Dal recepimento della direttiva ricorsi al c.p.a. Il termine per l'impugnazione
Nel 2011 la disciplina del contenzioso in materia di contratti pubblici è stata toccata da alcune importanti novità. In particolare, il decreto correttivo del codice del processo amministrativo ha modificato la disciplina legislativa concernente la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso, sopprimendo le precedenti indicazioni riferite alla idoneità della comunicazione a determinare la conoscenza degli atti della procedura. Ha chiarito, inoltre, che il termine di trenta giorni riguarda tanto il ricorso principale, quanto quello incidentale. L’innovazione riferita alla decorrenza del termine per la proposizione del ricorso riapre, senza risolverlo in modo chiaro, il problema della idoneità della presenza dei rappresentanti delle imprese alle sedute pubbliche di gara, a determinare l’effettiva conoscenza dei provvedimenti adottati in tale contesto e la correlata decorrenza del termine per l’impugnazione.
Il decreto correttivo del codice del processo amministrativo ha modificato l’originaria previsione dell’art. 120, co. 5, ultimo periodo, del codice del processo amministrativo, secondo cui il termine di trenta giorni, per la proposizione del ricorso, in materia di impugnazione degli atti delle procedure di affidamento, decorre «dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del d. lgs. 12.4.2006, n. 163, o, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui all’articolo 66, co. 8, dello stesso decreto; ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto».
1.1 Le innovazioni del correttivo al codice
In particolare, l’art. 1, co. 1, lett. gg) prevede la sostituzione integrale del comma 5, che, ora, assume il seguente contenuto: «per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso, principale o incidentale, e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni». Il correttivo, quindi, agisce in due direzioni. Da una parte, si stabilisce, molto opportunamente, che il termine abbreviato di trenta giorni riguarda tanto il ricorso principale quanto il ricorso incidentale. In questo modo si rimedia ad una evidente asimmetria del codice del processo, il quale, nella delicata opera di «trasferimento», al suo interno, delle nuove disposizioni introdotte dal d.lgs. n. 53/2010 nel codice dei contratti pubblici, aveva «dimenticato» di confermare la previsione riguardante i trenta giorni per la proposizione del ricorso incidentale, considerando solo quello principale e quello recante i motivi aggiunti. La seconda variazione prevista dal correttivo riguarda, appunto, la decorrenza del termine di trenta giorni. La scelta del legislatore del 2011 è molto netta, poiché si elimina, in radice, ogni testuale riferimento alla data di decorrenza del termine, contenuta, invece, nell’originaria formulazione dell’art. 120, co. 5. Secondo la relazione governativa, la modifica ha il dichiarato scopo di rinviare alla elaborazione giurisprudenziale la soluzione del problema della decorrenza del termine per l’impugnazione. In questa prospettiva, il paragrafo 27 della relazione, enuncia che «il termine per l’impugnativa viene quindi affidato all’elaborazione giurisprudenziale, che però in questo ambito si è sensibilmente approfondita negli anni; infatti, già anteriormente all’introduzione di una necessaria comunicazione con il codice dei contratti pubblici (d. lgs. n. 163/2006, in parte qua novellato dal d. lgs. n. 53/2010, che aveva introdotto la norma che ora si propone di sopprimere), si era manifestato un orientamento giurisprudenziale abbastanza consolidato nel senso che – anche prima della comunicazione e a prescindere da essa – il termine decorre sin dalla seduta pubblica di gara in cui vi è stata l’aggiudicazione, se a essa erano presenti i rappresentanti legali dell’impresa ricorrente; si ritiene, dunque, ragionevolmente, che la regola pretoriamente forgiata costituisca già un adeguato contemperamento all’apparente incertezza derivante dalla soppressione di un espresso dies a quo». Infatti, la precedente formula letterale della norma, con l’esplicito riferimento alla individuazione dei fatti cui ricollegare la decorrenza del termine per la proposizione del ricorso, poteva condurre all’affermazione secondo cui la comunicazione, effettuata ai sensi dell’articolo 79, non ammettesse equipollenti, mentre la regola della decorrenza dalla data della effettiva conoscenza conseguita dall’interessato non avesse portata generale e potesse operare solo nei rari casi di assenza radicale delle prescritte comunicazioni.
Con la modifica del codice, quindi, si riapre, ma non si risolve ancora in modo sicuro, il controverso tema della individuazione dei casi concreti in cui può ritenersi ottenuta la piena conoscenza degli atti di gara. In particolare, si tratta di stabilire se possano considerarsi legalmente conosciuti gli atti di gara da parte dell’impresa che abbia partecipato al procedimento mediante propri rappresentanti, dipendenti o mandatari. Secondo l’orientamento meno recente, ma ribadito anche in epoca successiva, «la presenza di un rappresentante della ditta partecipante alla gara d’appalto nel corso della quale la commissione giudicatrice ha ritenuto di escludere la ditta medesima dalla gara non comporta ex se la piena conoscenza dell’atto di esclusione ai fini della decorrenza del termine di impugnazione, qualora non risulti che il rappresentante fosse effettivamente tale perché munito di mandato ad hoc ovvero in base alla carica rivestita e che quindi la conoscenza dal medesimo avuta fosse riferibile alla società»1. In questa prospettiva, pertanto, la partecipazione alla seduta di gara è potenzialmente idonea a determinare la piena conoscenza dell’atto adottato nel corso della seduta, ma il soggetto deve essere munito di particolari requisiti (carica sociale o mandato scritto speciale). Diverso era, invece, l’orientamento prevalente2, prima delle innovazioni introdotte dal decreto n. 53/2010, diretto ad ampliare notevolmente i casi in cui la presenza di delegati dell’impresa è idonea a determinare la piena conoscenza degli atti di gara. In base a questo indirizzo, ai fini del decorso del termine per l’impugnazione in tema di contratti della pubblica amministrazione, la presenza di rappresentanti delle imprese concorrenti alle sedute di gara integra gli estremi della piena conoscenza in capo alle imprese medesime degli atti che vengono adottati durante le sedute, essendo sufficiente la presenza di un soggetto che si qualifichi e sia indicato nel verbale come rappresentante della ditta partecipante, tanto più quando tale partecipazione si giustifichi con il compito di adottare specifiche iniziative per tutelare le ragioni dell’impresa nell’immediatezza dello svolgimento delle singole fasi di gara, attraverso la presentazione di osservazioni o di contestazioni rispetto a specifiche determinazioni assunte dall’organo di gara. Tale tesi muove dalla premessa secondo cui il rappresentante di un altro soggetto giuridico, per assumere tale veste, non debba necessariamente essere «munito di mandato ad hoc». Si è ritenuto innanzitutto di escludere che il negozio di conferimento del potere rappresentativo – la procura – che non richiede necessariamente la forma scritta (art. 1392 c.c.), possa essere scambiato con il documento rappresentativo della relativa dichiarazione, dovendosi quindi tenere ben distinti il profilo sostanziale, da quello probatorio della giustificazione dei poteri del rappresentante, che il terzo, peraltro, può sempre esigere (art. 1393 c.c.), anche se per lo più non eserciti tale facoltà, quando dell’esistenza dei poteri, come dichiarati dal rappresentante, egli non abbia ragione di dubitare3. È stato affermato inoltre che, «attraverso la richiesta necessaria di un documento, che invece non è prescritto ad substantiam, non trattandosi della stipulazione di un contratto, e che potrebbe non esser richiesto dalla stazione appaltante per la prova di un potere rappresentativo di cui essa non abbia ragione di dubitare, possa essere assecondata la pretesa di comodo di una divaricazione tra rappresentanza attiva, operante per le osservazioni da rendere a verbale nell’interesse delle imprese, e rappresentanza passiva, inoperante, per la presunta mancanza di un mandato ad hoc, per la comunicazione delle determinazioni amministrative incidenti nella sfera giuridica delle imprese medesime». Tanto più che, quando le imprese partecipanti ad una gara di appalto si avvalgono della facoltà di presenziare alle sedute pubbliche, lo fanno prevalentemente per ragioni di decentramento aziendale, tramite soggetti diversi dal legale rappresentante. In questo caso, tali soggetti, al fine di potere rendere dichiarazioni imputabili alle imprese di riferimento, di regola ricevono dalle stesse il potere di rappresentarle, collegato ad un eventuale rapporto di lavoro subordinato o di lavoro autonomo o di mandato. Pertanto, si è conseguentemente ritenuto che, «ai fini del decorso del termine per l’impugnazione in tema di contratti della pubblica amministrazione, la presenza di rappresentanti delle imprese concorrenti alle sedute di gara integri gli estremi della piena conoscenza in capo alle imprese medesime degli atti che vengono adottati durante le sedute», essendo dunque sufficiente la presenza di un soggetto che si qualifichi e sia indicato nel verbale come rappresentante della ditta partecipante, tanto più quando tale partecipazione si giustifichi con il compito di adottare specifiche iniziative per tutelare le ragioni dell’impresa nell’immediatezza dello svolgimento delle singole fasi di gara, attraverso la presentazione di osservazioni o di contestazioni rispetto a specifiche determinazioni assunte dall’organo di gara4.
2.1 Le comunicazioni degli atti di gara e l’accesso immediato ai documenti
Sul piano sostanziale, va osservato, tuttavia, che il decreto legislativo n. 53/2010, in attuazione della direttiva 2007/66/CE, ha introdotto una nuova, rigorosa e dettagliata disciplina delle comunicazioni degli atti di gara. In particolare, secondo l’articolo 79 del codice dei contratti pubblici, sulle stazioni appaltanti grava l’obbligo di comunicazione degli esiti delle procedure: le nuove norme delineano con precisione i destinatari, le modalità di trasmissione e il loro contenuto. L’ effettuazione della comunicazione, nel rispetto delle nuove regole previste, produce, in conformità ai principi generali del processo amministrativo, la presunzione legale di conoscenza degli atti in capo al destinatario e, quindi, fa decorrere il termine decadenziale per la proposizione del ricorso. Non è chiaro, però, se, in mancanza di tali adempimenti, anche la conoscenza «effettiva» dell’atto, conseguita comunque dalla parte interessata, sia da considerarsi equipollente a quella ottenuta attraverso la comunicazione formale. Sono prospettabili diverse soluzioni interpretative. Una prima tesi porta ad affermare che il rigoroso procedimento di comunicazione degli atti previsto dall’articolo 79 abbia lo scopo di creare la certezza legale della conoscenza, nell’interesse tanto dell’amministrazione, quanto delle imprese. Pertanto, la stazione appaltante, se intende provocare la conoscenza legale degli atti di gara, ha l’onere di seguire comunque le regole previste dal codice dei contratti. Dal lato opposto, si potrebbe affermare, invece, che la norma miri, essenzialmente, a tutelare l’amministrazione: la corretta applicazione dell’articolo 79 comporta una presunzione assoluta di conoscenza degli atti, ma resta sempre la facoltà di dimostrare che l’impresa abbia conosciuto, in altro modo, il contenuto dei provvedimenti. È ragionevole prospettare anche una soluzione intermedia: la comunicazione ai sensi dell’articolo 79 non è la modalità esclusiva attraverso cui l’interessato può acquisire la «piena conoscenza» dell’atto, purché, però, nei contenuti, siano rispettate tutte le prescrizioni stabilite dal diritto comunitario e dall’articolo 79 del codice dei contratti pubblici. In concreto, quindi, la mera notizia dell’intervenuta aggiudicazione potrebbe non essere sufficiente, se non accompagnata dalla adeguata motivazione della determinazione adottata.
2.2 L’accesso immediato agli atti di gara
Di grande rilievo, poi, anche ai fini della decorrenza del termine per la proposizione del ricorso, è la nuova disciplina speciale in materia di accesso ai documenti, racchiusa nell’articolo 79, co. 5 quater, del codice dei contratti pubblici. Fermi i divieti e differimenti dell’accesso previsti dall’articolo 13, l’accesso agli atti del procedimento in cui sono adottati i provvedimenti oggetto di comunicazione ai sensi del presente articolo è consentito entro dieci giorni dall’invio della comunicazione dei provvedimenti medesimi mediante visione ed estrazione di copia. Non occorre istanza scritta di accesso e provvedimento di ammissione, salvi i provvedimenti di esclusione o differimento dell’accesso adottati ai sensi dell’articolo 13. L’amministrazione ha l’obbligo di mettere a disposizione dei concorrenti, per un breve tempo determinato, tutti i documenti «non riservati » della procedura di affidamento. Tali soggetti hanno facoltà di esercitare senz’altro l’accesso. Sebbene non sia stabilito in modo esplicito, si deve ritenere che il decorso inutile del termine entro cui i partecipanti alla gara possono acquisire la conoscenza concreta degli atti determini, in ogni caso, una presunzione di conoscenza di tali documenti, che fa scattare il termine per la proposizione del ricorso o dei motivi aggiunti.
2.3 I termini per la notificazione del ricorso previsti dall’articolo 120 del codice
Nel rito speciale di cui all’articolo 120 del codice del processo, in materia di contratti pubblici, la regola di maggiore rilevo pratico e di distinzione dal processo ordinario è costituita dalla previsione di un termine di soli trenta giorni per la notificazione del ricorso principale e dei motivi aggiunti. Il decreto correttivo, come si è detto, ha rimediato ad una evidente svista del testo originario, chiarendo che lo stesso termine abbreviato di trenta giorni si applica pure al ricorso incidentale. Il comma 2 contiene ulteriori regole di dettaglio, riguardanti, anche esse, il termine per l’impugnazione. Anzitutto, si stabilisce che, nel caso in cui sia mancata la pubblicità del bando, il ricorso non può comunque essere più proposto decorsi trenta giorni decorrenti dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell’avviso di aggiudicazione definitiva di cui all’articolo 65 e all’articolo 225 del d. lgs. 12.4.2006, n. 163, a condizione che tale avviso contenga la motivazione dell’atto con cui la stazione appaltante ha deciso di affidare il contratto senza previa pubblicazione del bando. Ancora, si prevede che, se sono omessi gli avvisi o le informazioni, oppure se essi non sono conformi alle prescrizioni ivi contenute, il ricorso non può comunque essere proposto decorsi sei mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del contratto. Tale ultima previsione mira a salvaguardare la certezza dei rapporti giuridici ed è conforme alla disciplina comunitaria, che prevede, per la proposizione del ricorso, un termine minimo di almeno sei mesi. Tuttavia, la regola appare scarsamente coerente con le ordinarie garanzie di tutela giurisdizionale, proprio in ipotesi di illegittimo affidamento diretto. Non è chiaro, poi, quale sia il termine per la proposizione della domanda risarcitoria, nella ipotesi in cui l’interessato non intenda chiedere l’annullamento dell’aggiudicazione e la pronuncia di inefficacia del contratto. Una ulteriore regola particolare, fissata al comma 4, riguarda l’onere della notifica del ricorso anche nella sede reale dell’amministrazione difesa dall’Avvocatura dello Stato, al solo scopo di determinare gli effetti tipici dello stand still.
La soluzione proposta dal decreto correttivo al codice è tutt’altro che chiara e definitiva nei suoi esiti concreti. Proprio il rinvio alla elaborazione giurisprudenziale segna la conferma di una persistente incertezza che dovrà essere colmata attraverso un percorso che potrebbe non risultare breve e che alimenterà, inevitabilmente, un ampio contenzioso e non faciliterà il compito delle singole stazioni appaltanti. Deve sottolinearsi, del resto, che il legislatore, in occasione del recepimento della direttiva 2007/66/CE aveva ritenuto opportuno regolare in modo molto dettagliato tutto il regime delle comunicazioni, anche al dichiarato scopo di accelerare la formazione della inoppugnabilità degli atti di gara. La formula originaria dell’articolo 120, pur poco chiara, sembrava destinata a valorizzare il ruolo delle comunicazioni formali imposte all’amministrazione, definendo in modo puntuale gli obblighi dell’amministrazione e gli oneri di informazione dei concorrenti. Il collegamento tra questi adempimenti e la decorrenza del termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione risultava coerente con tale impostazione e contemperava in modo equilibrato le esigenze della stazione appaltante e quelle dei concorrenti. Ora, invece, la nuova norma riapre il problema, senza offrire una soluzione puntuale. Da una parte, infatti, si potrebbe ancora sostenere la specificità del sistema delle comunicazioni di cui all’articolo 79 del codice dei contratti pubblici, che dovrebbe continuare a prevalere sulle regole generali in materia, anche alla luce della sua derivazione comunitaria (Dir. 2007/66/CE). Dall’altro, più verosimilmente, potrebbe consolidarsi l’opinione secondo cui le comunicazioni dell’articolo 79 ammettono equipollenti e, in ogni caso, l’amministrazione può sempre dimostrare in giudizio che la parte ricorrente abbia ottenuto la conoscenza effettiva del provvedimento impugnato in epoca anteriore ai trenta giorni precedenti la notifica del ricorso. Indubbiamente, in questo modo, potrebbero crescere, nei singoli casi, le probabilità di dichiarare la tardività del ricorso. Ma l’effetto negativo sul complesso del sistema potrebbe essere molto forte: le stazioni appaltanti sarebbero incentivate a non osservare il disposto dell’articolo 79; le imprese non sarebbero mai certe della intervenuta inoppugnabilità dei provvedimenti; si alimenterebbe il contenzioso in ordine alla ricevibilità del ricorso. D’altro canto, se è anche plausibile la tesi in forza della quale la modifica recata dal correttivo apre la porta agli equipollenti alla comunicazione ex art. 79, sono ancora più forti i dubbi riguardanti la rilevanza della presenza dei rappresentanti dell’impresa alla seduta pubblica di gara, ai fini della decorrenza del termine di impugnazione. È vero, infatti, che l’elaborazione giurisprudenziale in materia è stata, finora, molto ricca, ma gli elementi di incertezza permangono fortissimi e sono sicuramente accentuati in seguito all’impatto determinato dalle modifiche dell’articolo 79 del codice dei contratti pubblici. In questo senso, quindi, pur confidando sulla capacità della giurisprudenza di fornire soluzioni semplici e univoche dei problemi proposti, sarebbe opportuno un chiarimento legislativo, che indichi non solo la concreta rilevanza di tale presenza, ma anche gli ulteriori presupposti necessari: carica sociale o mandato scritto ad hoc; completezza del verbale che specifichi non solo l’aggiudicazione, ma anche le ragioni della scelta compiuta; tipo di gara in cui può operare l’equipollenza alle comunicazioni formali, ex art. 79.
1 Fra le ultime, Cons. St., sez. V, 27.9.2004, n. 6319, in Foro amm. - Cons. St., 2004, 2613 ss.
2 Fra le tante, Cons. St., sez. V, 31.1.2007 , n. 400, in Foro amm. - Cons. St., 2007, 1, I, 150 ss.; Cons. St., sez. VI, 6.6.2006, n. 3394, in Foro amm. - Cons. St., 2006, 6, 1868 ss.; Cons. St., sez. IV, 27.4.2004, n. 2538, in Foro amm. - Cons. St., 2004, 1094 ss.
3 Cass., 14.6.1982, n. 3613, in Giust. civ., 1983, I, 222 ss.
4 Cons. St., sez. IV, 28.9.1999, n. 1217, in Foro amm., 1999, 1768 ss.; Cons. St., sez. V, 3.4.2001, n. 1998, in Riv.giur.ed., 2001, I, 650 ss.