Dal recepimento della direttiva ricorsi al c.p.a. Le sanzioni alternative alla inefficacia del contratto
Nel 2011, la disciplina del contenzioso in materia di contratti pubblici è stata modificata dal correttivo del codice del processo amministrativo. Le innovazioni non hanno alterato l’impostazione complessiva del sistema, derivante dalla direttiva 2007/66/CE, recepita nell’ordinamento nazionale con il d.lgs. n. 53/2010, poi trasfuso, con alcuni adattamenti, nel codice del processo amministrativo. In particolare, per quanto riguarda le sanzioni alternative alla dichiarazione di inefficacia del contratto, la disciplina è rimasta intatta, tanto nella parte concernente i presupposti sostanziali, quanto in quella relativa al procedimento. Il correttivo, peraltro, stabilisce di inquadrare espressamente nell’ambito della giurisdizione «di merito» le controversie in materia di applicazione delle sanzioni alternative alla dichiarazione di inefficacia del contratto. La scelta è destinata ad avere ripercussioni di rilievo sistematico, in ordine al corretto inquadramento della disciplina.
Secondo il decreto correttivo del codice del processo amministrativo, le controversie in materia di sanzioni alternative alla pronuncia di inefficacia del contratto, conseguente all’annullamento dell’aggiudicazione, sono ora esplicitamente incluse nell’ambito della giurisdizione di merito del giudice amministrativo.
1.1 L’inquadramento delle sanzioni alternative nella giurisdizione di merito
L’innovazione legislativa è quasi «sommersa» nel lungo articolo 1 del decreto correttivo ed emerge solo attraverso la decifrazione degli articoli richiamati. La relazione illustrativa di accompagnamento, a sua volta, si limita ad indicare, tautologicamente, la scelta legislativa di ampliare i casi di giurisdizione esclusiva e di merito (per un probabile refuso, la relazione si riferisce, erroneamente, alla «lettera pp) del comma 2 dell’articolo 1»). Si tratta, nel dettaglio, della previsione racchiusa nell’articolo 1, co. 1, lettera ll), in forza della quale «all’articolo 134, co. 1, lettera c) del codice del processo sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: «e quelle previste dall’articolo 123’» (vale a dire, proprio le controversie in materia di applicazione delle sanzioni alternative). A sua volta, la previsione dell’articolo 134, ora integrata dal decreto correttivo concerne le «materie di giurisdizione estesa al merito». Secondo il codice, il giudice amministrativo esercita giurisdizione con cognizione estesa al merito, nell’ambito di una serie di controversie tipiche, previste dalla legge, oppure elencate dallo stesso articolo 134, circoscritte a cinque sole categorie. La limitazione della giurisdizione di merito ai soli casi tassativi indicati «dalla legge e dall’articolo 134» deriva dalla circostanza che, in forza dell’articolo 7, co. 6, dello stesso codice, «nel l’esercizio di tale giurisdizione, il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione». I poteri del giudice, in questi casi, quindi sono particolarmente ampi e differiscono sensibilmente da quelli che caratterizzano la giurisdizione di legittimità e quella esclusiva. La lettera c) dell’articolo 134 considera, in senso ampio, «le sanzioni pecuniarie la cui contestazione è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo, comprese quelle applicate dalle Autorità amministrative indipendenti». Ora, il decreto correttivo integra esplicitamente, ampliandola ulteriormente, la fattispecie dell’articolo 134, lett. c), inserendo al suo interno anche le controversie in tema di sanzioni alternative all’annullamento dell’aggiudicazione, indicate dall’articolo 123. In tal modo, il legislatore intende chiarire il ruolo del giudice nella applicazione della disciplina di derivazione comunitaria, fissata dall’articolo 123, qualificando i relativi poteri di cognizione e di decisione come esercizio di una tipica forma di giurisdizione di merito. La soluzione prospettata dal codice non è idonea, tuttavia, a sciogliere del tutto i dubbi in ordine alla fisionomia del giudizio concernente l’applicazione delle sanzioni alternative, che costituiscono un istituto decisamente nuovo per l’ordinamento nazionale e descritto in modo piuttosto sintetico dalla stessa normativa comunitaria.
L’articolo 121 del codice individua le quattro ipotesi delle «gravi violazioni», che conducono alla inefficacia del contratto, o alla applicazione delle sanzioni alternative1.
2.1 Le sanzioni alternative alla inefficacia del contratto. Tipologia e presupposti
Le gravi violazioni si verificano:
a) se l’aggiudicazione definitiva è avvenuta senza previa pubblicazione del bando o avviso, quando tale pubblicazione è prescritta dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163;
b) se l’aggiudicazione definitiva è avvenuta con procedura negoziata senza bando o con affidamento in economia fuori dai casi consentiti, qualora ciò abbia determinato l’omissione della prescritta pubblicità del bando o avviso;
c) se il contratto è stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio;
d) se il contratto è stato stipulato senza rispettare la sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale.
In sostanza, i primi due casi previsti dai numeri 1 e 2 riguardano gli affidamenti diretti illegittimi: per il diritto comunitario, salve tassative eccezioni, in tali eventualità gli Stati membri devono prevedere senz’altro l’inefficacia del contratto. Le restanti due ipotesi, di cui ai numeri 3 e 4, invece, concernono la già illustrata violazione dello stand still: in tali eventualità, gli Stati membri possono prevedere la privazione di effetti del contratto, oppure sanzioni alternative. Per una condivisibile esigenza di semplificazione, tuttavia, il legislatore nazionale ha preferito unificare i quattro diversi casi in una omogenea disciplina, prevedendo sempre la sanzione dell’inefficacia del contratto. Quando ricorrono le condizioni indicate dall’articolo 120, il giudice che annulla l’aggiudicazione definitiva dichiara l’inefficacia del contratto. La pronuncia deve precisare, in funzione delle deduzioni delle parti e della valutazione della gravità della condotta della stazione appaltante e della situazione di fatto, se la declaratoria di inefficacia è limitata alle prestazioni ancora da eseguire alla data della pubblicazione del dispositivo (ex nunc) o se essa opera in via retroattiva (ex tunc). In base al comma 2, tuttavia, il contratto resta eccezionalmente efficace, anche in presenza delle rilevate violazioni, qualora venga accertato che il rispetto di esigenze imperative connesse ad un interesse generale imponga che i suoi effetti siano mantenuti. Riportando fedelmente le indicazioni del legislatore comunitario, l’articolo 120 precisa, in termini molto analitici, che tra le esigenze imperative idonee ad impedire la pronuncia di inefficacia del contratto, rientrano, fra l’altro, quelle imprescindibili di carattere tecnico o di altro tipo, tali da rendere evidente che i residui obblighi contrattuali possono essere rispettati solo dall’esecutore attuale. Simmetricamente, si chiarisce che gli «interessi economici» possono essere presi in considerazione come esigenze imperative solo in circostanze eccezionali in cui l’inefficacia del contratto conduce a conseguenze sproporzionate, avuto anche riguardo all’eventuale mancata proposizione della domanda di subentro nel contratto nei casi in cui il vizio dell’aggiudicazione non comporta l’obbligo di rinnovare la gara. Pertanto, in quest’ottica, non costituiscono esigenze imperative gli interessi economici legati direttamente al contratto, che comprendono, fra l’altro, i costi derivanti dal ritardo nell’esecuzione del contratto stesso, dalla necessità di indire una nuova procedura di aggiudicazione, dal cambio dell’operatore economico e dagli obblighi di legge risultanti dalla dichiarazione di inefficacia. Resta stabilito, comunque, che, nei casi in cui, nonostante le violazioni, il contratto sia considerato efficace o l’inefficacia sia temporalmente limitata, si applicano alla stazione appaltante le sanzioni alternative di cui all’articolo 123. Anche allo scopo di avere adeguata conoscenza della esistenza delle violazioni, si prevede che, a cura della segreteria, le sentenze che provvedono in applicazione del comma 2 sono trasmesse alla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le politiche comunitarie. Il comma 3 dell’articolo 123 contempla anche la fattispecie in cui il contratto è stato stipulato senza rispettare il termine dilatorio stabilito per la stipulazione del contratto, ovvero è stato stipulato senza rispettare la sospensione della stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l’aggiudicazione definitiva, ma tale violazione non abbia privato il ricorrente della possibilità di avvalersi dei mezzi di ricorso prima della stipulazione del contratto e non abbia influito sulle possibilità del ricorrente di ottenere l’affidamento. In tal modo, quindi, si intende punire la violazione dello stand still anche quando non abbia inciso sulle concrete possibilità di aggiudicazione in favore del ricorrente e sui mezzi di tutela giurisdizionale, ma si accompagni, comunque, ad un ulteriore «vizio proprio» dell’aggiudicazione. Tuttavia, la norma non sembra pienamente rispettosa della direttiva 2007/66/CE, la quale, seppure formulata in modo non chiarissimo, sembra imporre agli Stati membri l’obbligo di sanzionare comunque la violazione dello stand still, anche in assenza di altre violazioni sostanziali.
2.2 Il procedimento di irrogazione delle sanzioni
L’art. 123 del codice regola il procedimento di applicazione delle sanzioni alternative. Il presupposto di operatività della sanzione è costituito dalla accertata sussistenza della «grave violazione», di cui all’articolo 121, accompagnata, però, dalla decisione di non disporre l’inefficacia del contratto. In tali circostanze, peraltro, il giudice, come imposto dal diritto comunitario, deve individuare le seguenti sanzioni alternative da applicare alla stazione appaltante, alternativamente o cumulativamente:
a) la sanzione pecuniaria, di importo dallo 0,5% al 5% del valore del contratto, inteso come prezzo di aggiudicazione, che è versata all’entrata del bilancio dello Stato – con imputazione al capitolo 2301, capo 8 «Multe, ammende e sanzioni amministrative inflitte dalle autorità giudiziarie ed amministrative, con esclusione di quelle aventi natura tributaria » – entro sessanta giorni dal passaggio in giudicato della sentenza che irroga sanzione; decorso il termine per il versamento, si applica una maggiorazione pari ad un decimo della sanzione per ogni semestre di ritardo. La sentenza che applica le sanzioni è comunicata, a cura della segreteria, al Ministero dell’economia e delle finanze entro cinque giorni dalla pubblicazione;
b) la riduzione della durata del contratto, ove possibile, da un minimo del dieci per cento ad un massimo del cinquanta per cento della durata residua alla data di pubblicazione del dispositivo. Il successivo comma 2 chiarisce che, in ogni caso, l’eventuale condanna al risarcimento dei danni non costituisce sanzione alternativa e si cumula con essa.
Va ricordato, poi, che in base all’articolo 15 delle norme di attuazione del codice, il gettito delle sanzioni pecuniarie è versato al bilancio dello Stato, per essere riassegnato allo stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze per le spese di cui all’ art. 1, co. 309, della l. 30.12.2004, n. 311, e successive modificazioni (spese riguardanti il funzionamento del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali, ivi comprese quelle occorrenti per incentivare progetti speciali per lo smaltimento dell’arretrato e per il miglior funzionamento del processo amministrativo). Per quanto riguarda l’ambito temporale di applicazione della nuova disciplina, si è chiarito che nei confronti dell’amministrazione soccombente in giudizio, non possono trovare applicazione le sanzioni alternative di cui all’art. 123 del c.p.a. (ovvero all’art. 245 quater del codice dei contratti, introdotto dall’art. 11 del d.lgs. 20.3.2010, n. 53), che – per il congiunto operare del principio di irretroattività delle sanzioni, fissato dall’art. 1 della l. 24.11.1981, n. 689, e della scelta legislativa, risultante dal d.lgs. n. 53/2010 e dal d.lgs. n. 104/2010, di non derogare a tale principio – possono essere applicate solo alle condotte illecite poste in essere in epoca posteriore all’entrata in vigore dell’art. 11 del cit. d.lgs. n. 53/2010, ossia, per i fatti successivi al 27 aprile 20102.
2.3 I poteri del giudice
La disciplina in esame ha suscitato notevoli perplessità nella parte in cui attribuisce una potestà sanzionatoria allo stesso giudice amministrativo. Per ridurre, se non eliminare, i possibili rischi di arbitrii, la disposizione stabilisce che il giudice amministrativo applica le sanzioni assicurando il rispetto del principio del contraddittorio e ne determina la misura in modo che siano effettive, dissuasive, proporzionate al valore del contratto, alla gravità della condotta della stazione appaltante e all’opera svolta dalla stazione appaltante per l’eliminazione o attenuazione delle conseguenze della violazione. A fine di rendere concreto il contraddittorio, si applica l’articolo 73, co. 3, ossia la previsione del codice, secondo cui il giudice, se ritiene di porre a fondamento della sua decisione una questione rilevata d’ufficio, la indica in udienza dandone atto a verbale. Se la questione emerge dopo il passaggio in decisione, il giudice riserva quest’ultima e con ordinanza assegna alle parti un termine non superiore a trenta giorni per il deposito di memorie. Le sanzioni sono applicate dal giudice di sua iniziativa, di ufficio. Parte della dottrina ritiene utile distinguere i quattro casi di cui all’art. 121 da quello previsto dal terzo comma dell’art. 123 c.p.a. La dichiarazione di inefficacia, parziale o totale, del contratto in caso di gravi violazioni (considerate dall’art. 121) è consequenziale e necessario effetto dell’annullamento dell’aggiudicazione definitiva. Quando il giudice ritenga che il contratto non debba essere dichiarato inefficace, parzialmente o totalmente, per l’accertamento delle circostanze indicate al comma 2 dell’art. 121 c.p.a., sono applicate le sanzioni alternative. Pertanto, l’applicazione delle sanzioni pecuniarie è un effetto comunque consequenziale all’annullamento dell’aggiudicazione definitiva, alternativo alla inefficacia parziale o totale del contratto. In definitiva, si tratterebbe di una pronuncia comunque correlata alla domanda di parte volta all’annullamento dell’aggiudicazione3. Invece, è considerata sicuramente di ufficio l’irrogazione della sanzione pecuniaria o la riduzione parziale della durata residua del contratto per l’ipotesi prevista dal terzo comma dell’art. 123 c.p.a. che comporta, nella sostanza, la legittimità dell’aggiudicazione ed il rigetto della domanda del ricorrente. In questo particolare caso, il giudice, d’ufficio, deve prendere l’iniziativa per l’irrogazione, cumulativa o alternativa, delle due sanzioni disciplinate dal primo comma dell’art. 123 c.p.a. le quali non rappresentano una sanzione sostitutiva della dichiarazione d’inefficacia del contratto, ma l’unica decisione prevista. A ben vedere, però, tanto nel caso previsto dall’articolo 121, quanto nelle ipotesi contemplate dall’articolo 123, la pronuncia delle sanzioni alternative prescinde da una domanda di parte: l’iniziativa del giudizio rappresenta unicamente l’occasione per pervenire alla operatività delle sanzioni.
2.4 L’autonomia della fase processuale concernente l’applicazione delle sanzioni alternative
In ogni caso, l’applicazione delle sanzioni alternative consegue all’apertura di un’autonoma fase, diversa ed eventuale, del processo, in cui il giudice non tutela le situazioni giuridiche soggettive del ricorrente, ma l’interesse pubblico alla base delle norme che sono state violate (affidamenti diretti illegittimi, mancato rispetto dello stand still). Tale giudizio configura una giurisdizione di diritto obiettivo, per la tutela dell’interesse pubblico, determinando un sensibile mutamento radicale nella funzione del processo. La disciplina processuale di siffatta fase del giudizio risulta particolarmente lacunosa. Ci si chiede, fra l’altro, con chi occorra instaurare il contraddittorio: la parte in senso sostanziale diventa una sola, la stazione appaltante, unica destinataria della sanzione pecuniaria, mentre il contraente originario è sulla stessa posizione del resistente, ma nel solo caso in cui si discuta circa l’applicazione della sanzione della riduzione della durata residua del contratto. A stretto rigore, quindi, il contraddittorio, mancando la figura processale dell’accusa, si instaurerebbe tra l’amministrazione e il giudice stesso, al quale «verrebbe a mancare la posizione di terzietà». Sono quindi molto forti i dubbi di legittimità costituzionale della disciplina, con riguardo alla violazione dell’art. 111, oltre che dell’art. 103 Costituzione.
2.5 La giurisdizione esclusiva amministrativa
Nel codice del processo, all’articolo 133, si ribadisce la giurisdizione esclusiva amministrativa, sulle controversie in materia di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, con «estensione» a quelle sulla sorte del contratto e sulle sanzioni alternative. Non vi è dubbio che l’esigenza di accelerazione e di concentrazione delle tutele, sancita dal diritto comunitario (ma affermata anche in ambito europeo) imponga di abbandonare definitivamente la concezione «bifasica» prima seguita dalla giurisprudenza della Cassazione, secondo la quale solo il giudice ordinario può conoscere delle questioni in materia di sorte del contratto, mentre il giudice amministrativo ha la cognizione delle controversie in materia di affidamento. Non a caso, le stesse Sezioni Unite della Cassazione4, già prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 53/2010, avevano mutato il proprio indirizzo precedente, affermando la giurisdizione esclusiva amministrativa sulle controversie in materia di sorte del contratto, valorizzando le finalità perseguite dalla direttiva 2007/66/CE. Il codice ha chiarito, comunque, che la giurisdizione esclusiva si estende anche alle controversie in materia di sanzioni alternative, che possono riguardare posizioni di diritto soggettivo.
Parte della dottrina sostiene che sia questione di mera opportunità la scelta legislativa circa l’attribuzione all’Autorità indipendente o al giudice amministrativo del potere di irrogare le sanzioni, poiché la direttiva consente di seguire l’una o l’altra soluzione. Esclude, invece, che si possano prospettare dubbi di costituzionalità, discendenti dal fatto che l’applicazione di queste sanzioni, qualificabili come funzione sostanzialmente amministrativa, andrebbe riservata all’amministrazione. Al riguardo, si afferma che:
a) manca nella Costituzione la previsione di una riserva di amministrazione sull’irrogazione delle sanzioni amministrative, quale che sia il tipo e cioè misure ripristinatorie o pena pecuniaria;
b) non può invocarsi l’art. 13 della Costituzione che riserva alla giurisdizione l’applicazione delle sanzioni penali, per dedurne una simmetrica riserva di amministrazione per le sanzioni amministrative;
c) non sono rare le disposizioni positive che conferiscono al giudice penale ed a quello civile il potere di irrogare sanzioni amministrative, per cui tale potere può essere attribuito anche al giudice amministrativo che, nel sistema istituzionale, è un giudice alla pari degli altri; il giudice amministrativo già quantifica l’ammontare delle sanzioni devolute alla sua giurisdizione, applicando i criteri di cui all’art. 11 l. n. 689/1981.
L’inquadramento esplicito delle controversie in materia di sanzioni alternative nell’ambito della giurisdizione di merito segna indiscutibilmente un importante tentativo di razionalizzare la disciplina in esame, giustificando l’ampiezza dei poteri del giudice. Tuttavia, la scelta del legislatore non risulta ancora pienamente idonea a sciogliere i dubbi fortissimi in ordine alla compatibilità della disciplina con le coordinate di fondo del sistema. Nella giurisdizione di merito, infatti, il potere sostitutivo del giudice, ancorché caratterizzato da un certo margine di officiosità, si innesta pur sempre in una controversia tra parti diverse, rispetto alle quali il giudice è terzo. Nel disegno del codice, del resto, l’essenza della giurisdizione di merito è incentrata sul potere «sostitutivo» assegnato al giudice, piuttosto che sulla dimensione del potere di cognizione e sulla attribuzione di un potere di apprezzamento discrezionale della vicenda concreta. Nel caso delle sanzioni alternative, invece, la situazione risulta molto diversa. Infatti, la decisione sull’applicazione delle sanzioni, sulla scelta del tipo e sulla sua misura non si collega affatto ad una preesistente controversia tra un soggetto e la pubblica amministrazione. Il rapporto giuridico controverso è unicamente quello relativo alla irrogazione della sanzione e intercorre direttamente tra il giudice e la stazione appaltante. In questo senso, l’assimilazione alle altre controversie in tema di sanzioni pecuniarie è improprio, poiché le altre ipotesi contemplate dall’articolo 134, co. 1, lett. c) riguardano fattispecie in cui un’amministrazione ha applicato una sanzione e questa è stata contestata in giudizio. Il giudice, in tali casi, è titolare di un ampio potere valutativo e di cognizione, strettamente correlato, però, alle deduzioni delle parti e situato in una zona di perfetta equidistanza tra le parti. Nel caso dell’articolo 123 del codice, invece, il giudice cumula in modo davvero inusuale il ruolo di soggetto irrogatore della sanzione e di organo che ne valuta in modo definitivo la legittimità. L’anomalia resta evidente e non sembra certamente superabile mediante la semplice «echitettatura» dei suoi poteri nell’ambito della giurisdizione di merito.
3.1 La tutela delle parti e l’impugnabilità della decisione pronunciata in sede di appello
L’incongruenza del sistema emerge in modo palese nei casi in cui la decisione sull’applicazione della sanzione alternativa sia assunta in sede di appello. In tali eventualità, salvi i ristretti ambiti del giudizio di revocazione, la parte non ha alcuna tutela giurisdizionale e deve soggiacere, inesorabilmente, alla decisione sfavorevole assunta dal Consiglio di Stato. Infatti, se il giudice di primo grado applica le sanzioni, in secondo grado, su appello della stazione appaltante o del contraente, il Consiglio di Stato potrà valutare la legittimità o meno della decisione assunta. Se, invece, il TAR decidesse, pur avendo annullato l’aggiudicazione e non dichiarato l’inefficacia del contratto in presenza di gravi violazioni, di non applicare la sanzione pecuniaria (o decidesse di applicarla in misura inadeguata), non vi sarebbe alcun soggetto legittimato a proporre appello avverso la decisione favorevole, in questa parte, alla stazione appaltante. Di contro, l’eventuale appello della stazione appaltante o del contraente contro l’annullamento dell’aggiudicazione, non consentirebbe al Consiglio di Stato di applicare la sanzione, di ufficio, perché, in mancanza di impugnazione, sul punto concernente le sanzioni alternative si deve ritenere formatosi il giudicato. Nella diversa ipotesi in cui, invece, il TAR abbia deciso di non applicare la sanzione, il ricorrente in appello non potrà censurare questo capo della pronuncia, per carenza di interesse: pertanto, il Consiglio di Stato non potrà applicarla, per essersi formato, sul punto, il giudicato. Si verifica il caso dell’applicazione delle sanzioni per la prima volta in appello, quando, rigettato il ricorso in primo grado, la pronuncia del Consiglio di Stato, riforma la sentenza, annulla l’aggiudicazione affermando la sussistenza delle «gravi violazioni » di cui all’articolo 121, stabilisce di mantenere efficace il contratto e, conseguentemente, irroga le sanzioni di cui all’articolo 123. In questa evenienza, non vi è alcuna tutela giurisdizionale in altro grado nei confronti della decisione del Consiglio di Stato concernente l’an e il quantum della sanzione, nemmeno nei casi in cui risultino violate le norme procedimentali a presidio del contraddittorio. Si sostiene che si tratterebbe di una conseguenza «fisiologica» del sistema del doppio grado di giurisdizione, per cui gli eventuali errori commessi dal Consiglio di Stato possono essere emendati solo con i circoscritti strumenti della revocazione e del ricorso per cassazione. Tuttavia, in questo caso, la lesione deriva proprio da un unico atto che contiene, al tempo stesso, l’applicazione della sanzione e la valutazione, sostanzialmente insindacabile, della sua legittimità. Va aggiunto, ancora, che l’evidente compressione del diritto di difesa non potrebbe essere giustificata da ragioni di «economia processuale » e di semplificazione. Non sembrerebbe difficile, infatti, ipotizzare una diversa disciplina legislativa, in forza della quale il giudice che opti per la conservazione dell’efficacia del contratto, nei casi di violazioni «gravi», debba trasmettere la pronuncia alla Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, per fare assumere a questo soggetto le determinazioni sanzionatorie conseguenti.
1 Sul punto si vedano: Bartolini-Fantini- Figorilli, Il decreto legislativo di recepimento della direttiva ricorsi, in Urb. app., 2010, 656; De Nictolis, Il recepimento della direttiva ricorsi nel codice appalti e nel nuovo codice del processo amministrativo, in www.giustizia-amministrativa. it, 2010, 90; Cerbo, Le «sanzioni alternative» nell’attuazione della direttiva ricorsi (e nel codice del processo amministrativo), in Urb. app. 2010, 892; Fonderico, I poteri del giudice nel processo amministrativo sui contratti pubblici, in Dir. proc. amm., 2010, 891; Lipari, Il recepimento della «direttiva ricorsi»: il nuovo processo super-accelerato in materia di appalti e l’inefficacia «flessibile» del contratto nel d. lg. n. 53 del 2010, in Foro amm. - TAR, 2010, 107.
2 TAR Sardegna, sez. I, 13.1.2011, n. 16, in Foro amm.-TAR, 2011, 1.
3 Follieri, Le sanzioni alternative nelle controversie relative a procedure di affidamento di appalti pubblici, in www.giustizia-amministrativa.it.
4 Cass., S.U., ord. 10.2.2010 n. 2906, in Guida dir., 2010, 17, 63.