Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La storia della Germania del XX secolo è stata scritta in maniera contraddittoria. Da una parte si interpreta come preistoria del nazismo e dell’Olocausto e si risolve in questo caso in una storia-processo: conoscendo il suo epilogo, gli storici non menzionano che i fatti negativi e le peculiarità rispetto agli altri Paesi dell’Europa occidentale. La tesi di una via particolare della storia tedesca è stata la versione più elaborata di questo approccio. Oggi alcuni storici privilegiano, invece, una prospettiva che sottolinea i successi conseguiti dalla Repubblica Federale Tedesca sulla strada dell’integrazione nella cultura occidentale e dello sviluppo di una società dei consumi, liberale, democratica e pluralistica. Il fallimento del regime comunista nella Germania orientale è visto come una conferma di questa storia di successi.
La crisi del primo dopoguerra
La storia della Germania può essere scritta da punti di vista differenti che implicano valori e anche cronologie differenti. È stata concepita come una storia che si indirizza quasi inevitabilmente verso il nazionalsocialismo (1933-1945) e l’Olocausto (1942-1945). E in questa prospettiva la tesi di una “via particolare della storia tedesca” è stata sviluppata soprattutto dalla generazione di storici sociali degli anni Settanta e Ottanta del Novecento. Questa concezione sottolinea le differenze, a partire dal XIX secolo, fra l’evoluzione economica, sociale e politica della Germania e quella dei Paesi occidentali, soprattutto dell’Inghilterra: in Germania la modernizzazione non avrebbe determinato una fusione fra la nobiltà e la borghesia in un’unica élite, ma avrebbe, al contrario, mantenuto la separazione fra i due gruppi; inoltre sarebbe mancata una borghesia liberale e cosciente della propria forza. Perciò le forze politiche e sociali avrebbero fatto riferimento all’amministrazione per mantenere la coesione sociale e per proteggere i propri interessi. Ne sarebbe conseguita una certa infatuazione per l’intervento statale straniero nei Paesi europei. La modernizzazione non sarebbe stata accompagnata da una democratizzazione della vita politica, ma da strutture antidemocratiche fino al 1918 e di nuovo dopo il 1933: il suffragio universale maschile non è la regola in tutte le regioni dell’impero tedesco e il nazismo vieta tutti i partiti democratici e le organizzazioni di massa indipendenti da esso.
Questa argomentazione è stata inficiata da studi empirici e, spesso, comparativi che hanno potuto dimostrare come la borghesia tedesca non fosse qualitativamente inferiore a quella dell’Inghilterra o della Francia. Anche la capacità di attrazione delle soluzioni e delle strutture non democratiche non era maggiore in Germania che in altri Paesi europei. Soprattutto nel criticare la tesi dello studioso ebreo americano Daniel Goldhagen, secondo il quale il forte antisemitismo della società tedesca avrebbe condotto all’Olocausto, alcuni storici hanno sottolineato, per esempio, quanto l’antisemitismo politico in Germania fosse meno elaborato e importante di quello francese o di quello dei Paesi dell’Europa centrale o orientale. Questa spiegazione del nazionalsocialismo e della sua evoluzione di lunga o media durata non è sfuggita alla critica colta, poiché collega in modo poco convincente processi e strutture del XIX e dell’inizio del XX secolo con il nazismo e si inscrive in una visione teleologica della storia.
Così il dibattito si è orientato verso una spiegazione di breve durata del nazismo che tiene soprattutto conto degli effetti della prima guerra mondiale e delle specificità della Repubblica di Weimar (1919-1933). La fragilità politica di questa Repubblica, che è stata detta “Repubblica senza repubblicani”, è stata spesso sottolineata. I partiti del centrosinistra e del centrodestra, che formavano la struttura politica del regime, si sono disintegrati lungo la vita della Repubblica. L’intensità dell’opposizione comunista e di quella nazionalsocialista, la genesi di una cultura politica della violenza e il fallimento della cooperazione pacifica fra i patronati e il movimento operaio sono stati indicati fra le ragioni endogene del fallimento della Repubblica stessa. Ministeri sedicenti presidenziali, sostenuti da una minoranza dei deputati del Reichstag, ma forti del sostegno del presidente della Repubblica Paul von Hindenburg (1847-1934), e che governano con decreti legge, dimostrano chiaramente, tra il 1930 e il 1933, l’impasse del sistema politico tedesco. Parallelamente si sviluppano forme di azione antiparlamentari, e spesso violente, che terminano in combattimenti nelle strade tra forze armate del partito nazista, ma anche dei comunisti e dei socialisti, e che minano la legittimità del regime politico.
La Repubblica sconta inoltre una difficile situazione internazionale: la guerra perduta e le riparazioni richieste dagli Alleati, la perdita di territori a est e a ovest e delle colonie sono tutte percepite da buona parte della popolazione come un’ingiustizia e sono interpretate dalla destra come una colpa di coloro che avevano proclamato e ottenuto la fine della guerra, in particolare dei socialdemocratici e dei repubblicani. Secondo un’efficace mitologia della destra e dei nazisti, il trattato di Versailles del 1919 è considerato come “una vergogna” e coloro che lo avevano firmato sono dichiarati “traditori”. La politica estera dei diversi governi tenta con un certo successo di fare recuperare alla Germania (esclusa nel 1919 dalle istituzioni internazionali) buone relazioni con i Paesi vicini. Il trattato di Rapallo con l’Unione Sovietica nel 1922 e l’accordo Briand-Stresemann a Locarno nel 1925 ne sono i risultati più notevoli. Benché l’accordo sul mancato pagamento delle riparazioni ottenuto nel 1932 non sia meno importante, esso non accresce il prestigio del regime durante l’agonia della Repubblica.
E, ancora, problemi economici accompagnano la Repubblica dalla nascita, nonostante il fatto che gli anni dal 1924 al 1928 le abbiano dato lustro e abbiano prodotto l’immagine dei “dorati anni Venti” (Goldenen Zwanziger Jahre). La crisi di riconversione dell’industria bellica in industria di pace, accompagnata da una iperinflazione (1922-1923), gli effetti disastrosi della crisi agraria mondiale del 1928 e della crisi economica del 1929, che causano una elevata disoccupazione – più di sei milioni di disoccupati in Germania – tutti questi fattori aggravano la crisi politica e accentuano le divergenze e i conflitti d’interesse esistenti nella società tedesca.
La soluzione del nazionalsocialismo
Il nazismo offre una soluzione antidemocratica e autoritaria a questa crisi. Vieta, in un processo chiamato “messa al passo” (Gleichschaltung), i partiti e le organizzazioni politiche, arrogandosene il monopolio. Sopprimendo i sindacati, assicura la pace sociale e garantisce alle élite industriali condizioni eccellenti di rendita. L’esclusione e la persecuzione degli oppositori politici e degli intellettuali, ma anche dei Tedeschi di sedicente origine “ebrea”, gettano le basi di una vita sociale controllata e apolitica. L’accordo sociale su queste misure è abbastanza largo dal 1933 e dacché, dopo l’eliminazione fisica durante la cosiddetta “notte dei lunghi coltelli” dell’ala sinistra del nazismo che sogna una rivoluzione sociale, la paura che quest’ultima possa determinare la politica del nuovo regime è sparita. Consenso e costrizioni si incontrano e vi si aggiunge un andamento favorevole dell’economia. Grazie agli armamenti e all’autarchia, il nuovo regime cassa la disoccupazione ed eleva il livello di vita e dei consumi della popolazione. Inoltre il saccheggio dei Paesi occupati dalle truppe tedesche dopo il settembre 1939 permette fino alla fine della guerra di mantenere un livello soddisfacente negli approvvigionamenti, mentre lo sfruttamento senza scrupoli del lavoro forzato mantiene la popolazione tedesca al riparo dalla necessità di occupare i posti di lavoro più faticosi e le assicura, al contrario, quelli gerarchicamente più elevati. Una delle ragioni della lealtà che l’immensa maggioranza della popolazione ha dimostrato verso il regime fino al 1945 può essere individuata proprio in questo.
In tale prospettiva storica, l’8 maggio 1945 – data della capitolazione tedesca – sarà il punto di arrivo della storia tedesca: le città sono in gran parte distrutte, il Paese è occupato dalle quattro grandi potenze (Unione Sovietica, Stati Uniti, Inghilterra e Francia) ciascuna nella sua zona, l’unità del territorio nazionale è annullata. Mentre è in atto la guerra fredda, la Germania è divisa, nel 1949, in due unità politicamente antagoniste: la Repubblica Democratica Tedesca nella zona di occupazione sovietica e la Repubblica Federale Tedesca nelle altre zone.
Le due Germanie: il confronto con il recente passato
Si è parlato per il 1945 dell’ora zero (Stunde Null) della storia tedesca per sottolineare l’importanza del nuovo punto di partenza e la sua distanza rispetto al regime. In effetti, sia la RDT (Repubblica Democratica Tedesca) sia la RFT (Repubblica Federale Tedesca) fondano la loro legittimità in opposizione al nazismo. La Germania dell’Est fonda la propria legittimità sul riferimento di rito alla resistenza antifascista, il cui nocciolo duro sarà il partito comunista tedesco del quale il SED (Sozialische Einheitspartei) di Berlino Est si dichiara erede legittimo. Nella RFT, i funzionari e i civili responsabili dell’attentato mancato a Hitler del 20 luglio 1944, perseguitati e uccisi dalla Gestapo, hanno costituito il riferimento principale a un’altra Germania, che sarebbe esistita nel periodo nazista, anche se poi le loro opinioni sulla Germania del dopoguerra non corrispondono a quelle della RFT.
Il legame con il nazismo è stato un terreno di battaglia per le due Germanie. Benché la stessa RDT apra la porta ai nazisti minori, essa si erge a campione della lotta antifascista e denuncia in dichiarazioni e in pubblicazioni l’importante presenza di ex nazisti nella RFT. Il capo gabinetto del cancelliere Adenauer (1876-1967), Hans Globke (1898-1973), giurista e autore del commento autorizzato dal regime nazista alle leggi di Norimberga (Nürnberger Gesetze), che esclude i cittadini non ariani da tutte le cariche amministrative e dalla vita economica nazionale, è il loro bersaglio. Ma anche altri giuristi che hanno partecipato alla stesura di una legislazione ingiusta e assassina contro gli operai stranieri, i disertori e i cittadini scontenti e che alla fine degli anni Cinquanta mantengono sempre il loro posto sono denunziati dalla propaganda della Germania dell’Est. Questa propaganda ha un certo successo presso l’opinione pubblica internazionale, che poi esercita il suo peso sulla Germania dell’Ovest e può anche appellarsi alla innegabile continuità delle élite economiche, militari e politiche tra l’epoca nazista e l’inizio della RFT.
Il governo di Bonn è obbligato a reagire a questa pressione e ad assumere la responsabilità del passato nazista. Reagisce a tre livelli. Da un lato, il governo di Adenauer cerca, nel 1956, la conciliazione con Israele e paga importanti riparazioni per gli ebrei uccisi nel corso delle persecuzioni e dello sterminio sistematico dopo il 1941. Dall’altro, con il processo contro gli aguzzini di Auschwitz (1963), è iniziata e proseguita fino agli anni Novanta la caccia giudiziaria a coloro che hanno partecipato allo sterminio degli ebrei, dei sinti, dei rom, dei comunisti e dei socialisti. Infine, dalla reazione alla profanazione dei cimiteri ebraici da parte di sconosciuti nel 1959, prende avvio una politica sistematica della memoria. Si rende obbligatorio l’insegnamento scolastico dell’educazione civica, in particolare sul nazismo, e si dà inizio a uno sforzo sistematico per salvaguardare i monumenti che testimoniano il passato nazista. Il gesto del cancelliere Willy Brandt (1913-1992), che si inginocchia nel 1971 davanti al monumento che commemora la distruzione del ghetto di Varsavia, è espressione di questa politica della memoria: la RFT si fa carico del passato ed esprime il suo rispetto per le vittime della politica di sterminio dei nazisti. Grazie alla pressione esercitata dalla Germania orientale, al sospetto di un’opinione internazionale sensibilizzata su questo punto e all’impegno delle forze democratiche all’interno della Germania, il confronto con il passato recente, la sua analisi pubblica e la sua importanza per la definizione della Repubblica Tedesca è oggi più forte in Germania rispetto a quanto avviene in altri Paesi che hanno partecipato alla seconda guerra mondiale.
Diverse letture della storia
Un altro modo per affrontare la storia tedesca del XX secolo è stata suggerita dallo storico Ernst Nolte (1923-), il quale sottolinea l’importanza della guerra civile in Europa. In questa prospettiva il confronto tra liberalismo politico, comunismo e fascismo si trova al centro dell’argomento. Gli anni tra il 1917 e il 1923 sarebbero all’origine del conflitto. In questi anni con la rivoluzione bolscevica in Russia e la formazione dell’Internazionale comunista nel 1920-1921, da un lato, e con la marcia su Roma di Mussolini e il putsch di Hitler a Monaco (1923), dall’altro, si sarebbero formati due movimenti internazionali che traevano la loro originalità dall’opposizione ai principi della democrazia liberale e da una strategia mirante alla distruzione dei regimi liberali. Lo sfaldarsi dei regimi democratici e liberali in Europa, l’attrazione esercitata dai governi autoritari, cioè fascisti, nell’Europa centro-orientale, ma anche meridionale, sembrava avvantaggiare i comunisti e i fascisti, di cui si sottolinea la parentela utilizzando il termine di totalitarismo. In questa prospettiva essi appaiono uniti dall’impiego sistematico della propaganda e della violenza, dall’esistenza di un partito unico, da una conseguente tendenza all’aggressività ecc. La Germania ha potuto essere considerata da questo punto di vista come il terreno di elezione di questo confronto. La Repubblica di Weimar sarebbe fallita a causa della doppia opposizione dei nazisti e dei comunisti, e dopo la disfatta dei nazisti nel 1945, i due Stati tedeschi avrebbero continuato il dibattito tra democrazia liberale e comunismo, prima che il 1989 e la caduta del muro simboleggiassero il fallimento del comunismo e il trionfo della democrazia liberale. È questo anche il momento in cui il totalitarismo tende nuovamente a diventare una prospettiva largamente accettata.
Questa messa in scena, i cui attori principali sono stati correnti di idee, opera con l’antinomia tra buoni e cattivi. I buoni sono i democratici e i liberali che, infine, e giustamente, vincono. Tale ottica accentua troppo l’omogeneità di questa corrente che in Germania, all’inizio del XX secolo, era divisa tra i cattolici del Zentrum (il Partito Cattolico del Centro), i liberali di sinistra e i socialdemocratici. Le vicende di queste correnti sono state diverse nel corso del secolo. La socialdemocrazia è sopravvissuta alla persecuzione e all’emigrazione dei suoi leader durante il periodo nazista, si è ricostituita nella Germania dell’Ovest dopo il 1945 ed è entrata al governo nel 1966, dopo aver abbandonato la sua eredità marxista nel 1959 nel programma di Bad Godesberg. Il Centro Cattolico, che si è costituito come espressione degli elettori cattolici alla fine del XIX secolo, ha già perduto una parte dell’elettorato cattolico durante la Repubblica di Weimar e, dopo il 1945, si è fuso con la destra cattolica nella democrazia cristiana. Konrad Adenauer, il primo Cancelliere della RFT, rappresenta questo centro politico. I liberali sono divisi tra parecchi partiti politici, sia tra le due guerre mondiali sia nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale. Le specificità dell’evoluzione politica e sociale della Germania non possono dunque essere colte utilizzando questo approccio di storia delle idee.
Uno sguardo diverso può essere gettato sulla storia della Germania del Novecento se la si interpreta, con Heinrich August Winkler, come una svolta decisiva verso l’Occidente. Questa interpretazione sottolinea la posizione geopolitica specifica della Germania, che si trova tra i Paesi dell’Est e quelli dell’Ovest. L’impero tedesco creato nel 1871 si estendeva fin dentro il territorio attuale della Polonia. Questi territori avevano con i loro circa 20mila nobili proprietari terrieri, chiamati junker, un’importanza economica e sociale notevole nel Reich. A ovest l’Alsazia-Lorena faceva parte dell’impero, e durante la prima guerra mondiale alcuni ambienti affaristici, militari e politici accarezzavano l’idea di una Germania che conquistasse e dirigesse la “Mitteleuropa”, cioè il centro dell’Europa che inglobava una parte dei Balcani. È noto che il nazismo ha ripreso queste idee e le ha integrate in una politica detta dello “spazio vitale” (Lebensraum). Questa politica cercava nell’espansione a est e nello sterminio delle popolazioni ebraiche e slave, o nel loro asservimento ai conquistatori tedeschi, una possibilità di colonizzazione agraria al di fuori della Germania e le basi territoriali per il progetto dell’Europa nazista. È dopo il 1945, ma soprattutto dopo il 1989, che questa interpretazione è stata privilegiata. La perdita dei territori a est della linea Oder-Neisse, l’espropriazione degli junker e l’instaurazione di un regime draconiano di occupazione a oriente hanno facilitato l’integrazione della Repubblica Federale Tedesca nel blocco dell’Occidente. L’accettazione di una tavola dei diritti fondamentali, la dichiarazione di una costituzione liberale che dava luogo a un bicameralismo in cui una camera rappresentava le regioni, lo stabilirsi di una struttura federale amministrativa e di governo: tutte queste decisioni indicano l’influenza del pensiero costituzionalista e politico dei Paesi occidentali. L’accettazione del piano Marshall, l’integrazione nelle istituzioni europee e nella NATO gettavano le basi di una svolta verso i vicini dell’Occidente.
La Germania dell’Ovest: l’inizio di una storia comune al resto d’Europa
Come potenza occidentale, la Germania federale è anche sottoposta alle stesse crisi e alle stesse correnti di idee dei Paesi vicini. La deindustrializzazione delle regioni carbonifere durante gli anni Sessanta e di quelle dell’acciaio nel decennio successivo, le crisi politiche intorno al 1968, la crisi petrolifera all’inizio degli anni Settanta sono state comuni alla Germania e ai Paesi vicini, sebbene la gravità delle crisi abbia potuto variare da un Paese all’altro. Soprattutto il 1968 ha segnato la storia della Germania federale, poiché, da un lato, ha costituito uno scossone per certi principi fondatori, dall’altro, può essere anche considerato come il compimento della democrazia nel Paese. L’utilizzo della violenza simbolica, ma poi anche fisica, da parte degli studenti in rivolta ha messo in questione la ripulsa sistematica della violenza come strumento di azione politica – a meno che non sia lo Stato a farne uso nel quadro del suo “monopolio legittimo” (Max Weber). Anche il marxismo, messo al bando da una cultura politica che protesta il suo anticomunismo nel confronto con la Germania dell’Est, è stato nuovamente messo in onore da studenti radicalizzati e contrari a un’economia di mercato e da una cultura universitaria che si volgeva spesso verso l’idealismo. L’incomprensione tra la maggioranza della popolazione e gli studenti in rivolta è una delle conseguenze di questi mezzi d’azione violenti e di questo linguaggio “marxisteggiante”. Questa incomprensione ha preso maggiore forza quando l’ala radicale della rivolta ha virato verso l’azione terroristica e clandestina della RAF (Rote Armee Fraktion), dopo il 1969. La prima generazione di terroristi proviene dagli ambienti degli studenti radicalizzati di cui condivide le idee di critica al consumismo e all’imperialismo. L’apparato statale tedesco e la giustizia hanno fatto prova di una reazione senza comune misura rispetto all’ampiezza del fenomeno e alla minaccia terroristica. Questa reazione è stata caratterizzata da giudizi estremamente severi contro i protagonisti e da condizioni di detenzione molto dure, accompagnate da sorveglianza e misure di polizia preventive, così come da un aggravio della legislazione statale. Gli aspiranti funzionari devono dare prova di fedeltà alla costituzione e la legge penale è tale da permettere di sanzionare anche solo il fatto di essere membro di una “associazione criminale”. Malgrado questa “iper-reazione” dello Stato, gli “anni di piombo” sono stati caratterizzati in Germania da una serie di attentati, spesso mortali, contro esponenti dell’economia e della politica, che lo scrittore Heinrich Böll ha descritto bene nel suo romanzo L’honneur perdue de la Katarina Blum. Con il dirottamento di un aereo carico di turisti tedeschi da parte di un gruppo di terroristi palestinesi e con il sequestro del presidente del sindacato tedesco Schleyer nel 1977, i terroristi provano invano a ottenere dal governo liberal-socialista di Helmut Schmidt la liberazione dei compagni che si trovano in prigione. Il loro suicidio collettivo non è ancora la fine del terrorismo nella Germania occidentale, ma segnala l’impasse e l’isolamento in cui si trova il terrorismo.
La Germania dell’Est: una storia a sé stante
Nella RDT si fanno esperienze diverse. Tra queste le più importanti sono la costruzione del muro il 17 agosto 1960 e la cancellazione della Primavera di Praga nell’agosto del 1968. Nel 1953 gruppi di operai iniziano uno sciopero per protestare contro le regole della produzione che appaiono loro troppo gravose. Poi il movimento si politicizza e si rivolge in parte anche contro il governo di Walter Ulbricht (1893-1973), che fa appello all’Armata Rossa per ristabilire l’ordine pubblico. Gli anni Cinquanta sono stati segnati da una emorragia continua dalla RDT: professionisti di ogni genere continuano a lasciare il Paese il cui livello di vita e le cui prospettive di carriera sono meno favorevoli di quanto non fossero nella RFT. È solo dopo la costruzione del muro, che separa anche fisicamente il Paese in due, che la RDT può consolidare il potere e procedere a una maggiore pianificazione della produzione e della vita sociale. La speranza di alcuni che questo consolidamento comporti anche una maggiore libertà di espressione e di discussione è presto delusa. Nel 1968 il governo della RDT richiede e sostiene l’intervento militare dell’URSS in Cecoslovacchia e la fine dell’esperienza di un socialismo più liberale e democratico.
Con l’avvento al potere di Erich Honegger, gli anni Settanta vedono una svolta: il governo abbandona in parte la sua politica produttivistica e si impegna nella produzione e nella distribuzione di beni di consumo, ma senza grande successo. Tra le ragioni che sono state citate per spiegare il crollo del regime nel 1989 sta il fallimento di un modello di consumo alternativo, che sottolinea l’importanza dei bisogni, e la possibilità per i cittadini della RDT di constatare tutte le sere, guardando la televisione occidentale, quanto il loro livello di vita sia inferiore in rapporto all’Occidente.
Paragonate alle esperienze nella RFT, quelle fatte nella RDT sono molto differenti. Qui non manca solo una cultura della gioventù fortemente orientata verso gli esempi degli Stati Uniti: il regime reagisce duramente contro tutti i tentativi di introdurre “blue jeans” e “rock and roll”. Manca anche un movimento femminista che chieda aggressivamente una ridefinizione del contratto fra i sessi e la realizzazione di alcuni diritti. D’altra parte la posizione delle donne nel mondo del lavoro è migliore nella RDT rispetto alla Germania occidentale. Manca però un’esperienza multietnica che nella RFT deriva dal recrutamento massiccio di operai stranieri, il cui numero ammonta a 2,6 milioni nel 1973, per poi regredire a 1,7 milioni negli anni Ottanta. E, infine, nessuna crisi ha scosso il mondo accademico e universitario della RDT, che conserva il suo marxismo dogmatico, una certa rigidità gerarchica e il suo carattere “parrocchiale” fino al 1989. Le diverse esperienze fatte da un lato e dall’altro della cortina di ferro possono spiegare una parte dei problemi incontrati dopo la riunificazione nell’avvicinare anche culturalmente le due Germanie.
Infine, grande era la tentazione di scrivere, alla fine del XX secolo, la storia tedesca come quella di un successo. Successo economico in primo luogo, poiché la Germania si trova, nonostante l’enorme spesa che la riunificazione del Paese comporta, tra i leader industriali del mondo, con una esportazione e una diversificazione industriale notevoli. Dal 1960 nella RFT si è diffusa progressivamente la società dei consumi, che si è poi estesa alla RDT. Successo sociale, poiché lo Stato sociale tedesco (der Deutsche Sozialstaat) assicura anche agli individui più sfortunati una copertura contro i rischi di malattia e di vecchiaia. Nello stesso tempo, una struttura corporativa istituzionalizza il dialogo fra patronato e operai in caso di conflitto e assicura al Paese un lungo periodo di pace sociale. Infine, successo politico. Nel corso del secolo e dopo molte vicissitudini, la vita politica si è stabilizzata. Neppure le crisi, che pure si sono verificate dopo il 1945, si sono risolte nella crescita di movimenti estremistici. Ora, all’inizio del XXI secolo, la globalizzazione dei mercati finanziari e del lavoro ha offuscato questa immagine positiva. Una povertà non più legata a situazioni di classe, ma ai ritmi della vita, si incontra fra le madri nubili, gli operai immigrati e gli anziani. La disoccupazione, che riguarda più di quattro milioni di individui, dimostra l’esaurirsi del miracolo economico tedesco mentre la messa in discussione di alcune acquisizioni dello stato assistenziale scuote la fiducia nel governo in carica. In Germania si parla nuovamente di apatia politica e non si sa ancora come risolvere politicamente i problemi attuali della società.