DAL POZZO TOSCANELLI, Paolo
Nacque a Firenze nel 1397 da una famiglia di mercanti, il cui interesse precipuo era il commercio delle spezie, allora minacciato dall'avanzata dei Turchi.
Frequentò inizialmente lo Studio della città natale, fondato nel 1321, che era stato reso celebre dalle lezioni del Boccaccio sulla Divina Commedia, ma che era allora in piena decadenza e non contava che pochissimi allievi. Il giovane D. studiò in seguito, dal 1415 al 1424, matematica e medicina nella celebre università di Padova. Nel 107 si legò con un vincolo d'amicizia a Niccolò da Cusa, il futuro cardinale.
In una lettera scritta a Rieti il 12 luglio 1450, questi dedicò al D. il De geometricis transmutationibus, pregandolo in nome della loro vecchia amicizia e della sua competenza di correggere l'opera. Lo fece anche intervenire come interlocutore nel suo dialogo sulla quadratura del cerchio.
A Padova i due amici seguirono insieme corsi sulla geometria di Euclide, sulla fisica di Aristotele, sull'astrologia e sulla medicina. Alla fine dei suoi studi il D. ricevette il diploma di dottore in medicina e ritornò a Firenze dove assunse la funzione di "astrologo giudiziario". Poco dopo entrò in contatto con Filippo Brunelleschi, incaricato dal 1420 della costruzione di S. Maria del Fiore.
Il Vasari ci fornisce la testimonianza (Le Vite, Firenze 1550, I, p. 296) che Brunelleschi, poco istruito in geometria, seguì sempre i consigli del D., in particolare per la costruzione della cupola e della sua lanterna. Il D. vi fece piazzare lo gnomone più alto allora esistente. Egli porse anche il suo aiuto a Brunelleschi con consigli per la ricostruzione della chiesa di S. Spirito. Fu amico anche di Leon Battista Alberti, che gli dedicò le Intercoenales. In generale, il D. è stato considerato uno dei più grandi sapienti dei suo secolo, benché non ci siano arrivati che frammenti delle sue opere.
Si interessò con passione di astronomia e possediamo sue carte astronomiche, dove sono riportate le posizioni delle comete del 1443, 1449, 1450, 1456. Su quest'ultima (detta eometa di Halley) lo studioso fornisce molte posizioni in riferimento a una settantina di stelle dell'Almagesto di Tolomeo. Come "astrologo giudiziario", egli dovette fornire gli oroscopi di qualche membro della famiglia dei Medici, anche se avanzava gravi riserve sull'astrologia, allora considerata nondimeno una vera scienza. Marsilio Ficino racconta che egli si beffava degli oroscopi; infatti il suo gli dava pochi anni di vita, mentre egli non doveva morire che a ottantacinque anni di etàj nel 1482 a Firenze.
Uno dei suoi corrispondenti e ammiratori fu il celebre Giovanni Mueller, chiamato anche Regiomontano (dal nome della sua città natale Königsberg), e amico di Peucrbach, autore di una nuova traduzione latina dell'Almagesto. Il Regiomontano fu incaricato di portare a termine questa traduzione (la cui ventiduesima proposizione del V libro attirò l'attenzione di Copernico). Mueller incontrò più volte il D. a Roma, nel 1461 e nel 1463. Ci sono pervenuti un suo elogio ditirambico del D. e due sue lettere allo stesso: in una egli abbraccia l'opinione esposta dal suo amico sulla quadratura del cerchio, contrapposta a quella del cardinale Cusano; nell'altra disserta su una opera di Archimede di cui-il D. possedeva un esemplare. Il Regiomontano è considerato il maestro di Martin Behaim, il famoso costruttore del globo del 1494. le cui concezioni si avvicinano a quelle di Cristoforo Colombo e le cui fonti sono i viaggiatori Niccolò de' Conti e Marco Polo, le stesse, come vedremo, della "lettera" del Dal Pozzo Toscanelli.
Il D. condivideva con i contemporanei l'entusiasmo per tutto ciò che si rapportava all'antichità classica: ricerca di codici, dimedaglie. Prendeva parte alle riunioni che avevano luogo al convento camaldolese di, S. Maria degli Angeli, sotto l'influenza di Cosimo de' Medici e del suo giovane fratello, Lorenzo (esse prefigurano l'Accademia Platonica, così illustre sotto Lorenzo il Magnifico). Uno degli umanisti di questo circolo, Niccolò Niccoli, fece appello al D. come medico e gli chiese di essere il suo esecutore testamentario. Egli in effetti lasciò in legato ottocento manoscritti: classici greci e latini, padri della Chiesa, documenti geografici, racconti di viaggio e un "buonissimo mappamondo" a un convento, che divenne così la più importante biblioteca d'Europa: la Laurenziana. A S. Maria degli Angeli ci si dedicava a discussioni che duravano anche quattro notti, come quella sulla vita contemplativa e la vita attiva, sul bene supremo, sull'Eneide, sulla Divina Commedia. In esse il D. era generalmente piuttosto parco di parole: era un uomo di costumi severi, un uomo cupo.
Il D. non viaggiò, ma fu attratto da tutti i nuovi apporti che i viaggiatori dei secc. XIV e XV recavano alle conoscenze geografiche. Cristoforo Landino, uno di coloro che partecipavano ai dibattiti che si tenevano presso i camaldolesi, ce lo mostra mentre interroga alcuni viaggiatori di ritorno da terre lontane. E questo non solamente per interesse scientifico, ma anche perché era un uomo d'affari: il D. infatti dirigeva una ditta commerciale da lui stesso fondata a Pisa per il traffico delle spezie. Come molti altri egli si interessava alla possibilità di trovare una nuova strada verso l'Oriente, per sottrarre la via delle spezie ai commercianti arabi.
La scoperta, all'inizio del Trecento, della Geografia di Tolomeo aveva considerevolmente ampliato le conoscenze, fornendo le coordinate di molti luoghi. Ma su un punto Tolomeo poteva indurre in errore: egli rappresentava l'estremità meridionale dell'Africa come collegata da una fascia di terra all'Estremo Oriente asiatico; questo precludeva ogni possibilità di circuninavigazione. Infatti i Portoghesi, che erano nel sec. XVI all'avanguardia nelle esplorazioni, non ne tenevano alcun conto e cercavano di spingersi sempre più a Sud lungo la costa occidentale dell'Africa, sperando di circumnavigare questo continente per giungere così nei paesi delle spezie (nel 1445 essi arriveranno a toccare la foce del Senegal e, nel 1482, Diego Cao passerà l'Equatore). Non aveva forse nel 1431 una bolla di Martino V attribuito alla Corona del Portogallo tutte le terre che i Portoghesi avrebbero scoperto "dal Capo Bojador alle Indie?" Nel medesimo tempo in cui cercavano la via delle spezie, i Portoghesi speravano di raggiungere il regno di prete Gianni, il misterioso re-prete cristiano, una lettera del quale - in cui si diceva padrone delle "Tre Indie" - circolava dal sec. XI. Il D. aveva parlato di questo personaggio con il principe Pietro del Portogallo, fratello di Enrico il Navigatore, che venne a Firenze nel 1428 per trattare di affari commerciali. Il principe aveva fatto un viaggio di sei anni, durante il quale aveva percorso l'Europa settentrionale, la Palestina, la Mesopotamia. Egli avrebbe visto Tamerlano e anche il sovrano di Etiopia che era ritenuto il discendente di prete Gianni, il quale gli avrebbe affidato lettere per il re di Castiglia. Gli sforzi per riportare, allora, nel seno della unità cristiana questo principe nestoriano, dunque scismatico, si moltiplicavano. Nel 1439 Eugenio IV inviò al prete Gianni (in realtà il sovrano d'Etiopia) Tommaso Bellacci (fra' Tommaso di Firenze), che non giunse mai a destinazione. Era giunto a Firenze nel 1433 il grande viaggiatore veneziano Niccolò de' Conti: aveva vissuto quaranta anni in Asia: a Hormüz, a Calicut, a Ceylon, nel Borneo, in Cina, in Giappone, nelle Molucche, a Sumatra; come tanti altri egli cercava il paese dove nascono le spezie e dove si trovano pietre preziose e aromi. Il D. poté interrogare il veneziano, che forni una narrazione in presenza dei papa, allora in Firenze per il concilio, in Li fu decisa l'unione con la Chiesa greca. Molti viaggiatori affluivano nella città del giglio. Il racconto appassionante del Conti fu registrato dal segretario del papa, Poggio Bracciolini (pubblicato soltanto nel 1502). Alla fine del libro di Poggio si apprende che pochi mesi dopo il Conti arrivò a Firenze l'inviato di un non meglio specificato regno cristianonestoriano - situato a nord dell'India e a venti giornate dal Catai - soggetto al Gran Khán. Di questo Gran Khān l'Europa aveva già sentito parlare dai racconti di Marco Polo, che aveva vissuto nei suoi Stati nel sec. XIII e narrava che Qubilāy aveva mandato ambasciatori al papa, perché gli si inviassero dei letterati istruiti sulla vera dottrina cristiana. Benché il Milione già circolasse in manoscritto, sembra che il D. abbia preferito, in un primo tempo, la nomenciatura dei Conti, come vedremo a proposito di una carta del 1457.
A a partire dal 1441 che il D. iniziò l'elaborazione del suo grande progetto di attraversamento dell'Atlantico per raggiungere l'Asia. Tolomeo (carta dell'ecumene) aveva attribuito all'Eurasia 1800 di longitudine (a partire dal meridiano delle Canarie). L'oceano che separava la costa occidentale dell'Europa dalla costa orientale dell'Asia avrebbe dunque misurato 1800. Il D., invece, stimava che l'Eurasia avesse una forma molto più allungata: egli valutava a 130° la distanza fra Lisbona e la Cina (il Catai). È almeno questo che deduciamo dalla sua lettera del 1474. Da dove traeva i suoi calcoli? Si è detto per lungo tempo che egli si basava sulle affermazioni di Marino di Tiro, un astronomo più antico di Tolomeo, che faceva questa valutazione dei 130°, Ma la coincidenza è puramente fortuita, secondo il Taviani (II, p. 202). Infatti il D., eminente geografo (si conservano alla Biblioteca nazionale di Firenze liste dove egli annotava coordinate di città e fogli che avevano un contorno graduato quadrangolare), aveva eseguito originali calcoli di longitudine, tenendo conto delle informazioni ricevute dal Conti e da altri viaggiatori. Il mappamondo di fra' Mauro (1450) era arrivato a risultati simili e situava il Catai a 2220 di longitudine Est (in luogo dei 180° di Tolomeo). La traversata dell'Atlantico si rivelava dunque possibile. Nel 1457 - ne abbiamo la prova - il D. vi credeva. In questa data infatti egli trattava di questioni geografiche con la corte di Lisbona: S. Crinò ha scoperto, nel 1940, nell'Archivio di Stato di Firenze, un grande mappamondo del 1457, attribuito dall'analisi paleografica delle legende sicuramente al Dal Pozzo Toscanelli. Esso era stato offerto nel 1459 agli ambasciatori del re del Portogallo. Vivono raffigurati i paesi dell'Estremo Oriente rivelati dal Conti per cui l'Eurasia presenta una forma molto più allungata e lo spazio oceanico è ridotto. La carta è tributaria dei racconti del Conti e non di quelli di Marco Polo: il Giappone è chiamato "japan" e non "Cipangu" come nel Milione. Più tardi egli introdurrà le denominazioni di Zaitun, Quinsay e Mangi, il che è una regressione, poiché il Gran Khān avevra cessato da un secolo di regnare sulla Cina, soppiantato dalla dinastia dei Ming.
Questo errore si perpetuerà nello spirito di Colombo, senza dubbio a causa della lettera del D. del 1474, la famosa lettera che ha creato la sua reputazione e la cui autenticità è stata lungamente discussa. Le circostanze sono le seguenti: il D. aveva un amico portoghese, un canonico di Lisbona, Fernand Martins, appassionato di cosmografia. Essi avevano avuto parecchie volte l'occasione di parlare di una nuova via delle spezie, specialmente allorché essi si erano trovati al letto di morte di Niccolò da Cusa nel 1464. Il canonico domandò al D., in nome del re del Portogallo, di dargli per iscritto i suoi suggerimenti convalidati da una carta. Il D. rispose con una lunga lettera, cui unì una propria carta nautica descrivente ad Est le coste europee ed africane, dall'Irlanda alla Guinea, e ad Ovest quelle asiatiche dell'India e del Catai. Dopo aver chiarito perché, sulla rotta atlantica da lui indicata, fosse a Ponente il paese delle spezie, comunemente definito o Levante", si dilungava entusiasticamente sulla fioridezza dell'impero del Gran Khān e sul desiderio dei suoi predecessori di entrare in relazione col Pontefice romano. Per comprovare le sue notizie, il D. affermava di aver ricevuto ampie e minute informazioni sulle ricchezze e le meraviglie di quella lontana regione nel corso dei suoi colloqui con il messo che - come si è detto - si era presentato ad Eugenio IV a Firenze. In una postilla, il D. concludeva che da Lisbona al Catai, attraverso l'Oceano, intercorreva una distanza di 26 "spazi" di 250 miglia, corrispondente circa a un terzo della circonferenza terrestre. Bartolomeo de las Casas e Fernando Colombo, che riprodussero in volgare l'originale testo latino della lettera, precisarono che la distanza calcolata dal D. corrispondeva a 6.500 miglia nautiche, e cioè a 130° se si adotta la misura tolemaica del grado (i grado equivale 50 miglia). L'Oceano aveva allora una dimensione minima.
Si è molto discusso sull'autenticità di questa lettera, di cui non si possiede l'originale. Nel 1905, G. Uzielli ha enumerato ben sessantacinque articoli di polemica. La lettera è considerata autentica da Uzielli, Harrisse, Crinò; contestata da Vignaud, Carbia. Il testo è noto da una copia che riè fece Colombo su uno dei fogli di un piccolo fascicolo aggiunto alla fine di uno dei suoi libri preferiti: l'Historia rerum di E. S. Piccolomini. Qualcuno ha sostenuto che fosse una sua invenzione. Ma che interesse avrebbe avuto il genovese a inventare un documento che gli sottraeva la priorità della sua idea?
È stata attaccata con più verosimiglianza quella che possiamo chiamare la seconda lettera del D., datata circa al 1480 e indirizzata a Colombo stesso. Essa non è che la copia della lettera a Martins, preceduta da un pomposo preambolo, che loda il genovese per il suo "magnifico disegno".
È sembrato sospetto che l'illustre D. abbia comunicato un documento prezioso (accompagnato da una carta) a un genovese ancora oscuro. Ma il D. aveva interesse alla realizzazione del suo progetto e Colombo era un uomo deciso. Senza dubbio egli era in rapporto con lui da qualche tempo. L'intermediario che permise al genovese di entrare in contatto con il D. dovette essere il fiorentino Lorenzo Gerardi, appartenente alla compagnia commerciale dei Gualteriotti, che si era stabilito a Lisbona ed era divenuto amico di Colombo.
Di questa lettera non si ha l'originale latino, ma una traduzione in volgare nell'Historia di Las Casas e nelle Historie di F. Colombo.
Resta il mistero della carta che il D. aveva allegato alla sua lettera. Essa è scomparsa, ma la si può ricostruire grazie alle indicazioni degli "spazi" che fornisce lo stesso Dal Pozzo Toscanelli. La carta non era graduata: non bisogna prendere per meridiani e paralleli le linee che egli dice di avervi tracciato.
Le opere geografiche del D. sono scomparse, come anche la sua nuova traduzione di Tolomeo. Il suo ritratto, dove egli figura fra altri personaggi, è stato dipinto dal Vasari ed è in Palazzo Vecchio a Firenze.
Fonti e Bibl.: Le lettere del D. sono pubblicate in C. De Lollis, Postille alla "Historia rerum" di Pio II, Roma 1894, p. 364; H. Harrisse, Christophe Colomb, son origine, sa vie, Paris 1894; G. Uzielli, La vita e i tempi di P.D. T., Roma 1894; H. Vignaud, T. and Columbus, London 1902; A. Altolaguirre, Cristóbal Colón y P.D.T., Madrid 1903; G. Uzielli, Bibl. della polemica concernente P. T. e Cristóbal Colón, Firenze 1905; C. Celoria, Sulle osservazioni di comete fatte da P.D.T., Milano 1921; H. Vignaud, The Columbian tradition of the discovery of America and of the part played therein by the astronomer T., Oxford 1920; N. Sumien, La correspondance du savant florentin P. D. T. avec Christophe Colomb, Paris 1927; R. Carbia, El Problema del descubrimiento de America, Buenos Aires 1935, passim; D. L. Molinari, La Empresa colombina y el descubrimiento, in Historia de la nación argentina, a cura di R. Levene, II, Buenos Aires 1937; E. Garin, Ritratti di umanisti, Firenze 1967, pp. 41-66; S. Crinò, Come fu scoperta l'America, Milano 1943, pp. 59-162; P. E. Taviani, Cristoforo Colombo. La genesi della grande scoperta, Novara 1974, 1, capp. XXX C XXXI; II, p. 202.