Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il comportamentismo nasce nel primo decennio del Novecento: il primo che ne formula i principi teorici è lo psicologo americano John Broadus Watson. La psicologia secondo Watson deve avere come campo di studi unicamente i fatti osservabili del comportamento che si manifestano attraverso le reazioni a stimoli esterni. Burrhius Frederic Skinner si allontanerà da queste tesi elaborando una lettura più raffinata del rapporto stimolo-risposta. La psicologia cognitiva, successivamente, si oppone radicalmente al comportamentismo affermando la possibilità di analizzare i processi interni che consentono le manipolazioni dell’informazione. Dal cognitivismo prende le mosse il costruttivismo che ritiene che la conoscenza sia una costruzione attiva del soggetto che apprende.
Il manifesto del comportamentismo
Burrhu Frederic Skinner
La causa del comportamento
A questo punto però sorge un altro interrogativo: come può un evento mentale causare o essere causato da un evento fisico? Se vogliamo predire ciò che una persona farà, come possiamo scoprire le cause mentali del suo comportamento e come possiamo provocare i sentimenti e gli stati d’animo che lo indurranno a comportarsi in un determinato modo? Supponiamo, per esempio, che noi vogliamo persuadere un bambino a mangiare un cibo nutriente ma non molto appetitoso. Ci limitiamo a far sí ch’egli non abbia a disposizione altro cibo e alla fine il bambino mangerà. Sembra che privandolo di cibo (un evento fisico) noi gli abbiamo dato una sensazione di fame (un evento mentale) e che avendo provato fame abbia mangiato il cibo nutriente (un evento fisico). Ma come ha potuto l’atto fisico della privazione portare al senso di fame e come ha potuto questa sensazione muovere i muscoli interessati all’ingestione? Vi sono numerose altre domande sconcertanti di questo tipo. Come possiamo risolverle?
[...]
Il mentalismo aveva distolto l’attenzione dagli eventi antecedenti esterni che avrebbero potuto spiegare il comportamento, con la parvenza di fornire una spiegazione alternativa. Il behaviorismo metodologico fece esattamente il contrario: occupandosi esclusivamente di eventi antecedenti esterni, distolse l’attenzione dall’auto-osservazione e dall’autoconoscenza. Il behaviorismo radicale riporta un certo equilibrio. Esso non insiste sulla verità mediante accordo e può pertanto considerare eventi che si svolgono nel mondo privato entro la pelle. Non definisce questi eventi inosservabili e non li respinge come soggettivi. Pone semplicemente in discussione la natura dell’oggetto osservato e l’attendibilità delle osservazioni.
in G. Mucciarelli, La psicologia nel sentiero contemporaneo, Messina - Firenze, G. D’Anna Editrice, 1981
Jean Piaget
Lo sviluppo mentale
È in termini di equilibrio, quindi, che cercheremo di descrivere l’evoluzione del bambino e dell’adolescente. Da questo punto di vista lo sviluppo mentale è una costruzione continua, paragonabile a quella di un vasto edificio che ad ogni aggiunta divenga più solido, o piuttosto alla messa a punto di un delicato meccanismo, le cui fasi graduali di montaggio portino ad un’elasticità e mobilità degli elementi tanto maggiore, quanto più stabile divenga il loro equilibrio. A questo punto, dobbiamo però introdurre un’importante distinzione fra due aspetti complementari di questo processo di costituzione dell’equilibrio: è opportuno scindere sin dall’inizio le strutture variabili, che definiscono le forme o stati successivi dell’equilibrio, ed un certo funzionamento costante, che permette il passaggio da uno stato qualsiasi al livello successivo.
[...] In modo del tutto generale possiamo dire (non solo confrontando ogni stadio al successivo, ma ogni condotta all’interno di un qualsiasi stadio alla condotta successiva) che ogni azione - cioè ogni movimento, ogni pensiero od ogni sentimento - risponde ad un bisogno. Il bambino, come l’adulto, non esegue alcuna azione, esterna o anche totalmente interiore, se non è spinto da un movente, e tale movente si presenta sempre sotto forma di un bisogno (un bisogno elementare, un interesse, un interrogativo, ecc.). Ma, come ha ben dimostrato Claparède, un bisogno è sempre la manifestazione di uno squilibrio: si ha bisogno quando qualche cosa al di fuori di noi o dentro di noi, nella nostra struttura fisica o mentale, si è modificato, e quando si tratta di riadattare la condotta in funzione di questo cambiamento. La fame o la stanchezza, per esempio, determineranno la ricerca del nutrimento o del riposo [...]. L’azione umana consiste appunto in questo continuo e perpetuo meccanismo di riadattamento o riequilibrio, e proprio per tale ragione nelle prime fasi di costruzione le strutture mentali successive, determinate dallo sviluppo, possono venir considerate come altrettante forme di equilibrio, ognuna delle quali è un progresso rispetto alle precedenti.
J. Piaget, Lo sviluppo mentale del bambino, Torino, Einaudi, 1967
Nel 1913 lo psicologo americano John Broadus Watson pubblica sulla “Psychological Review” il manifesto del comportamentismo, un articolo dal titolo La psicologia secondo i comportamentisti, un manifesto che mette sotto accusa le contraddizioni e le manchevolezze della psicologia funzionale e indica quale deve essere il nuovo metodo d’indagine: l’osservazione del comportamento manifesto. In particolare, dal punto di vista della sperimentazione, il comportamentismo nasce dalle ricerche sul condizionamento degli animali dello scienziato russo Pavlov.
La psicologia secondo Watson deve fondarsi sui fatti osservabili del comportamento che si manifestano attraverso le reazioni a stimoli esterni. Per lo psicologo americano, il comportamento è un dato “pubblico”, osservabile scientificamente, al contrario dei processi della coscienza, considerata un elemento passivo; in particolare, il comportamento deve essere visto come una reazione agli stimoli esterni ed è totalmente frutto dell’apprendimento, tranne il caso di alcune emozioni “di base” come la rabbia e la paura. In questo modo Watson, getta le basi di quelli che saranno i grandi temi di discussione della psicologia per i decenni a venire: la negazione del ruolo della coscienza, la possibilità della manipolazione sperimentale del comportamento, la possibilità di scomporre il comportamento stesso in riflessi semplici e la negazione dell’innatismo.
La Skinner box e il condizionamento strumentale
Negli anni successivi molti sono gli psicologi e gli studiosi che saranno influenzati dalle tesi di Watson e dalla sua polemica contro lo strutturalismo di Titchener (1867-1927), richiamandosi, come lui, al positivismo di Comte (1798-1857) e al funzionalismo biologico derivato dall’evoluzionismo darwiniano. Oltre a Karl Lashley (1890-1958), che si occupa principalmente dello studio dei processi nervosi centrali, si può ricordare la figura di Burrhius Fredric Skinner (1904-1990).
Pur partendo dal manifesto di Watson, Skinner raggiunge esiti che lo allontaneranno da lui, anche perché lo studioso approfondirà le tematiche del comportamentismo in campo filosofico ed epistemologico. Secondo Skinner il pensiero non può funzionare autonomamente e non può essere caratterizzato da processi evolutivi e modalità di raccordo e di organizzazione dei dati dell’esperienza; il pensiero, al contrario, deve essere visto come una forma di comportamento che non ha una autonomia interna e di cui occorre studiare le componenti.
Lo scopo della psicologia elaborata da Skinner è analizzare e spiegare la “variabile comportamento” che nell’organismo viene prodotta dall’interazione con “variabili indipendenti”, in primo luogo gli stimoli, e diviene così evidente come ogni riferimento a uno stato o a un processo mentale sia ritenuto del tutto inutile. Nei suoi esperimenti Skinner elabora e costruisce la Skinner box per studiare quello che definisce condizionamento strumentale; a differenza della situazione pavloviana, che prevedeva la presenza umana dell’operatore, l’animale nella Skinner box è sottoposto al condizionamento in maniera del tutto automatica, l’animale è libero di fare quello che vuole e il suo comportamento viene registrato continuamente. Nella sua permanenza nella scatola, l’animale può accidentalmente muovere una leva che fa cadere palline di cibo. L’arrivo del cibo – il cosiddetto “rinforzo” nel linguaggio skinneriano – determina il condizionamento dell’animale perché lo stimola a ripetere la manipolazione della leva.
Le analogie con l’evoluzione darwiniana sono esplicite; per Skinner le varianti spontanee del comportamento sono analoghe alle variazioni genetiche e il rinforzo che viene dall’ambiente ha un ruolo analogo a quello della selezione naturale, determinando quali varianti avranno successo nel comportamento futuro.
Alla classica funzione del comportamentismo stimolo/risposta Skinner oppone una lettura più raffinata, in cui lo stimolo offre all’animale la possibilità di distinguere in quale situazione è probabile ottenere un rinforzo e, una volta ottenuta questa informazione, essa viene usata per agire con l’operante adeguato. Rispetto al condizionamento operato da Pavlov l’animale non risponde con una univoca risposta necessaria ma risponde per riflesso.
L’approccio cognitivista
Le teorie di Skinner vengono criticate, negli anni Sessanta, da Norman Crowder (1921-1998), che ritiene importanti anche i processi interni e le loro cause. Secondo Crowder l’apprendimento umano non può essere sintetizzato nello schema stimolo-risposta-rinforzo senza tener in alcun conto anche di altre dinamiche come, per esempio, le capacità, le conoscenze dei soggetti e la diversità degli argomenti. Queste variabili, che interagiscono tra loro, impediscono, a parere di Crowder, di appiattire l’apprendimento umano a una concezione così meccanica come quella elaborata dal comportamentismo.
Con queste considerazioni Crowder apre la strada all’approccio cognitivista e le sue osservazioni trovano sostegno in quanto si sta realizzando in altri campi di ricerca sul pensiero e sul linguaggio.
A partire dagli anni Settanta il cognitivismo si è diffuso, sia negli Stati Uniti che in Europa, soppiantando di fatto il comportamentismo. La sua prima sistemazione teorica è del 1967, quando Ulrich Neisser pubblica la Psicologia cognitivista, testo nel quale indica metodicamente quali devono essere gli interessi della psicologia cognitivista, e presenta anche quello che sarebbe diventato in seguito il paradigma applicativo di riferimento per gli studiosi della disciplina, il modello H.I.P. – Human Information Processing (elaborazione umana delle informazioni).
Nei primi anni Sessanta, inoltre, lo psicologo matematico Eugene Galanter, lo psicolinguista George Miller e il neuropsicologo Karl Pribram (1919-) danno alle stampe un testo dal titolo Piani e struttura del comportamento (1960), in cui esaminano le analogie di funzionamento tra la mente umana e il computer.
Prendendo le mosse dall’idea che i modelli di apprendimento comportamentisti non siano in grado di dare conto della complessità dei processi cognitivi, il cognitivismo fa propria la concezione ontologica del realismo critico, accetta cioè l’esistenza di una realtà esterna strutturata ma nega la possibilità di conoscerla compiutamente.
Al contrario del comportamentismo, che considerava inattingibili i processi mentali, il cognitivismo afferma che l’oggetto degli studi debba essere non solo il comportamento ma anche, e soprattutto, gli stati e i processi mentali. Si cerca quindi di comprendere ciò che accade nel cervello, anche attraverso la costruzione di modelli di simulazione del suo comportamento e lo studio dell’analogia di comportamento tra la mente umana e il computer (dal momento che anche la macchina funziona elaborando informazioni).
La ricerca in campo cognitivista, quindi, approfondisce con maggior attenzione argomenti quali la percezione, la memoria, l’attenzione, il ragionamento e il linguaggio, attraverso anche l’utilizzo di molti nuovi strumenti, in primo luogo i “diagrammi di flusso”. Tra questi, uno dei più utilizzati e famosi è l’unità TOTE (un processo di continua verifica retroattiva del piano di comportamento secondo il modello test, operate, text, exit), un altro diagramma è il modello di Atkinson e Schiffrin, con il quale si distinguono tre stadi della memoria: sensoriale, a breve termine e a lungo termine.
Grazie agli studi cognitivistici, inoltre, viene messa in evidenza una nuova e diversa concezione di apprendimento poiché si afferma come un genere di sapere che si interseca con campi di ricerca molto diversi: la filosofia, l’antropologia, le scienze dell’informazione, le neuroscienze, la linguistica.
Nuovi sviluppi delle scienze cognitive: il costruttivismo e il neocognitivismo
Negli ultimi venti anni dalla corrente cognitivistica si è sviluppata una nuova direzione di ricerca che ha preso il nome di “costruttivismo”. A contribuire a questa svolta sono state in particolar modo le critiche rivolte all’epistemologia realista e alla scelta oggettivista. Il costruttivismo considera la realtà come una costruzione del soggetto e quindi assume che essa non possa essere ritenuta “oggettiva” e ritiene che la conoscenza sia una costruzione attiva del soggetto che apprende: la conoscenza è sempre la risultante di una mediazione sociale e della collaborazione e, sebbene soggettiva, può essere storicamente e socialmente contestualizzata.
Uno dei teorici più importanti della teoria costruttivista è Jean Piaget (1896-1980), e possiamo sintetizzare i principali aspetti del costruttivismo in: a) il sapere avviene mediante una costruzione personale, b) l’apprendimento è di tipo attivo, c) l’apprendimento avviene in maniera collaborativa, d) il contesto assume una grande importanza, e) la valutazione avviene in modo intrinseco.
Oggi si possono delineare quattro diversi filoni di ricerca: il costruttivismo critico, il costruttivismo socioculturale, il costruttivismo sociale e il costruttivismo radicale.
Gli ultimi sviluppi delle scienze cognitive e delle psicologie percettive hanno portato all’elaborazione del “neocognitivismo”, secondo il quale i processi mentali sono di tipo reticolare: l’apprendimento non è più visto un processo accumulativo di conoscenze ma ogni nuova acquisizione di informazioni comporta una ristrutturazione delle precedenti, rendendo quindi unico e soggettivo ogni percorso conoscitivo. Ogni rappresentazione della realtà esterna, mediata attraverso tipologie diverse di interpretazione rispetto alle diverse strutture mentali, è però sempre funzionale alla comprensione e all’elaborazione.