Dal Neolitico all'età dei metalli. Dalle prime comunità agricole alle società complesse: Vicino Oriente
Quando ci si riferisce alle "prime comunità agricole" vengono richiamati automaticamente alla mente due parametri che a questa categoria sono ormai indissolubilmente correlati: uno geografico, il Vicino Oriente, teatro primario di quella grande trasformazione che, con l'avvio della produzione del cibo, modificò in modo irreversibile la vita delle comunità umane; l'altro concettuale, la "rivoluzione neolitica", termine coniato per la prima volta dal grande studioso V.G. Childe, che sintetizza la radicalità del fenomeno e, in un certo senso, la sua unitarietà, ponendo uno spartiacque netto tra le società di cacciatori-raccoglitori e quelle di produttori, tra la vita nomadica dei primi e quella sedentaria dei secondi. L'intensa attività di campo condotta in anni recenti nel Vicino Oriente, in particolare in alcune aree di quella regione, ha confermato il paradigma geografico, dimostrando ampiamente che l'Asia sud-occidentale fu sede primaria di questi processi e che, anzi, le aree coinvolte nel fenomeno furono più vaste di quelle relative alla cosiddetta Mezzaluna Fertile, cioè l'arco montuoso e pedemontano composto dagli Zagros iracheni e iraniani, dalle pendici meridionali del Tauro e dalle catene di Libano e Palestina, tradizionalmente considerato, anche per la presenza delle specie selvatiche interessate, il nucleo originario di gestazione dei processi di domesticazione di piante e animali. La comparsa sulla scena di aree nuove, come l'intera regione del Tauro orientale, incluso il suo versante settentrionale e la piana di Malatya, l'Anatolia centrale e le zone steppiche della Gezira orientale, unitamente a una nuova consistente quantità di dati, hanno permesso di evidenziare l'articolazione in più momenti e la varietà regionale dei fenomeni, in termini sia culturali sia cronologici. Questa articolazione, in continuo arricchimento con ricerche recentissime e ancora in corso, ha condotto a risultati inaspettati, che consentono oggi di leggere tutto il fenomeno in una chiave nuova, certamente meno monolitica e semplice rispetto alla visione tradizionale, ma apportatrice di originali e stimolanti prospettive di conoscenza sui fenomeni stessi del cambiamento delle strutture sociali ed economiche. La varietà di realizzazioni e di percorsi evolutivi individuabili nella cosiddetta "rivoluzione neolitica" mostra con chiarezza sempre maggiore che l'evoluzione storica si fonda sulla dialettica costante tra molteplicità di cammini possibili e leggi che invece regolano la correlazione strutturale degli eventi. La prima grande diversità nei processi di domesticazione e nelle forme di società che ne sono derivate riguarda le due ampie aree gravitanti rispettivamente sul settore orientale (Zagros) e su quello occidentale (Tauro e Levante) della Mezzaluna Fertile. I dati relativi alla regione degli Zagros non sono aggiornati a causa delle circostanze politiche che hanno impedito, in anni recenti, la conduzione di nuove ricerche sul terreno in quelle aree. Tuttavia, le intense attività realizzate negli anni Cinquanta e Sessanta, tra le quali spiccano i progetti pionieristici di R.J. Braidwood negli Zagros iracheni e di K.V. Flannery, F. Hole e J.A. Neely sulle pendici più meridionali, nel Deh Luran, permettono di delineare le caratteristiche della cosiddetta "neolitizzazione" degli Zagros come profondamente differenti da quelle dei paralleli fenomeni meglio documentati lungo la fascia occidentale dell'arco fertile. Il processo lunghissimo che, sia pur con cautela, è possibile attribuire a un arco temporale compreso tra l'11.000 e il 7000 a.C. circa (date al ¹⁴C calibrate con la dendrocronologia), se da un lato mostra un graduale modificarsi dell'economia di sussistenza, con una fase di domesticazione incipiente e un progressivo aumento delle specie addomesticate o in via di domesticazione rispetto a quelle selvatiche (che pure rimangono una risorsa alimentare significativa per lungo tempo), dall'altro non produce trasformazioni radicali nei modi di vita e nei tipi di insediamento. Le comunità degli Zagros in tutto il periodo interessato dai processi di cambiamento, anche dopo l'affermazione della piena economia agricola di villaggio, sembrano essersi mantenute piccole e mobili. Numerose stazioni per la caccia e, forse, più tardi, per la pastorizia sono documentate a varie quote altimetriche e anche i siti più stabili, come Giarmo, non divennero mai molto grandi e densamente occupati. D'altra parte, le specie oggetto di domesticazione nei vari insediamenti studiati appaiono variare, con una preferenza di volta in volta verso la capra, la pecora, l'orzo o il grano. Ancora oggi si può considerare essenzialmente valido per queste regioni il modello proposto da Braidwood, che sottolineava l'importanza dell'interazione tra gruppi che occuparono diverse nicchie ecologiche; ognuno sperimentò a suo modo forme di controllo sulle specie di volta in volta più presenti nei singoli microambienti e più importanti nelle strategie di sfruttamento stagionale delle nicchie. Le modalità di questo processo dovettero essere in sintonia sia con l'ambiente naturale, costituito da strette valli intermontane e zone ecologiche molto differenziate per via dei rapidi cambi di altitudine in spazi ridotti, sia con le caratteristiche sociali e organizzative dei gruppi che, probabilmente per le stesse ragioni, si mantennero piccoli, mobili e flessibili. Questo modello di sussistenza e di organizzazione non poteva consentire una vita pienamente sedentaria e una concentrazione di popolazione in insediamenti di grandi dimensioni, limitando anche la possibilità di un'eventuale insorgenza, sia pure embrionale, di strutture sociali complesse o addirittura gerarchiche. In questo quadro si spiega l'attenzione particolare data al controllo delle specie animali, con l'avvio molto precoce della domesticazione dei caprovini, ampiamente diffusi nella regione, mentre la coltivazione delle piante, che richiedeva un legame forte con la terra e una più marcata stanzialità, fu un'acquisizione molto lenta e rimase a lungo una sorta di attività sperimentale e collaterale rispetto alla raccolta delle piante selvatiche. La presenza quantitativamente massiccia di capre e pecore nelle faune di siti anche molto antichi indica dunque un interesse concentrato selettivamente su quelle specie sin dalle fasi iniziali della sperimentazione di nuove forme di sussistenza, sebbene l'effettiva possibilità di riconoscere una vera e propria domesticazione incipiente in assenza di modificazione morfologica delle ossa sia tuttora oggetto di dibattito. La precocità del fenomeno della domesticazione dei caprovini in questa regione del Vicino Oriente rispetto alle altre aree coinvolte nella gestazione della "rivoluzione neolitica" è abbastanza evidente. I siti degli Zagros rimasero così, per lungo tempo, piccoli e funzionalmente differenziati e l'attività economica che finì col dominare fu proprio la pastorizia, che con questo modello di vita e con queste radici meglio si armonizzava. Del tutto diverso fu lo sviluppo delle prime comunità agricole nel Levante e nel Tauro. Qui il processo, altrettanto lungo e probabilmente iniziato prima (a partire dal 12.000 a.C. ca.), può essere articolato in fasi chiaramente distinguibili e si manifesta con trasformazioni di grande entità sin dai suoi momenti iniziali. Tre subregioni all'interno di questa grande area si distinguono, sia geograficamente che culturalmente: il Levante meridionale (Palestina), il Levante settentrionale (media valle dell'Eufrate e aree limitrofe) e il Tauro orientale; pur mostrando ognuna caratteristiche specifiche, condivisero linee di tendenza e modelli di sviluppo simili. Le due fasi più antiche del processo, corrispondenti rispettivamente alla cultura natufiana (12.000-10.000 a.C.) e a quelle di El-Khiam e del Neolitico preceramico A di Gerico (PPNA), sono per il momento ben documentate solo in Palestina e nella media valle dell'Eufrate, anche se siti con materiali presumibilmente riferibili a questi periodi, in termini di cronologia e di fase di sviluppo se non di affinità culturale in senso stretto, stanno emergendo anche in Anatolia orientale. Le caratteristiche acquisite dai gruppi già nel periodo di diffusione della cultura natufiana, che ancora esprimeva comunità la cui sussistenza era esclusivamente basata sulla caccia e sulla raccolta, configurano società orientate in modo netto verso la crescente sedentarietà e la creazione di agglomerati consistenti. Sappiamo da molti di questi siti che vi si praticava una caccia specializzata, concentrata però su specie come la gazzella o, in alcune regioni, sui bovini, che o non furono mai addomesticate, o se lo furono, solo in un secondo momento. Un elemento fondamentale per comprendere i cambiamenti in atto nel Natufiano è invece l'orientamento di quelle comunità verso lo sfruttamento intensivo dei campi di cereali selvatici, attestato anche indirettamente dalla comparsa di numerosi oggetti in pietra pesante adatti per la lavorazione dei cereali (macine, mortai) e di pozzetti e strutture per la conservazione del cibo. Si tratta di forme di iniziale sedentarizzazione, indicate da campi-base di notevoli proporzioni, con capanne circolari seminterrate, spesso in pietra, e attrezzature domestiche fisse, che suggeriscono almeno il reiterato ritorno nel sito da parte dello stesso nucleo di popolazione. La caccia specializzata di animali di branco e il concomitante affidarsi per una parte importante della dieta ai campi di cereali selvatici, in certi ambienti fonte di ricchi raccolti, concorsero infatti a creare crescita demografica (abbondanza e stabilità di risorse) e tendenza alla stanzialità (vicinanza ai campi di cereali) e alla cooperazione (concentrazione della forza-lavoro in determinati momenti dell'anno, come nel periodo di maturazione dei cereali o nella stagione ottimale per la caccia a una determinata specie). Nel successivo periodo, Neolitico preceramico A (10.000- 8300 a.C.), a sua volta articolato in due momenti, l'attestazione di grano e orzo domestici a Gerico, in Palestina, e il grande incremento dei pollini di cereali a Mureibet, nella media valle dell'Eufrate, indica che la coltivazione era già avviata, mentre l'apporto in carne alla dieta continuava a venire esclusivamente dalla caccia. Alcune grandi novità preannunciano la straordinaria trasformazione delle società: la notevole estensione degli abitati, la tendenza a una maggiore articolazione degli spazi domestici, la presenza di architettura pubblica o comunitaria monumentale, l'insorgenza di una particolare attenzione ai crani nel rituale funerario sono tutti elementi che concorrono a delineare comunità con un forte grado di sedentarietà e di organizzazione interna, rafforzati da un nascente apparato ideologico che doveva potenziare la coesione e il legame con il territorio. Culto dei crani, interpretato come espressione di un culto degli antenati e perciò veicolo ideologico per l'affermazione di diritti di appartenenza su un territorio (Flannery 1972) e architettura pubblica monumentale, di cui diviene chiaramente riconoscibile il carattere rituale, hanno caratterizzato il pieno sviluppo e la piena maturità di questo tipo di società nel successivo Neolitico preceramico B (PPNB), tra l'8300 e il 7000 a.C. Gli aspetti più eclatanti sono stati rinvenuti nel Tauro orientale, dove siti come Çayönü e Nevalı Çori hanno restituito lunghe case rettangolari in pietra con planimetria fortemente standardizzata ed edifici di culto imponenti. Sempre a Nevalı Çori una statuaria in pietra ricca e varia riproduceva figure umane e animali a tutto tondo e in bassorilievo. Questi straordinari ritrovamenti hanno oggi un importante confronto in un sito sulle colline pedemontane meridionali del Tauro, Göbekli, dove a strutture in pietra di notevole consistenza si accompagnavano numerose stele monumentali (alte 3 m e più) scolpite con raffigurazioni animali cariche di simbolismi. Il ritrovamento appare ancora più eccezionale se si considera che Göbekli sembra essere più antico degli altri siti del Tauro e per il momento non ha restituito tracce di domesticazione dei cereali, ben documentate, invece, negli altri insediamenti. L'insieme di questi dati e il fatto che il grande sviluppo delle società del IX e dell'VIII millennio a.C. si concluse con il "crollo" e la scomparsa di queste civiltà in tutte le aree considerate, mentre lo sviluppo dell'agricoltura proseguiva il suo cammino e si accompagnava a una diffusione, anche nelle regioni occidentali, dell'allevamento del bestiame, fa riflettere sulla natura complessiva di queste civiltà e sul loro rapporto con la cosiddetta "rivoluzione neolitica". Sembra, infatti, che i dati oggi a disposizione nel Vicino Oriente permettano di riconoscere, accanto alle già osservate differenze regionali nelle caratteristiche stesse dei processi evolutivi, due momenti nettamente distinti all'interno di questo sviluppo, ben visibili proprio laddove i fenomeni furono più imponenti e innovativi. È possibile cioè, in un certo senso, ipotizzare due "rivoluzioni neolitiche", che segnarono le tappe fondamentali della trasformazione. Nella prima fase, corrispondente al PPNB, il processo di sedentarizzazione, accompagnatosi al cambiamento e alla specializzazione nelle strategie di sussistenza e la probabile crescita demografica, dovettero portare allo sviluppo di nuove strategie organizzative, adatte a fronteggiare i nuovi bisogni inerenti al rapporto più stabile con il territorio e la probabile competizione tra le comunità nell'affermazione dei relativi diritti. La coesione del gruppo sembra essere stata ancora l'elemento centrale di queste strategie, da qui il notevole sviluppo degli aspetti ideologici e rituali come forte legante in assenza di organizzazioni politiche centralizzate. L'agricoltura fu un'innovazione economica significativa, ma la sua incidenza non doveva ancora essere tale da sovvertire radicalmente la struttura economico-organizzativa dei gruppi.
La seconda tappa nel processo di formazione delle società agricole di villaggio, molto meno appariscente della prima e anzi da molti indicata come un periodo di crisi, segna il vero profondo cambiamento e l'autentico sovvertimento dell'ordine costituito, creando le basi per le società nuove. Intorno al 7000 a.C. scompaiono i grandi siti del Neolitico preceramico e le manifestazioni eclatanti che a essi si erano accompagnate, mentre si manifestano, ormai in quasi tutte le aree del Vicino Oriente, culture diversificate con abitati molto meno pianificati, case architettonicamente meno codificate, ma con un'economia ormai nettamente produttiva basata su agricoltura e allevamento del bestiame. Quest'ultimo anzi si arricchisce di nuove specie domestiche, come il maiale e il bue, sostituendo quasi completamente la caccia. È in questo momento che, con l'avvenuta piena trasformazione dell'economia, si assiste a quel profondo cambiamento che identifica la vera rivoluzione neolitica: lo spezzarsi della forte coesione interna dei gruppi, che era stata l'apogeo di un'eredità del Paleolitico, e il prevalere del ruolo economico delle famiglie o comunque la nascita di individualità produttive, in varia misura in competizione tra loro. Nel periodo compreso tra il 7000 e il 6000 a.C. si assiste al popolamento di molte nuove aree, accompagnato dalla creazione di differenti tradizioni socio-economiche e culturali che costituiranno le basi delle successive civiltà vicino-orientali. Queste tradizioni sono archeologicamente identificabili anche attraverso la ceramica, che venne inventata in questo periodo e si diffuse rapidamente come utensile fondamentale in società che conservavano ed elaboravano il cibo, assumendo presto un ruolo anche simbolico di rappresentazione delle comunità che la producevano. Si sviluppò così una varietà di forme e di stili decorativi, per lo più dipinti, peculiari delle singole regioni e delle diverse culture in esse presenti, mentre gli oggetti circolavano ampiamente, indicando interazioni tra le comunità su scala geografica molto ampia e confermando il ruolo rappresentativo della ceramica come simbolo di identità culturale. Si possono così già delineare alcuni grandi nuclei regionali del Vicino Oriente, ognuno con caratteristiche proprie. L'Anatolia centro-meridionale, che aveva visto in precedenza un'occupazione importante ma geograficamente limitata del tardo Preceramico nella piana di Aşıklı, mostra ora l'impianto di una nuova cultura di villaggio, fortemente sedentaria, basata su un'economia mista in cui sembra avere un peso rilevante l'allevamento dei bovini, animali già abbondantemente presenti e sfruttati allo stato selvatico nella regione. Il sito più noto di questo periodo è Çatal Hüyük, dove la presenza in molte delle case, una volta considerate erroneamente santuari, di vistose decorazioni dipinte e a rilievo in cui predomina l'elemento simbolico del bovino dimostra che, anche laddove si ha una persistenza o una nuova manifestazione di un ruolo sociale importante dell'ideologia e della sacralità, questa viene gestita in modo diffuso nell'ambito delle singole unità domestiche. L'abbondanza nella regione di materie prime come l'ossidiana, già sfruttata ampiamente nel villaggio preceramico di Aşıklı, o i minerali metallici, stimola, con lo sviluppo della specializzazione del lavoro che certamente si accompagnò all'economia produttiva, lo sfruttamento di queste risorse anche a fini di "esportazione". A Çatal Hüyük, fra l'altro, abbiamo una delle più antiche attestazioni della fusione del rame e del piombo. L'interesse ormai prevalente per le pianure e le terre adatte all'agricoltura determinò l'occupazione di nuove ampie regioni anche nelle aree gravitanti sui bacini del Tigri e dell'Eufrate. Mentre si estendeva il popolamento delle regioni steppiche della Gezira, si occupavano per la prima volta le piane alluvionali della Mesopotamia centrale e meridionale. In queste due ampie regioni si svilupparono due modelli di società profondamente distinti e in un certo senso opposti, che tuttavia furono sin dall'inizio intensamente interagenti. In vari insediamenti vi sono evidenze di immagazzinamento collettivo rappresentate da grandi edifici a cellette, probabilmente gestiti nell'interesse della comunità da alcuni individui o famiglie. Ciò è suggerito sia dall'esistenza di un sito come Umm Dabaghiya, destinato in modo specializzato a questa attività, in cui pochissime case (forse appunto quelle dei "custodi") affiancavano grandi strutture di immagazzinamento, sia dal ritrovamento di una concentrazione di questi edifici in un'area del villaggio neolitico di Sabi Abyad, sul fiume Balikh, dove si trovavano ammassate centinaia di cretule con le impronte di numerosi sigilli, che costituiscono la prima attestazione consistente dell'uso amministrativo del sigillo come strumento per la redistribuzione controllata del raccolto. La mobilità e la flessibilità sul territorio e l'organizzazione collettiva egalitaria di queste comunità, basate su un'economia mista di agricoltura e di allevamento, caratterizzarono anche il grande sviluppo della successiva cultura di Halaf (6200-5200 a.C. ca.), che porterà questo modello di società a piena maturazione, rispondendo al notevole incremento demografico con ripetute fissioni e con una continua espansione su un territorio sempre più vasto, che alla fine del periodo includerà, oltre a tutta la Gezira dal Tigri all'Eufrate, gran parte dell'Anatolia orientale, fino alla piana di Karamanmaraş, e tutta la parte settentrionale della valle del Tigri fino al territorio di Baghdad. Le caratteristiche case circolari (tholoi) suggeriscono, ancora meglio che nelle precedenti fasi culturali, la scarsa "visibilità" delle singole unità familiari, con la dispersione nello spazio dell'abitato di varie attività, così che appare dominante il ruolo della comunità nel suo insieme. Una raffinatissima produzione di ceramica dipinta, ampiamente utilizzata e diffusa su tutto il territorio, segnala da una parte lo sviluppo di un artigianato specializzato, dall'altra la destinazione generalizzata del prodotto e la sua funzione di identificazione culturale e simbolo di queste comunità. Completamente diverso appare il modello delle società meridionali. Qui, con la cultura di Samarra sviluppatasi nella zona di Baghdad tra la fine del VII e gli inizi del VI millennio a.C. e con la cultura di Ubaid, che si manifesta, a partire dagli inizi del VI millennio, nella piana alluvionale della Bassa Mesopotamia, emergono società fortemente sedentarie, con una prospera agricoltura, che impiegava tecniche di irrigazione e di controllo dell'acqua e con una struttura sociale probabilmente organizzata per grandi nuclei familiari o clanici recante in sé potenziali embrioni di gerarchie. Gli unici due villaggi interamente scavati, Tell es-Sawwan, della cultura di Samarra, e Tell Abada, appartenente al periodo della prima espansione della cultura di Ubaid nel bacino del fiume Hamrin, mostrano un'articolazione degli insediamenti in grandi case standardizzate a pianta tripartita. Una struttura sociale organizzata in ampie unità autonome, forse famiglie allargate in possibile competizione tra loro, e un'economia basata su un'agricoltura molto produttiva, ma al tempo stesso ad alto rischio (aridità, inondazioni, salinizzazione dei suoli), furono i fattori sui quali dovette fondarsi lo sviluppo di gerarchie sociali ed economiche.
La Grande Mesopotamia - È nel periodo maturo di Ubaid (le cosiddette "fasi 3 e 4") che compaiono case emergenti sulle altre per dimensione e complessità (a Tell Abada) ed edifici templari (Eridu), che ricalcano la planimetria delle case, ma da queste si distinguono per la monumentalità, lo sviluppo della sala centrale (che viene dotata di piattaforme e altari), l'articolazione a nicchie delle pareti. Tra la fine del VI e gli inizi del V millennio a.C. anche nelle regioni settentrionali si assiste a un grande cambiamento. La cultura di Halaf scompare, come scompare il modello di occupazione territoriale e di organizzazione socio-economica che l'aveva contraddistinta, mentre ovunque si affermano, sia pure in tempi diversi, i tratti formali della cultura materiale e le strutture organizzative meridionali di derivazione Ubaid. Il cambiamento fu graduale e oggi sempre meglio si può documentare la comparsa di elementi Ubaid in contesti Halaf e la loro convivenza per un certo tempo, variabile da regione a regione, con la tradizione locale. In questo periodo si diffonde l'uso di cretule e sigilli, che non sono più legati a strutture di tipo comunitario, ma sono presenti in quasi tutte le case, indicando un diverso ruolo economico delle famiglie e i probabili dislivelli economici all'interno della società. Anche in Mesopotamia settentrionale compaiono i templi, che ricalcano, anch'essi in modo originale, i modelli della Bassa Mesopotamia, e costituiscono, come al meridione, centri di potere economico e forse politico, oltre che religioso. A Tepe Gawra, nella fase finale del periodo, il sito divenne un vero e proprio centro religioso-amministrativo, con tre edifici monumentali disposti intorno a una piazza e con una concentrazione di cretule che indicava lo svolgimento di procedure amministrative centralizzate in connessione con le attività dei templi. È possibile ipotizzare che lo stabilirsi a settentrione di nuclei, anche piccoli, ma forse elitari, di popolazione meridionale sia intervenuto su un sistema Halaf in crisi, in quanto ormai limitato nella sua espansione geografica e al tempo stesso impossibilitato per la sua struttura fortemente egalitaria a rispondere con nuove soluzioni organizzative al problema della crescita complessiva della società. Le potenzialità della struttura socio-economica meridionale dovettero offrire una risposta a questi problemi, distruggendo però il sistema locale di relazioni e imponendosi su di esso. Da questo momento in poi tutti i territori gravitanti su Tigri ed Eufrate, comprese le regioni dell'Anatolia orientale, parteciparono di una storia comune, creando la Grande Mesopotamia. In questo quadro le regioni anatoliche ricche di materie prime acquisirono una notevole importanza nella dialettica interregionale, in un momento in cui da un lato si rafforzavano le élites in cerca di oggetti per sottolineare il proprio prestigio, dall'altro si sviluppavano le attività artigianali specializzate, grazie a un'economia in grado di produrre e investire surplus. Con il momento terminale di Ubaid, verso la fine del V millennio, si ebbe il primo vero sviluppo della metallurgia, che già da qualche millennio sperimentava le sue possibilità. Nel sito Tardo Ubaid di Degirmentepe, sull'Eufrate anatolico a settentrione del Tauro, sono state rinvenute numerose scorie di fusione, mentre le prime armi in metallo compaiono nella necropoli di Ur, nella Bassa Mesopotamia. I profondi cambiamenti avvenuti nelle società mesopotamiche, sia a settentrione che a meridione, si manifestano più chiaramente a partire dagli inizi del IV millennio, quando una serie di indicatori archeologici riflette le trasformazioni nell'organizzazione del lavoro e nelle relazioni sociali. La ceramica dipinta e le produzioni raffinate in genere scompaiono, mentre si affermano manifatture in serie, grossolane e affrettate, tra cui spiccano nuove produzioni in massa di ciotole fatte a mano o al tornio lento. La perdita del carattere simbolico- rappresentativo della ceramica corrisponde a una nuova configurazione delle società, in cui nascono le prime forme di urbanizzazione e l'identità dei gruppi coincide sempre meno con l'identità etnica o culturale e fa sempre più riferimento al luogo fisico dell'abitare (la città e il suo entroterra) e alle istituzioni politiche o politico-religiose che li rappresentano. Le manifatture di massa riflettono, inoltre, profondi cambiamenti nelle relazioni di produzione e nell'organizzazione del lavoro: la richiesta di grandissime quantità di contenitori aperti (ciotole) esprimeva probabilmente nuovi bisogni legati alla nascita di dislivelli economici nel possesso dei mezzi di produzione, dove alcune persone erano costrette ad alienare il proprio lavoro in cambio di un compenso (distribuzione di pasti ai lavoratori dipendenti). Al tempo stesso tale richiesta, promossa soprattutto dalle élites, dovette orientare la produzione, determinando una diversa organizzazione degli artigiani. Il fenomeno più eclatante del IV millennio fu la nascita della "città" come luogo di concentrazione di popolazione, di attività specializzate e di funzioni politico-religiose. Tale fenomeno, tuttavia, sembra avere caratterizzato principalmente il meridione della Mesopotamia, dove, mentre nella fase più antica (Antico Uruk), per mancanza di documentazione, esso è solo suggerito dall'individuazione in superficie di centri di dimensioni considerevoli, nella seconda metà del millennio ebbe manifestazioni straordinarie, esemplificate dalle proporzioni gigantesche che assunse la città di Uruk (100 ha ca.). Nell'area settentrionale l'urbanizzazione fu in genere molto meno rilevante, anche se, nella zona delle terre fertili del Khabur, città come Tell Brak acquisirono probabilmente già dimensioni considerevoli. Il tratto che invece accomunò tutte le regioni della Grande Mesopotamia sin dall'inizio del IV millennio fu lo sviluppo della centralizzazione, gestita dalle gerarchie religiose o da capi che amministravano il culto e che accentravano e redistribuivano i beni. Mentre al meridione nella fase antica di Uruk le testimonianze sono scarse per mancanza di informazione e l'unico dato diretto disponibile è una piattaforma monumentale con resti di magazzini centrali rinvenuta a Susa, in una zona limitrofa alla Bassa Mesopotamia, a settentrione si conoscono ormai più siti dislocati in varie regioni, da Tepe Gawra in Mesopotamia settentrionale, ad Arslantepe in Anatolia orientale, che hanno restituito imponenti edifici pubblici monumentali a carattere cerimoniale con evidenze di redistribuzione (ciotole prodotte in massa) e amministrazione (cretule). Tutti questi caratteri furono pienamente potenziati nella seconda metà del IV millennio, quando la civiltà del Tardo Uruk costituì il momento culminante nel processo di formazione delle prime società stratificate con organizzazione protostatale. Le élites ampliarono enormemente il loro potere d'intervento nelle attività produttive della comunità, probabilmente gestendo direttamente alcuni mezzi di produzione, come terra e bestiame, e controllando settori dell'artigianato. La centralizzazione e il controllo di forza lavoro, più che direttamente di risorse, fu il carattere distintivo di questa società, mentre lo sviluppo di un complesso sistema burocratico-amministrativo fu lo strumento per la sua gestione. Nella maggioranza dei siti del periodo si rinvengono, spesso in connessione con le aree pubbliche, concentrazioni di cretule, recanti ora anche le impressioni di sigilli a cilindro, in cui si rappresentavano scene complesse per lo più correlate con la vita pubblica. Alle cretule si affiancarono altri strumenti amministrativi in argilla per la registrazione e la contabilità: gettoni contatori di varie forme, espressione probabilmente di qualità e quantità (ogni oggetto di una certa forma doveva, cioè, rappresentare un'unità di un determinato bene); bullae sferiche cave sigillate sulla superficie, a volte contenenti alcuni di questi contatori; tavolette con l'impressione di segni numerici. La progressiva sofisticazione del sistema che, partendo da procedure e tecniche già in uso nelle società neolitiche a economia collettiva della Mesopotamia settentrionale, col trasferimento di queste procedure a contesti centralizzati arrivò alla creazione di una vera e propria classe di burocrati professionisti, culminò, alla fine del periodo di Uruk, nell'invenzione della scrittura. Migliaia di tavolette con segni pittografici che riprendevano le forme dei contatori d'argilla furono rinvenute nell'ampia area pubblica cerimoniale dell'Eanna a Uruk; esse registravano in grande maggioranza transazioni economiche delle istituzioni centrali, soprattutto distribuzioni di razioni e rendiconti su beni affidati in gestione, come le greggi, e in misura minore liste di mestieri e professioni, che attestavano un controllo su almeno parte delle attività artigianali. L'invenzione di questo nuovo strumento non a caso avvenne nel più grande centro urbano preclassico del mondo antico, con un'area pubblica che da sola copriva più di 6 ha, dove la scala dell'attività economico- amministrativa raggiunse proporzioni tali da richiedere un supporto di registrazione diretta delle transazioni. Sede di questa intensa attività furono ancora una volta edifici cerimoniali di straordinaria monumentalità, con strutture templari che obbedivano a canoni architettonici e decorativi ben definiti e che, con diversa scala e imponenza, si trovano in quasi tutta l'area della Grande Mesopotamia. Alcune tipologie ripetevano lo schema classico affermatosi nell'area meridionale, altre mostravano elaborazioni originali di quel modello. Le relazioni tra le diverse regioni divennero particolarmente intense in questo periodo, dando luogo a nuovi fenomeni di movimenti di popolazione meridionale verso settentrione, concretizzatisi a volte nell'impianto di veri e propri insediamenti di nuova fondazione, dislocati soprattutto lungo il medio e alto corso dell'Eufrate. L'interazione tra queste comunità coloniali e le comunità locali fu molto varia ed ebbe esiti diversi, mentre una tendenza generale a intensificare e ampliare le relazioni esterne in tutte le direzioni portò elementi di cultura Uruk, e in alcuni casi probabilmente di popolazione Uruk, non solo in tutta l'Alta Mesopotamia e lungo l'Eufrate anatolico, ma anche a oriente, nelle regioni dell'Iran occidentale e sud-occidentale. Qui si manifesta con l'impianto, lungo la fascia centro-settentrionale degli Zagros, di piccoli avamposti, come Godin Tepe, e più a meridione con la completa assimilazione culturale dell'intera Susiana. Segni di questa spinta a proiettarsi verso l'esterno delle società Tardo Uruk appaiono anche in Egitto, dove alcuni elementi di cultura materiale mesopotamica vennero adottati nel momento della creazione del primo stato dinastico. Si è molto parlato dei rapporti tra Egitto e Mesopotamia del periodo Uruk come fattore stimolante di questo sviluppo; tali rapporti sono effettivamente testimoniati da ritrovamenti in Egitto, in questo periodo, di elementi d'influenza Uruk. Questi elementi, tuttavia, sono sporadici e non costituiscono il segno di una tale intensità di relazioni da giustificare un profondo cambiamento strutturale in una delle due componenti. Molti di questi elementi, del resto, potrebbero essere stati mediati dalla Siria settentrionale, come indicherebbe la presenza a Bouto di decorazioni ceramiche analoghe a quelle della piana dell'Amuq in Siria. Le cause e la natura della cosiddetta "espansione Tardo Uruk" verso le regioni che circondano la piana alluvionale del Tigri e dell'Eufrate sono tuttora oggetto di dibattito tra chi vede la Mesopotamia meridionale come centro di gestazione e di diffusione di questa prima cultura protourbana e chi invece sottolinea il rapporto interattivo tra le diverse società coinvolte e la molteplicità degli apporti in una dinamica che interessò l'intera Grande Mesopotamia. I primi sono fautori di un modello di colonizzazione commerciale in cui il movimento di gruppi meridionali verso le aree montuose della "periferia" sarebbe stato funzionale all'approvvigionamento delle materie prime, mentre i centri del Nord avrebbero avuto essenzialmente la funzione di interlocutori per lo scambio; i secondi vedono invece il fenomeno come frutto dell'intensificarsi e dell'organizzarsi in modo nuovo di un'interazione iniziata già alcuni millenni prima e basata sulla condivisione di radici almeno parzialmente comuni e sulla compartecipazione a processi di sviluppo paralleli. La notevole e graduale crescita di importanti centri protostatali con grandi aree pubbliche monumentali anche nelle regioni del Nord, esemplificati da siti come Tell Brak sul Khabur e Arslantepe nella piana di Malatya, fa ritenere storicamente più fondata la seconda visione. Non v'è dubbio che i commerci ebbero, in questo periodo, un notevole impulso e lo sfruttamento e l'uso dei metalli, di cui solo le regioni anatoliche e iraniche sono ricche, raggiunse per la prima volta una reale significatività economica e sociale. Si ampliò, infatti, la gamma degli oggetti e la varietà dei metalli, che includevano, accanto al rame, argento, piombo e leghe sperimentali di rame con arsenico e altre componenti. La grande koinè culturale del IV millennio si spezzò agli inizi del III, quando l'insorgenza in Mesopotamia delle cittàstato protodinastiche dovette corrispondere a una maggiore definizione delle entità politiche, con conseguente delimitazione dei confini e perdita di quella permeabilità che i territori avevano avuto fino a quel momento. I centri urbani crebbero enormemente e furono spesso circondati da mura, segno sia della probabile aumentata competizione e conflittualità reciproca, sia forse della volontà di delimitare lo spazio urbano come simbolo e riferimento per le popolazioni che ad esso si richiamavano. Le storie di tutte le aree protagoniste della civiltà Uruk si separarono; mentre la Bassa e l'Alta Mesopotamia potenziavano ulteriormente, ognuna in modo proprio, il carattere urbano, le aree più periferiche iniziarono nuovi e diversi percorsi: l'Anatolia orientale entrò nell'orbita delle civiltà transcaucasiche, dando vita, dopo una radicale interruzione dei legami con il Meridione, a una nuova tradizione culturale espressa da cittadelle fortificate di tipologia strettamente anatolica; la Susiana entrava, invece, in un circuito di relazioni con l'Iran sud-orientale, costituendo il confine occidentale della cosiddetta "civiltà proto-elamita".
Il Levante e l'Anatolia occidentale - I percorsi storici verso la formazione delle cosiddette "società complesse" e le caratteristiche che queste assunsero nelle altre regioni del Vicino Oriente furono molto diversi da quelli che contraddistinsero il mondo mesopotamico. Nel Levante la crisi che aveva posto fine alle culture del Neolitico preceramico determinò per un lungo periodo, tra gli inizi del VII e la metà del V millennio a.C., una rottura nel modello di insediamento sedentario del primo Neolitico, dando luogo a scelte di tipo seminomadico o nomadico, che si accompagnarono allo sviluppo dell'allevamento dei caprovini come risorsa in gran parte alternativa alla crisi dell'agricoltura. Tale crisi e il modello di sussistenza che ne fu la risposta, tuttavia, interessarono soprattutto il Levante meridionale e in particolare le zone più aride del Negev, della valle del Giordano e della Transgiordania. Nelle regioni settentrionali della Palestina, e ancor più sulla costa del Mediterraneo (Biblo, Ras Shamra), si crearono invece piccole comunità a economia mista, che nelle aree più interne sembrano avere adottato anche strategie di parziale mobilità stagionale, come si evince dall'alternanza di impianti abitativi più o meno consistenti nelle sequenze stratigrafiche di alcuni siti. La tendenza generale in questa regione del Vicino Oriente fu tuttavia verso il dimorfismo economico, con la specializzazione di comunità pastorali che probabilmente interagivano con le comunità agricole più sedentarie in maniera regolare. Questo sistema regionale di complementarità tra gruppi orientati diversamente nelle scelte economiche si confermò nel Calcolitico (4500-3500 a.C.), quando, mentre nella Palestina settentrionale continuava il modello di insediamento basato su piccole comunità agricole che allevavano soprattutto animali di grossa taglia più stanziali, come suini e bovini, nel Meridione si sviluppò la cosiddetta "cultura ghassuliana", dal villaggio di Ghassul nella bassa valle del Giordano, caratteristica di società mobili, probabilmente nomadi o seminomadi, che, pur praticando certamente l'agricoltura, ponevano una forte enfasi sull'allevamento dei caprovini. Questi gruppi, che occuparono le aree a clima semiarido della Palestina meridionale, dal Negev settentrionale alla regione del Mar Morto e alla bassa valle del Giordano e a gran parte della fascia costiera a clima più temperato, mostrano tipi di occupazione diversificata nelle varie regioni e si caratterizzano per un'accentuata attività di pastorizia: si muovevano sul territorio con spostamenti di transumanza anche ampi e con ritorni periodici agli stessi luoghi per abitare e per seppellire i propri morti. Una caratteristica peculiare delle comunità ghassuliane fu, inoltre, il grande sviluppo della metallurgia praticata in modo diffuso dai gruppi del Negev, come indicato dall'eccezionale ritrovamento, nella Grotta di Nahal Mishmar sul Mar Morto di ben 465 pezzi, tra strumenti, teste di mazza, scettri e "corone". L'attività metallurgica, come in molti altri gruppi pastorali, fu resa possibile dalla facilità di accesso alle fonti del minerale, ma sottolineò anche, probabilmente, l'insorgenza di gerarchie nell'organizzazione sociale. Questi gruppi di seminomadi sembrano aver interagito fin dall'inizio con le comunità più sedentarie settentrionali, entrando in stretta osmosi con loro negli ultimi secoli del IV millennio, quando, con il cosiddetto "periodo protourbano" o Bronzo Antico I, si manifestò in Palestina una cultura più omogenea caratterizzata dai primi insediamenti fortificati. Un peculiare tipo di urbanizzazione si avviò così nel Levante e si sviluppò nel corso del III millennio (Bronzo Antico II e III), basato su un'agricoltura ricca e variata che introdusse la coltivazione di vite e olivo (policoltura mediterranea), ma priva di quelle possibilità di incremento produttivo che solo avrebbero potuto consentire grandi agglomerati di popolazione. Le città della Palestina, infatti, non acquisirono mai le grandi dimensioni dei centri mesopotamici, né vi si manifestò alcun segnale di gestione centralizzata dell'economia. Gli edifici pubblici qui ritrovati, templi e palazzi, ebbero un carattere molto meno monumentale e soprattutto non vi si concentrò l'attività economico-amministrativa. Il potere delle élites sembra essere stato soprattutto di natura politica, forse connesso almeno in parte con la difesa e la protezione della popolazione e dei suoi beni, come suggerisce il carattere di città fortificate che questi centri assunsero sin dall'inizio. Anche la base territoriale delle entità politiche dovette essere limitata, se ipotizziamo una conflittualità endemica all'interno dello stesso territorio palestinese. In questo quadro la componente pastorale perse la sua visibilità, venendo forse incamerata nel sistema di produzione regionale e ottenendo protezione in una situazione di minore libertà di movimento e di sfruttamento dei territori. Le comunità del Levante svilupparono anche scambi commerciali con altri ambienti, soprattutto con altre aree circummediterranee e con l'Egitto. Non è escluso che un ulteriore stimolo all'organizzazione urbana, la più efficace per lo sviluppo di artigianato specializzato e commercio, sia venuto proprio dai contatti con l'Egitto pre- e protodinastico, ampiamente documentati a cavallo tra IV e III millennio a.C. Per quanto riguarda l'Anatolia occidentale, rapporti diretti con il Levante non sono documentati, anche se certi elementi, con diverso grado di pregnanza culturale e sociale come i cosiddetti "idoletti a violino" o le case rettangolari monocellulari con abside o con portico a megaron, circolarono ampiamente in tutta l'area gravitante sul Mediterraneo orientale. È interessante notare che vi sono comunque analogie strutturali significative tra le prime società urbane del Levante e quelle dell'Anatolia occidentale. Qui, dopo uno sviluppo graduale che non sembra avere modificato sostanzialmente l'assetto socio-economico e politico delle culture neolitiche sedentarie di Çatal Hüyük e Hacılar, solo con la fine del IV millennio e più ancora con gli inizi del III si ebbe sia un'espansione del popolamento verso le altre aree più settentrionali dell'Anatolia centro-occidentale, sia la comparsa di forme organizzative nuove incentrate su un modello insediativo con cittadelle fortificate. La cultura di Troia, che più rappresenta questo sviluppo, è caratterizzata dall'insorgenza di élites che si separano dalla popolazione mediante la costruzione di acropoli fortificate con poche strutture imponenti riproducenti il modulo architettonico della pianta a megaron. Anche in questo caso non vi sono tracce di reale centralizzazione economica e gli agglomerati rimangono piccoli, anche più che nel Levante, mentre i capi sottolineano il loro potere e il loro prestigio mediante un grande uso di oggetti preziosi, in particolare di quelli in metallo. La società non sembra pluristratificata, almeno a giudicare dalla relativa omogeneità delle sepolture e dei loro corredi, ma piuttosto bimodale, con un vertice e una base, mentre non si ha una vera e propria urbanizzazione; non vi sono, infatti, centri né grandi né con struttura urbanisticamente organizzata e le fortificazioni circondano le acropoli, come a Troia e a Karataş, o anche piccoli villaggi, come Demirci Hüyük. La specializzazione del lavoro si sviluppò soprattutto in certi settori, come la metallurgia, ma non trasformò interamente il tessuto produttivo della società. La ceramica, ad esempio, continuò ad essere fatta a mano e non si osservano neppure quelle manifatture massificate che altrove sono indice di importanti sovvertimenti nelle relazioni di produzione e nelle forme di organizzazione del lavoro. Gli scambi sono attestati soprattutto con il mondo egeo, ma anche con l'Oriente, passando per la costa della Cilicia. Questo modello di società con piccole comunità probabilmente indipendenti e competitive e con strutture di potere essenzialmente politico, forti ma poco invadenti nella struttura economica di base della società, costituisce un modello alternativo ed opposto rispetto a quello vicino-orientale classico a forte centralizzazione, coincidente con il sistema mesopotamico da una parte e con quello egiziano dall'altra. Su questa base doveva poi svilupparsi nel II millennio la grande civiltà hittita che, entrando nel circuito delle relazioni internazionali con le altre civiltà del Vicino Oriente, finì con il trasformare profondamente la struttura organizzativa di tradizione locale in una vera struttura statale.
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