DAIMYŌ (dal sino-giapp. dai "grande" e myō "nome")
Erano, nel vecchio Giappone, i maggiori signori feudali, shōmyō (shō, piccolo) essendo detti i minori, la quale distinzione sparì col tempo restando solo daimyō come designativo generico. La loro origine vien fatta risalire ai funzionarî militari (Shugo) posti da Yoritomo a controllo e difesa dei governatori civili delle varie provincie. Nei tempi torbidi che seguirono la sua morte, essi, provvisti com'erano di uomini d'armi, poterono agevolmente usurpare il nome e le funzioni dei governatori e sostituirsi a loro, creandosi dei feudi. Prima di Yoritomo, daimyō era semplicemente il possessore di molti myōden (campi aperti alle colture, dietro occupazione o acquisto, cui il possessore dava il proprio nome). Il numero, la potenza e le specie dei daimyō furono varî attraverso i tempi. Prima di Ieyasu, i daimyō erano divisi in Kokushū (hoku, provincia, shū, signore), se il loro feudo corrispondeva a una provincia, Ryōshū (ryō, possedimento), se minore, Jōshū (jō, castello), se era un castello. Ieyasu, riformando il sistema feudale, divise i daimyō in 176 Fudai, comprendenti quelli che lo avevano sostenuto prima della caduta del castello di Ōsaka (1615), e 86 Tozama, quelli che si erano a lui sottomessi dopo. Fra i primi erano 21 suoi parenti, 3 dei quali, suoi figli, ebbero in feudo le prov. di Kii, Owari e Mito e costituirono i Go-san-ke (le tre famiglie shogunali); gli altri 18 portavano tutti il cognome di Matsudaira.
I daimyō avevano uomini d'armi (samurai), servi, contadini, ecc. Sotto i Tokugawa essi non potevano battere moneta, costruire navi da guerra o castelli, e neppure uscire dal proprio feudo senza avvertirne prima lo Shōgun; erano, inoltre, obbligati al sankin kōtai, a recarsi, cioè, per turno, a Yedo e a restarvi per un periodo fisso, di solito un anno, al servizio dello Shōgun.
Bibl.: J. Hayakawa, S. Inobe e K. Yashiro, Koku-shi Dai Jiten (Gran dizionario di storia nazionale), Tōkyō 1915; J. Murdoch, History of Japan, voll. 3, Tokyo e Londra 1903-26.