe si trova al vertice di un triangolo ideale, i cui estremi alla base corrispondono alla Porta dei Leoni e alla Porta del Re. Esso, inoltre, è in asse con la Porta delle Sfingi. All'interno di quest'area, nella tarda età imperiale, è stato costruito ‒ secondo un progetto unitario ‒ un vasto quartiere templare. Questo progetto edilizio voluto da Tudkhaliya IV nasceva da diverse esigenze. Il sovrano hittita, con la moltitudine dei templi della città alta, voleva concentrare nella capitale il culto di tutte le divinità dell'impero, riaffermando così il ruolo centrale di Khattusha anche a livello religioso, in un momento in cui la compattezza del regno hittita andava lacerandosi. Inoltre Tudkhaliya, con l'ingrandimento di Khattusha, voleva anche competere con sovrani come il faraone Ramesse II o il re assiro Tukulti-Ninurta ed emulare le opere da loro compiute, rispettivamente, a Pi-Ramesse e a Kar-Tukulti-Ninurta, cercando così di ribadire il prestigio e la potenza di Khattusha nel contesto politico internazionale. Tale grandioso progetto rimase, però, incompiuto; non tutti i templi furono ultimati e al tempo di Shuppiluliuma II, successore di Tudkhaliya IV, alcuni templi caddero in disuso e tra di loro si impiantarono laboratori artigianali. A est di Nişantepe sono stati recentemente scoperti due grandi bacini idrici artificiali. Quello che è già stato portato in luce è opera di Shuppiluliuma II, come mostra un'iscrizione in luvio geroglifico che si trova sulle pareti di una camera ricavata in un angolo del muro di contenimento del bacino stesso. Non sappiamo ancora se questi bacini avessero una funzione cultuale ‒ e, ancora una volta, il modello cui gli architetti hittiti si sarebbero ispirati potrebbero essere i grandi bacini dei templi egiziani ‒ oppure una finalità pratica, come collettori di acqua per la città. Fuori dalle mura di Khattusha si trova il santuario rupestre di Yazılıkaya: tra pareti rocciose emergenti è stato costruito un tempio dedicato ai sovrani defunti. Dei propilei, un vestibolo, una corte ed un portale immettono nelle gole della roccia, dove sono state scolpite le principali divinità del pantheon hittita oltre ad immagini di Tudkhaliya IV, committente dell'opera. Yazılıkaya è l'esempio più felice dell'abilità degli architetti hittiti di integrare gli edifici nel contesto del paesaggio, sfruttando tutte le suggestioni che questo poteva offrire.
La città per gli Hittiti si distingue dalla campagna, dalle montagne, dalle steppe, in quanto sede dell'amministrazione e dell'ordine statale, in opposizione a quei luoghi dove lo Stato non arriva e che sono caratterizzati dal caos. L'amministrazione hittita è organizzata proprio sulla rete delle diverse città, ognuna delle quali, a livelli diversi, gestisce una parte del territorio. Per tale motivo un'area dove non sorgano città appare come priva di possibilità di controllo. Se i documenti hittiti appiattiscono nella definizione di città (hittita ḫappira- /ḫappiriya-; sumerico URU) quelle che erano vere e proprie città e quelli che erano solo villaggi di poche case, tuttavia l'amministrazione dello stato distingue gerarchicamente i vari centri, a seconda della loro funzione nella gestione del territorio. Le tavolette rinvenute negli archivi di Maşat/Tapigga e in quelli di Ortaköy/Shapinuwa (questi ultimi ancora inediti) permettono di conoscere i rapporti intercorrenti tra Shapinuwa, centro amministrativo di media importanza, e la capitale, da cui esso dipende, e quelli tra questo centro e le città minori tra le quali, appunto, Tapigga. I singoli centri svolgono una funzione di coordinamento e controllo sul territorio a livello amministrativo, soprattutto per quanto riguarda lo sfruttamento dei campi e l'allevamento del bestiame, e militare. Allo stato attuale delle nostre conoscenze, non è possibile dire quanto densamente abitate fossero le città hittite, quanta parte della popolazione vivesse nei centri urbani e quanta nelle campagne. L'unico sito che sia stato scavato in maniera estensiva è la capitale Khattusha. Sono stati fatti studi di carattere demografico nel tentativo di definire il numero degli abitanti di questa città. I risultati ottenuti (10.000- 15.000 persone ca.) sono, però, altamente ipotetici. Inoltre, a questo proposito, si deve rilevare come Khattusha fosse essenzialmente una capitale amministrativa e religiosa; essa era una città di palazzi e templi che si estendevano sulla gran parte della superficie urbana, mentre i quartieri abitativi erano limitati all'area della città bassa. L'impressione che si ha è che a Khattusha vivesse un numero limitato di persone; questa impressione è suffragata dal basso numero di sepolture rinvenute nel cimitero di Khattusha, Osmankaya, a nord della città. Attorno alla città, invece, dovevano trovarsi una serie di villaggi agricoli che sopperivano, in parte, al fabbisogno della capitale; le ricognizioni che sono state condotte in anni passati nel territorio attorno a Khattusha e che ora sono state riprese da R.M. Czichon hanno individuato le tracce di alcuni di tali possibili insediamenti. Anche il settore artigianale non sembra essere particolarmente sviluppato nella capitale hittita, dove, invece, andavano a affluire beni che provenivano da ogni parte del regno e anche dai Paesi vicini. Khattusha non si presenta, dunque, né come un centro agricolo, né come un centro di produzione artigianale, né come un emporio commerciale; è una città che deve la sua vita solo al ruolo politico che essa svolge all'interno del regno. Per questo motivo la crisi che determina il crollo dello stato hittita all'inizio del XII secolo porta con sé anche la fine di Khattusha. Ed è significativo, a questo proposito, che Khattusha, diversamente da altri centri hittiti i quali continueranno ad avere una certa importanza in epoca successiva, ospiti in età frigia solo un insediamento di modesta rilevanza.
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di Laura Battini-Villard
Non è facile stabilire una data d'inizio per le opere di difesa nell'area vicino-orientale: le ipotesi divergono profondamente su quale sito restituisca le più antiche testimonianze, in particolare se tale primato spetti a Gerico o piuttosto a siti anatolici come Çatal Hüyük, Hacılar e Mersin. Questi insediamenti, come altri in Mesopotamia (Choga Mami, Tell es-Sawwan, Tell Halaf ) testimoniano l'esistenza di esigenze protettive, anche se per l'età neolitica le opere documentate hanno una funzione solo passiva, di protezione contro gli animali, come il muro di Choga Mami (di soli 60 cm di spessore) o come le case di Çatal Hüyük, addossate l'una all'altra per formare una protezione esterna. Le premesse storiche per la creazione di difese costruite in funzione attiva e passiva rimontano alla rivoluzione urbana. Tuttavia, mentre a Uruk la cinta muraria non sembra anteriore all'epoca protodinastica (2900 a.C. ca.), a Habuba Kabira, una delle colonie di Uruk in territorio siriano sull'Eufrate, le mura munite di torrioni quadrati posti a intervalli regolari risalgono al 3100 a.C. circa. Anche a Tell Afis, in Siria, è stata messa in luce una cinta muraria della stessa epoca, risultato del contatto con la cultura Uruk. Sono inoltre probabilmente coevi a questi insediamenti i siti di Giawa in Giordania, fortificato con due cinte murarie, e di Godin Tepe in Iran, dotato di un muro circolare. Nel III millennio a.C. in Mesopotamia l'aumento delle ostilità per il possesso dei territori provocò un potenziamento delle difese urbane. Conosciamo circa una ventina di città fortificate, di cui la più notevole è Uruk, con 550 ha protetti da un doppio muro: quello interno rinforzato da torri rettangolari e quello esterno da torri semicircolari. Le città mesopotamiche sono munite di una cinta muraria, in genere a struttura piena, ma raramente anche a casematte (Tell Taya), di forma spesso irregolare perché adattata al precedente tessuto urbano (Tell Agrab, Abu Salabikh, Tell Asmar, Khafagia). Spesse in media 6 m, le mura urbane sono rafforzate da torri, all'inizio indifferentemente semicircolari (Tell Agrab) o rettangolari (Uruk, Khafagia), in seguito prevalentemente a pianta rettangolare. Le torri possono trovarsi a intervalli fissi o irregolari, con una distanza media minore di 30 m, che corrisponde alla traiettoria di un tiro di freccia. Per questa fase, allo stato attuale degli studi, si conosce un solo caso di acropoli fortificata (Tell Taya), sebbene a Tell Leilan e a Tell Hamukar le fortificazioni dell'acropoli potrebbero risalire alla metà del III millennio a.C. Le porte urbiche conosciute, non molto numerose, sono a sviluppo longitudinale, con passaggio tra due torri. L'unica eccezione è rappresentata da Tell Taya, dove la porta a sviluppo latitudinale è articolata in due vani separati dal vano della scala. In Siria, dal Bronzo Antico III e poi soprattutto nel Bronzo Antico IV, il numero di città munite di difese aumenta: Terqa, Tell Mozan, Tell Biya (l'antica Tuttul), Tell Sabha e Abu Danne. Se la maggior parte delle mura è di tipo a struttura piena, con spessore che può arrivare fino a 20 m (Terqa), è conosciuto almeno un caso di mura a casematte, spesse 6 m e con una lunga porta di 12 m (Tell Biya). Contemporaneamente, sulla costa siro-libanese, Biblo è cinta da mura. In Palestina sono state scoperte e scavate più di una ventina di cinte fortificate di questo periodo, di cui le più conosciute sono quelle di Gerico, Ai, Tell el-Farah (Nord) e Tel Arad. Le mura, in pietra e in mattoni crudi, cingono tutto il perimetro della città, ad eccezione dei punti difendibili naturalmente, e il loro spessore tende ad aumentare nel corso del millennio a causa delle ricostruzioni successive dovute a crolli, a terremoti e a distruzioni operate dal nemico. Nel Bronzo Antico I la media dello spessore delle mura si aggira sui 2,5-3 m, mentre nel Bronzo Antico II la media è di 4 m, per aumentare ulteriormente sino a 8 m nel corso del Bronzo Antico III, come attestato ad Ai, Bet Yerah e Tell el-Farah (Nord). In alcuni casi (Tell Hesi) le mura sono doppie ed è stato suggerito che la galleria tra le due cinte fosse coperta. Le mura sono rafforzate da torri semicircolari, quadrate e rettangolari, queste ultime di maggiori dimensioni. Come in Mesopotamia, si nota una progressiva rarefazione delle torri semicircolari e quadrate in favore di quelle rettangolari. Le porte sono semplici passaggi, spesso a gomito, e nelle mura si aprono anche postierle molto strette e in genere protette da torri vicine. Anche in Anatolia sono testimoniate opere di difesa nel III millennio a.C.: la cittadella di Troia, ad esempio, presenta un massiccio muro rinforzato da bastioni e dotato di porte a sviluppo longitudinale, dapprima semplici passaggi tra due lunghe torri, in seguito passaggi segmentati a formare dei vani. A Tarso le mura presentano al posto delle torri un percorso a zig-zag; gli spazi interni, una sorta di casematte, sono utilizzati come deposito di attrezzature belliche. All'inizio del II millennio a.C. la Mesopotamia conosce un incremento delle fortificazioni e una differenziazione tipologica in seguito alla situazione politica di estrema frammentazione, alle numerose guerre di predominio e agli sviluppi bellici. Si assiste all'aumento di spessore delle mura (in media 9 m), accompagnato dalla trasformazione delle torri, dal moltiplicarsi delle linee murarie e delle altre difese. Nella regione assira il muro esterno si contrappone al muro di cinta dell'acropoli, come a Mari. Nel sud della Mesopotamia, invece, prevale una sola linea difensiva, quella che comprende l'acropoli e la città bassa, a volte doppia (Tell Ababra). Le mura sono a struttura piena e con torri a pianta rettangolare; le fonti citano anche le torri d'osservazione, di cui purtroppo non sono note le caratteristiche. Le porte urbiche sono ancora costituite da un semplice passaggio (Tell Harmal, Ishkhali) e, più raramente, sono anche a tenaglia (ad es. a Larsa). Le trasformazioni della poliorcetica spiegano il contemporaneo cambiamento delle opere difensive in Siria e in Palestina, regioni in quest'epoca molto vicine culturalmente. Le difese sono costituite da un massiccio terrapieno a scarpata, spesso 30-50 m alla base e 15-20 m alla sommità (Ebla, Tell Tuqan, Qatna, Terqa, Karkemish, Hazor, Dan, Tel Poleg, Tel Zor, Sichem e altri siti ancora); di conseguenza la struttura delle porte urbiche diventa più complessa. Si diffonde la tipologia a tenaglia, costituita da due o più vani comunicanti che permettono di ritardare l'entrata del nemico nella città e di diminuire le possibilità di riuscita dell'ariete. Nella struttura di entrata si trova spesso una scala di accesso al piano superiore e al camminamento di ronda, probabilmente protetto da parapetti. In Siria l'esempio più interessante di questo tipo di porta è a Ebla. In Anatolia e in Iran le informazioni dei sistemi di difesa non sono numerose: Alişar continua la tradizione anatolica delle mura prive di torri e del tipo a casematte, mentre Hasanlu viene fortificata solo alla fine della locale fase IV (IX sec. a.C.). Nella Mesopotamia della seconda metà del II millennio il numero dei siti conosciuti, e dunque delle opere di difesa, subisce una flessione, particolarmente nel Sud. La tradizione difensiva tuttavia non cambia: le mura sono a struttura piena (Nippur, Isin, Assur, Kar-Tukulti- Ninurta), le torri rettangolari e le porte a sviluppo longitudinale (Kar- Tukulti-Ninurta). Nella seconda metà del II millennio a.C. la Siria divenne oggetto delle mire espansionistiche dei grandi regni dell'epoca; ciò portò alla realizzazione nel Bronzo Tardo I di numerose città fortificate (Ugarit, el-Qitar, Tell Mumbaqat) e nel Bronzo Tardo II di fortezze di confine lungo l'Eufrate. In Palestina le fortificazioni sono spesso ricostruite sulle rovine di quelle del Bronzo Medio o riutilizzano i terrapieni precedenti, come a Megiddo e Hazor. Durante la seconda metà del II millennio a.C. l'Anatolia conosce un aumento dei siti fortificati (Kusura, Karahöyük, Boğazköy, Mersin), dove sono ampiamente attestate le mura a casematte. In Mesopotamia, nel I millennio a.C., si assiste ad uno sviluppo enorme delle fortificazioni nelle capitali imperiali, con mura spesse fino a 45 m (Ninive), che assumono un forte valore propagandistico. In Siria le città rafforzano le difese aumentando il numero delle cinte murarie: Karkemish si dota di tre cinte murarie, una per la cittadella periferica, una mediana per la città bassa "interna", dotata di tre porte e di un fortino, e una terza doppia per la "città esterna". Anche Zincirli è spettacolare per le sue linee difensive: essa è dotata di due sole cinte murarie, una per l'acropoli centrale e una per la città bassa, ma quest'ultima è doppia e rafforzata da numerose torri. La cinta muraria dell'acropoli, inoltre, ha una sola porta urbica, oltre la quale si trova un'altra linea difensiva, di lunghezza ridotta e dotata di una porta. La riduzione del numero delle porte, attestata anche a Karkemish, risponde all'esigenza di potenziare le difese e rendere più difficile l'assedio. Nell'età del Ferro I la Palestina conosce una diminuzione delle città fortificate: se a Giloh sono note nuove mura, Bet Zur e Bethel riutilizzano la cinta muraria del Bronzo Medio, mentre le altre città rimangono indifese o adottano il sistema che prevede la disposizione delle case addossate in modo da formare un muro compatto (Ai, Megiddo). Nel Ferro II le città si dotano di mura a struttura piena, spesse tra i 2,5 m e i 4,5 m, o a casematte. I due tipi possono essere in pietra o in pietra e mattoni crudi, con o senza rinforzi di torri e in genere con una sola porta a tenaglia. La frammentazione dell'Anatolia e la situazione politica provocano la creazione di città fortificate e di fortezze nei diversi regni sorti sulle ceneri dell'impero hittita, come l'Urartu, la Frigia, la Lidia e la Caria.
In generale:
A. Mazar, The Fortification of Cities in the Ancient Near East, in J. Sasson (ed.), Civilizations of the Ancient Near East, III, New York 1995, pp. 1523-537. Palestina e Siria: Y. Yadin, The Art of Warfare in Biblical Lands, London - Jerusalem 1963; Z. Herzog, Das Stadttor in Israel und in den Nachbarländer, Mainz a. Rh. 1986.
Anatolia e Siria settentrionale:
R. Naumann, Architektur Kleinasiens von ihren Anfängen bis zum Ende der hethitischen Zeit, Tübingen 1971²; B. Gregori, Sullo sviluppo delle fortificazioni a casematte in Anatolia e Siria-Palestina, in CMatAOr, 1 (1991), pp. 213- 60.
Mesopotamia:
P. Miglus, Die Stadttore in Assur: das Problem der Identifizierung, in ZA, 72 (1982), pp. 266-79; L. Battini, Un exemple de propagande néo-assyrienne: les défenses de Dur-Sharrukin, in CMatAOr, 6 (1996), pp. 217-34; Ead., Les systèmes défensifs à Babylone, in Akkadica, 104- 105 (1997), pp. 24-57; Ead., Les portes urbaines de la capitale de Sargon II: étude sur la propagande royale à travers les données archéologiques et textuelles, in CRAI, 43 (1998), pp. 41-59.
di Paola Davoli
Città fortificate con possenti mura perimetrali a scopo difensivo sono presenti in tutto l'Egitto: la loro esistenza è testimoniata già a partire dal Protodinastico da una serie di tavolozze con raffigurazioni a bassorilievo, che narrano figurativamente alcuni avvenimenti storici inerenti alla fondazione o alla distruzione di insediamenti cinti da mura fortificate. In particolare, sulle tavolozze "del tributo libico" e "di Narmer" tali insediamenti, di forma circolare e quadrangolare, presentano mura perimetrali di grande spessore caratterizzate da bastioni aggettanti collocati a distanze regolari. Durante l'epoca dinastica le città sembrano dotarsi di mura difensive solo nei momenti di instabilità politica, all'inizio della I Dinastia, quando avviene l'unificazione politica del Paese, e nei cosiddetti Periodi Intermedi, caratterizzati da lotte intestine. Resti di mura difensive cittadine costruite in mattoni crudi e pertinenti alle fasi più antiche della storia egiziana sono ancora visibili nelle zone di El-Kab/Kom el-Ahmar e di Abido. Una cinta muraria dello spessore di circa 6 m e di andamento irregolare racchiudeva la città di Hierakonpolis, abitata fino alla IV Dinastia. Poco lontano da essa sono visibili i resti di una fortezza databile alla I Dinastia, di pianta quasi quadrata, con un doppio muro di cinta in mattoni crudi e con camminamenti di ronda. Durante questo periodo anche i palazzi reali e i templi situati all'interno delle città erano circondati da alte mura difensive. La stessa capitale del nuovo Stato, Menfi, fondata all'inizio della I Dinastia, era circondata da un alto e bianco muro, come indica il suo nome arcaico: inb ḥḏ(t) "il muro bianco", di cui tuttavia non rimangono testimonianze archeologiche. Città fortificate del Terzo Periodo Intermedio e dell'Epoca Tarda che si sono conservate fino ai nostri giorni sono ad esempio quelle di el-Hibe, 40 km a sud di Beni Suef, e di Abu Id, 17 km a sud di Edfu. Della prima, fortificata all'inizio della XXI Dinastia per il controllo del Nilo in una zona compresa fra le aree di influenza delle città di Herakleopolis Magna e Hermopolis Magna, si conserva solo un tratto delle mura in mattoni crudi, spesse 12 m circa. Ad Abu Id invece le mura, spesse 5 m e di forma vagamente circolare, sono conservate sull'intero perimetro; nelle mura si aprivano quattro porte, difese da bastioni aggettanti, mentre una massiccia torre angolare proteggeva l'angolo nord-est della città, quello rivolto verso l'entroterra. Mura e torri erano probabilmente provviste di un camminamento, accessibile per mezzo di una scala ancora in situ. L'unità territoriale e la stabilità politica di cui godette l'Egitto durante i periodi chiamati Regni resero superflua la costruzione di mura difensive intorno alle città che non si trovavano in luoghi strategici o lungo le frontiere. Spesso tuttavia gli insediamenti urbani erano racchiusi da una cinta muraria avente una funzione esclusivamente contenitiva. La presenza di un tale muro non è comunque una costante dell'urbanistica egiziana, che conosce anche esempi di città aperte, come è il caso di Akhetaten, capitale durante il regno di Akhenaten (XVIII Din.).
J. Monnet-Saleh, Forteresses, ou villes-protégées thinites?, in BIFAO, 67 (1969), pp. 173-87; A. Badawy, s.v. Festungsanlage, in LÄ, II, Wiesbaden 1977, coll. 194-203; H. Jaritz, On Three Townsites in the Upper Thebaid, in CRIPEL, 8 (1986), pp. 37-42.