Dai Veneti ai Venetici
Nel suo volume Venezia ducale (1), il Cessi, dopo alcune considerazioni generali sull'origine di Venezia, sulle migrazioni e sulla sostanziale romanità della città lagunare, apre la trattazione (Il Preludio) con una apparente antinomia tra Veneti e Venetici che egli subito annulla: "[...> quelli da molti secoli dimoranti sopra la terraferma; questi ospiti delle isole della laguna, quando il turbine delle invasioni straniere si scatenò tra il V e il VI secolo sopra l'angolo nord-orientale della penisola italica. Tra gli uni e gli altri nessuna diversità sostanziale esistette, se non quella progressivamente generata da varietà di ambiente e da singolarità di vicende storiche, che contribuirono a dare nel corso dei secoli una fisionomia propria agli uni e agli altri". Non v'ha dubbio infatti che non si nota certamente una contrapposizione etno-linguistica tra i Veneti della X Regio augustea e le medesime genti trasferitesi nelle isole della laguna e nella massima parte del vicino litorale che nelle cronache alto-medievali sono denominate - e la variante non è insignificante - i Venetici. Di ciò pare non avvertire forse il pieno significato lo stesso Cessi, il quale tuttavia (2) annota che "i profughi [...> con il trapasso non solo degli uomini, ma anche degli organi che questi reggevano, nei domicili ricostruiti dagli esuli della terraferma [...> ebbero il destino definitivamente segnato". Nel trapasso i Veneti erano diventati Venetici. Secondo noi è importante sottolineare che i Veneti diventano Venetici per il profilo dell'amministrazione politica, cioè quella bizantina. E qui anche la linguistica può portare un contributo che non ci sembra del tutto irrilevante, dato che la nuova denominazione trova, secondo noi, una sicura giustificazione.
Si noterà innanzi tutto che nella Venetia romana - unitamente all'Histria costituiva la X Regio - il popolo che maggiormente caratterizzava etnicamente la nostra circoscrizione era costituito dai Veneti, onde il nome della regione la quale non era certo popolata soltanto da Veneti (3). Già Plinio nel suo catalogo delle città (Naturalis Historia, III, 126) all'interno della Venetia identificava e isolava una Venetia maritima e su tale concetto e sulla sua delimitazione territoriale sono molto illuminanti le osservazioni di Santo Mazzarino (4).
È certo che anche il nome latino Venetia o meglio il pl. Venetiae, con riferimento alla città lagunare che ben presto assume una sua consistenza di abitatori e successiva-mente una sempre più ampia importanza politica, si continua per via popolare "in loco" ed è citato anche in testi greco-bizantini come Βενετία (ad es. in Costantino Porfirogenito) (5); ma accanto alla sostanziale latinità della città, non bisogna dimenticare la sua posizione storico-amministrativa dei primi secoli, i suoi legami con l'Esarcato e la dipendenza (e protezione) da Bisanzio. A parte i noti eventi storici, mi preme sottolineare alcuni corollari linguistici che si concentrano e identificano nel nuovo etnico Venetici e nella verosimile coesistenza accanto a Venetia-ae (pl.) di una variante bizantina Βενετιϰή, equivalente a un * Venetica (urbs) di cui abbiamo sicure testimonianze, sia pure indirette. Anzi si può affermare che nel mondo orientale e, in gran parte, centro-europeo, la città - conosciuta evidentemente attraverso la sua originaria aggregazione a Bisanzio - è nota a molti popoli in un primo tempo nella forma greca che abbiamo qui supposta, una forma del resto sopravvissuta per secoli e spesso sino ai nostri giorni in parecchie lingue. Acquista dunque una importanza rilevante il mutamento di Veneti in Venetici al quale alludeva anche il Cessi. Una spiegazione può essere formulata soltanto utilizzando alcuni dati che ci sono offerti dalla linguistica storica, anche se apparentemente di poco conto. Ma si potrebbe subito affermare che mentre Veneti e Venetia rappresentano la tradizione latina, Venetici e * Venetica sono formalmente greci come chiarisco qui sotto. Ma conviene intanto passare in rassegna alcune testimonianze di Veneticus-i o in volgare di Venèdego, Venèdeghi, anzi più precisamente pl. Venèdesi o, con caduta della vocale finale, Venèdes nel significato di "abitanti della vecchia Venetia maritima" e senz'altro equivalente di "veneziano".
Per l'ampia documentazione di veneticus > venèdego possiamo avvalerci di varie fonti, in primo luogo 1) delle carte medievali, 2) delle cronache, 3) di testi letterari in volgare, 4) delle lingue straniere che hanno assunto il termine anche con significati particolari, e finalmente - e assai esplicite - 5) delle fonti storiche bizantine.
Traggo la documentazione delle carte riunite nei due preziosi volumetti di Documenti di Roberto Cessi (6). Cito pertanto ad es. a. 785 "[...> ut a partibus Ravennae seu Pentapolis expellerentur Venetici ad negoziandum" (7) e "[...> iure sanctae Ravennate ecclesiae ipsi Venetici praesidia atque possessiones haberent"; a. 840 (Pactum Lotharii) "[...> Petro, gloriosissimo duce Veneticorum, inter Veneticos et vicinos eorum [...>" (8) e "[...> duce Veneticorum"; a. 852 "[...> Venetici etenim suum censum, sicut consueti sunt, reddere debent [...>" (9); a. 876 "Iohannes Urso duci Veneticorum" (10); a. 877 "Iohannes Urso duci Venetie" (11); a. 880 "Urso Veneticorum duce" (12); a. 883 "[...> salva ex omni populo Veneticorum" (13); a. 888 "Concedimus habenda et ordinanda per abbatem - id est - propriamque quod Sabatinus Veneticus in Quomaclo sancto Colombano tradidit [...>" (14), ecc.
Dalle cronache riporto qualche passo dal Chronicon Altinate e dal Chronicon Gradense, per i quali basti scorrere l'Indice dall'Origo curata dal Cessi (15) che ci attesta quanto comune fosse Venetici: "[...> proterva autem Venetica gentes"; "cum appropinquasset iuxta Veneticorum naves [...>"; "[...> civitate nova Eracliane, in qua tunc magna pars Veneticorum nobilium degebat [...>", ecc. Dalla Cronaca veneziana del Diacono Giovanni (16): "[...> eisdem insulis indiderunt, qui et actenus illic degentes Venetici noncupantur; Heneti vero, licet apud Latinos una littera addatur, grece laudabilis dicuntur [...>" (17); "Quarta quidam insula estat, in quo dudum ab Eraclio imperatore fuerat civitas magnopere constructa, sed vetustate consumpta, Venetici iterum illam parvam composuerunt [...>" (18); "[...> temporibus nempe imperatoris Anastasii et Liutprandi Langobardorum regis, omnes Venetici, una cum patriarcha et episcopis convenientes [...>" (19); "fines etiam Civitatis nove que actenus a Veneticis possidentur [...>" (20); "[...> unde postmodum Venetici illum acri livore interimentes [...>" (21); "[...> Post dicessum cuius omnis Veneticorum frequentia simul collecta quendam civem Heracliane civitatis [...>" (22); ecc.
Per i testi in volgare cito dal Sonetto Travisinus (cioè in dialetto trevisano del sec. XIV) - attribuito da Nicolò de' Rossi, nel codice sivigliano del suo Canzoniere (23), a Liberale di San Pelagio - la forma Venèdes 'Veneziani' accanto a Padeguài 'Padovani' (24). Per il nostro etnico recepito da altre lingue mi rifaccio ad un importante contributo del magiaro János Balázs (25) il quale, tra l'altro, ha potuto chiarire una difficile etimologia ungherese ricorrendo al citato veneticus o meglio alla variante già veneta, venèdego 'veneziano' per spiegare l'ungh. vendég 'ospite', 'straniero', già sottoposto a vari tentativi poco riusciti. Il termine ungherese è stato associato da Balázs al venetic del romeno che significa pure 'estraneo', 'venuto di fuori', 'straniero' e alle designazioni di "Venezia" del tipo Venedik dal greco ΒενετιϰόϚ (v. qui sotto), donde passò già nel secolo XI nel lessico ungherese col senso di 'ospite', 'straniero'. La fonetica magiara è perfettamente a posto poiché la vocale interna di sillaba aperta, con lo spostamento dell'accento sulla prima sillaba, si sarebbe elisa (ven(e)digu), secondo la nota legge di Horger. Si ebbe pertanto regolarmente in ungherese vendég poiché alla base sta proprio il citato venèdego 'veneziano' di cui esistono varie attestazioni; mi limito a ricordare, in epoca relativamente tarda, ad es. a. 1447 Ego Bartholomeus Venedichus nel notaio Servadio Peccator edito recentemente da Franco Rossi (26). Per quanto attiene alla denominazione ungherese citata bisogna osservare soprattutto che nella sua missione religiosa san Gherardo, cioè in ungherese Gellért (un Sagredo proveniente dall'isola di San Giorgio di Venezia), martire cristiano in Ungheria durante il regno di santo Stefano, fu accompagnato da un certo numero di Veneziani al seguito nel 1015. E Gellért rimase in Ungheria sino al 1046 quando morì, si dice, gettato nel Danubio da un gruppo di pagani. Il Balázs conclude la sua penetrante ricerca richiamando l'attenzione degli studiosi sull'area balcanico-danubiana "dove l'influsso dell'Oriente, della Grecia antica, di Bisanzio e della civiltà latina, veneziana, slava ecc. si venne fondendo in una sintesi culturale e linguistica molto complessa ed originale". Indubbiamente Veneticus e * Venetica latino-bizantini avevano avuto nel Medioevo una notevole circolazione in Europa ed in Oriente. E non vorrei escludere del tutto che il tipo toponimico bizantino per designare la città lagunare in Ungheria (ora Velence) sia stato soppiantato in un secondo tempo dal lat. Venetia anche per il nuovo ruolo semantico attribuito a venèdego, cioè vendég 'ospite' e 'straniero' nella lingua magiara.
È poi ovvio che la tradizione latina di Venetia, Venetiae sia presente in altre lingue europee, ad es. riflessa nel polacco Wenecja, nel finnico Venetsia ecc., mentre è ben noto che proprio nella lingua suomi il nome dei Veneti baltici è stato trasferito a designare la Russia che in finnico suona esattamente Venäjä (27).
Tra le fonti bizantine spicca soprattutto l'indicazione che ci dà Costantino Porfirogenito (metà del sec. X) con importanti informazioni sulla nostra città che qui traduciamo dalla nota opera De administrando imperio: "È da sapersi che i Veneti, prima di trasferirsi e di abitare nelle isole che ora essi abitano, erano denominati Henetici ed essi abitavano nella Terraferma queste città, Concordia, Giustiniana, la città di Nono ed altre molte. Bisogna sapere che coloro i quali ora sono denominati 'Venetici' e che prima erano detti Henetici, una volta trasferitisi, fondarono una città munita nella quale anche oggi risiede il doge [dux> di Venezia, una città circondata ovunque dal mare per uno spazio di circa sei milia e vi si versano ventisette fiumi. E vi sono anche delle isole verso oriente della città nelle quali quelli che ora sono chiamati Henetici costruirono delle città fortificate come la città di Grado, sede di una grande metropoli [...>" (28).
Anche più sotto, nel medesimo autore, si insiste sull'etnico nella forma più volte menzionata, accanto alla denominazione latina Βενετία.
Altri autori bizantini accennano pure a οἰ τὰϚ ΒενετϰὰϚ νήσουϚ οἰϰοῦντεϚ (gli abitanti delle isole venetiche) così s. Germano Patriarca (29); oppure Giorgio Pachymera il quale menziona i Βενετιϰοὶ... ΒενετιϰοῖϚ... accanto ai Genovesi ed ai Pisani (30).
Del resto Venezia, come ho osservato da vari anni (31) - ma la mia interpretazione è passata quasi inosservata (32) - fin dal medioevo per molti popoli e lingue era nota nella sua veste fonetica bizantina che è supponibile esser stata - come abbiamo detto - Venetica, in origine forse l'antica Venetia maritima, ed essa aveva il modello nel greco classico, ad es. di Strabone: Βενετιϰή.
La mia modesta novità consisteva soprattutto nel lumeggiare i vari nomi della Serenissima secondo dizioni che giungono sovente sino a noi e che non riflettono affatto la latina Venetia o Venetiae, ma si allacciano alla forma bizantina che abbiamo dovuto postulare sia pure con buoni indizi. Di ciò aveva parzialmente trattato - ma secondo noi non senza errori - lo jugoslavo Petar Skok (33) e successivamente Horace G. Lunt (34) in un articolo parallelo, assai più recente.
Tra i popoli che entrarono per primi in contatto o meglio in conflitto - e fin dall'840 - si debbono porre in prima linea i Saraceni i quali sconfissero la flotta veneziana a Taranto; ma è ben noto che i rapporti con gli Arabi (come del resto tra Musulmani e le altre repubbliche marinare) non furono sempre d'inimicizia e che le relazioni commerciali furono anzi spesso prospere. Per indicare i Veneziani gli Arabi hanno adattato alla loro lingua il noto Venetici e così pure in arabo Venezia è detta Bunduqiya. Tale forma si rifà verosimilmente ad un antecedente *Benetikía > Benedikīa e, a causa dell'instabilità delle vocali atone, da un *Bndkīa si ebbe Bund-, ove il timbro iniziale della vocale fu favorito dalla labiale b-. Tra i geografi medievali arabi accenna al villaggio Bunduqis (con -s verosimilmente di pl. greco o latino) Ibn Rustah (di origine persiana, sec. X) (35). Poco dopo ne accenna Ibn Hawqal (fine del sec. X), il quale nomina il ǧum al-Banadaqīn cioè 'golfo dei Veneziani' (36), mentre Edrisi (37) ci documenta il bahr al-banādigah, cioè 'il mare dei Veneziani', oppure ard al- 'terra dei V.' Il più grande geografo del medioevo non dimentica, subito dopo, Ravenna, cioè rab.nna, "che sta in mezzo al paese dei Veneziani, essa è la capitale dei Veneziani" (38), ove si può intravedere l'eco di fonti più antiche dato che la notizia si riferisce a qualche secolo prima (Edrisi scrive verso la metà del sec. XII). Il doge di Venezia è indicato da Edrisi con la qualifica di malik al banādiqīyyn, cioè 're dei Veneziani' (39) . Tra le lingue orientali che si rifanno alla denominazione bizantina si nota ad es. il turco con Venedik, l'armeno con Venedig ed anche il persiano conosce Wanadik 'Venite', 'Venetian state' (40). Non mancano altre lingue orientali che ci attestano forme le quali riecheggiano quella bizantina da noi supposta.
Ma particolarmente importanti sono gli adattamenti di Venezia nelle lingue slave. Si ha già una attestazione assai antica nel noto passo dello Slovo (Canto delle schiere di Igor) in russo antico ove compaiono i Veneditsi menzionati subito dopo i Nemtsi cioè i Tedeschi, e prima dei Gretsi (Greci) (41). Su tale tema fornì un contributo specifico il Rudnycki (42). Il Vasmer (43) cita pure tale attestazione Veneditsi 'Veneziani' ed esso viene derivato da Veneticum, onde il turco osmanli Vänädik 'Venezia' (44). Non mancano in russo forme più recenti per designare Venezia e i Veneziani e cioè Venetsija o venetsijska zernlija (a. 1634) e veneticeskzj (Zosima a. 1420), forme provenienti direttamente dall'italiano e, come aggettivo, venetsianskij, ma anche venitsejski (in Gogol).
Le forme slovene sono ora diligentemente vagliate dal Bezlaj (45) sotto Benetke (pl.) che indica la città e si affianca al noto Benečija (etnico Benečan) che designa invece, in epoca più recente, "la Venezia slavo-friulana" con allusione all'antico dominio di Venezia (46). L'aggettivo è beneški, benečanski, e nel secolo XVI lo scrittore Trubar usa anche Benetki (qui il Bezlaj rinvia giustamente alle forme che designano i Veneti antichi). Il cèco conosce pure Benátky (gen. pl. Benatek) e le forme, come Venetiae, sono dei plurali, mentre il serbo-croato ha l'ormai antico (termine storico) Mleci (gen.: Bnetaka > Mletaka); molto diffusa è l'espressione storica mletački dužd 'il doge di Venezia'; si vedano ora varie forme dello slavo meridionale nel poderoso dizionario dello Skok (47). Questi ne indica correttamente l'origine in Veneticus, Venetici. È difficile che non abbia una storia ed un antefatto analogo anche il ted. Venedig, anche se lo Skok tenta di darne una diversa interpretazione. Nel cimbro (cioè nel dialetto bavarese dell'Altipiano di Asiago e nella veronese Lessinia) la nostra città è denominata Venedige. Per completare il panorama potremmo citare anche il bulgaro benediski 'veneziano' e il nome di persona bulgaro Venedikov che secondo il recente dizionario etimologico bulgaro (48) verrebbe, attraverso il turco Venedik, dal greco ΒενετιϰόϚ 'veneziano'. Mentre il romeno moderno ha Veneţia di tradizione latina (di certo recente!), come abbiamo già veduto, anche l'ungherese conosce Velence (a. 1519 Venenczeben 'a V.'), da Venetia > Venece > Venence > Velence con dissimilazione (49). Già il Cioranescu (50) attesta il romeno venetic, -că (anche 'ducato veneziano'), derivato correttamente dal medio greco ΒενετιϰόϚ e cf. anche l'albanese venetik (che il Leotti (51) registra solo nel senso di 'ducato' moneta) e lo slavo ecclesiastico venedikŭ. Nel recente Fjalor del 1980 (52) si cita l'etnico venedìkas 'abitante di Venezia' (Banor i venedikut con una forma analoga a quelle qui studiate) ed anche 'karakteristik për Venedikun'. Come abbiamo potuto largamente constatare, la massima parte delle forme riportate presuppongono una base Veneticus, Venetica, Veneticae per cui la nostra postulazione deve considerarsi esatta anche se la forma non compare chiaramente - per quanto si sappia - nelle carte e nelle cronache veneziane.
Risulta bene comprovato che i Veneti, per l'amministrazione bizantina, sono diventati i Βενετιϰοί, cioè i Venetici, secondo l'indole della lingua che utilizza il suffisso -ιϰοϚ frequentemente col valore di etnico. È ovvio che il suffisso -ĭcus non manca in latino, soprattutto in formazioni aggettivali, ad es. civĭcus, modĭcus, medĭcus, famelĭcus, bellĭcus, ecc. (53); del resto anche nel latino volgare -ĭcus, nelle formazioni da aggettivi risulta segnalato in parole soprattutto di derivazione greca, cf. clerĭcus ecc. (54). Ma nel caso di ctetici tratti da etnici, come per i nomi di popoli, ad esempio Gall-ĭcus, German-ĭcus, Ital-ĭcus, il modello è greco o si tratta di prestiti dal greco come in gr. ΠελασγιϰόϚ, ΒωιοτιϰόϚ, ᾿ΕλλενιϰόϚ. Lo riconosce la nota grammatica storica latina di Leumann-Hofmann-Szantyr (55), mentre lo Schwyzer (56) per il suffisso greco -ιϰόϚ, -ή, -όν afferma che esso compare fin da principio in ctetici passati ad etnici. Tali sono già in Omero ᾿ΑχαιϰόϚ, ΤϱωιϰόϚ, ΜηδιϰόϚ, ᾿ΑμβϱαϰιϰόϚ, ΦοινιϰόϚ (mentre in altri casi, quali ᾿Ομβιϰοί, ΓϱωιϰόϚ, ᾿ΑπειϱιϰόϚ gli etnici sarebbero "fremd").
Dalle considerazioni qui sopra esposte e dalla documentazione esibita pare davvero che la linguistica porti dei sostegni validi per concepire il Veneticus-i delle cronache medievali ecc. "Veneziano" una semplice trasposizione greco-bizantina di Venetus e l'adattamento del greco ΒενετιϰόϚ.
Per quanto concerne il nome della Venetia maritima, poi Venezia lagunare, come abbiamo sopra accennato, bisogna distinguere il doppio filone, quello latino che ha avuto successo e continuazione popolare soprattutto in loco e di qui il nome si è diffuso all'italiano antico con una discreta fortuna della forma popolare anche nella toponomastica veneta e altrove. Ma un successo altrettanto vitale in Europa ed in Oriente ha avuto anche la variante bizantina, cioè l'archetipo * Venetica o l'etnico Venetici in funzione di poleonimo, come abbiamo visto qui sopra.
La città lagunare è dunque definita ben presto Venetia e spesso al plurale Venetiae-arum con una contrapposizione ben netta a Padova (v. sopra), città di terraferma, ma l'uso comune di Venetiae al pl. in senso ristretto è comunque dell'epoca altomedievale (esso pare alludere al complesso delle isole). È tuttavia da segnalare che fin dal basso impero compare, per lo meno due volte, il plurale per designare la grande regione continentale (57), uso attestato da alcune epigrafi ove si accenna ad un corrector Venetiarum et Histriae (ad es. in un titolo medenese in onore di L. Nonnius Verus), un uso che si intensificherà a partire dal periodo carolingio, quando la città nascente, frazionata in numerosissime isole, è mentovata nella forma di plurale e non di certo per un modulo dotto dato che se ne hanno attestazioni popolari. Basterà rimandare qui al Ruzzante che ad es. nel dialogo del "Reduce", scena prima, così si esprime: "[...> chilò a le Vegniesie [...>" "qui a Venezia" (58). Ho ritenuto altrove che sia stata la dispersione, il mancato accentramento originario delle isole, da poco abitate permanentemente, a favorire la generalizzazione del plurale (e non è necessario risalire indietro e pensare alla contrapposizione su nominata delle due Venetiae, continentale e maritima, trasferita alla nuova città).
Di tale problema onomastico si è occupato anche il Marinelli (59), ma qui il noto geografo si è espresso erroneamente: "più tardi il nome di Venezia fu assunto dalla città che doveva rendere glorioso in tutto il mondo la quale si diceva semplicemente Rialto; il che sembra avvenuto piuttosto tardi cioè non prima del secolo XIII [ma in periodo anteriore non era forse noto anche Venetica e Venetici?>. Il fatto che suonasse Veniesia, Veniexia, Venessia, Venesia, fa pensare anche ai glottologi che il vecchio nome fosse dimenticato dal popolo e rivivesse poi solamente attraverso la tradizione letteraria". Qui il Marinelli ha preso un abbaglio poiché la sua osservazione va esattamente rovesciata in quanto le forme da lui citate sono assai comuni. Basterebbe menzionare per i secoli successivi la celebre commedia anonima del '500 la Veniexiana (60), oppure la forma friulana Vegnesie (qui singolare!) (61) od ancora l'engad. che conserva tuttora Vnescha (= vneža), il soprasilvano che ha Vaniescha (= vanieža) (62) per convincersi che si tratta di evoluzione fonetica regolare di Venetia-ae. Abbiamo qui una evoluzione popolare normalissima e si dovrà precisare che da ě breve si ebbe regolarmente il dittongo nel veneziano antico (ed j di ie poteva palatalizzare la nasale); da -tj si può avere un esito sibilante sonoro, come ad es. in p a 1 a t i u m > Palasi (toponimo nel Veneto), it. palagio, da a c u t i ā r e si ebbe pure (a)gusár, da i n i t i ā r e > nisar 'incignare'(veneto sett.). È inoltre ben conosciuta la variante dell'it. ant., usata anche dal Boccaccio, Vinegia e vari nomi di località analoghi del tipo la Veneggia (anche a Belluno ecc.). Non v'ha dubbio che la forma attuale Venezia è di tradizione dotta e su di essa si è modellato il venez. odierno Venèsia.
Quanto alle immigrazioni dalla terraferma veneta dei profughi nelle isole lagunari, avvenute sicuramente in varie ondate, con qualche differenza cronologica e con nuclei provenienti da varie zone d'origine, non v'ha dubbio che si tratti di temi e analisi prettamente storiche. Ma anche in codeste ricerche fondate su pochi documenti e scarsi indizi precisi, secondo noi può essere di qualche utilità pure il vaglio linguistico delle parlate lagunari d'epoca antichissima e del periodo - sia pure per induzione - ante scriptam volgare con vari interventi anche della toponomastica. E assicurato che le labili tracce di insediamenti umani precedenti, di scarsa consistenza e spesso sporadici, non continuatisi nel tempo, non hanno avuto di certo alcun ruolo nell'assetto dell'incolato e nella formazione di una o di varie parlate romanze delle origini. È del resto nota l'acuta analisi di Vittorio Lazzarini (63) - cui ha fatto seguito il medesimo Cessi (64) - del presunto documento di fondazione di Venezia nel 421 ad opera dei "Patavienses": un'abile falsificazione quasi per dimostrare che Venezia fosse una filiazione di Padova. Tale documento ha ingannato pel passato (e non soltanto) vari storici che si sono occupati delle origini della città. Ma, come vedremo più particolarmente qui sotto (65), anche in questo caso l'analisi dialettologica viene pienamente a concordare con le argomentazioni dei buoni storici dato che i caratteri linguistici del veneziano antico discordano - e direi profondamente - da quelli del padovano (poi pavano) della medesima epoca. La leggenda veneziana accenna invece a profughi provenienti soprattutto da Altino, anche con l'occupazione di lidi, e della loro espansione verso Grado. Come afferma il Cessi (66): "le correnti iniziali di migrazione sono due: l'una dall'agro altinate in tutta la laguna centrale, sospinta prima verso oriente poi verso nord; l'altra dal territorio aquileiese e friulano la quale, discendendo lungo i lidi gradesi, venne poi a contatto con la prima".
È comunque verosimile che gran parte dei nuovi abitatori delle isole lagunari siano provenuti poi in grande massa soprattutto dalla regione opitergina (e dal Veneto orientale) e anche il Cessi (67) riconosce che la caduta di Oderzo (a. 641) ad opera dei Longobardi (68) determinò un nuovo assetto della provincia veneta e gli Opitergini per vari gradi furono costretti a ritirarsi nell'ambito della laguna anche con le ultime propaggini dislocate lungo la linea costiera. Come è ben noto, il vescovo opitergino emigrò nell'"isola innominata" che ricevette nei documenti varie denominazioni riesaminate di recente da Tozzi-Harari e da Giorgio Fedalto (69). Essa era la Civitas nova "Cittanuova" per antonomasia, ma nelle carte e cronache compare anche nelle seguenti varianti di cui quattro sono quelle fondamentali: Heraclia con la variazione Heraclia civitas, Heracliana civitas ecc., Civitas Nova con la variante Nova Civitas e nelle forme greche Τξιβιάνουβα, Νεόϰαστϱον in Costantino Porfirogenito e finalmente Civitas Nova Eracliana e varianti. Eraclea costituisce pertanto un anello importante tra Oderzo e la grande città lagunare. Qui non ci soffermiamo a ricordare avvenimenti successivi, ben noti, quali il trasferimento delle popolazioni a Malamocco-Metamauco e poi a Rivoalto-Rialto (70).
E pare ora che siano importanti le recenti ricerche archeologiche anche con l'utilizzazione dell'aerofotografia per conoscere meglio la topografia della città che prelude alla nascita e all'ulteriore potenziamento della città lagunare.
Che Oderzo rappresentasse in epoca romana (e preromana) e tardo-antica un discreto concentramento di abitanti, certamente il più importante della regione veneta centrale (assai più di Tarvisium Treviso) è dimostrato da vari indizi. In prima linea dal passaggio attraverso questa città della via Postumia (che invece non attraversava Treviso), da vari episodi di storia romana menzionati dagli autori, e dalla ricchezza di reperti e monumenti anche epigrafici che si protraggono per alcuni secoli, conservati nella massima parte nel locale Museo opitergino (71). Era assai noto l'episodio dell'opitergino C. Vulteius Capito, tribunus militum (Vulteius è di origine verosimilmente venetica), fedelissimo a Cesare ed immolatosi con la sua coorte nelle lotte tra Cesariani e Pompeiani nel 49 a.C. per non cadere nelle mani di questi ultimi: l'episodio è descritto da Lucano e per questo atto di generosa fedeltà Oderzo fu premiata da Cesare (72). Ma gli Opitergini parteggiarono per i romani con un contingente di truppe alla guerra sociale dell'89 a.C. e nell'assedio che la città di Ascoli Piceno subì per molti mesi. Ciò è ora provato - secondo noi - dalle numerose ghiande missili rinvenute nella città, alcune delle quali portano una scritta digrafa (come è stato da me chiarito) (73):.o.ter. χin (...) cioè Otergin in grafia e lingua venetica e Optergin(orum) in grafia e lingua latina. In venetico otergin [...> proviene da una semplificazione di -p⟨i>t- > -t- e la variante O (p) terg- dovette coesistere in epoca romana con il normale Opiterg- altrimenti non si spiegherebbero le forme medievali Ovederzo e Hovederço (la pronuncia popolare è ora uderz^o).
La città romana sorse su un'antica fondazione paleoveneta, ma è probabile che poco prima della romanizzazione il centro abbia risentito, come tutto il Veneto settentrionale, anche dell'influsso linguistico e culturale celtico portato con la diffusione di tribù galliche anche in tale area (come a Tarvisium, Bellunum e certamente in Cadore) (74). Qualche indizio di tale parziale celtizzazione pare essere offerto anche dal ciottolone funerario scoperto da qualche anno ed edito da Aldo Luigi Prosdocimi e dallo scrivente (75). Secondo il Prosdocimi (che tuttavia trascrive le due epigrafi con alcune divergenze rispetto alla mia lezione) tali elementi sarebbero forniti dagli eventuali antroponimi incisi sulla pietra (76). Comunque non mancano vari indizi per supporre che l'area opitergina fosse discretamente popolata, e che altrettanto si può supporre per il successivo trapianto di popolazione ad Eraclea la quale si reputa ora da tutti la principale madre di Venezia. Anche per tali particolari non mancano, come vedremo qui sotto, alcune connessioni con le discipline linguistiche.
I Veneti pre-romani sono, come è risaputo, il principale ethnos dell'Italia nord-orientale e il punto di riferimento per le denominazioni romane di Venetia (Venetia et Histria corrisponde, come è noto, alla X Regio Augustea), della Venetia lagunare (e attraverso il greco-bizantino di Venetici e di * Venetica). Come ultima filiazione tarda di indicazione territoriale incontriamo "Veneto" che prevale su quella di "Venezia Euganea", ora anche in seguito alla costituzione delle Regioni amministrative con nomi ufficiali e delle vicine Regioni a statuto speciale, il Friuli-Venezia Giulia e il Trentino-Alto Adige (ora suddiviso più nettamente in provincia di Trento e di Bolzano-Südtirol). Il coronimo Veneto compare per la prima volta negli ultimi decenni del secolo XVIII per designare le province di Terraferma della Repubblica Veneta. Si tratta di una forma abbreviata che sottintende "dominio o stato Veneto" e solo da quell'epoca il nome si diffonde e diviene popolare (da aggettivo a sostantivo) anche attraverso pubblicazioni ufficiali e soprattutto la cartografia, in particolare dopo che esso venne assunto dall'Austria per designare le provincie venete del "Regno del Lombardo-Veneto" ad oriente del Mincio. Il nostro coronimo, specie nel secolo passato, ebbe qualche timido concorrente nel tentativo - senza reale successo - di introdurre la dizione "Venezia Propria" o "Venezia", mentre ebbe una discreta fortuna, sino ai nostri giorni, "Venezia Euganea", proposto dall'Ascoli con l'approvazione successiva di un altro linguista, Matteo Bartoli (una denominazione, del resto, fondata su di un vecchio equivoco e cioè sulla presunzione che la civiltà pre-romana del Veneto spettasse al popolo, quasi mitico, degli Euganei).
Assai vasta è la bibliografia sui Veneti (o Paleoveneti o "Veneti Primi") nella preistoria e protostoria adriatica (77); essa coinvolge una complessa problematica data la presenza del medesimo etnico (a volte con variazioni minime) in tante aree euro-asiatiche a cominciare dai Veneti dell'Asia Minore e cioè ᾿Ενετοί della Paflagonia menzionati da Omero (Iliade, B 851-2) con variante di Zenodoto (8521, ἐξ ᾿ΕνετῆϚ), da Alcmane, Fr. 1 (Partenio), vv. 50-51, ove incontriamo già ᾿ΕνετιϰόϚ, ecc. (78); per giungere ai Venethi, Venedi, Venedae dell'Europa centrale (Vistola) e del Mar Baltico (" [...> ο῝ τε Οὐενεδιϰόν ϰόλπον [...>" in Tolomeo, III, 5,7), menzionati anche da Tacito (Germania, 46) o ai Veneti della Gallia (Armorica o penisola Britannica), già celtizzati all'epoca di Cesare, ai Veneti della penisola Balcanica i quali corrispondono agli ᾿Ιλλυϱιῶν ᾿ΕενετὺϚ (noto passo di Erodoto, I, 196, fonte di tanti equivoci). Finalmente ai nostri Veneti adriatici che Erodoto distingue chiaramente dai precedenti (V, 9) con la precisazione "[...> ῾Ενετῶν ἐν τῷ ᾿Αδϱίῃ". Di questi ultimi abbiamo una ricca testimonianza nelle fonti classiche e qui ci basti ricordare ad esempio Polibio, II, 17, 5-6 δ᾿Οὐένετοι e τῶν Οὐενέτων, II, 18 ecc. Particolarmente importanti le numerose menzioni di Strabone il quale accanto a "[...> ῾Ενετῶν δ᾿ἐϰ ΠαφλαγονίαϚ" (I, 3, 2 1) oppure "[...> τῶν Κελτῶν ϰαί ᾿Ενετῶν οἰ μεν οῦν Κελτοὶ" (V, 1, 4-5) accenna a "[...> τῆϚ ῾ΕνετιϰῆϚ πωλείαϚ" (ibid.) e "ἐπὶ Αγϰῶνα ἐν δεξιᾷ ἒχοντι τήν ῾Εενετιϰήν [...>" ecc. Va aggiunto l'aggettivale "[...> τὸν Οὐνεδιϰὸν ϰόλπον [...>" in Tolomeo (III, 1), oppure "[...> τῷ Οὐενεδιϰὸν ϰόλπῳ" (ibid., 10).
Da notare come in Strabone siano comuni le formazioni in -ιϰή. Non riporto qui tutte le attestazioni degli autori latini, ma basti vedere ad es. Plinio (III, 38) con l'elenco di popoli tra i quali "[...> Picentes, Galli, Umbri, Tusci, Veneti, Carni, Iapudes, Histri, Liburni", oppure (XXXVII, 43) "[...> et inde Veneti primum, quos Enetos Graeci vocaverunt [...>".
Si pone ora un quesito importante al quale sono state date due soluzioni fondamentali. Sono i Veneti menzionati nelle fonti classiche come abitatori di aree assai lontane tra di loro nell'Eurasia il medesimo popolo indeuropeo suddivisosi e migrato in regioni tanto diverse, o l'etnico ha un significato generico che non giustifica una originaria ascendenza comune? Per la prima interpretazione si cita ad es. la vasta diaspora delle popolazioni celtiche che hanno raggiunto in tempi protostorici e storici (e pertanto controllabili su fonti precise) terre altrettanto lontane tra di loro. Ma per accogliere tale ipotesi non v'ha dubbio che incontriamo alcune difficoltà (anche se superabili) ed in particolare ad es. se i Veneti della Vistola sono - come si ritiene spesso - i progenitori di genti slave come si concilia la profonda e fondamentale diversità della lingua dei Veneti adriatici con quella degli slavi (poniamo, ad es. dei Polacchi)? All'unità di origine dei vari Veneti credeva, tra gli altri, il noto indeuropeista Paul Kretschmer che tentò anche di presentare una acuta sintesi storico-archeologico-linguistica, ove egli, come altri studiosi, associa l'espansione dei Veneti nel secondo millennio a.C. alla diffusione dei "campi d'urna", cioè alla cosiddetta cultura lusaziana (79).
Non alieno dal ritenere l'espansione, la diaspora dei Veneti, analoga - e avvenuta alcuni secoli prima - a quella dei Celti, era anche Michel Lejeune (80). Un'interpretazione diversa è stata invece sostenuta soprattutto da Giacomo Devoto (81) il quale ha pensato ad una tarda ondata di Indeuropei centrali ed ha tentato anche di chiarire il significato dell'etnico * Wene-tó- di struttura nettamente ie. Egli ha proposto di ricavarne un senso simile a un di presso a "conquistatori", "organizzatori", "realizzatori", dalla radice ie. *w e n- che ha peraltro tanti significati e che ha dato origine nelle lingue storiche ad es. all'a. indiano vanoti 'desidera' 'ottiene', ted. Wonne 'desiderio', accanto al lat. Venāri 'cacciare' ecc. Il Devoto ritiene che codesta tarda ondata di Indeuropei abbia sospinto al margine, nell'ampio dominio di tali popoli, ad es. gli Arî, cf. Arya- "termine più aristocratico e sorpassato". Ma anche il medesimo studioso è poi disposto a riconoscere che la diffusione di "Veneti" si equivalga "alla grande regione nella quale con maggiore o minore regolarità e intensità si sono affermati i campi d'urne".
Recentemente è ritornato sull'argomento Aldo Luigi Prosdocimi in una chiara sintesi aggiornata sulla lingua e la cultura dei Veneti (82). Egli sviluppa e puntualizza la tesi del Devoto, pur ammettendo che per l'interpretazione semantica di * Wene-tó-, malgrado la fine analisi e la corrispondenza morfologica esatta proprio nella lingua dei Veneti nostri, non possiamo a rigore pretendere di arrivare ad un preciso significato "mancando precisamente le pertinenze paradigmatiche del sistema [...> in cui il nostro -to- ha dato vita all'etnico [...>".
Va comunque sottolineato che i "Veneti del Veneto rappresentano un filone di Indeuropei il cui etnico era appunto Veneti"; inoltre "che dove arriva l'etnico Veneti vi sono, sì, lingue indeuropee, ma queste né hanno molto da spartire col venetico, né si chiamano 'lingua dei Veneti', bensì celtico, slavo (ittita?) 'illirico balcanico'" (forse progenitore dell'albanese, aggiungiamo noi); ... e più avanti afferma il Prosdocimi che "dove [l'etnico> ricorre fuori del Veneto non vi sono motivi a priori per cercarne affinità particolari che non siano quelle normalmente intercorrenti tra le lingue indeuropee: nel Veneto si è affermato come etnico, perché non ha avuto l'occasione storica di cambiare o di essere conosciuto con altro nome. Cioè Veneti è allora da distinguere in due accezioni: una volta riferito al Veneto è, con gli altri, nello stesso rapporto degli Irani dell'Iran con l'etnico Ario che continua, ad es., in Irlanda". Si sa che per ovviare all'ipotesi che i Veneti della Vistola (o Europa centrale) siano considerati i progenitori degli Slavi per la loro territorialità (si pensi alle indagini della scuola polacca di Lehr-Splawinski) (83), si è pensato ad un trasferimento dell'etnico Veneti, Venedi, insediatisi anteriormente nella regione ove si sono sovrapposti gli Slavi (onde "Vendi"). Ma la presunta equivalenza Veneti-Slavi con i Veneti adriatici (che soli hanno prodotto documenti linguistici) ha persino portato a recenti degenerazioni scientifiche per cui si ebbero da qualche anno in Slovenia dei tentativi (chiaramente dilettanteschi) di interpretare i documenti venetici con l'appoggio delle lingue slave! (84).
Per le ultime novità interpretative (85) e la scoperta ed edizione delle ultime epigrafi venetiche mi basti rinviare ad un informatissimo e meditato contributo di Aldo Luigi Prosdocimi (86).
Anche per l'origine e diffusione dell'alfabeto (o alfabeti) venetico non mancano nel lavoro di Prosdocimi tutte le indicazioni indispensabili per un aggiornamento rispetto a precedenti interpretazioni (87). Che la scrittura venetica fosse di origine etrusca - secondo noi integrata dall'alfabeto greco - si sapeva da tempo. La nostra vecchia ipotesi che il centro principale di trasmissione di tale scrittura ai Veneti debba essere ricercato soprattutto in Adria (ove si incontrarono Veneti, Etruschi e Greci) (88) pare abbia subito da ultimo qualche ritocco e precisazione (spesso puntuale) da parte di alcuni etruscologi tra i quali il Cristofani (89). Questi ha indicato in Chiusi soprattutto la fonte delle varianti grafiche venetiche del primo periodo (90). Ma prima di passare ad una breve esemplificazione con commento essenziale di alcune epigrafi venetiche, mi pare utile una breve digressione sul significato assunto in latino dall'aggettivo venetus, con vari riflessi nelle lingue romanze e nei dialetti italiani.
L'aggettivo venetus in latino acquisì anche il significato di colore. Tale uso fu popolare e si perpetuò nelle lingue neolatine almeno in alcune aree per lo più arcaiche, ciò che conferma una notevole vitalità del termine. Gli antichi ne dettero una spiegazione che, a dir vero, non convince interamente. Come colore venetus indicò l' 'azzurro' il 'blu turchese' o 'verde marino' (v. Vegezio, Epitome rei militaris, 4.37); tale uso starebbe in connessione col "partito degli azzurri nel circo", una delle quattro fazioni che gareggiavano nelle corse del circo. Le fazioni si distinguevano dai colori albatus, russatus (rossastro), venetus e prassinus (verde) (v. Giovenale, 3.170 e soprattutto Svetonio, De vita Caesarum, 14, 3). Venetus venne ad indicare anche l'auriga della fazione degli "Azzurri" così denominati poiché i cocchieri che portavano un copricapo di codesto colore erano degli oriundi veneti; ma 1'Ernout-Meillet (s.v. venetus) soggiunge poi "oppure perché le loro vesti provenivano da codesta regione [la Venetia>" (91). L'interpretazione tradizionale, pur risalendo agli antichi, potrebbe in realtà corrispondere ad una paraetimologia, ma per ora non vedo una soluzione plausibile a codesto problemino etimologico. Importante è comunque constatare come venetus si continui nel significato di colore nelle lingue e dialetti romanzi; sembrava in un primo tempo che il solo romeno (92) ne conoscesse la sopravvivenza in vînǎt 'livido, plumbeo, cinereo' (è anche il nome più diffuso della 'melanzana' in romeno). In realtà l'area di codesto aggettivo è più vasta ed esso denota una variazione nella divisione dello spettro assai comune in tante lingue per i colori. Si noti soprattutto il calabr. sett. vènatu 'livido, cianotico', vènatru 'giallo, verdastro', 'rosso scarlatto', a. napol. vènato 'ceruleo' ed anche prov. venet (93). Si dovrà inoltre aggiungere qui anche vinètico (da venetǐcus di venetus), ant. (Fr. Sacchetti) 'del colore del giacinto' (94).
Il buon accordo tra quanto ci dicono gli autori antichi sui Veneti adriatici ed i reperti archeologici ed epigrafici che vengono loro attribuiti è assai facile da verificare. Alludo in particolare alla loro diffusione ed addensamento all'interno della nostra regione, cioè nell'antica Venetia. Come abbiamo detto essi costituiscono la popolazione più importante del Veneto, ma non l'unica. Tolomeo (III, 1, 26) attribuisce ai Veneti le città di ᾿Ουϰεντία Vicenza, Βελοῦνον Belluno, ῾ϕΑϰελον Asolo, ᾿Οπιτέϱγιον Oderzo, ᾿Ατέστε Este, Παταύιον Padova, ᾿ϕΑλτινον Altino e ᾿Ατϱία Adria. Parallelamente Plinio (III, 130-1) ci conferma tale appartenenza: "Venetorum autem Ateste et oppida Acelum, Patavium, Opitergium, Belunum, Vicetia [...>", mentre egli precisa subito dopo: "Mantua trans Padum sola reliquia [...>" e "Feltria et Tridentum et Beruenses [forse cf. Berga di Vicenza?> Reatica oppida et Euganeorum Verona, Iulienses [cioè il Friuli> Carnorum [...>". La concordanza di codeste informazioni con la diffusione dei reperti archeologici epigrafici è veramente straordinaria; esse ci offrono la possibilità non di trarre soltanto degli indizi, ma delle autentiche conferme per l'etnostoria regionale. Ad es. tutte le città menzionate, attribuite ai Veneti, ci hanno fornito importanti documenti epigrafici della lingua venetica senza possibilità di alternative.
Un problema particolare è posto dalle antiche popolazioni dell'Istria, della Dalmazia ed in generale della Balcania settentrionale, qualora volessimo seguire da vicino le opinioni di alcuni studiosi (e sono degli specialisti) i quali hanno ora relegato il concetto di "illirico" - che, come si sa, ha imperversato per vari decenni come uno strato linguistico assai diffuso in Europa, con la falsa attribuzione a tale popolo anche dei nostri Veneti - unicamente nella regione balcanica meridionale a Sud del fiume Nerenta (Neretva), cioè nel territorio degli Illyri proprie dicti. E la tesi ufficiale, ora generale tra gli studiosi albanesi, è appunto quella di una origine illirica degli Schipetari (una tesi che anche noi ci sentiamo di poter sottoscrivere). G. Alföldi e J. Untermann (95) hanno ritenuto, sia pure come ipotesi, di individuare anche nella regione istriana e dalmatica un filone venetico attestato da una tipica antroponimia e da formule onomastiche delle epigrafi che richiamano quelle del Veneto.
Conviene ora indicare quali sono i principali luoghi veneti di reperimento dei materiali archeologici ed epigrafici. In prima linea si pone Este, la capitale dei Veneti primi, con imponenti reperti, ora riordinati nelle numerose sale del grandioso "Museo Nazionale Atestino", riaperto al pubblico recentemente. Segue Padova, Vicenza, ora anche Altino, il Medio Piave con Montebelluna e Covolo e ad oriente Oderzo (recentemente ci ha procurato un nuovo ciottolone sepolcrale di dubbia interpretazione). Il Cadore è il centro principale dei reperti venetici settentrionali (le iscrizioni sono quasi un centinaio) soprattutto mediante la stipe votiva di Làgole di Calalzo individuata (da G.B. Frescura) nel 1949 ed esplorata negli anni successivi. Spettano pure al tipo venetico settentrionale (a volte con influsso celtico) anche le poche epigrafi di Belluno e quelle assai più ricche di Gurina, di Würmlach (su roccia, ora al Museo di Klagenfurt) e del Findening Thörl nella Valle di Zeglia (Gailtal) in Carinzia. Ad oriente conosciamo tre testi (uno mutilo) da Idria della Baccia (ora Iugoslavia) e da San Canziano presso Trieste su situla sepolcrale. A Sud Adria occupa una posizione particolare; pur rientrando nel territorio di lingua originariamente venetica, la città ci offre una chiara testimonianza di simbiosi con elementi etruschi e greci attestati da fatti storici ben noti (oltre che dalle epigrafi): una simbiosi che - secondo noi - può aver favorito la trasmissione della scrittura etrusca (integrata da elementi greci) ai Veneti, i quali la hanno adattata per rappresentare una lingua assai diversa dall'etrusco (96). Le iscrizioni venetiche si possono ripartire in due grandi categorie: quelle sepolcrali e quelle votive, ma non manca un sicuro esempio di iscrizione confinaria a Padova (v. qui sotto) e di un marchio di fabbrica patavino di cui sono stati reperiti negli ultimi anni vari esemplari ed un testo di Padova (di alcune righe, mutile) di difficile collocazione (contiene sicuramente vari nomi di persona). Non sono poi di facile interpretazione i graffiti di Würmlach con incisi alcuni antroponimi (uno verosimilmente germanico) che qualche studioso vorrebbe sottrarre (non credo a ragione) al nostro repertorio venetico. I testi sono scaglionati nell'arco di circa sei secoli (dal VI al I a.C. con interessanti esempi di documenti che già risentono dell'influsso latino, dapprima nell'alfabeto e poi anche nella lingua e nelle formule onomastiche). Le iscrizioni più antiche, di Cartura (v. qui sotto) e di Lozzo Atestino, non conoscono ancora la tipica interpunzione sillabica che caratterizza, con notevole regolarità, tutto il corpus epigrafico venetico ed è di origine etrusca, come ha già ben chiarito E. Vetter (97). La scrittura venetica, pur unitaria nel complesso, offre qua e là alcune notevoli varianti locali soprattutto nella rappresentazione delle dentali oltre che nel ductus delle lettere.
Alcune pagine recenti sulla "classificazione del Venetico" sono dovute al Prosdocimi (98) che qui riassumo brevemente. Scartata, e da tempo, la ormai vecchia ipotesi "illirica" dovuta soprattutto al fraintendimento del noto passo erodoteo (99), viene proclamata l'autonomia del Venetico da parte di uno dei più fedeli sostenitori del panillirismo (trasformato poi dal medesimo studioso in "antico europeo") e cioè da Hans Krahe (100). Ma le affinità della lingua venetica, con i suoi nuovi documenti e le rinnovate interpretazioni, portavano assai nettamente in direzione latina (pur non mancando, come avviene in ogni lingua, le isoglosse in comune con altri idiomi). "Si può dire [afferma il Prosdocimi> che il venetico a tutti i livelli rilevabili (fonetica, morfologia, lessico) mostra una innegabile affinità col latino. È evidente che questa interpretazione è strettamente legata alla questione della (non) unità latino-italica.
Come peculiarità [...> il venetico ha nei riguardi del latino e - malgrado la punta adriatica dell'umbro -, dell'italico (con cui però le isoglosse sono in numero decisamente minore), una discontinuità che riporta le affinità che non siano imputabili a fenomeni di convergenza, ad epoca preitalica [...>".
In altre parole non si può ormai tenere in disparte la nostra lingua nella discussione sulle affinità remote, preistoriche o soltanto dovute a contatti storico-culturali avvenuti in Italia, tra il gruppo linguistico definito latino-falisco e quello osco-umbro (secondo la concezione dei linguisti italiani, "italico"). La innegabile affinità fra gli antichi Veneti e i Latini porta poi il Prosdocimi a formulare alcune considerazioni sull'impatto storico avvenuto tra i due popoli e risoltosi di norma con rapporti di amicizia: "riteniamo ragionevole pensare che fu questo fatto a promuovere se non a determinare il particolare atteggiamento dei Veneti verso i Romani quali fedeli alleati a partire dalla seconda metà del III secolo a.C. e di converso a fondare questo atteggiamento potrebbe essere venuta, da parte romana, l'invenzione della saga di Antenore, fondatore di Padova, alla guida di (V)eneti-Troiani, in parallelo alla tradizione romana della protofondazione da parte del troiano Enea".
Il venetico è dunque chiaramente una lingua indeuropea di tipo kentum come lo è il latino col quale presenta molte convergenze. Basterebbe citare venet. ego cf. lat. ego, gr. ἐγώ, di contro a sanscr. ahám; oppure si noterà la desinenza di dat. sg. rispettivamente in -ai, -oi, -ei, come nel latino arcaico: Brigdinai, Voltiomnoi, Fontei ecc.; il genitivo dei temi in -o- caratterizzato dalla desinenza -i come lat. lupi, cf. venet. keutini. Il verbo 'donare', come in latino, si presenta con l'ampliamento do-na, ad es. dona-s-to 'donavit' ove -s- contraddistingue il preterito e -to la 3. pers. del medio. Anche nel lessico vi sono notevoli isolessi. Qui mi basti menzionare l'iscrizione venetica più lunga (e forse la più antica), venuta alla luce da circa due decenni a Cartura (Padova). Essa è redatta in scriptio continua ed è priva di puntuazione sillabica; è incisa su di un blocco di pietra ovoidale lungo il margine. La trascrivo dapprima senza divisione delle parole: eχovhonteiersinioivinetikarisvivoioliialekvemurtuvoiatisteit, cioè in grafia interpretativa: ego Fontei Ersinioi/ Vinetikaris vivoi olialekve murtuvoi atisteit. Si tratta di un epitaffio chiaramente divisibile in due enunciati. Nel primo si nota la formula usuale dei monumenti funerari e cioè: "io [monumento sepolcrale> appartengo a Fonte figlio di Ersino" (-ei è dativo dei temi in -i, -e ed in consonante, cf. la terza declinaziona latina). La seconda frase rappresenta una precisazione, cioè la dichiarazione del personaggio che ha eretto il monumento espresso al nominativo in -is (potrebbe esser stata anche la moglie), cioè Vinetikaris, nome di persona, verosimilmente composto arcaico, con varie possibilità di interpretazione puntuale (101); alla fine si nota chiaramente un verbo, atisteit forse da *ati- preposizione 'sopra' o simile e un derivato del tipo tematico da st + -e/o, cf. lat. stare o gr. ῝στημι, a un di presso 'fece erigere'. Non mancano esempi nel Veneto romano di monumenti funebri eretti dalla moglie per sé ed il marito ancor vivi (v. C.I.L., V, 2515, 2711 da Este, 0 2909 e 3004 da Padova). Chi ha eretto la tomba lo ha fatto per Fonte "vivo quandoque mortuo".
Non mi soffermo ulteriormente nell'analisi di testi venetici, ormai ampiamente esplorati ed interpretati. Riporto invece qui sotto il giudizio sulla posizione del venetico in seno all'indeuropeo, come è espresso da uno specialista del valore di Michel Lejeune (102).
Le sopravvivenze del venetico e della cultura venetica in epoca latina sono soprattutto ben visibili nei numerosi antroponimi che si continuano nelle epigrafi latine della regione; basterebbe citare qui un solo esempio di epigrafe padovana in cui tutti i nomi di persona risalgono allo strato prelatino: L. Lemonius C.f. Mollo sibi et Fremantioni vxori (C.I.L., V, 2974) e tante altre. Lo Zamboni (103) ha rilevato tracce evidenti della tipica puntuazione sillabica etrusco-venetica in alcune iscrizioni latine della X Regio; si noti ad es. dul.cis.si.mo I.re.ne (C.I.L., Aquileia) e per le continuazioni antroponimiche basterà scorrere il volume di J. Untermann (104) per trovare un ricco campionario di nomi di persona latini che risalgono al venetico. Tra questi il tipo onomastico Voltiomnos (v. qui sopra), anche Volsomnos con -tj- > s che compare persino nella forma di ipocoristico Volsso attestato a Fianona in Istria (C.I.L., III, 3040). Raffaele Battaglia (105), Cesira Gasparotto (106) e anche Giulia Fogolari (107) hanno fornito interessanti panorami culturali sui Paleoveneti e attraverso i reperti di scavo hanno cercato di ricostruire la vita sociale, i costumi, l'arte, le credenze, i culti, la religiosità degli antichi progenitori; essi non si sono sottratti al tentativo di individuare continuatori veneti anche moderni per alcuni particolari del costume e dell'abbigliamento.
Ma la veneticità è riflessa soprattutto dai nomi locali, molti dei quali sono già attestati nelle fonti classiche, mentre altri, di documentazione medievale, offrono qualche preziosa spia del filone preromano. A dir vero non è sempre facile distinguere, ad es., tra nomi venetici e gallici (v. qui sotto).
Di grande interesse proprio per Venezia ed il Veneto ci sembra la probabile sopravvivenza di alcuni tipi onomastici in cognomi veneziani assai antichi riferiti per lo più a famiglie nobili e già prima del 1000. Essi sono caratterizzati dal suffisso -igo; si noti ad es. Mocenigo, Pasqualigo, Gradenigo, Barbarigo ecc., ove ci è sembrato, già da tempo (108), che essi possano riflettere i vecchi patronimici, diffusi soprattutto nel venetico settentrionale, formati mediante il suffisso -ikos. Tale ipotesi è stata accolta anche da G. Folena (109) e merita di essere ulteriormente indagata (110). Si notino in ogni caso alcuni patronimici venetici tratti da iscrizioni preromane settentrionali (specie cadorine): Andeticobos (dat. pl.), Aplisikos, Deipijarikos, Dillikos, Fouvonikos, Pittammnikos, Voltoparikos ecc. e nelle epigrafi latine, come ripresa del modello prelatino, possiamo menzionare ad es. Cammica (Adria), Sumbica (Carrara S. Stefano, PD), Paeticus (Castellavazzo, BL), Cusica (Concordia), Turica (Umago) ecc. (111).
Si può pure supporre che risalga in definitiva al preromano anche il suffisso antroponimico -esso, assai comune nel Veneto, del tipo Valaresso (assai antico), Carlesso, Polesso ecc. In codesto caso il suffisso sarebbe il gallico -asius (attestato spesso nel Veneto specie occidentale); con metatesi - come confermano molti casi della toponomastica bellunese - si ha -aiso e di qui -esso, ove il dittongo -ai- ha inibito, come nel caso di -au-, la sonorizzazione di -s- (-ss- è nota grafia per la sibilante sorda) (112).
Tra i toponimi prelatini del Veneto non è sempre agevole identificare con sicurezza i filoni linguistici cui essi appartengono; tuttavia non v'ha dubbio che la maggioranza di essi può essere ascritta, con buone probabilità, alla lingua venetica: una lingua che nella ampia trattazione di A. Karg (113) passa ancora sotto l'etichetta antiquata di "illirico". Citiamo qui sotto un campionario di nomi locali antichi. Ad es.: Aponus... "fons Ven. in agro Patavino", che corrisponde all'odierna Abano nei colli Euganei; le attestazioni fondamentali sono le seguenti: "Aponus terris, ubi fumifer exit [...>", Lucano, VII, 193; abl. Apono (Opano, Opavo), Silio Italico, XII, 218; gen. "fontes Aponi rudes [...>", Marziale, VI, 42, 4; "in Aponi fontem", Svetonio, Tiberius, 14; "Aponus", Ausonio, XX, 161; acc. "Aponon", Claudiano, Carmina minora, XXVI, 90; "Aponus", Ennodio, Epistole, 5, 8; "sine tormento cura [...> balnea contra diverso; dolores corporis attributa. quae ideo Aponum graeca lingua beneficialis nominavit antiquitas [...>", Cassiodoro, Variae, II, 39, con una sua chiara paretimologia greca: ἄ-πονοϚ 'senza dolore'. In forma aggettivale troviamo "Apona [...> tellus" in Marziale, I, 61, 3. Appare evidente che il nostro toponimo di origine idronimica è collegato con le acque termali celeberrime fin dall'antichità. Esso coincide col nome della divinità salutifera venerata in loco ed alla base del nome sta una radice che allude ad 'acqua'; in diretta connessione ad es. con l'a. ind. apah 'acqua'; il Prosdocimi suppone una derivazione tanto da *ap- "schiettamente venetico" e con minore convinzione da un akw -ono- con labializzazione celtica di kw (114). Gli storici romani localizzarono proprio ad Abano un oracolo di Gerione che si connette con le acque salutari le quali scaturiscono dal sottosuolo della nostra località. Eccezionale è la continuazione romanza di -p- intervocalico, in Aponus, con -b- di Abano, ma l'equazione è perfetta e non mancano altri esempi in cui -p- originario invece che dare -v- è forse ritornato alla fase precedente -b- (vari esempi di ripa passato a riba).
Tarda è l'attestazione del fiume Piave, ad fluvium Plabem, Plavem, (e varr. dei codici), Paolo Diacono, Historia Langobardorum, II, 12 e acc. Plavem, Venanzio Fortunato, Praefatio e Anonimo Ravennate, Cosmographia, IV, 36. Ma il nome del nostro fiume è contenuto anche nel toponimo Duplavilis, Paolo Diacono, II, 13 ed etnico, acc. Duplavenenses, Venanzio Fortunato, Vita s. Martini, IV, 668: toponimo che corrisponde all'attuale Valdobbiadene (115); il nome con Du- dovrebbe alludere a due alvei che il fiume formava nella suddetta località; ne è connesso anche il nome tedesco di Sappada, ove nasce il fiume (in Comèlico ai piedi del M. Peralba) e cioè Bladen (dial. plôdn) ed anche cf. Biàdene (TV). Il genere del fiume è femm. nei dialetti veneti (la piàu) e tale particolarità è riflessa anche in Dante, Paradiso, IX, 27 che usa Piava. Si può spiegare con la radice ie. *plow- 'scorrere', cf. lat. pluere, germ. flawjan, a.a. ted. flawen, con il passaggio di -ow- ad -aw- (116).
Liquentia fl.; ora Livenza, flumen Liquentia, Plinio, III, 126 e nella "Tabula Peutingeriana" fl. Licenna; "Liquetia flumina iuxta Padum et Athesim [...> est etiam fluvius Liquetius 'Liquetia' proprium est nomen, non epitheton, unde apparet quia 'Liquetia' legendum est, non liquentia", Servio, In Vergilii Aeneida commentarii, IX, 678; Liquentia, Anonimo Ravennate, IV, 36; Liquentiam, Venanzio Fortunato, Praefatio; ad pontem Liquaentiae, Paolo Diacono, V, 39. A partire dal sec. XIII si ha la forma Livenza, assai verosimilmente venetica da confrontare col lat. liquēre 'scorrere' o può esser stato influenzato da tale forma latina. La risoluzione romanza di ĭ (in lĭquen-) in -i- per il comune -e- è altre volte attestata in codesto contesto atono.
Medoacus, Meduacus che corrisponde al Brenta, ma le fonti antiche accennano a un M. maior e minor che corrispondono al Brenta e al Bacchiglione; si noti: ...ϰαλεῖται ὁ λιμήν ΜεδόαϰοϚ..., Svetonio, V, 213; Meduacus amnis, Livio, X, 26; Meduaci duo..., Plinio, III, 121; fl. Meduacum, "Tabula Peutingeriana" ed ivi maio Meduaco e mino Meduaco. L'Olivieri (117) tenta di spiegare come da maior meduacus, per trafila fonetica, si giunga all'attuale Malamocco della laguna veneta (118) e per l'origine si veda il contributo di Anna Karg (119) che cita, per quanto concerne l'elemento radicale, località illiriche quali Medione, Μεδεών, Meteon; ma altri richiama invece il celtico Meduna che potrebbe collegarsi con un *medhu- 'medius' (il suffisso -acus richiamerebbe piuttosto il celtico) (120). Quanto a Brenta - che figura nella forma Brinta nella "Tabula Peutingeriana", in Venanzio Fortunato, Praefatio e Vita s. Martini, IV, 677, Anonimo Ravennate, IV, 36 - non mi pare destituito di fondamento il riscontro col preromano brenta 'conca' o simile (121). Non è forse casuale l'assonanza con Brundulum ora Brondolo che si trova alla foce del fiume (v. Plinio, III, 121) (122).
Silis ora Sile; … fluvius Silis ex montibus Tarvisanis, Plinio, III, 126 e Sile nell'Anonimo Ravennate, IV, 36; può essere connesso con forme medievali assai diffuse del tipo silanus `canale' che sembrano risalire ad un tema *sil-/sila 'canale' o simile (123).
Tiliaventus oggi Tagliamento è attestato Τιλαουέντου ποταμοῦ in Timostene in Tolomeo, I, 15, 4; Tiliaventus Maius Minusque, Plinio, III, 126; Τιλαουέντου ποταμοῦ (con le varr. Τιλαουέπτου ecc.), Tolomeo, III, I, 22; fl. Tiliabinte nella "Tabula Peutingeriana"; Teliamenti, Venanzio Fortunato, Vita s. Martini, IV, 655; Taliamentum, Anonimo Ravennate, IV, 36, a. 802 Taliamentum, a. 888 inter Tiliamentum et Liquentiam... (124). Connesso tradizionalmente col prelat. telia, cf. lat. tilia, irl. teile 'tiglio' 'luogo ricco di tigli' (125). Che corrisponda ad un romanzo "tagliamento" da tagliare è ipotesi assolutamente errata, contraddetta anche dalle attestazioni antiche le quali presentano una oscillazione b/m che si può ascrivere al celtico secondo C. Battisti (126).
L'Isonzo è attestato come Aesontius in iscrizione latina di Aquileia (127), e come Pons Sonti nella "Tabula Peutingeriana"; super Sontium, Cassiodoro, Variae, I, 29 e forme analoghe in autori tardi. Pare pertanto risalire ad un tema AIS- frequente anche in idronimi del tipo Aesinus, Aesarus e forme dal medesimo tema, in grado ridotto, anche Is-arcus, Isaro-a ecc. da connettere coll'a. ind. iṣaraḥ 'rapido, veloce'.
Il Timavo è assai celebre fin dall'antichità, dato che fu anche divinizzato; si notino anche le attestazioni epigrafiche: Ti. Poppai Ti.f. Temavo, C.I.L., 12, 2195 (Aquileia); Temavo voto (suscept) o (128); Ποταμὸν τὸν Τίμαυον, Poseidonio in Strabone, V, 215; gen. Timavi, Virgilio, Bucolica 8, 6 e Georg. 3, 475, Aeneis, 1, 244; ad lacum Timavi, Livio, XLI, 1 e 2 e altre numerose attestazioni classiche. Pare corrispondere a S. Giovanni di Duino in Tuba (?). Non si può del tutto escludere una connessione etimologica tradizionale col nome locale carnico Timàu e col Temavus divinizzato anche in una aretta di Montereale Cellina (C.I.L., 12, 2667; I.I., X, 4 nr. 318) (129) . I tentativi di collegamento etimologico sono assai incerti, v. A. Karg (130) e H. Krahe (131), ove si cita generalmente il riscontro assai incerto con Tim-achus, fiume nella Moesia sup. e Τίμαϰον (Tolomeo, III, 9, 4). Ma è difficile attribuire un significato al tema *tim-/*tem-.
Varamus, ora il Varmo, figura in Plinio, III, 126; trova un probabile riscontro in Friuli nel torrente Varma (Barcis, Maniago) e risale ad un *w a r a 'acqua', cf. ad es. a. ind. vari da ie. *wer-/*wor- idem.
È di certo prelatino anche il Turrus oggi Torre, Plinio, III, 126 che figura con tema in -i all'a. 1275 Turrim, a. 1278 in roya Turris; solo omofono del lat. turris.
Di origine più chiaramente venetica è il fiume Formio, Plinio, III, 127, ΦοϱμίωνοϚ ἐϰβολαί, Tolomeo, III, 1, 23. La derivazione da un *bher- 'gorgogliare', 'ribollire' è verosimile. Oggi vi corrisponde il Risano presso Trieste.
Tra i toponimi che possono spettare al venetico ricorderemo: Opitergium e Tergeste, cioè Oderzo e Trieste. Essi contengono il medesimo radicale e possono essere attribuiti senza alcuna difficoltà al venetico. Le attestazioni principali sono le seguenti: per Oderzo sono da tenere presenti le iscrizioni digrafe delle ghiande missili di Ascoli Piceno (132), inoltre gen. Opitergi, C.I.L., V, 1977 (da Oderzo) e 2847 (da Padova); ᾿Οπιτέϱγιον, Strabone, V, 214; Opitergium, Plinio, III, 130; gen (loc.) Opitergii, Tacito, Historiae, III, 6; ᾿Οπιτέϱγιον, Tolomeo, III, 1, 26 e si noti l'etn. (O)pitergii, C.I.L., V, 1966 ed Opitergini, C.I.L., V, 331; Opiterc(inus), C.I.L., VI, 2381a, 2, 3; "Opitergium, unde dicuntur Opitergini", Anonimo Ravennate, IV, 30. L'analisi del nome è di certo opi e tergium, cioè nella seconda parte troviamo il medesimo elemento lessicale presente in Tergeste ed esso significa assai verosimilmente 'piazza, mercato, emporio', mentre Opi- è stato variamente interpretato; ma alla equivalenza di tale voce con un sostantivo da confrontare ad es. con Opi-num in Apulia (133) o all'interpretazione puntuale del Kretschmer (134) come "mercato di foraggio" o di "merci", mi pare preferibile considerare opi- una preposizione locale agglutinata: opi variante di epi che trova riscontro anche in venetico nella forma op (cf. lat. ob, osco op, gr. opi/epi). Tale agglutinazione è presente in nomi antichi quali Epi-cadus, Epi-catia o in toponimi del tipo Epi-daurum, Epi-lentium, Epi-licus portus ed anche in Pisaurum da un (e)p-Isaurum 'la città del fiume Foglia', 'Pésaro'. La forma venetica che abbiamo sopra citata con sincope Oterg- non ha avuto continuatori, ma essa doveva avere una forma parallela che è stata latinizzata e che si è continuata regolarmente nel medioevo in Hovederço, Ovederço (e la pronuncia locale udèrz^o forse risente di tale variante antica). Quanto a Tergeste 'Trieste' le attestazioni antiche sono altrettanto numerose, ad es. Terg(este), C.I.L., V, 67 (da Pola); Tergeste, C.I.L., V, 545 (Trieste) e varie altre volte in epigrafi; Τεϱγέστον, Timostene in Tolomeo, I, 15, 4; ἀπὸ Τεϱγέστϱου ϰώμεϚ, Artemidoro in Stefano di Bisanzio; φϱούϱιον Τεϱγέστε, Strabone, V, 215; Usque Tergestum, Mela, II, 55; Tergeste, Plinio, III, 127; gen. Tergestis, ibid., III, 133; Tergeste, "Tabula Peutingeriana" e Itinerarium Antonini, 270, 4 e di qui iniziano le forme più evolute Τεγεστϱα οὐδετέϱωϚ πόλιϚ, Stefano di Bisanzio e si noti la metatesi già in Anonimo Ravennate, IV, 30 Tregeste (e codd. Treieste), Treiesta in Guido 19 e 20. Etn. dat. Tergestinis, Cesare, Bellum Gallicum, VIII, 24; ἄστυ Τεγεστϱαίων, Dionisio Periegeta 382. Nel nostro nome locale si noterebbe il suffisso -ste (come in Ateste 'Este'), ma è sempre possibile la divisione Terges-te. Un tempo si attribuiva tale suffisso all'illirico e vi si confrontava anche Seg-est-a. Si veda ora la fine disamina del Prosdocimi (135) il quale si sofferma a discutere del tema tr̥g, verosimilmente 'mercato' ecc., come abbiamo detto e soprattutto tenta, come ipotesi, di interpretare anche il suffisso -te. Secondo codesto studioso a Tergeste potrebbe corrispondere anche la piccola località euganea di Tresto, in comune di Ospedaletto Euganeo, presso Este. Pur non poggiando su forme documentarie antiche, l'equazione non offre difficoltà di ordine fonetico e starebbe a confermare ulteriormente la sostanziale veneticità di Tergeste e di Opi-Tergium. Anche il Prosdocimi accoglie la tautologia propinataci da C.I.L., III, 1251 (da Scarbantia) P. Domitius P.f. Tergitio negotiator che fa il paio con la Veselia Felicetas di C.I.L., III, 3093 (Brattia). Per il tema sono ben noti i vari riscontri con l'alb. trogë 'mercato', il s.cr. trg idem, a. slavo trŭgŭ 'forum' e i riscontri toponimici offertici da Tergolape (nel Noricum "Tabula Peutingeriana") o dall'etnico Tergilani (Plinio, III, 98) (136).
Ateste 'Este'è la capitale dei Veneti preromani, come ci attestano, tra l'altro, i grandiosi reperti di scavo, archeologici ed epigrafici; l'analisi è, ad un primo livello, assai semplice poiché potrebbe essere 'la città dell'Atesis', cioè dell'Adige che un tempo forse attraversava la città. Le principali attestazioni sono le seguenti: Ateste, C.I.L., III, 2835 (Burnum) e V, 2476 (Este), 2785 (Padova); ...Venetorum autem Ateste, Plinio, III, 130; Patavium et Ateste, Tacito, Historiae, III, 6; Ατέστε, Tolomeo, III, 1, 30; interessante la forma semiromanza in Anonimo Ravennate, IV, 31 Adestum e in Guido, 20, Adeustum. Etnico dat. sg. Atestinae... Sabinae, Marziale, X, 93, 3 (137) .
Patavium 'Padova' offre una storia onomastica assai complessa, ma non si può escludere che il toponimo spetti ai Veneti anche se saremmo tentati di trovare qualche rapporto con Padus 'Po' e soprattutto col ramo deltizio detto Padoa, Padosa (Polibio, II, 16. 11). Le attestazioni ufficiali sono le seguenti: Patavium, C.I.L., V, 8117 (Trieste); abl. Patavi(o), C.I.L., VI, 2379a 3, 28 (= 32520); loc. Patavi, C.I.L., VI, 2701; gen. Urbem Pǎtǎvi, Virgilio, Aeneis, I, 247; Patavium, Livio, X, 2, 9; Παταούιον, Strabone, V, 213 e 218; Patavium, Mela, II, 60 e varie altre volte sempre nella medesima forma. Si noti il passo esplicativo di Servio, I, 247: "Urbem Patavi hoc est Patavium. Patavium autem dictum vel a Padi vicinitate, quasi Padavium, vel ἀπὸ τοῦ πέτασθαι, quod captato augurio dicitur condita, vel quod avium telo petisse dicitur et eo loco condidisse civitatem. Alii a palude Patina, quae vicina civitati fuisse dicitur, Patavium dictam putant". L'etnico è Patavinus in tutte le fonti antiche. La forma tradizionale deve considerarsi unicamente letteraria, libresca e non popolare poiché, data la fonetica, ci attenderemmo un esito romanzo Padeb (b) io o Padebbo che non è mai attestato nelle carte medievali. Accanto alla forma classica si può supporre che fin dall'antichità dovesse coesistere una forma popolare che ha avuto normali continuatori. Una forma è di certo Padua già attestato dal Gloria nell'a. 952 (138); ma non si può escludere che tale forma provenga a sua volta da un più antico *Patua o teoricamente *Pato(v)a, e per il trattamento fonetico si noti Mantua > Mantova o vidua > vedova. Secondo il Lavagnini (139) Padua di Catullo (95. 7) non corrisponderebbe al noto ramo deltizio citato, ma alla nostra città indicata secondo una variante "gallica". La forma che dobbiamo postulare è soprattutto *Patava, forma che viene confermata da due importanti indizi, non sempre considerati dagli studiosi. In primo luogo la forma è supposta da una glossa ant. alto ted. in un codice virgiliano della Biblioteca comunale di Trento, ove si legge bazzoua come spiegazione di Pataui (Aeneis, I, 247). La città era pertanto conosciuta a genti germaniche già prima del VII sec. d.C. cioè in epoca anteriore alla lenizione consonantica -t->-d- poiché altrimenti non avremmo una forma che ha subito la seconda rotazione consonantica tedesca per cui -t- diviene -zz- (ma da p- iniziale ci saremmo aspettati pf - non f- e non manca il sospetto di una confusione dello scriba con Bazzova = Batava, cioè 'Passau'); l'altra indicazione ci viene dalla fonetica del pavano e dalla forma Pava assai popolare che presuppone (civitas, urbs) Pàtdva, con una evoluzione perfettamente regolare: padava > paava > pavad (140). Ma tale postulazione del nostro toponimo non è sufficiente per spiegare la forma veneziana(?) ed italiana Padova che presuppone *Patua (141). Quanto all'etnico è certo che patavino è dotto (ma pare continuatosi popolarmente nel cognome Padoìn); nel medioevo si ha Patavienses, foris urbe Pataviensi (142); mentre si incontra presto anche la forma popolare derivata da Padua: a. 952 sacerdis paduanensis ecclesiae e da Pava si costruì pavano (anche cognome: Pavàn); più comune risultò Paduanus, Padovno e come variante trevisana nel codice di Nicolò de Rossi della Capitolare di Siviglia si legge Padeguai (forse con intento ironico). Per un tentativo etimologico che non disdegna di riconoscere una eventuale oscillazione mediterranea *Pat-/ *pad- v. anche Prosdocimi (143). Per restare nell'ambito delle spiegazioni di Servio (per lo più fantastiche!) non so se si possa valorizzare l'eventuale tema *pat (ie.), cf. lat. pateo con allusione ad un luogo disteso, pianeggiante, aperto, forse in contrasto con i vicini colli euganei (144).
Di origine venetica assai probabile è Vicetiae 'Vicenza'; si noti Vicetiae, C.I.L., X, 4832 (Rufrae); Οὐιϰέτια, Strabone, V, 214; Vicetia, Plinio, III, 130 e 132; Vicetia, Tacito, Historiae, III, 8; Οὐιϰέντία, Tolomeo, III, 1, 26; acc. Vincentiam, Just., XX, 5, 8; Vicetia, "Tabula Peutingeriana"; Vicetia civitas, Itinerarium Antonini, 128, 2; civitas Vincentia, It. Hieros., 559, 1; Vicentia, Anonimo Ravennate, IV, 30 e Guido, 17. Etnico: acc. Veicetinos, C.I.L., V, 2490 (Este); gen. Vicetinor(um), C.I.L., V, 3401 (Verona); de Vincentina civitate, Paolo Diacono, V, 23. Generalmente si spiega mediante il confronto col gr. οἶϰοϚ, lat. vicus da un *veiko- 'stanziamento'. Il Prosdocimi (145) richiama ora il riscontro con la divinità Veica Noriceia (per un veikos norikeios).
Acelum 'Asolo'(con evoluzione romanza regolare mediante la sostituzione di -elo con -olo) è attestato Acel(um) (146) (Asolo), Acelum, Plinio, III, 130; ᾿ϕΑϰελον, Tolomeo, III, 1, 26; abl. Acilo (Azilo, Acilio), Paolo Diacono, III, 26; agg. gen. sg. Acelinae ecclesiae, Gregorio Magno, Epistolae, I, 16a. Per ora non si vede migliore soluzione che ricorrere alla radice ak'- 'aguzzo,' 'appuntito' (cf. lat. acūtus), forse con allusione ad un colle (la Rocca?).
lesolo = ad Equilo che risulta attestato solo a partire dall'a. 967 e a. 1074 Equilo, a. 1446 punta Equilii ed etnico a. 967-983 Equilenses, Equilienses ed anche a. 1292 diocesis Equilina (147). Le forme popolari, fin dal medioevo, sono giesulo, giexulo, gesolo e pare una buona ipotesi presupporre un ant. venet. *equilo- (ekilo-) forse 'pascolo di cavalli' o simile. La forma può essere prelatina, dato che il venetico conosce ekvon 'equum' in iscrizioni votive di Este. Nel Lido Cavallino della toponomastica della zona avremmo pertanto un'eco della denominazione antica.
Tarvisium 'Treviso'; le attestazioni più antiche si ricavano dall'etnico o aggettivo ex montibus Tarvisanis, Plinio, III, 126 e Tarvisianis, Paolo Diacono, V, 28; ex Tarvisiano et Tridentino horreis, Cassiodoro, Variae, X, 27; Tarvisiana civitate, Paolo Diacono, II, 13. Il toponimo figura nella forma Tarvisio, Tarviso, in C.I.L., VI, 2379 a e b; Tarvis(io), C.I.L., VI, 2381a; Tarbision nell'Anonimo Ravennate, IV, 30 ed anche Tribicium seu Tarbision, ibid., IV, 31; Tarbisium, Guido, 20; abl. Tarvisio, Paolo Diacono, III, 26. Tradizionalmente è ritenuto un derivato di *tarvos `toro' e si può analizzare come tarv-is-ium, verosimilmente di origine celtica, cf. per la formulazione Brundisium 'Brindisi', derivato di brendo:brundo 'cervo'. Nulla vieta, d'altro canto, che *tarvos fosse anche del venetico.
Altinum 'Altino'; presenta ampie attestazioni in epigrafi e negli scrittori senza grandi variazioni; ad es. ᾿Αλτῖνον, Strabone, V, 214; Altinum, Velleio Patercolo, II, 76, 2, Mela, II, 62, Plinio, III, 119 e 126; abl. Altino, C.I.L., V, 8002 (Claudia Augusta); etnico: Altinatium, C.I.L., V, 2071 (Feltre), Altinaś, C.I.L., V, 745 (Aquileia); Altinates, Columella, De re rustica, VII, 2, 3. Si trovano riscontri in Pannonia: Altinum, Altino (148). Sembrerebbe di poter ricorrere per una spiegazione ad un parallelo venetico del lat. altus, cf. anche m. irl. alt 'altezza, costa'(149).
Tratti invece più nettamente celtizzanti hanno altre città del Veneto; tra queste ad es. Belluno, gen. sg. Beluni, C.I.L., V, 993 (da Aquileia); abl. Beluno, C.I.L., VI, 2612; Bellu(no), C.I.L., III, 12925 (Dalmatia); Belunum, Plinio, III, 130; Βελοῦνον, Tolomeo, III, 1, 26; de Belluno, Paolo Diacono, VI, 26; etnico gen. Βελουνῶν, Tolomeo III, 1, 28; ecclesiae Bellunatae, Gregorio Magno, Epistolae, I, 16a (e si ricorderà che l'etnico locale popolare è Belunàt o Belumàt, anche cognome). Pare verosimile la spiegazione da un gallico *Belo-dūnum, cioè 'oppidum' 'splendente' da *bel- 'brillante', affine linguisticamente al dio gallico Belenos, venerato soprattutto dai Galli Carni. Si può pensare ad una fase fonetica intermedia quale *Beldunum > Bellunum. Anche il Cadore, sec. X Catubria, Catubrium, ma attestato indirettamente da Catubrini (due volte in epigrafi da Belluno) può essere di origine celtica e secondo una nostra spiegazione esso si rifà ad un supposto *catu-brigum e cioè al gallico catu- 'battaglia' (o al nome di persona gallico Catus) e briga/brigum 'oppidum' (150). Il nome classico del Lago di Garda è, come si sa, Benacus lacus, C.I.L., V, 3998; ᾑ ΒήναϰοϚ, Polibio, 3.10. 19 e Strabone, V, 209; Benace (vocativo), Virgilio, Georg., II, 160; in Benaco, Plinio, 2, 224, etnico Benacenses. Potrebbe rappresentare un celt. *bennacus, cf. irl. bennach 'cornuto', 'dai molti promontori', forse con riferimento alla penisola di Sirmione.
Di origine retico-etruscoide è invece Feltre, Feltriae, C.I.L., V, 2071 (da Feltre); abl. Feltris, C.I.L., VI, 2864; 2375b 2, 38; 32515a 1, 38; Feltria, Itinerarium Antonini, 280, 7; Filtrio, Anonimo Ravennate, IV, 30; Filaria, Guido, 18; etnico Feltrini (codd. Fertini), Plinio, III, 130; Feltrinus, Paolo Diacono, III, 26; Figulinae Feltrinae, C.I.L., IX, 6078, 19 (Lanciano). Già gli studiosi locali (ad es. Francesco Pellegrini) avevano associato il nostro toponimo a Velletri e Volterra; ma bisogna supporre che nella lingua locale v- sia passato a f-, come del resto suppone Giacomo Devoto in un contributo in cui sottolinea l'etruschità del nome che sarebbe confortata anche da altri particolari (ad es. dal reperimento di due lapidi mutile proprio nella città con epigrafi nettamente etrusche) (151).
Ma è ora assai più pertinente, per lo studio delle vicende lagunari, ristudiare brevemente alcuni toponimi delle isole e del litorale.
Cercheremo pertanto di passare in rassegna alcuni nomi locali della Venetia maritima e delle isole le quali peraltro assai raramente serbano ricordi diretti del filone greco, mentre di norma i toponimi urbani e costieri perpetuano una tradizione latina ed eventualmente prelatina.
E dovremmo anche trascegliere, tra le parlate lagunari, quegli elementi greci da riportare ad un'epoca assai antica e che in qualche modo ci rivelano le impronte culturali di un mondo levantino e orientale di cui la medesima città è in buona parte uno specchio fedele anche in certe sue strutture urbanistiche(152).
Qui facciamo seguire soltanto pochi appunti a proposito dell'interpretazione più verosimile di alcuni nomi di luogo sovente tanto discussi anche dagli specialisti di scienze onomastiche e non soltanto da storici o dai dilettanti delle cose locali. Ci limitiamo a citare alcune forme d'archivio tra le più antiche e a rinviare ad una bibliografia linguistica essenziale (153).
Tra i nomi locali per i quali sarei tentato di trovare una spiegazione partendo dal greco e la cui interpretazione finora proposta non mi convince, vorrei porre in prima linea: Olivolo la cui pronuncia, per l'accento, è oscillante, ma pare più autentica Olìvolo, come mi confermano gli amici storici, anche se il Tassini (154) accentua Olivòlo e spiega: "L'isola di cui parliamo era chiamata nei primi tempi Olivolo o per la configurazione del terreno somigliante ad un'oliva (??) o per la abbondanza degli olivi, o per un grande olivo sorgente sulla piazza di S. Pietro o perché il castello era piccolo e quindi pagos oligos alla greca, veniva chiamato […>". Come si vede si tratta di spiegazioni assai poco verosimili o fantastiche (155). Anche l'Olivieri (156), con l'accento Olivòlo, ci dice: "isola di Venezia sede della diocesi Olivolensis nel sec. VI e con un castello del sec. IX [...>" e pone il nome locale sotto o l i v a - u m. Questa interpretazione d'archivio non molto antica è sorretta da una affermazione delle cronache e precisamente "[...> Olivolensem cui ideo hec nomen impositum est quia ante ianuam ecclesie Sancti Serzi imanis erat olivarum arbor [...>" (157). In realtà pare a noi tale osservazione una paraetimologia. È ovvio che valgono assai di più le forme antiche del nome, un vecchio toponimo urbano divenuto poi Castello, ed è per me fondamentale la forma più antica del toponimo; bisognerà tenere nella massima considerazione questa attestazione, forse la prima in ordine di tempo, che compare all'a. 840 nel Pactum Lotharii ove si legge: "cum habitatoribus Rivoalti, castri Helibolis [...>". Tale forma non penso sia dovuta all'arbitrio del notaio, mentre per vari particolari essa ci indirizza a ricercare l'etimo proprio nel greco-bizantino. Ho creduto che anche in Costantino Porfirogenito (158), lo ᾿Ηβόλα potesse essere una forma errata (come tante in quel testo!) per la nostra forma già citata (ma vedi qui sotto!!!), mentre l'editore vorrebbe far corrispondere ad Olivola la designazione precedente Βινιόλα che si accorda assai poco (è invece assai più evidente la connessione con le Vignole, isoletta della laguna). Non mancano inoltre forme intermedie, già attratte da 'olivo', ma con tracce della variante primitiva, ad es. a. 967 Castro Olibolis (159). Proporrei, per ora come ipotesi di studio, di riconoscere nel toponimo bizantino un antico ῾ΗλιόβολοϚ 'esposto al sole' (forse anche 'a Levante'??) (160). Mentre, come ho detto, vi sono varie spie per attribuire il n. 1. al greco (e si ricordi che tale luogo rappresenta nelle isole un insediamento umano tra i più antichi), non si può ignorare eventualmente la difficoltà fonetica costituita da o tonico che in tale posizione non avrebbe dovuto cadere; a meno di non riconoscere uno spostamento d'accento su i (?) che avrebbe favorito l'assorbimento di o davanti ad una labiodentale v (Heliovolos > Helì (o) volos). Quanto al significato del nome non mi pare che sia tanto inverosimile pensare ad un luogo caratterizzato dall'essere "solatio", bene esposto al sole o 'a Levante'(si noti la frequenza di nomi quali Solivo, Soligo? e forse Solagna ecc. [quest'ultimo per antifrasi?>). Del resto, leggo anche nella nota guida di G. Lorenzetti (161), che quest'isola ristretta poi ad un vasto campo solitario era posta agli estremi limiti (orientali) della città.
Luciano Bosio e Guido Rosada (162) menzionano lungo la fascia litoranea bizantina anche il porto Baséleghe "alla foce del ramo del Tagliamento ora spento, denominato da Plinio Maius". L'ipotesi che teoricamente tale luogo possa essere l'indizio di insediamenti bizantini non è del tutto da scartare. Ma in realtà non possiamo affermarlo con certezza poiché basilica non è indicativo per gli insediamenti bizantini, essendo penetrata, in epoca antichissima, nel latino, ove fa coppia con ecclesia. E di basilica si hanno esempi toponimici amplissimi, in Friuli, nel Veneto, in varie aree cisalpine ecc. e, tra l'altro, è l'unica denominazione romena per 'chiesa' (biserică) (163).
Pare richiamare il greco anche l'insula Melidissa (o Mil.) isola fluviale in mezzo alla pianura di Oderzo, antico nome di Eraclea (164), attestata all'a. 883 ex nostro regno in finibus Civitatis nove vel Milidise sive in villa que dicitur Caput argeris (165). Non sono in grado di stabilire se essa ricordi solo casualmente il gr. μελιηδήϚ; 'honey-sweet', riferito a persona e col suffisso femm. issa (cf. duchessa); anche l'Olivieri (166) osserva che Melidissa "ha un'apparenza greca o meglio preellenica, cf. Miletum, Milae, Melite" (ma qui l'A. mi pare fuori strada).
Interessante è il Fossado Gricesco nella zona di Eraclea, attestato nel sec. XII, il quale non ha bisogno di spiegazione etimologica (167). E qui potrei aggiungere il verosimile grecismo di Cona che si ripete varie volte in area lagunare e nel vicino litorale oltre che nel Delta padano. Menziono soltanto a. 914... et curte quae nominatur Cona (168); oppure a. 963... similiter et in Cona et in Sacco et in Lupa et Liquentia... (169) ecc. Ne tratta anche l'Olivieri (170) il quale attribuisce al termine, secondo la definizione del Mutinelli (171) (s.v.), il significato di 'stagno' e propriamente uno "spazio d'acqua della laguna forse di figura circolare, di una elisse, chiuso fra argini e paludi", ma la proposta (tra le tante) dello studioso veronese e cioè da aquōna (??) non ci convince. Di Cona discuto a lungo anche altrove (172), ove ho raccolto i vari tentativi di spiegare questo oscuro toponimo e, pare, appellativo. Ho tentato, timidamente, di derivare il nostro difficile termine dal gr. λάϰϰοϚ 'Grube, Wasserloch' soprattutto nella forma derivata λάϰϰωμα, passata in latino come *laccōma nel significato di 'larga cavità del suolo' 'fossa, buca, cavità, cisterna' ecc.
Per accogliere la mia spiegazione bisogna, peraltro, superare alcune difficoltà formali e precisamente, ciò che è più raro, è necessario pensare ad una sostituzione della finale in -orna (rara) con il comune -ona.
La deglutinazione di articolo (La-cona) non offre grandi difficoltà ed ora mi chiedo se la forma Lacone/Locone in un doc. falsificato dell'a. 972 (Privilegio di Ottone I a favore di Cavarzere) (173) possa venire in mio aiuto per la presenza dell'eventuale La-; si tratta di località, ora Còna, nel territorio a Nord di Cavarzere.
La mia proposta di etimologia greca è ora fondata soprattutto sulla attestazione di Lacone (genit.?), forma che anche il Gloria (174) pare preferire alla lezione Locone. Anche se il doc. del 972 risultasse falsificato (secondo il Cessi (175), la falsificazione sarebbe peraltro compiuta "con il sussidio forse di qualche autentica confinazione di altra provenienza"), l'attestazione è egualmente importante poiché la variante è sicuramente molto antica e corrisponde di certo all'attuale Cona, non lontano da Cavarzere, come accenna anche il documento di confinazione "[...> in Cerso [sicuro grecismo e cioè χέϱσοϚ 'terraferma'> Cavarzerano et Lacone. A Lacone in Volta Tencaruola [...>". La località di Còna pare assai nota ed antica; già nel 914 è menzionata come "curte que nominatur Cona [...>" (176). Una spia per l'origine greca è pure fornita dall'eventuale ω (λάϰϰωμα) reso in latino e neolatino con la o aperta (177) foneticamente regolare; altrimenti la ò dei vari Cona dovrebbe presupporre un -au- o -avo > au, non di certo -ōne. Ma non posso ora prescindere da un ampio lemma che leggo nel Lessico etimologico italiano di M. Pfister (178). Sotto il greco ancon (ἄγϰων) 'gomito' sono sistemati alcuni appellativi emiliani e lombardi del tipo mant. ancòna f. 'gomito', 'insenatura di poca profondità nel letto di un fiume', 'acqua morta' (179). Nel Cherubini (180) è di certo errata la sistemazione di Piazza dell'Anconetta; "esiste ancora in Mantova una piazza così denominata", sotto il citato ancona, -etta da icona, pure greco, 'tabernacolo'. Si notino inoltre i derivati emil. occid. (parm.) anconada f. 'lunata, svolta, gomito, sinuosità in un argine o lungo le rive di un fiume' (181). Il Lessico etimologico italiano (182) cita il ven. cona secondo la definizione del Mutinelli che abbiamo sopra riportata e alla fine sottolinea il senso di 'svolta, sinuosità', legato al lessico delle paludi e del Delta padano. Il Filiasi - citato dal Mutinelli - affermava che la "cona sarebbe stata di figura circolare, o di una ellissi" e rimandava poi al Codice del Piovego (finalmente edito) (183) in cui all'a. 1273 sta scritto: "[...> Conam Memo, pars cuius est cannetum, et pars terra firma, et pars palus et aqua superlabens".
Ora mi sembra che gli argomenti per separare i vari Gona, dell'area adriatica superiore, dagli appellativi citati dal Lessico etimologico italiano risultino piuttosto esigui. Non ci viene incontro la o aperta poiché anche ancon greco ha la omega resa con una vocale neolatina aperta. Ci rimane soltanto la definizione del Mutinelli-Filiasi che non pare accennare a svolte, curve, sinuosità. Ma non desisto ancora dall'equivalenza, tutt'altro che trascurabile, tra Lacone (per -a) con l'attuale Còna. Come si vede, dopo tante disquisizioni dei miei predecessori e mie, il problema etimologico mi pare ancora non del tutto risolto.
Tra i nomi lagunari che probabilmente risalgono ad un etimo prelatino, il cui significato per ora ci sfugge totalmente, porrei soprattutto Luprium, Luprio (sopravissuto solo in San Giacomo dell'Orio); esso compare nelle fonti storiche fin dal secolo IX e v. in Origo civitatum Italiae seu Venetiarum (edita dal Cessi) in Luprius (184). Con l'Olivieri (185), mi pare di poter accordarmi nell'impossibilità di derivare questo nome assai antico da lat. alluvies per motivi fonetici (la voce latina normalmente ha dato nel Veneto Lupia e forme simili) (186). È attestato anche dal Codice del Piovego più volte come Luprio ed è verosimile un'origine assai antica.
Rammento ora qualche nome lagunare o della fascia costiera bizantina, senza un ordine geografico preciso (187).
Agna Storta o Agna (già letto Acqua Storta) (188) nel Codice del Piovego a. 1283 sent. 2 (189): "quondam aquam sive paludem, que vocatur Insula rivi Pignigo a puncta de Caltana [...> aliud suum latus in Agna Storta usque in flumen Oriagi", "alio suo latere firmat in Agna de flumine Oriagi". Derivato di *amnia da *amniu (> Valdagno, VI), tratto da amnis 'fiume'. Non deve essere confuso con Agna (Conselve, PD) sull'antica via Annia e quindi da Annius (190).
Albiola: a. 840 Albiolae (gen.) (191); può corrispondere a Κάστϱον ᾿Ηβόλα di Costantino Porfirogenito (192) (v. anche sopra!) e pure alla variante εἰϚ τόπον λεγόμενον ᾿ΑειβόλαϚ (193). Nei documenti si trova anche Aybolas (194). Le due varianti si possono facilmente conciliare e basta pensare al lat. alveus (195) 'truogolo', ma anche 'alveo di fiume', 'avvallamento' e si noti che nei dialetti veneti arcaici da alveus si può avere tanto aip quanto lebo (da *aibo) (196).
Ammiana, isola lagunare a Est di Torcello, a. 840 Amianae (gen.) (197), de Amianis, a. 1173-1200 (nel Codice del Piovego) de Amiano, donde in epoca tarda si fabbricò per etim. popolare I Mani; dal gent. Ammius + -anus (198); all'a. 888 Amianenses (199). Altre attestazioni in Olivieri (200), a. 1174 de ortis de Amianis, a. 1193 S. Laurentii Mianes, a. 1200 apud iondictam Amianis..., a. 1288 territ. de Amianis (201).
Il Lanfranchi accenna ad un appellativo lagunare strano quale barçagola che sta ad indicare 'terra cespugliosa'. Mi pare si possa pensare ad un derivato di barros (gall.) 'cespuglio' (202), v. Prati (203): baro (poles.) 'ciuffo di canne palustri', baro, sbaro (venez.) 'frondura, cespuglio' ecc. Di qui proviene anche barena (venez.) 'rilievo di natura arenoso-cretacea, tutto sparso di erbacce, non coperto dall'acqua marina, se non nel tempo delle grandi maree'. La formazione della voce citata, assai rara, si può spiegare postulando un *barr(i)ciacula(?).
Beverara, valle presso Malamocco e si noti nel Codice del Piovego a. 1159 "aquam de Beveraria" (204), deriva da beverara 'guazzatoio, luogo concavo dove si raunano le acque che servono per abbeverare le bestie; tonfano [...> ricettacolo di acque ne' fiumi dove si conducono i cavalli per abbeverarsi e a notare' (205). Un luogo le Beverare si trova anche alla destra dell'Adige.
Bibione ("Il fiume Tagliamento divide la laguna di Marano e di Cittanova: la comunicazione fra le due lagune avviene presso la foce del fiume in località di Bibione. Questo centro trovavasi probabilmente su un'isola formatasi con le alluvioni del fiume") (206): a. 967 "Caprulis, Bibionibus, Grado" (207); in Origo civitatum Italiae seu Venetiarum (208):"commiserunt hec totum per eodem confirmationis scriptum ad Mayranensium et Bibonensium populum cum aliquantis Finensium" e ancora "qui toti piscatores Bibonensium" (209). Nel medesimo testo si ripete la forma senza -i-, ma non sono in grado di stabilire se la lezione Bibo- per Bibio- sia esatta (eventualmente Bibio- si sarebbe ridotto a Bibo-). Non deriva certamente da un nomignolo tratto da 'bibbia', detto di persona che tentenna, indugia, noiosa o simile (cf. it. bibiare); data anche l'antichità della testimonianza, poco verosimile è pure la derivazione - sostenuta da studiosi locali - dal lat. bibiō-ōnis 'moscerino' (in Isidoro) o 'piccola gru'(in Plinio). Il Lanfranchi (210) ci dice che di Bibione sono conservati due documenti del 1197 e 1198 in cui pare figuri la forma Biblon, che non sono ora in grado di verificare o che avrebbe il nesso -bi- (?) in contraddizione con le altre attestazioni (errata o ricostruzione erronea dei notai??). Non escluderei la derivazione dall'antroponimo latino Vibius nella forma * Vibio -ōnis (211) e non mancherebbe un Biblius (212). Il toponimo risulta perfettamente omofono al toscano Bibbione (S. Casc. di Pesa) che il Pieri (213), deriva analogamente da Vibio-ōnis (Vibius), ma ivi non si esclude del tutto la possibilità di Baebio (Baebius). Si sa che Bibbione 'balneare' è nome recente, di riporto (sempre nella zona). G. Frau identifica la località storica con l'isola di Bioni (214).
Bidoia ant., ora Bidoggia è menzionato da Lanfranchi e Zille (215) corso d'acqua e fosso che "consente la comunicazione fino al territorio opitergino". L'Olivieri (216) lo deriva da *betuleu, cioè da un fitonimo, mentre può venire in discussione un derivato del gallico *bedo- 'canale, fossa' (217) da ie. *bhedh- 'scavare' (218).
Bovensis, litus- o "Lido Maggiore" o Lio Mazor (219) nel Codice del Piovego, a. 1001-1173 "terrenas de Litus Bovensis" e "Littore Bovis". È da escludere l'etimo dell'Olivieri (220), da *bova 'buca, fossa' (freq. nella toponomastica alpina), per preferire il semplice derivato di bos, bovis, 'lido dei buoi', cf. Lido Cavallino (Iesolo) (221).
Buga (222) "[...> nel 1024 sono segnalate le paludi di Buga e Cerbiolo [...>" è un corrispondente perfetto del frl. Buja di cui tratta a fondo il Prati (223), con l'attestazione a. 792 Boga (mentre a. 983 Bugia è dovuto ad una copia assai posteriore), a. 1000 e circa 1097 Buga, 1247 Buja (si è attuata la palatalizzazione!), ecc. Si tratta di un allotropo del ven. e frl. busa e l'esatto corrispondente dell'it. buca, anche buga 'buco'; secondo il Prati da un supposto *bocu; ma la spiegazione esatta mi sembra fornita dal Dizionario etimologico italiano (224) che parte da būca per bŭcca.
Burano, isola: a. 840 Burani (gen.) (225), a. 967 Buriano (226) ma si noti anche a. 907-911 "ecclesiam [...> sitam super ripam fluvii Burriane ubi vocabatur Piscariam" (227); v. anche in Origo civitatum Italiae seu Venetiarum (228): de Vico Burianensi. La formazione è di tipo 'prediale', ciò che ora può stupire, ma il nome poteva riferirsi in origine alla sezione di Burano terrestre che pare sprofondata (come mi informava il Prof. L. Lanfranchi): da Bur(r) rius (229), in Olivieri Borius o Burius (230). Forse la proprietà fondiaria era sistemata nella parte di Burano che è sprofondata nella laguna.
Calle Reza ("nel sec. XII sono nominate nei dintorni di Chioggia le località di Calmaggiore, Panigale, Calle Resa [...> Corizola [...> Corezo, Mucla de Bedario [...>") (231); Reza è menzionata dal Bellemo (232) e l'Olivieri (233) richiama il lat. mediev. regia 'strata, iter' (Du Cange) (234); ma calle reza sarà una calle importante come reza (reda) nei dialetti veneti è di norma la porta principale della Chiesa, v. il Romanisches Etymologisches Wörterbuch (235): regia (porta) con vari derivati dialettali, ove la parola "ist eine Übersetzung von griech. basiliké als Name der Türe im Ikonostas [...>"; ma si veda soprattutto Prati nelle sue Etimologie Venete (236); reza, regia (vic. ant.) 'porta maggiore del duomo di Vicenza' (237), reza 'porta'(238), ecc.
Caleulas, menzionato nel Codice del Piovego a. 1292 "et per portum Amianis et Constanciaci et paludem a capite Cape, sicut vadunt Kaleulas et Pantanum de Amianis" (239) e altre volte. Interessante per la fonetica come derivato di callis e cioè *callela con -ll- > -ul-, cf. qui sotto Gemeule.
Campalto (240) interessante per la attestazione Campaudo con -lt > -ut e successiva sonorizzazione, del tutto eccezionale; o meglio un composto col suffisso germ. -aldo, poi attratto da -altus.
Canalem orphanum, citato da Lanfranchi e Zille (241) nell'isola di S. Clemente nota ai documenti dal sec. XII, a. 1109 "in capite Aquarioli iuxta canalem Orphanum [...>" "teatro di scontri sanguinosi fra gli abitanti delle isole e dei lidi [...>". Come in lingue e dialetti, orphanus qui significa 'povero' (di acqua).
Can(n)aregio (242): noto sestiere veneziano; sicuramente da canalĭcŭlus 'piccolo canale', come attesta chiaramente la forma antica del 1167 Canaleclo (243). Ripeto qui il riscontro con due Cannareggio (= Kanaréio) di Adria (244).
Caorle: a. 600, 840 Caprularum (gen.) (245), a. 1281 Caprulae (246); in Origo civitatum Italiae seu Venetiarum (247) toto Caurlenses e Caprulensem castrum (248), Capurlas (249). Olivieri (250) ha derivato il nome da capra in forma dimin. (cf. Capras 'Capodistria'); ma non si capisce bene con quale preciso significato(?). Si tratta comunque di un diminutivo, verosimilmente di latino tardo anche se è in -úlus il quale sostituisce il classico capella 'capretta', parallelo ad agellus 'piccolo campo'da ager, noto soltanto alla toponomastica, ma, come nome locale, ampiamente diffuso ovunque in Italia (e si noti anche capellus da caper); sempre l'Olivieri, richiama anche Capri > caprae (o -as?) (251).
Cèrbolo, (come in località parallele del Delta padano) allude alla "selva popolata da cinghiali e cervi di proprietà della comunità ducale" (252).
Cocullo (La selva, a. 1084) (253); allude ad una 'elevazione' di terreno o ad un 'mucchio' o simile; da cucŭllus 'cappuccio'in origine (254), cf. in frl. cogól, côl 'mucchio di fieno' e varie località venete e trentine: Cogól, Cogúl, Chegól, ecc.
Còrbulo (255) tre laghi di Prioniga, Curbolo e Terce-Corello "uno rivo del Corbulo" (a. 1150). Come Corbolone, Corbara (Gruaro), Corbolane (S. Stino di Livenza) viene da corbis, corbula (256); e come 'conca', allude a 'fossa', 'buca'; cf. Còrbola di Rovigo (257).
Coreclo, Coreclo vetere (258); corrisponde a coreglo, curiclo 'condotto d'acqua' attestato nel Codice del Piovego (259). Tratto da un *curriculum da currulus di currere.
Corizola, non corrisponde a coregio (valsug.) 'strada per il trasporto delle piante tagliate' da currĭcŭllum (260), ma si equivale di certo all'it. correggiola, v. l'Olivieri (261) s.v. corrigium 'lingua di terra' (Du Cange) con vari derivati, ad es. Correzzola (Piove Pad.) = Corigiola -ieola, e Bellemo (262) (a. 1142-4) e anche Prati (263) s.v. coregio (valsug.) 'borro per cui si fa calare il legname' e diversi nomi di luogo nel senso di 'avvallamento'. Da corrĭgia 'striscia di cuoio' (264) per la somiglianza con una striscia di terra emergente da una zona paludosa o lagunare. Analogamente Corezo, mentre Mucla si equivale a Mugla (Muggia) v. qui sotto. In Bedario vedrei un derivato di *bedo- (gallico) 'fossa', 'canale' (265) (v. sopra), col suffisso -ariu; è assai diffuso soprattutto nell'Italia nord-occidentale, ma, come si vede, anche nell'area veneziana e nell'Emilia ove compare Bedesis flumen (Plinio, III, 15, 115) (266).
Conche e Fogolana (267) a. 983 "de omnibus Fogolanis" (268) e a. 944 "in loco et fundo quod nominatur Conca et Fogolana, capite uno firmante in fossa Riundolo et inde in directo sic percurrit ipsa taliadita de Clugiensibus que est de Brenta [...>" (269). Il significato dei due toponimi deve essere piuttosto simile; concha non ha bisogno di spiegazione (270), mentre in Fogolana, escluso un aggancio con fogo 'fuoco' (che qualcuno ha invece supposto), penserei ad un derivato di fogàr 'scavare' dal lat. fodicāre (271) ed anche *fodiculare (272) da fodere 'graben' (273). Si tratta di un derivato di un probabile fògola 'affossamento', 'terreno a piccole conche', 'cavità' (nell'Agordino fòk e fòka con tale senso, molto diffusi nella toponomastica, cf. Focobón) . Come appellativo si tenga presente ad es. fògola 'grotticella con corrente d'aria fredda ove si mettono in fresco latticini' (Valdobbiadene) (274); v. anche Olivieri (275) s.v. faucula (incerto!). Il suffisso -ana dovrebbe alludere ad una specie di collettivo: un'estensione di terreno con fògole e cf. fiumana, ven. ant. palugana ecc.
Costanziaco (276) corrisponde ad una proprietà fondiaria derivato da Costantius attestato nei documenti locali: a. 994 de Constanciaco (277).
Gaybo di Configno (278), ove gaybo ⟨ *caveus è la fase fonetica che precede ghèbo 'gora, canale' ecc. (279).
Gemeule (cuda de Gemeule) (280): interessante anche per la fonetica poiché questo toponimo ci attesta la pronuncia ancora geminata di ll poi passato a -ul- (281). Per gemellus > Zumelle riferito a 'canale' v. pure quanto affermano G. B. Pellegrini e C. Marcato (282); cf. anche Gemine (283) accanto a Canaleclo, Rivoalato... Olivolo. L'Olivieri (284) menziona Gemini: Insulae Gemini, S. Paolo in Gemino, S. Martino in Gemenis (a. 1161); Dandolo: "novas insulas vocatas Geminos", come zona che si stendeva ad occidente del Portus, compresa oggi nel sestiere di Castello. Anche nel Codice del Piovego si ha: ad capud Gemeolas, in cuda Gemeole, canale Gemelle (285). Si tratterà di due rivi o corsi d'acqua 'gemelli', appaiati o di due dossi vicini. Cf. a. 994 de Zeminis (286) e si noti anche a. 954 in fossa Zemuli (287). Rispettivamente da gemellus e da geminus.
Loreo, Lanfranchi e Zille (288) accennavano a tale località come limite dell'area lagunare e paludosa, "ultima propaggine del ducato". Tale località in prov. di Rovigo presenta la tipica fonetica pavana con -ētum > -eo, da laurētum (289).
La spiegazione di Malamocco (290) è stata perfezionata soprattutto dall'Olivieri (291). L'Autore parte dalla Tabula Peutingeriana ove compare il Maio(r) Meduacus - bene esplorato anche dal Bosio (292) -; segue a. 840 (Pactum Lotharii), poi Costantino Porfirogenito (νήσοϚ τοῦ Μεδαμαύϰου), Madamaucum; a. 876 (Epistola di Giovanni VIII al Doge Orso e Chronicon Altinate) Metamaucus, così come aa. 967, 983 Metamaucus. All'a. 979-991 Mathemauco (293), a. 967 Metamaucense (294). Già si era pensato di risalire a Medoacus per spiegare Malamocco ed il Bellemo (295) aveva pensato al gr. μετὰ Μεδόαϰον, cioè al vecchio nome idronimico preromano, poi soppiantato da Brinta (pure preromano). Ma l'Olivieri sostiene che si deve procedere da un Maio(r) - attraverso Mamedòc- > Mademoc- e, con d sostituita da l, finalmente Malamocco. La trafila è piuttosto complessa, ma in realtà è assai verosimile (296).
Mazzorbo (-z- sonora), isola: a. 1137 de Maioribus, a. 1137 Maiorbo, a. 1228 Maiurbo ed etnico Maiorbenses (a. 1143). L'Olivieri (297) pare non escludere - e sono del suo parere - una eccezionale derivazione da maior urbs (-ium) (298). Nel Codice del Piovego si ha: Maiorbo, de Maioribus, canale de Maiorbio, Maiorbium (299).
Mésola, isola verso il lido Maggiore, presso il canal d'Arco; da mēnsula 'elevazione pianeggiante di terreno', come la Mésola del Delta padano (300).
Mezzogoro (3O1), allude a medium Gaurum nel territorio di Loreo "fra immense paludi e valli utilizzate per la pesca delle anguille [...>"; v. la spiegazione in altro mio contributo (302) per Gòro ⟨ Gauro da un prelat. *gaurus 'canale', molto diffuso anche nell'Italia meridionale.
Mugla (303), "acque Mugla grossa e Cona maior" in carta del 1193. È di certo identico a Muggia presso Trieste e ad altre località della Dalmazia studiate da G. Alessio (304). A me pare semplicemente da *mutula > mucla, indicanti una 'sporgenza'.
Murano, nota isola: già all'a. 840 figura nella forma Amurianae (gen.) (305), a. 967 Amurianas (306) e Amoriana (307), Amurianenses (308), a. 958 in palude Amurianense (309), a. 994 de Amorianas e de Amuriana (310). Nel Codice del Piovego, de Muriano, de Murano, portum de Muriano, Sancti Salvatorio de Muriano (311). Qualora dovessimo dar credito alle numerose forme con a-, l'etimo più probabile risulterebbe Amurius (312), altrimenti da Mur(r)ius (313). Sembrerebbe che in origine il nome dovesse essere una Amuriana villa (314).
Pellestrina a Sud di Malamocco, analogo nell'origine all'ant. "fossiones Philistina quod alii Tartarum vocant" (315). Qualora sia valida la vecchia ipotesi che si rifà al noto generale siracusano Philistos, bisogna sottolineare la resa regolare antica del greco φ (ph) con p.
Poveglia, nota isola (presso Pellestrina) che risale al lat. Popilia (316), e un canale Poveiola (a. 1284 e 1370 Pupiliola) risale al diminutivo.
S. Felice di Doza (317); a. 900 Eccl. Beati Felicis Ducia (copia del 1247) v. Olivieri (318) s.v. dozza con molti derivati; da *ducea 'condotto d'acqua', 'canale', derivato di ducere. All'a. 919 "ecclesiam sancti Stephani de Altino et sancti Felicis de Doza" (319).
Torcello, attestato già nel Pactum Lotharii (a. 840) come Torceli (gen.) (320); in Costantino Porfirogenito, 27, ᾿Εμπόϱιον μέγα τὸ Τοϱτξελῶν. Il riscontro puntuale è rappresentato da Torcello (Casale Monf.) che Pietro Massia (321), sulla base delle forme mediev. Torcul, Torcellum, Turc- e pron. loc. Tursè, derivò da torculum 'torchio' e l'Olivieri (322) tende a connettere con tursa (ant. pad. 'fascio di fieno'). Non credo che sia invece impossibile trarre T. da un ant. torricello con sincope antica. Il m. per turris è attestato anche in friulano e non manca nel Veneto Torricello.
Tragulum, corrisponde all'attuale Dragoiesolo (323) ed è attestato nel Codice del Piovego a. 1292 sent. 21 "unum nostrum Traglum" (= a. 1193) (324); sent. 24 a. 1292 "totam paludem et aquam que appelatur Traglum" (325). Si tratta qui del Tragulum S. Laurentii o palude di Tralo distinto dal Tr. Equili. Corrisponde al ven. tràgol 'treggiuolo, alzaia' (326) dal lat. tragula 'rete di tiro' e simile; interessante è la risoluzione di -gl- > -l-, come nel friulano (327).
Vigano ("canale V., limitato dalla palude si interponeva tra Luprio e Dorsoduro") (328): chiaramente da vīcānus, derivato di vīcus (329), già spiegato correttamente dall'Oliveri (330): "vicanus [...> come già fu detto il Canale della Giudecca" (a. 1260); v. pure Dorigo (331), che menziona anche 'canal de Vigo'.
Ed infine ricordo Zebenigo = Iubanico che fu già un'isola della laguna veneta (332); è menzionato anche da Bosio e Rosada (333), che ricordano per la fine del sec. IX: a capite rivuli de Castello usque ad ecclesiam sancte Marie que de Iubanico dicitur. Pur nella complessità delle attribuzioni e originaria localizzazione, è chiaro trattarsi di un Iovianus col suffisso -īcus dei prediali e dei primi cognomi veneziani (con originaria funzione di patronimico), come ho chiarito in altra sede (334). Secondo il Corner (335) la chiesa veneziana di S. Maria Zobenigo sarebbe così chiamata a patria familia Iubanica. È assai notevole che in Origo civitatum Italiae seu Venetiarum (336) si faccia menzione di un lubianus ypatos magister militum, il quale potrebbe essere la fonte dei nomi citati (??).
Possiamo ora passare in rassegna le caratteristiche fonetiche fondamentali che caratterizzano il veneziano delle origini rispetto al veneto settentrionale (che sfuma nel ladino) e soprattutto nei confronti del veneto meridionale, rappresentato in particolare dal tipo pavano. Citiamo pertanto le isofone fondamentali secondo il metodo già inaugurato da Graziadio Isaia Ascoli nei suoi ben noti Saggi ladini del 1873 (337). Quanto alla 1) palatalizzazione di CA e GA possiamo ora esser certi che gli esempi isolati di chian, chiani, tratti dall'Ascoli da Fra Paolino Minorita (e che ebbero varie e stravaganti spiegazioni) non sono isolati; si tratta infatti di un fenomeno assai diffuso, un tempo; nell'Italia superiore che ha lasciato qua e là varie tracce fino ai nostri giorni ed ancor più nella toponomastica (338). Qui non possiamo individuare motivi di netta opposizione nelle parlate venete antiche, contrariamente alla situazione attuale ove k'a, g'a o ča ǧa vengono a caratterizzare piuttosto nettamente le parlate ladine e alto-venete (che potremmo linguisticamente definire "ladine" o "ladino-venete") e quelle friulane. 2) Per la conservazione di -S finale latino notiamo nel veneziano delle origini (e antico) la netta propensione alla conservazione come nel veneto settentrionale; essa non è limitata a forme verbali monosillabiche o bisillabiche, ma di recente è apparso anche un caso di plurale sigmatico in una lettera di un mercante veneziano scritta da Candia nel 1348 (339); Si ha pertanto concordanza col veneto settentrionale, ladino e friulano, ma non di certo col tipo pavano. 3) La conservazione nei nessi con L, CL, PL, FL BL, GL perdura a lungo a Venezia (per lo meno sino alla metà del secolo XIV), come nel veneto settentrionale, mentre la loro riduzione nel pavano è di certo più antica. 4) In posizione intervocalica il nesso -CL- ha dato origine a Venezia, come attesta ancora la toponomastica, a ǧ, eventualmente -j-, fenomeno sottolineato anche dall'Ascoli, fase fonetica ben nota al veneto settentrionale rustico, ma forse meno diffusa nel veneto meridionale (e tali ǧ, j sono poi soppiantati da -č-, anche se non mancano esempi della fase arcaica nei dialetti del contado vicentino. 5) Spiccata anche a Venezia è la tendenza alla caduta delle vocali atone specie finali, come nel veneto settentrionale, ove essa raggiunge punte estreme (specie nel bellunese), mentre il tipo "pavano" - forse l'erede più autentico della prisca veneticità, poco alterata dall'influsso gallico - conserva assai bene le vocali finali, come indica con chiarezza anche la toponomastica con i tipi Loreo, Bresseo (da -ētum) ecc. Nel pavano si ha inoltre la risoluzione di -atu > -ao > -oo > ò che è pure collegata alla conservazione del vocalismo finale; inoltre -ate, -ati > -ade > -ae > -è (tipo bontè 'bontà'). 6) Pare molto fiacco a Venezia l'influsso metafonetico, come del resto nel veneto settentrionale, mentre esso è assai vivace fino ai nostri giorni nel pavano, si noti ad es. rusi, fungi (funzi), pili, piri ecc. per 'rossi', 'funghi' (ven. sg. fongo), 'peli', 'peri'. Analogamente il pavano ha forme verbali quali dovì 'dovete', gavì 'avete' ecc. per la presenza di -étis, mentre il veneto settentrionale e il veneziano conoscono solo forme in -é (si noti ancora nel pavano ant. viy-vu 'vedete voi'). 7) Si ha pure contrapposizione nella risoluzione del suffisso -arius che nel veneziano (e spesso nel veneto settentrionale) è -èr di contro ad -aro del pavano. 8) La palatalizzazione di l in casi quali illi > iǧi è comune e tipica del pavano, mentre essa non è conosciuta a Venezia e nei dialetti settentrionali (si noti pavano osiegi 'uccelli', cavigi 'capelli'). 9) La prima pers. pl. è caratterizzata da -emo nel veneziano, mentre nel pavano più popolare incontriamo -om, -on (o -um) ed in questo caso il pavano si accorda invece col veneto settentrionale e ladino. Il veneziano sta invece con Verona che ha -emo ed -eno. 10) La propensione alla velarizzazione di L davanti a consonante è di certo più diffusa a Venezia (comunissima nel veneto settentrionale) rispetto al pavano. Non so inoltre se la 11) conservazione della geminata -LL- sia durata più a lungo a Venezia rispetto al veneto meridionale. Da tale persistenza (e opposizione originaria tra -LL- e -L-) è verosimilmente nata la tipica laterale indebolita, caratteristica, in origine, di Venezia e poi diffusasi, per ragioni di prestigio sociale - ed in epoca non tanto antica - ai dialetti veneti meridionali ed in buona parte anche settentrionali (ora raggiunge il vittoriese cittadino, ma non il contado) (340). Ma da tale persistenza di -LL- sono derivati anche casi eccezionali di -LL- > -ul-, con netto taglio sillabico, di cui si hanno tracce sicure nella toponomastica; si noti, come abbiamo visto, a Venezia gemeula da gemella o caleula da *callella ecc. 12) Tutto il Veneto della terraferma (forse, con minore intensità e antichità un tempo nel Nord) ha conosciuto e tuttora conosce nella pronuncia campagnola le interdentali da precedenti ts e dz. Tale pronuncia può forse considerarsi un tratto tipico dei dialetti veneti, forse diffuso un tempo dal prestigio di Padova; non ho invece mai creduto che le interdentali si siano affermate nella città lagunare e alcuni tentativi di linguisti moderni di indicarne delle tracce non ci hanno convinto (341).
Per sintetizzare questa digressione dialettologica in funzione storica, ci pare che anche il dialetto veneziano serbi le tracce dell'origine, della provenienza degli abitatori delle isole lagunari. Anche se l'epoca è assai antica, possiamo pensare che un latino tardo già sulla via di divenire un dialetto romanzo (forse già costituito in alcuni tratti fondamentali) documenti una connessione assai più stretta col Veneto settentrionale (ed io direi col tipo trevisano-opitergino) piuttosto che col veneto meridionale e con Padova.
Per concludere le nostre osservazioni storico-linguistiche penso che si possano ritenere ancora valide alcune considerazioni di Graziadio Isaia Ascoli (342), quando, a proposito delle origini di Venezia, egli scriveva: "La dialettologia così incomincia a rischiarare le origini di Venezia con argomenti ben più sicuri di quelli che le cronache non ci offrissero; e quando gli studiosi dell'archeologia e della storia veneziana vorranno rivelarci quanto v'ha di specifico nella nomenclatura topografica di Venezia e delle sue lagune, è assai probabile che il glottologo riesca a tale ricostruzione e ripartizione etnologica della Venezia primitiva, da offrire una delle più curiose e sicure prove dell'efficienza che anche nell'ordine prettamente istorico la sua disciplina può oggi avere. Intanto si conceda che io qui noti, come due nomi di Santi e quindi di chiese e di vie, mi appajano documenti istorici di singolar sincerità, quasi due gonfaloni, piantati sulla laguna or forse quattordici secoli, che ancor vi spiegano inalterati i primitivi colori. Imprima Stàe per Stacio o Stagio (S. Stae, Eustachio -stazio), forma che nell'ambito del veneziano moderno, e pur medievale resterebbe enigmatica [...> ". Come si sa, le spiegazioni qui citate dall'Ascoli furono criticate ed esse non hanno colto nel segno (343). Ma il principio generale, dell'apporto della toponomastica, e della linguistica in generale, alla storia mi pare incontrovertibile e ampiamente dimostrato (344). Ci lusinghiamo di avere apportato in questo nostro intervento un modesto, ma non disprezzabile, contributo che viene del resto ad avvalorare e integrare le amplissime ricerche di storici ed antichisti.
1. Roberto Cessi, Venezia Ducale, I, Duca e popolo, Venezia 1963, p. 3.
2. Ibid., p. 67.
3. Per tale problema, per il popolo e la lingua preromana v. qui di seguito il luogo corrispondente alla n. 81.
4. Santo Mazzarino, Il concetto storico-geografico dell'unità veneta, in AA.VV., Storia della Cultura Veneta, I, Dalle origini al Trecento, Vicenza 1976, pp. 2-6 (pp. 1-28).
5. V. qui di seguito il luogo corrispondente alla n. 28.
6. Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille, I, Secoli V-IX, a cura di Roberto Cessi, Padova 19422; II, Secoli IX-X, a cura di Roberto Cessi, Padova 1942.
7. Ibid., doc. 1.55-56.
8. Ibid., doc. 1.101.
9. Ibid., doc. 1.111.
10. Ibid., doc. 2.10.
11. Ibid., doc. 2.16.
12. Ibid., doc. 2.19.
13. Ibid., doc. 2.23.
14. Ibid., doc. 2.27.
15. Origo Civitatum Italiae seu Venetiarum (Chronicon Altinate et Chronicon Gradense), a cura di Roberto Cessi, Roma 1933 (Fonti per la storia d'Italia, 73).
16. Cronache veneziane antichissime, a cura di Giovanni
Monticolo, I, Roma 1890 (Fonti per la storia d'Italia, 9) -ivi pp. 59-187: La cronaca veneziana del Diacono Giovanni.
17. Ibid., p. 63, 12.
18. Ibid., p. 64, 12.
19. Ibid., p. 91, 6.
20. Ibid., p. 91, 17.
21. Ibid., p. 94, 25.
22. Ibid., p. 98, 15. Si veda inoltre l'Indice alle pp. 211-212.
23. Il Canzoniere fu scoperto da Iole Scudieri Ruggieri che ne dette notizia nell'articolo Di Nicolò de' Rossi e di un suo canzoniere, "Cultura neolatina", 15, 1955, pp. 35-107.
24. V. le brillanti edizioni di Maria Corti, Una tenzone poetica del sec. XIV in veneziano, padovano e trevisano, "Lettere Italiane", 18, 2, 1966, pp. 138-151; e Furto Brugnolo, Il canzoniere di Nicolò de' Rossi, I, Introduzione, testo e glossario, Padova 1974; II, Lingua, tecnica, cultura poetica, Padova 1977.
25. Jànos Balazs, Veneti e Veneziani i primi ospiti in Ungheria, "Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 137, 1978-79, pp. 669-677.
26. Nella collezione Fonti per la Storia di Venezia, sez.
III, Archivi Notarili, diretta da Luigi Lanfranchi, p. 14.
27. V. Peeter Arumaa, Urslavische Grammatik, I, Heidelberg 1964, p. 46 (pp. 5-218).
28. Eccone il testo originale in greco: "᾿Ιστέον, ὅτι πϱο τοῦ πεϱᾶσαι τοὺϚ ΒενετίϰουϚ ϰαὶ οἰϰῆσαι εἰϚ τὰ νησία, εἰ ἃ νῦν οἰϰοῦσιν, ἐϰαλοῦντο ῾Ενετιϰοί, ϰαι ϰατῴϰουν εἰϚ τήν ξηϱὰν εἰϚ αὐτὰ τὰ ϰάστϱα ϰάστϱον Κόγϰοϱδα, ϰάστϱον ᾿Ιουστινιάνα, ϰάστϱον τοῦ Νούνου ϰαὶ ἕτεϱα πλεῖστα ϰάστϱα.
᾿Ιστέον, ὅτι πεϱασάντων τῶν νῦν ϰαλουμένων Βενετίϰων, πϱῶτον δὲ ῾Ενετιϰῶν, ἔϰτισαν ἐν πϱώτοιϚ ϰαστϱον ὀχυϱόν, ἐν ᾦ ϰαὶ σή ∣ μεϱον ϰαθέζεται ὁ δοὺξ ΒενετίαϚ, ἔχον ϰυϰλόθεν θάλασσαν ὡσεὶ μιλίων ἕξ, εἰϚ ἣν ϰαὶ εἰσέϱχονται ποταμοὶ ϰζ᾿. ᾿Υπάϱχουσι δὲ ϰαὶ νῆσοι ϰατὰ ἀνατολὰϚ τοῦ αὐτοῦ ϰάστϱου. ᾿ϕΕϰτισαν δὲ ϰαὶ ἐν ταῖϚ αὐταῖϚ νήσοιϚ οἱ νῦν Βενέτιϰοι ϰαλούμενοι ϰάστϱα ϰάστϱον Κογϱάδον, ἐν ᾦ ϰαὶ μητϱόπολιϚ ἔστιν μεγάλη […>" (cito da Constantinus Porphyrogenitus, De administrando imperio, a cura di Gyula Moravcsik-Romilly J.H. Jenkins, Dumbarton Oaks., Center for Byzantine Studies, Cambridge (Ma.) 1967, pp. 116-118. Una traduzione in latino figura in P.G., 113, col. 240).
29. Cito da S. Germani Patriarchae Constantinopolitani Rerum ecclesiastica, et mystica contemplatio, in P.G., 98, col. 421.
30. Cito da Giorgio Pachymera, De Michaele Palaeologo, II, 162-3, in P.G., 143, col. 601.
31. V. Giovan Battista Pellegrini, L'individualità storico-linguistica della regione veneta, "Studi medio-latini e volgari", 13, 1965, pp. 143-160, poi riedito in Id., Studi di dialettologia e filologia veneta, Pisa 1977, Pp. 11-31.
32. Ne fanno invece un cenno Luciano Bosio-Guido Rosada, Le presenze insediative nell'arco dell'Alto Adriatico dall'epoca romana alla nascita di Venezia, in AA.VV., Da Aquileia a Venezia. Cultura, contatti e tradizioni, Milano 1983, p. 555 (pp. 509-567).
33. Petar Skok, "Roma" et "Venetia" chez les Slaves, in AA.VV., Mélanges de Philologie, d'Histoire e de Littérature offerts à Henry Hauvette, Paris 1934, pp. 13-19.
34. Horace G. Lunt, The Slavic Name of Venice, in AA.VV., Studi in onore di Ettore Lo Gatto e Giovanni Maver, Firenze 1962, pp. 413-416.
35. Cito dall'edizione dell'opera di Ibn Rostah, Kitâb, edita nella Bibliotheca Geographicorum Arabicorum di Michel J. De Goeje, VII, Leyden 1892, p. 128 (ora in riprod. anast. [Brill> Lugduni Batavorum 1962).
36. V. Ibn Hawqal, Opus geographicum, a cura di Johannes H. Kramer, in Bibliotheca Geographicorum Arabicorum di Michel J. De Goeje, II, 1, 2, Leyden 1938/392, pp. 194 e 201.
37. Cito dall'edizione di Edrisi, L'Italia descritta nel 'Libro di Re Ruggero'compilato da Edrisi, testo arabo pubblicato con versione e note a cura di Michele Amari e Celestino Schiaparelli, Roma 1883, p. 66, 3, 7-8.
38. Si v. in generale anche Maria Nallino, Il mondo arabo e Venezia fino alle Crociate, in AA.VV., La Venezia del Mille, Firenze 1965, pp. 163-172. Per i contatti linguistici arabo-veneziani rinvio a Giovan Battista Pellegrini, Contatti linguistici arabo-veneziani, in AA.VV., Venezia e il Levante fino al secolo XV, II, Firenze 1974, pp. 301-330.
39. È da notare che in arabo al-bunduqī (cioè 'il veneziano') significa 'zecchino' (coniato dapprima a Venezia).
40. Francis Joseph Steingass, A Comprehensive Persian-English Dictionary, London 19574, p. 1481.
41. Si v. l'edizione dello Slavo o polku Igoreve, a cura di Varvara Pavlovna Adrianova-Peretc, Moskva-Leningrad 1950, p. 18.
42. Comunicazione tenuta al congresso veneziano "Venezia e Levante fino al secolo XV" del 1968. Il contributo non è però apparso negli Atti del Congresso, né mi è dato di sapere ove sia stato eventualmente pubblicato.
43. Max Vasmer, Russisches etymologisches Wörterbuch, I, Heidelberg 1953, p. 182.
44. Wilhelm Radloff, Versuch eines Wörterbuch der Türk-Dialekte, Leningrado 1893-191I; riprod. anast. di 's-Gravenhage 1960, II, p. 1967.
45. Frange Bezlaj, Etimološki slovar slovenskega jezika, I, Ljubljana 1977, p. 17.
46. Si tratta della regione friulana orientale ove si parlano ancora dialetti sloveni particolari (influenzati più o meno fortemente dal friulano).
47. Petar Skok, Etimologijski Rječnik hrvatskoga ili srpskoga jezika, I, Zagreb 1971, pp. 136-137.
48. Bǎlgarski etimologičen rečnik, a cura di Vl. Georgev-Ivan Gǎlǎbov - Iordan Zaimov - St. Ilcev, Sofia 1963, p. 133.
49. V. Kiss Lajos, Földrajzi nevek etimológiai szótára, Budapest 1978, p. 687.
50. Alejandro Cioranescu, Diccionario Etimológico Rumano, La Laguna 1966, p. 889.
51. Angelo Leotti, Dizionario albanese-italiano, Roma 1937, p. 1586.
52. Fjalor i gjuhës së sotme shqipe (diretto da Androkli Kostellari), Tiranë 1980, p. 2129.
53. Manu Leumann-Johann Baptist Hofmann-Anton Szántyr, Lateinische Grammatik, I (Lateinische Laut- und Formenlehre von Manu Leumann), München 19775, pp. 336-337.
54. Charles H. Grandgent, Introducción al latín vulgar, Madrid 19633, p. 53.
55. V. qui sopra la n. 53.
56. R. Schwyzer, Griechische Grammatik, I, München 1953, p. 494.
57. S. Mazzarino, Il concetto storico-geografico, p. 12.
58. Ruzzante, Teatro, a cura di Ludovico Zorzi, Torino 1967, p. 519.
59. Olinto Marinelli, La divisione dell'Italia in regioni e provincie con particolare riguardo alle Venezie, "L'Universo", 4, 1923, pp. 839-848 e 915-954.
60. La Veniexiana. Commedia di anonimo veneziano del Cinquecento, a cura di Giorgio Padoan, Padova 1974.
61. L'uso è tuttora abbastanza frequente, ma è da notare che nel friulano è norma quasi generale che -a finale passi ad -e.
62. V. Robert Von Planta-Andrea Schorta, Rätisches Namenbuch, I, Materialen, Bern 19792, p. 586.
63. Vittorio Lazzarini, Il preteso documento della fondazione di Venezia e la cronaca del medico Jacopo Dondi, "Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 75, 1915-16, pp. 1263-1281; ora nei suoi Scritti di paleografia e diplomatica, Padova 19692, pp. 99-116.
64. R. Cessi, Venezia Ducale, pp. 15-16.
65. V. nel testo il § 12.
66. R. Cessi, Venezia Ducale, p. 18.
67. Ibid., pp. 68 ss.
68. Paulus Diaconus, Historia Langobardorum, IV, 45.
69. Pierluigi Tozzi-Maurizio Harari, Heraclea veneta. Immagini di una città sepolta, Parma 1984; Giorgio Fedalto, Romanità e orientalità della "Venetia maritima", "Veneto orientale", 1, 1983, pp. 50-56.
70. V. qui di seguito il luogo corrispondente alla n. 280.
71. Notizie essenziali su Oderzo preromana e romana si leggono in Giovan Battista Pellegrini-Aldo Luigi Prosdocimi, La lingua venetica, I-II, Padova-Firenze 1967, pp. 429-441, e in Giovan Battista Pellegrini, Oderzo preromana e un nuovo ciottolone sepolcrale, "Il Noncello", 54, 1982, pp. 81-92.
72. Pharsalia, 4, 402-581.
73. Nel mio articolo Note epigrafico-linguistiche, "Ce fastu?", 40, 1964, p. 150-159 e v. poi G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, pp. 438-441.
74. L'influsso gallico è manifesto in Cadore, non solo attraverso i reperti archeologici, ma anche attraverso l'antroponimia delle iscrizioni venetiche che certamente offre alcuni nomi sicuramente di origine gallica.
75. V. Aldo Luigi Prosdocimi, Una nuova iscrizione venetica da Oderzo (Od 7) con elementi celtici. Appendice di Giovan Battista Pellegrini, in AA.VV., Studi di antichità in onore di Guglielmo Maetzke, Roma 1984, pp. 423-445.
76. A dire il vero tali antroponimi, che indubbiamente sono iscritti sul ciottolone funerario, non presentano agganci con l'onomastica tradizionale, secondo la mia lezione.
77. Per una breve storia delle ricerche sul venetico e sui Veneti v. G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, pp. 3-8 e per una bibliografia degli studi ivi, II, pp. 281-338. Ma è ora un contributo fondamentale e aggiornato il volume di Giulia Fogolari-Aldo Luigi Prosdocimi, I Veneti antichi. Lingua e cultura, Padova 1988; ivi anche una bibliografia completa alle pp. 423-440 (Prosdocimi).
78. Le fonti sui Veneti antichi sono diligentemente elencate in G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, II, pp. 231-235 (Prosdocimi).
79. Paul Kretschmer, Die vorgriechischen Sprach- und Volksschichten, "Glotta", 30, 1943, pp. 134-152 (pp. 84-218).
80. Michel Lejeune, Sur les Inscriptions de la Vénétie préromaine, "Comptes rendus des séances de l'Académie des Inscriptions et Belles Lettres", 1952, pp. 11-15.
81. Giacomo Devoto, Un antefatto per Vendéen, in AA.VV., Etymologica. Festschrift v. Wartburg, Tübingen 1958, pp. 187-195; Id., Gli antefatti del latino 'Venus' e i problemi delle omofonie indoeuropee, in AA.VV., Studi A. Schiaffini, Roma 1965, pp. 444-452.
82. A.L. Prosdocimi, La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, pp. 228-233 (pp. 221-420).
83. Le teorie dello studioso polacco si possono leggere riassunte nel (modesto) volumetto di Carlo Verdiani, Il problema dell'origine degli Slavi, Firenze 1951 (specie pp. 27 e ss.).
84. Per citare qualche esempio basti vedere il volumetto di Ivan Tomažič (prefatore)-Jožko Šavli, Veneti nǎsi predniki?, "Glas Korotana", Leto 1985, Stevilka 10 (edito a Vienna). Ma alcune personalità della cultura slovena (peraltro letteraria) hanno scritto sul nostro argomento vari articoli fuorvianti sui giornali locali (contraddetti dai veri storici jugoslavi). Si veda da ultimo l'infelice volume Z Veneti v novi čas. Odvogori - odmevi - obravnave (Zbornik 1985-1990), uredil Ivan Tomažič, Ljubljana 1990.
85. Dopo il "corpus" di G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, è di grande importanza tanto per l'edizione dei testi, quanto per la sintesi sulla lingua, il volume di Michel Lejeune, Manuel de la langue vénète, Heidelberg 1974. Tale volume riassume l'intensa attività scientifica dello studioso che ha esaminato attentamente le epigrafi venetiche con eccellenti edizioni e commenti in quasi un centinaio di contributi.
86. A.L. Prosdocimi, La lingua, in G. Fogolari A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi.
87. Cf. G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, ma anche M. Lejeune, Manuel de la langue vénète.
88. Giovan Battista Pellegrini, Origine e diffusione degli alfabeti preromani nell'Italia Superiore, in AA.VV., Spina e l'Etruria Padana, Firenze 1959, pp. 181-196 (con molte tavole tra cui una riassuntiva degli alfabeti).
89. Mauro Cristofani, Sull'origine e la diffusione dell'alfabeto etrusco, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt (a cura di H. Temporini), I, 2, Berlin 1972, pp. 466-489 (in particolare pp. 481-483).
90. Secondo il Prosdocimi - ora possiamo dirlo dopo il reperimento di nuove fondamentali epigrafi - l'acquisizione della scrittura da parte dei Veneti sarebbe avvenuta in due fasi; nella prima, risalente al secolo VI a.C., essi avrebbero accolto un alfabeto etrusco settentrionale, privo della tipica puntuazione, mentre nella seconda essi avrebbero attinto ad alfabeti etruschi meridionali con l'uso della puntuazione sillabica.
91. Alfred Ernout-Antoine Meillet, Dictionnaire étimologique de la langue latine. Histoire des mots, Paris 19594.
92. Wilhelm Meyer-Lùbke, Romanisches Eymologisches Wörterbuch, Heidelberg 1930-353, 9198.
93. Secondo il Dizionario Etimologico Italiano, V, 4010 e 4058; v. anche Gerhard Rohlfs, Nuovo dizionario dialettale della Calabria, Ravenna 1977, p. 760.
94. Mi basti rinviare per le continuazioni popolari di venetus, come nome di colore, a Giovanni Alessio, Ricerche etimologiche su voci italiane antiche, "Revue de linguistique romane", 18, 1954, pp. 1-67, in particolare p. 64.
95. Géza Alföldi, Die Personennamen in der römischen Provinz Dalmatia, "Beiträge zur Namenforschungen", N.F., Bh. 4, Heidelberg 1969 e Jurgi Untermann, Venetisches in Dalmatien, "Godišnjak", knjiga VII del "Centar za balkanolovska ispitivanja", 5, Sarajevo 1970, pp. 5-21.
96. V. qui sopra il luogo corrispondente alle nn. 85-90.
97. Emil Vetter, Die Herkunft des venetischen Punktiersystems, "Glotta", 24, 1936, pp. 114-133.
98. V. A.L. Prosdocimi, La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, pp. 418-420.
99. V. qui sopra il luogo corrispondente alle nn. 85-90.
100. Hans Krahe, Das Venetische. Seine Stellung im Kreis der verwandten Sprachen, Heidelberg 1950 (3. Abb. der Sitzungsber. der Heidelberg. Akademie der Wissenschaften).
101. Per l'iscrizione di Cartura rimane sempre fondamentale l'edizione a cura di Aldo Luigi Prosdocimi, Venetico. Una nuova iscrizione da Cartura (Padova), "Archivio glottologico italiano", 56, 1972 pp. 97-134.
102. Si v. anche le conclusioni di M. Lejeune, Manuel de la langue vénète, p. 173, a proposito della posizione del venetico: "lingua ie. autonoma suscettibile (come ogni lingua) di certe connessioni proprie (non accordantesi con gli idiomi con i quali è maggiormente imparentata) il venetico sembra spettare all'area dialettale dell'Ovest ie.: tale lingua si caratterizza, da una parte, per una tendenza spesso conservatrice, dall'altra per le sue affinità più marcate con il latino e l'osco-umbro (in particolare col latino) piuttosto che con gli altri idiomi conosciuti della medesima area (ciò che corrisponde ad una definizione possibile, non genetica, ma descrittiva dell' 'italico')". Si v. anche Onofrio Carruba, La posizione linguistica del venetico, "Athenaeum", fasc. per il Convegno in memoria di Plinio Fraccaro, Pavia 1976, pp. 100-112.
103. Alberto Zamboni, Contributo allo studio del latino epigrafico della X Regio Augustea (Venetia et Histria). Introduzione e Fonetica (Vocalismo), "Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 124, 1965-66, pp. 476-477 (pp. 463-517).
104. Jurgi Untermann, Die Venetischen Personennamen (con un fascicolo di Carte), Wiesbaden 1961.
105. Raffaello Battaglia, Dal paleolitico alla civiltà atestina, in AA.VV., Storia di Venezia, I, Dalla preistoria alla storia, Venezia 1957, pp. 77-177.
106. Cesira Gasparotto, Scultura paleoveneta. Stele patavine, "Padova", 2-4, 1956, pp. 3-13, 3-12 e 10-19.
107. Giulia Fogolari, La protostoria delle Venezie, in AA.VV., Popoli e civiltà dell'Italia antica, IV, Roma 1975, pp. 63-222.
108. Giovan Battista Pellegrini, Iscrizioni paleovenete da Làgole di Calalzo (Cadore), "Rendiconti dell'Accademia dei Lincei", ser. VIII, 5, 1950, pp. 307-322 e Id., Il contributo degli studi toponomastici alla storia antica della regione veneta, "Atti della Deputazione di Storia Patria per le Venezie", 17 giugno 1962, pp. 21-46.
109. Gianfranco Folena, Gli antichi nomi di persona e la storia civile di Venezia, "Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 129, 1970-71, pp. 445-484.
110. Qualora, come pare assai verosimile, la massima parte delle popolazioni della terraferma che si riversarono nelle isole della laguna e del litorale abbiano avuto in Oderzo (poi Eraclea) il centro maggiore dell'emigrazione, troveremmo un argomento supplementare per la nostra ipotesi a proposito dei prischi cognomi (patronimici) in -ìgo come continuazione del preromano e romano -icus che dovette esser tipico anche di Oderzo (venetico settentrionale, come il Cadore).
111. Per tali antroponimi latini in -icus basti scorrere il volumetto di "Carte" dell'Untermann in Die Venetischen Personennamen: v. Karte 1.
112. Un cenno su tali cognomi in -ésso è già nel mio articolo Nomi e cognomi veneti, in AA.VV., Guida ai dialetti veneti, III, a cura di Manlio Cortelazzo, Padova 1981, pp. 6-7 (pp. 1-34).
113. Anna Karg, Die Ortsnamen der antiken Venetiens und Istriens auf Grund der Quellen gesammelt und geordnet, "Wòrter und Sachen", 22, 1941-42, pp. 100-128 e 166-202.
114. A.L. Prosdocimi, La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, pp. 390-391. V. anche Id., in G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, pp. 299-300.
115. V. A. Karg, Die Ortsnamen, p. 110; A.L. Prosdocimi, La lingua, in G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, pp. 430-431, e Id., La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, pp. 391-392.
116. V. Hans Krahe, Illyrica, "Indogermanische Forschungen", 49, 1931, p. 273 (pp. 267-273) e A. Karg, Die Ortsnamen, pp. 185, 195.
117. Dante Olivieri, Toponomastica Veneta, Venezia-Roma 1961, p. 148.
118. V. nel testo il § 12.
119. A. Karg, Die Ortsnamen, p. 179.
120. V. ora A.L. Prosdocimi, La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, pp. 392-393
121. V. A.L. Prosdocimi, in G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, p. 401; diversamente ora A.L. Prosdocimi, La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, p. 392.
122. V. per altri riscontri A. Karg, Die Ortsnamen, p. 176.
123. V. A.L. Prosdocimi, in G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, p. 401 e ivi bibliografia, e un nuovo tentativo di interpretazione in Id., La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, p. 392.
124. V. A.L. Prosdocimi, in G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, p. 580.
125. V. anche A.L. Prosdocimi, La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, p. 393.
126. Carlo Battisti, Il nome del Tagliamento e un fonema dialettale gallico, "Studi Goriziani", 1, 1923, pp. 81-94.
127. A.L. Prosdocimi, in G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, p. 581.
128. "Notizie degli scavi", 1925, p. 3 (Duino-Timavo).
129. V. A.L. Prosdocimi, in G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, p. 581, e ora Id., La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, pp. 393-394.
130. A. Karg, Die Ortsnamen, pp. 185, 195.
131. Hans Krahe, Die Sprache der Illyrier, I, Wiesbaden 1955, pp. 89-90.
132. V. qui sopra il luogo corrispondente alle nn. 71-76.
133. Hans Krahe, Die Ortsnamen des antiken Apulien und
Calabrien, "Zeitschrift für Ortsnamenforschungen", 5, 1929, pp. 18 e 146 (pp. 3-25; 139-166).
134. P. Kretschmer, Die vorgriechischen Sprach-, p. 146.
135. A.L. Prosdocimi, La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, pp. 397-401.
136. Si v. oltre a A.L. Prosdocimi, in G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, pp. 429-430, 602, anche Giovan Battista Pellegrini, Panorama di storia linguistica giuliano-carnica. Il periodo preromano, "Studi Goriziani", 29, 1961, pp. 73-97.
137. Si v. per una discussione del tema ed i rapporti con Atesis/Athesis ecc. A.L. Prosdocimi, in G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, pp. 25-28 e ora Id., La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, pp. 396-397.
138. Codice Diplomatico Padovano dal secolo VI a tutto l'undecimo, a cura di Andrea Gloria, Venezia 1877-1881.
139. Bruno Lavagnini, Il nome di Padova, "Athenaeum", 4, 1929, pp. 172-176.
140. Si v. Gustav Ineichen, Die paduanische Mundart
am Ende des 14. Jahrhundert auf Grund des Erbario Carrarese, "Zeitschrift für romanische Philologie", 73, 1957, pp. 78-79 (pp. 38-123).
141. Sulla questione delle varianti fonetiche v. Giovan
Battista Pellegrini, Problemi di toponomastica veneta preromana, ora nel volume complessivo Ricerche di toponomastica veneta, pp. 72-73 (pp. 67-89).
142. V. il Codice Diplomatico Padovano.
143. V. ora A.L. Prosdocimi, La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, pp. 394-396.
144. V. Julius Pokorny, Indogermanisches Etymologisches Wirterbuch, Bonn 1951, pp. 824-825.
145. A.L. Prosdocimi, La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, p. 101.
146. Ettore Pais, Corporis Inscriptionum Latinarum Supplementa Italica, Roma 1884, 452.
147. V. G.B. Pellegrini - A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, p. 402 e A.L. Prosdocimi, La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, pp. 402-403.
148. A. Karg, Die Ortsnamen, p. 173 e G.B. Pellegrini-A.L. Prosdocimi, La lingua venetica, I, p. 394.
149. V. ora A.L. Prosdocimi, La lingua, in G. Fogolari-A.L. Prosdocimi, I Veneti antichi, p. 402.
150. V. Giovan Battista Pellegrini, Cadore preromano e romano, in Id., Saggi di linguistica italiana, Torino 1975, pp. 199-214.
151. Giacomo Devoto, La F iniziale etrusca e i nomi di Felsina e Feltre, "Studi etruschi", 15, 1941, pp. 171-178.
152. Dovremmo ricordare anche il notevole filone dell'elemento greco, specie il più antico, della città lagunare. Qui ci limitiamo a rimandare agli importanti contributi di Manlio Cortelazzo ed in particolare all'articolo I più antichi prestiti bizantini nel veneziano, "Rivista di studi bizantini e neoellenici", n. ser., 2-3, 1968, pp. 181-183 e soprattutto al volume L'influsso linguistico greco a Venezia, Bologna 1970.
153. Il breve elenco è estratto generalmente da Luigi Lanfranchi - Gian Giacomo Zille, Il territorio del ducato veneziano dall' VIII al XII secolo, in AA.VV., Storia di Venezia, II, Dalle origini del ducato alla IV Crociata, Venezia 1958, pp. 3-65, un lavoro assai utile che mi esenta anche dal localizzare costantemente i nomi di luogo citati. Cito spesso il Codice del Piovego ora che è pubblicato: Codex publicorum (Codice del Piovego), I, a cura di Bianca Lanfranchi Strina, Venezia 1985. Mi avvalgo inoltre di alcuni contributi di Dante Olivieri, soprattutto della Toponomastica veneta, Venezia-Roma 1961, inoltre di Toponimi preromani e romani dell'Estuario, veneto in rapporto alla continuità della tradizione romana nelle isole, in Atti della XXVI Riunione della Società italiana per il Progresso delle Scienze, Roma 1938, pp. 1-12; I nomi di luogo lagunari e le origini di Venezia, "Archivio glottologico italiano", 30, 1938, pp. 132-141; Termini di geonomastica lagunare nel "Liber Publicorum", in Atti del IV Congresso nazionale di arti e tradizioni popolari, II, Roma 1942, pp. 549-557; Nuovi complementi alla "Toponomastica veneta", "Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti", 109, 1940-41, pp. 365-373. V. anche la recensione di Carla Marcato all'edizione del Codex Publicorum, in "Studi medievali" (in corso di stampa).
154. Giuseppe Tassini, Curiosità veneziane, Venezia 19708, p. 148.
155. V., per un tentativo di interpretazione, Wladimiro Dorigo, Venezia Origini. Fondamenti, ipotesi, metodi, I-II, Milano 1983: v. ivi, I, p. 266; qui l'A. (che ha composto un'opera indubbiamente benemerita data l'amplissima informazione in vari campi) tenta anche alcuni accostamenti etimologici con località balcaniche, e non escludo che in qualche caso egli abbia ragione.
156. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 60.
157. V. Origo Civitatum Italiae seu Venetiarum, p. 42, 15.
158. V. qui sopra la n. 28.
159. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.81.
160. V. Henry G. Liddel-Robert Scott, A Greek English Lexicon, Oxford 1925-49, p. 769: "exposed to the sun, sunny of places" (Theophrastus, De causis plantarum, 12, 3), confermato dal Thesaurus Graecae linguae, n. 136: "῾ΗλιόβολοϚ 'soli expositus'" e v. anche Dimitrakos, Méga lexikòn tēs ellēniks glōssēs, Athenai 1953-58, n. 3249:
`Hliãbaloj -o(n) = á upæ toò hl…ou ballãmenoj [...> Éliãbltoj [...>, ecc.
161. Giovanni Lorenzetti, Venezia e il suo estuario, Milano 1927, p. 294.
162. L. Bosio - G. Rosada, Le presenze insediative, p. 542.
163. Per la diffusione di basǐlǐca mi basti rinviare a Carlo Battisti, Il problema linguistico di "Basilica", in Settimane di studio di Spoleto, VII, 1960, pp. 805-847.
164. V. L. Bosio - G. Rosada, Le presenze insediative, p. 548.
165. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.22.
166. D. Olivieri, I nomi di luogo lagunari, p. 138.
167. Informazione del Professor Lanfranchi.
168. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.41.
169. Ibid., doc. 2.77.
170. D. Olivieri, Termini di geonomastica lagunare, p. 551.
171. Fabio Mutinelli, Lessico Veneto che contiene l'antica fraseologia volgare e forense, Venezia 1851.
172. Si v. da ultimo G.B. Pellegrini, Ricerche di toponomastica, pp. 142-144 (ivi la bibliografia).
173. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.92.
174. Codice Diplomatico Padovano, I, p. 86, n. 60.
175. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.92.
176. Codice Diplomatico Padovano, II, p. 45 e varie volte
in seguito.
177. V. Carlo Battisti, Avviamento al latino volgare,
Bari 1949, p. 124.
178. Lessico etimologico italiano, fasc. 14, vol. II, 1986, coll. 1100-1101, articolo redatto da Johannes Kramer e Antonio Lupis.
179. Ferdinando Arrivabene - Francesco Cherubini, agg.
180. Francesco Cherubini, Voc. mant. -it., p. 193.
181. Carlo Malaspina - Ilario Peschieri, App., e v. Paolo A. Faré, 443, Postille italiane al "Romanisches Etym. Wörterbuch" di W. Meyer-Lübke e comprendenti le "Postille italiane e ladine" di Carlo Salvioni, Milano 1972, 449.
182. Ivi, n. 1.
183. V. sopra la n. 153.
184. Ivi, p. 142.
185. D. Olivieri, I nomi di luogo lagunari, p. 138.
186. I nomi di luogo derivati dal lat. alluvies sono stati illustrati da Dante Olivieri, Il nome locale veneto 'Lupia' ed alcuni toponimi affini, "Nuovo Archivio Veneto", n. ser., 35-36, 1917, pp. 188-192.
187. Si rinvia anche qui spesso a L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano. Cf. qui sopra la n. 154.
188. Ibid., p. 31.
189. Codex publicorum, pp. 24-25.
190. V. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 1 e C. Marcato, recensione.
191. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 1.102.
192. Constantinus Porphyrogenitus, De administrando imperio, p. 241.
193. Ibid., p. 244: l'editore commenta alla nota 68 "Locus hic qui a Porphyrogenitus Aibola appellatur, Dandulo Albiola dicitur".
194. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 30 e v. all'anno 994 Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.140.
195. W. Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, 392.
196. V. anche D. Olivieri, Toponimi preromani e romani, pp. 8-9.
197. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 1.102.
198. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 1 e Id., Nuovi complementi, p. 4.
199. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.29.
200. D. Olivieri, Nuovi complementi, p. 366.
201. D. Olivieri, Toponimi preromani e romani, p. 9.
202. W. Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, 964.
203. Angelico Prati, Etimologie venete, a cura di Gianfranco Folena - Giovan Battista Pellegrini, Roma 1968, p. 11.
204. Codex publicorum, p. 79; v. D. Olivieri, Termini di geonomastica lagunare, p. 550 e Id., Toponomastica veneta, p. 122.
205. Giuseppe Boerio, Dizionario del dialetto veneziano, Venezia 1856, p. 78.
206. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 12.
207. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.82.
208. Ivi, p. 80, 15.
209. Ibid., p. 165.
210. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 13.
211. Wilhelm Schulze, Zur Geschichte Lateinischen Eigennamen, Berlin 1904, pp. 102, 425.
212. Ibid., p. 183.
213. Silvio Pieri, La toponomastica della valle dell'Arno, Roma 1919, p. 109.
214. Per la precisa localizzazione dell'ant. Bibbione v. ora Giovanni Frau, Note storiche e linguistiche sul toponimo "Bibione" (nel numero unico "San Michiel" della Società filologica Friulana), Udine 1985, pp. 215-224.
215. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 12.
216. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 53.
217. W. Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, 1016; Walter Von Wartburg, Französisches Etymologisches Wörterbuch, I, Bonn - Leipzig 1928, pp. 312-313.
218. J. Pokorny, Indogermanisches Etymologisches Wörterbuch, pp. 113-114.
219. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 9.
220. D. Olivieri, Nuovi complementi, p. 367.
221. D. Olivieri, I nomi di luogo lagunari, p. 138 e Id., Toponimi preromani e romani, p. 9.
222. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 13.
223. Angelico Prati, Spiegazioni di nomi di luogo del Friuli, "Revue de Linguistique Romane", 12, 1936, pp. 58-60 (pp. 44-143).
224. Ivi, I, p. 621.
225. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 1.102.
226. M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, I, a cura di Theodor Sickel, 1879-1884, p. 480.
227. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.38.
228. Ivi, p. 130, 10.
229. W. Schulze, Zur Geschichte, pp. 110, 114.
230. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 13.
231. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, pp. 41-42.
232. Vittorio Bellemo, Il territorio di Chioggia, Chioggia 1893, p. 51.
233. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 137.
234. Charles Dufresne Du Cange, Glossarium Mediae et Infimae Latinitatis, I-X, Niort 1883-87.
235. W. Meyer-Lubke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, 7169a.
236. Ivi, p. 145.
237. Giovanni Da Schio, Saggio del dialetto vicentino, Padova 1885.
238. Domenico Bortolan, Vocabolario del dialetto antico vicentino, Vicenza 1894.
239. Codex publicorum, p. 171.
240. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 22.
241. Ibid., p. 34.
242. Ibid., p. 48.
243. V. G.B. Pellegrini, Studi di dialettologia, pp. 51-52 e ivi la bibliografia.
244. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 95.
245. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 1.102.
246. Codice Diplomatico Padovano, I, p. 19.
247. Ivi, p. 80, 15.
248. Ibid., p. 80, 17.
249. Ibid., p. 76, 12.
250. D. Olivieri, Toponomastica veneta, pp. 69-70.
251. D. Olivieri, Toponimi preromani e romani, p. 9.
252. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 13.
253. Ibid., p. 40.
254. W. Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, 2359.
255. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 36.
256. W. Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, 2224, 2226.
257. Giovan Battista Pellegrini-Carla Marcato, Appunti di toponomastica dell'area portogruarese, in AA.VV., L'area portogruarese fra Veneto e Friulano, Portogruaro 1983, p. 113 e ivi la bibliografia (pp. 102-146).
258. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 40.
259. V. riscontri in D. Olivieri, Termini di geonomastica lagunare, p. 552.
260. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 127.
261. Ibid., p. 97.
262. V. Bellemo, Il territorio di Chioggia, p. 63.
263. A. Prati, Etimologie venete, p. 49.
264. W. Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, 2253.
265. Ibid., 1016.
266. V. J. Pokorny, Indogermanisches Etymologisches Wörterbuch, 1113, 1114 e cf. sopra Bidòia.
267. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 44.
268. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.131.
269. Ibid., doc. 2.60.
270. W. Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, 2112 concha.
271. Ibid., 3403.
272. Ibid., 3404.
273. Ibid., 3401.
274. Giovanni Battista De Gasperi, Termini geografici del dialetto friulano. Termini geografici dialettali di regioni italiane, a cura di Arrigo Lorenzi, in Id., Scritti vari di geografia e geologia, Firenze 1922, pp. 335-422.
275. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 99.
276. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 14.
277. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.140.
278. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 38.
279. V. A. Prati, Etimologie venete, p. 74 e v. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 101 . Per il tipo configno v. ad es. i miei Saggi di linguistica italiana, p. 296, cf. Trifigno.
280. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 37.
281. V. su ciò Giovan Battista Pellegrini, Studi di dialettologia e filologia veneta, Pisa 1977, p. 55 con bibliografia ed altri esempi individuati dal Prati e dall'Olivieri.
282. G.B. Pellegrini - C. Marcato, Appunti di toponomastica, pp. 117-118.
283. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 49.
284. D. Olivieri, I nomi di luogo lagunari, p. 138.
285. C. Marcato, recensione.
286. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.142.
287. Ibid., doc. 2.65.
288. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 3.
289. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 58.
290. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 5.
291. D. Olivieri, I nomi di luogo lagunari, p. 140 e Toponomastica veneta, p. 148.
292. Luciano Bosio, I problemi portuali della frangia lagunare veneta nell'antichità, in AA.VV., Venetia I, Padova 1967, pp. 13-96. Del medesimo Autore si v. anche Note per una propedeutica allo studio storico della laguna veneta in età romana, "Ateneo Veneto", 142, 1983-84, pp. 95-126.
293. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.111.
294. Ibid, doc. 2.84.
295. V. Bellemo, Il territorio di Chioggia, p. 202-203.
296. V. anche W. Dorigo, Venezia Origini, I, p. 790.
297. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 82.
298. V. anche il mio contributo Attraverso la toponomastica urbana, in AA.VV., Topografia urbana e vita cittadina nell'alto medioevo in Occidente, Spoleto 1974, pp. 406-407, anche in Id., Ricerche, p. 298.
299. C. Marcato, recensione.
300. D. Olivieri, Toponimi preromani e romani, p. 10 e G.B. Pellegrini, Ricerche, p. 185.
301. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 47.
302. G.B. Pellegrini, Ricerche, pp. 162 e 175-176.
303. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 19.
304. Giovanni Alessio, Il toponimo zaratino 'Puntamica', "Rivista Dalmatica", 20, 1939, pp. 10-15.
305. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 1.102.
306. Codice Diplomatico Padovano, I, p. 19.
307. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.81.
308. M.G.H., Diplomata regum et imperatorum Germaniae, I, a cura di Theodor Sickel, 1879-1884, pp. 480-482 e Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.84.
309. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.68.
310. Ibid., doc. 2.141.
311. C. Marcato, recensione.
312. W. Schulze, Zur Geschichte, pp. 121, 142.
313. Ibid., pp. 196, 424 e v. Angelico Prati, Escursioni toponomastiche nel Veneto, I, " Revue de dialectologie romane" 5, 1913, pp. 119 e 139 e D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 22.
314. V. anche D. Olivieri, Toponimi preromani e romani, p. 10.
315. V. G.B. Pellegrini, Ricerche, p. 160 e D. Olivieri, Toponimi preromani e romani, p. 11 e Id., Nuovi complementi, pp. 371-372.
316. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 8 e Id., Toponimi preromani e romani, p. 11.
317. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 25.
318. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 128.
319. Documenti relativi alla storia di Venezia, doc. 2.47.
320. Ibid., doc. 1.102.
321. Pietro Massia, Sul nome di luogo "Tortello", Alessandria 1932.
322. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 142.
323. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, pp. 19-20.
324. Codex publicorum, p. 139.
325. Ibid., p. 169.
326. D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 142.
327. C. Marcato, recensione.
328. L. Lanfranchi - G.G. Zille, Il territorio del ducato veneziano, p. 52.
329. W. Meyer-Lübke, Romanisches Etymologisches Wörterbuch, 9318.
330. D. Olivieri, I nomi lagunari, p. 137.
331. W. Dorigo, Venezia Origini, I, p. 185.
332. Giambattista Gallicciolli, Delle memorie venete antiche profane ed ecclesiastiche, I, Venezia 1795, p. 118 e D. Olivieri, Toponomastica veneta, p. 19.
333. L. Bosio - G. Rosada, Le presenze insediative, p. 557.
334. V. Giovan Battista Pellegrini, Saggi di linguistica italiana, Torino 1975, pp. 185-187.
335. Flaminio Corner, Ecclesiae Venetae antiquis monumentis nunc etiam primum editis illustratae ac in decadis distributae, III, Venezia 1749, p. 372.
336. Ivi, p. 116, 25.
337. Come è noto costituiscono il volume primo dell'"Archivio glottologico italiano" (1873).
338. V. G.B. Pellegrini, Ricerche, pp. 128-132; inoltre Id., Il veneziano e l'aquileiese (friulano) del 1000, in AA.VV., Aquileia e le Venezie nell'alto Medioevo (A.A., 32), Udine 1988, pp. 363-386.
339. Lettere di mercanti a Pignol Zucchello (1336-1350), a cura di Raimondo Morozzo della Rocca, Venezia 1957, pp. 120-123.
340. Mi basti rimandare ai miei Studi di dialettologia e filologia veneta, pp. 28-31.
341. Si v. il mio articolo Osservazioni di sociolinguistica italiana, "L'Italia dialettale", 45, 1982, pp. 1-36.
342. Saggi ladini, pp. 464-465.
343. Come si può vedere dalle giustificate critiche di Angelico Prati, Pretesi ladinismi nella toponomastica veneta, "Revue de dialectologie romane", 6, 1914, pp. 185-193 (non ha peraltro ragione il Prati nella sua concezione di "ladino", che egli considerava nettamente staccato dal "veneto"); Angelo Monteverdi, San Stae, in AA.VV., Silloge linguistica alla memoria di G.I. Ascoli, Torino 1929, pp. 465-470.
344. Come ausilio della toponomastica alla storia, mi permetto di rinviare agli esempi riportati nel mio contributo Toponomastica e storia, "Fondamenti. Rivista quadrimestrale di cultura", 7, 1987, "Lingua e storia", a cura di Massimiliano Pavan, pp. 27-53.