DAL POZZO, Cassiano senior
Nacque a Biella (prov. Vercelli) nel 1498 da Antonio e da Margherita della Torre. Appaiono errate sia la data di nascita, sia quella di morte indicate dal Dionisotti: 1500 e 1580. Insieme con il primogenito Francesco egli venne avviato dal padre al servizio dei duca di Savoia Carlo II.Mentre Francesco tuttavia si distinse nella carriera delle armi, il D. si addottorò in utroque iure a Torino. Nel 1529 viene ricordato già come dottore nel collegio di leggi dello Studio di Torino e consigliere ducale. Da quell'anno in poi la carriera del D. al servizio di Carlo II e della duchessa Beatrice di Portogallo è scandita dalle varie nomine. Nel 1532 è avvocato fiscale, il 28 genn. 1535 consigliere collaterale nell'importante Consihum cum domino residens. Nello stesso anno è commissario per gli atti ammistrativi della città di Asti e due anni dopo governatore di Chieri.
La sua attività in questo periodo è testimoniata dalle sue lettere al duca e alla duchessa. Nel 1534 è inviato in missione a Ivrea, nel 1536 a Ceva "per madama la duchessa", nel 1538 deputato "per le divergenze col marchese di Masserano intorno al feudo di Crevacuore". Senza data si conservano inoltre nella sua corrispondenza due pareri legali "sulla causa fra il cardinale Sforza e l'ordine di Malta" e "nelle cause del Fisco ducale".
Dal 1550 il D., nominato presidente patrimoniale generale, risiede stabilmente a Vercelli con la corte. Inviato ambasciatore presso Carlo V alla Dieta di Ratisbona da Carlo II, vi restò circa un anno, senza ottenere tuttavia né gli aiuti finanziari richiesti dal duca di Savoia né tanto meno quelli militari. Nel 1553, alla morte di Niccolò Balbo, gli successe nella carica di presidente del Senato di Piemonte, cui restò confermato anche dopo la morte, nello stesso anno, dei duca Carlo II.
Negli anni seguenti l'attività del D. è da inquadrare nel delicato momento storico della successione di Emanuele Filiberto al padre e della ripresa delle ostilità in Piemonte tra la Francia e la Spagna. In tali anni egli, come pure il fratello Francesco, già consigliere, ciambellano ducale, podestà di Viverone, e capitano di Chivasso, fu tra i pochi che si distinsero in Piemonte per la fedeltà e il servizio al giovane duca, allora assente dal paese. Già in occasione della conquista francese di Vercelli il D. si era segnalato nella difesa della città "colla toga sulla lorica e un'alabarda in mano" e guidando la successiva ritirata a Casale (Claretta, La successione…, p. 33). Quindi, insieme al conte Valperga di Masino, represse una congiura dei Francesi per impadronirsi nuovamente di Vercelli, rioccupata dai Ducali. Tuttavia sulla sua azione come presidente patrimoniale generale pesano alcuni giudizi dei contemporanei, dai quali sembra trasparire un esercizio di tale carica non del tutto limpido. Ciò appare da alcune lettere dello Challant e dei Provana di Leinì ad Emanuele Filiberto, riportate dal Claretta nella sua opera sul duca di Savoia. Tale giudizio appare del resto confermato in parte dalla successiva carriera del Dal Pozzo. Al ritorno di Emanuele Filiberto, infatti, nel 1560, i pochi personaggi e le famiglie rimasti fedeli ai Savoia nel lungo periodo di guerre fra Francia e Spagna furono ricoperti di onori e di uffici. Ma il D., pur partecipando insieme agli altri alle accoglienze ufficiali al duca e ai suoi ingressi a Nizza, a Vercelli e a Torino, venne solo confermato, con le patenti 12 marzo 1560, primo presidente del Senato di Piemonte, perdendo quindi la carica di presidente patrimoniale. Se si considera inoltre che negli anni precedenti, essendo vacante la carica di gran cancelliere, il D., come presidente del Senato, aveva conservato anche i sigilli della Gran Cancelleria, e quindi esercitato l'ufficio, appare evidente che pur conservando il favore ducale, il D. vedeva diminuire l'importanza delle sue cariche. Secondo l'ambasciatore veneto Boldù il D., uomo "di molta dottrina e più che mediocre giudizio, trovandosi non dei tutto netto, è lasciato solamente al governo del Senato" (ibid., p. 380).
Ciò non toglie tuttavia che il D. venisse considerato uomo di grande esperienza e soprattutto pratico della gestione amministrativa-finanziaria del ducato. Tra i molti uomini nuovi scelti da Emanuele Filiberto per ristrutturare l'apparato burocratico in Piemonte - basti pensare al genovese Negron di Negro, generale delle finanze, o al monferrino Pierino Belli - il D. rappresentava la vecchia burocrazia formatasi al tempo del duca Carlo II. Il 26 genn. 1561 Emanuele Filiberto lo nominò, insieme al Belli e a Ottaviano d'Ozasco, negoziatore presso il re di Francia Francesco II per la restituzione delle piazze ancora occupate dai Francesi in Piemonte. Negli anni seguenti invece l'attività del D. fu legata soprattutto all'esercizio della sua carica di presidente del Senato di Piemonte. Già nel 1545 aveva pubblicato a Torino alcune Additiones ad communes doctorum opiniones. Nel 1577 pubblicò ancora alcune Additiones ad Bartolum, mentre si conservano ancora manoscritti, presso l'Accademia nazionale dei Lincei, otto volumi di Decisiones Senatus Pedemontani, auctore et collectore Cassiano De Puteo.... Sempre il Claretta ha ricordato inoltre un interessante consiglio del D. e dei Bobba su alcune riforme giudiziarie in Piemonte. Il D. non si mostrava ostile, ad esempio, a deferire l'appello delle cause giudicate dal Senato di Piemonte a giudici estranei, creando un'eventuale nuova magistratura superiore.
Occorre tuttavia rilevare che la figura e l'azione del D. non sono mai state fatte oggetto di studi e ricerche particolari, neanche dalla feconda storiografia piemontese dell'Ottocento, anche perché egli apparve sempre un personaggio secondario. Tuttavia nel 1928 un breve saggio di Federico Patetta riportò l'attenzione degli studiosi sul D., attribuendogli, con quasi certezza, la paternità di un manoscritto assai noto e ritenuto di notevole importanza per la storia del Piemonte all'epoca del ritorno di Emanuele Filiberto. Il cosiddetto Memoriale al duca Emanuele Filiberto fu pubblicato integralmente da E. Ricotti nel primo volume della sua Storia della monarchia piemontese, Firenze 1861, pp. 291-340. Attribuito tuttavia al presidente del Senato Niccolò Balbo e datato 1559, fu largamente utilizzato dalla successiva storiografia su Emanuele Filiberto e i suoi tempi, per l'importanza dei dati e delle osservazioni fornite dall'autore.
Il Memoriale giunse negli archivi di corte a Torino in una copia sincrona, non autografa, dopo il 1830, proveniente dall'archivio del conte Barnaba de Maistre. L'unica edizione integrale, fatta sulla copia conservata negli archivi di corte e oggi nell'Archivio di Stato di Torino, è quella curata dal Ricotti nel 1861. Come attesta lo stesso autore del Memoriale, esso venne scritto a Nizza nel 1560, proprio nel momento del ritorno del duca in Piemonte. L'attribuzione quindi dello scritto al Balbo venne fatta facilmente cadere dal Patetta nel 1928, dimostrando come il Balbo fosse già morto in Arona, nel 1552, e il suo ufficio ricoperto dal D. a partire dal 1553. Altrettanto facilmente il Patetta dimostra l'inconsistenza di altre due attribuzioni: quella del Peyron a Pierino Belli e quella del, l'Egidi al gran cancelliere Giovanni Tommaso Langosco, conte di Stroppiana. Infatti l'autore del Memoriale si professa suddito e al servizio dei Savoia da molti anni, dichiara di aver tenuto per vari anni i sigilli della Gran Cancelleria, di aver servito in varie terre (Ceva, Asti, Ivrea) il duca Carlo II e la duchessa Beatrice, appare molto esperto di problemi finanziari e dell'aniministrazione della giustizia. Il Belli, al contrario, era suddito monferrino e quindi dei Gonzaga, ed entrò al servizio di Emanuele Filiberto solo nel 1560. Così pure il Langosco venne nominato gran cancelliere solo nel 1560 e non poteva quindi vantarsi, nello stesso anno, di aver conservato a lungo i sigilli del suo ufficio. Egli stesso .inoltre viene ricordato nel Memoriale in terza persona. Pertanto l'attribuzione del Memoriale al D., fatta dal Patetta, appare pienamente convincente.
Sull'importanza e il valore di tale scritto si erano già pronunciati storici quali il Ricotti e il Cibrario. Secondo quest'ultimo addirittura Emanuele Filiberto nelle sue riforme non fece che seguire le indicazioni e i suggerimenti dell'autore del Memoriale. In effetti, accettando l'attribuzione dello scritto al D., esso presenta aspetti di grande interesse per la storia non solo del Piemonte di Emanuele Filiberto ma anche per quella di Carlo II. Lo scritto ha infatti.un duplice carattere: da un lato vi è una descrizione, minuziosa e precisa, della vita economica, sociale e politica del Piemonte in tali anni; dall'altro tutta una serie di indicazioni e di suggerimenti sulle strutture di governo, sulle finanze, sui rapporti fra Stato e Chiesa, sull'amministrazione della giustizia; molti dei quali furono effettivamente poi seguiti dal duca a partire dal 1560. All'epoca della stesura dello scritto, nel 1560, il D. aveva un'esperienza trentennale di servizio presso la corte sabauda. E tale servizio aveva svolto sia presso le varie città e comunità del paese, Asti, Vercelli, Ivrea, Ceva, Nizza, sia in delicate missioni diplomatiche, sia infine a capo dei massimo organo di giustizia, il Senato, e di quello finanziario, come presidente del Patrimonio. E nelle pagine dello scritto tale esperienza traspare evidentissima. Ovviamente gli aspetti più interessanti sono quelli relativi ai suggerimenti che l'autore indirizza al duca sulle riforme da attuare in Piemonte. "Il Paese restituito dai Franciosi si può perder in ventiquattro hore" ammonisce il Dal Pozzo. Da qui la necessità di una serie di riforme, militari, giudiziarie, finanziarie; di restaurare le fortezze dello Stato, di creare una milizia "di genti di guerra tolte fra tutti i sudditi", e soprattutto di creare un efficiente apparato finanziario. Lotta alle immunità fiscali quindi, specie quelle dei vescovi e del clero, istituzione di un'imposta diretta sulla proprietà, come fu poi il "tasso", riforma della gabella del sale e delle gabelle sui consumi. Ma gli argomenti affrontati dal D. sono molteplici: dalla convenienza o meno di mantenere.i "giudei" nel dominio, all'amministrazione della giustizia, alla costruzione di nuove strade, all'introduzione del gelso nell'agricoltura, alla necessità di favorire le esportazioni dei prodotti agricoli verso Genova e gli Svizzeri, a quella di favorire il sorgere di nuove "industrie", come le fabbriche di armi, di falci, di cappelli ecc. In una parola, come è stato scritto di recente, "... il memorandum è un piano per la riorganizzazione, secondo modelli moderni, di un antico possesso ... e dalle condizioni di insediamento della monarchia assoluta da essa derivata si sviluppa la successiva coscienza dell'individualità della monarchia e dello stato piemontese" (Garosci, p. 27).
Negli anni successivi il D. restò quasi sempre a Torino impegnato dal suo ufficio di presidente del Senato di Piemonte, del quale conservò manoscritte molte sentenze da lui raccolte. Nel 1571 viene ancora nominato tra i riformatori dello Studio di Torino. Ormai tuttavia la tarda età gli impedisce di attendere ai suoi uffici. Emanuele Filiberto concede quindi al D., "havendoci fatto intendere l'indispositione e gravezza degli anni suoi vicini a ottanta...", che il nipote Ludovico gli subentri nella carica di primo presidente del Senato. Il D. morì a Torino il 23 sett. 1578.
Fu sepolto nella chiesa di S. Agostino, dove gli fu eretto dai nipoti un monumento sepolcrale, con un'epigrafe che ne ricordava gli uffici. Aveva sposato in prime nozze Annsa Scaglia e successivamente Pentesilea Frichignono di Castellengo. Ebbe un unico figlio, Antonio, uditore delle Bande del granduca di Toscana, morto a Firenze nel 1619. Da Antonio nacque Cassiano iunior, erudito, mecenate e archeologo famoso.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Archivio di Corte, Protocolli ducali, 165, f. 161 (1532), nomina ad avvocato fiscale e consigliere ducale; 160, f. 14 (1535). collaterale dei "Consilium cum domino residens"; 204, f. 2, commissario di Asti; 213, f. 207 (1537), governatore di Chieri; 232, f. 86 (1561), ambasciatore a Francesco II re di Francia; Ibid., f. 115 (1561), conservatore del dacito di Susa; Ibid., Patenti controllo finanze, 1, f. 69 (1560), primo presidente del Senato di Piemonte; Ibid., Trattati diversi. Francia, 1561; Ibid., Lettere principi, Emanuele Filiberto, 2 nov. 1565, al D.; Ibid., Lettere particolari, D, m. 10, lettere del D. ai duchi dal 1532 al 1572; Ibid., Storia della Real Casa. cat. 3ª, m. 10, n. 10: Memoriale al duca Emanuele Filiberto; altre copie a Torino nella Biblioteca Reale, nella Biblioteca nazionale e nella Biblioteca Patetta. Il Borro, Arezzo, Archivio Dal Pozzo della Cisterna, presso l'Archivio dei duchi d'Aosta, Storia della famiglia, mm. 4 e s; Ibid., Testamenti e successioni, m. 3 (nel 1981 tale Archivio è stato depositato presso l'Archivio di Stato di Vercelli). Nel fondo Cassiano Dal Pozzo junior, oggi di proprietà dell'Accademia nazionale dei Lincei, si conservano anche 8 volumi (nn. 41-48) delle Decisiones Senatus Pedemontani, auctore et collectore Cassiano, de Puteo... . Del D. tutti gli autori segnalano altre due operea stampa: Additiones ad communes doctorum opiniones, Taurini 1545; Additiones ad Bartolum, Taurini 1577, che tuttavia il Patetta non riusciva a rintracciare nelle biblioteche torinesi già nel 1928 e che non vi figurano nemmeno oggi. V. inoltre F. A. Della Chiesa, Cat. di tutti gli scritt. piemontesi..., Torino 1614, pp. 24 s.; A. Rossotto, Syllabus scriptorum Pedemontii…, Monteregalis 1667. pp. 151 s.; G. Galli, Cariche del Piemonte e paesi uniti, Torino 1798, I, pp. 254-257, 349; 11, pp. 115 s.; G. De Gregory, Istoria della vercellese letteratura ed arti, Torino 1820, II, pp. 176 s.; [Angius], Sulle famiglie nobili della monarchia di Savoia, III, Torino 1853, pp. 104-109; G. Claretta, Notizio storiche intorno alla vita e ai tempi di Beatrice di Portogallo duchessa di Savoia, Torino 1863 p. 92; G. Masserano, Biella e i Dal Pozzo, Biella 1867, pp. 160-166; C. Dionisotti, Storia della magistratura piemontese, Torino 1991, II, pp. 242 ss.; G. Claretta, La successione di Emanuele Filiberto al trono sabaudo, Torino 1884, pp. 33, 66-73, 154-157, 380 n.; Id., Imarmi scritti della città di Torino, Torino 1899, p. 9; P. Egidi, Emanuele Filiberto, II, 1559-1580, Torino 1928, pp. 41, 87 s.; Id., Emanuele Filiberto, in Riv. stor. ital., XLV (1928), p. 180; F. Patetta, Di N. Balbo prof. di diritto nell'università di Torino e dei "Memoriale" al duca Emanuele Filiberto che gli è falsamente attribuito, in Studi pubblicati dalla R. Università di Torino nel IV centenario della nascita di Emanuele Filiberto, Torino 1928, pp. 421-476, in part. 425 s., 458-476; L. Marini, Savoiardi e Piemontesi nello Stato sabaudo (1418-1601), I, Roma 1962, p. 389; Id., Libertà e tramonti di libertà nello Stato sabaudo del Cinquecento, I, Bologna 1968, pp. 131-192 (ed. parz. del Memoriale); Id., Libertà e privilegio. Dalla Savoia al Monferrato, da Amedeo VIII a Carlo Emanuele I, Bologna 1972, pp. 53, 138, 223, 234, 245 ss.; A. Garosci, Storiografia piemontese tra il Cinque e il Settecento, Torino 1972, pp. 11-27.