DALL'ANCONATA (dell'Anconata, da, de l'Anconata, de Lanconata, [de] Lanconelli, [de] Anconelli)
Famiglia faentina alla quale appartennero numerosi ceramisti, documentata dal XV al XVII secolo. Deve il suo nome a Anconata, toponimo relativo ad una schola del territorio di Castel Bolognese, comune a 7 km da Faenza. Inurbatasi almeno dalla metà del sec. XV, mantenne ancora legami con la terra d'origine, tant'è che numerosi appartenenti alla famiglia sono ricordati, anche diversi decenni dopo l'inurbamento in Faenza, quali proprietari di terreni siti, appunto, in località Anconata.
Allo stato attuale degli studi non è purtroppo possibile alcuna attribuzione specifica. La produzione della bottega dei D. va pertanto genericamente inserita nella ceramica faentina del periodo in questione: dai piatti e dalle brocche dell'ultimo quarto del XV secolo con decorazioni derivate in gran parte da stimoli provenienti dall'Oriente (palmetta persiana, penna di pavone, "alla porcellana") a quelli dell'inizio del XVI caratterizzati da un repertorio ornamentale ben più vasto (comprendente "storie" tratte da pitture e da incisioni di maestri italiani e d'Oltralpe), che vide relegare via via vari temi decorativi quattrocenteschi nei retri e nelle tese dei pezzi; per finire, da poco prima della metà del sec. XVI, con le maioliche compendiarie, i "bianchi" per antonomasia.
Capostipite si può considerare un Bartolino, del quale si conosce solo il nome, ma che rimarrà ricordato in forma patronimica nei documenti relativi ai suoi discendenti per quasi un secolo dopo la morte. Forse fu proprio Bartolino, ricco contadino se non addirittura agiato proprietario terriero, ad inurbarsi e a dare inizio all'attività ceramica, vera e propria tradizione familiare onorata da almeno nove generazioni di maiolicari. Due i suoi figli: un anonimo primogenito, padre di Ugolino "Turrisotto" (a sua volta morto prima del 1471: Arch. di Stato di Faenza, Arch. notar., A. Piccinini, VII, c. 127r) e di Bartolino, e Nicola, iniziatore, con Giacomo "Riccio delle orcie" e con Silvestro, dei due rami della famiglia detti "Righi".
Par lecito avanzare detta ipotesi per una serie di informazioni collaterali: il comune possesso di terre in località Anconata, gli stretti rapporti familiari (accade almeno tre volte che appartenenti ad un certo ramo divengano tutori dei giovani orfani di un membro di un altro ramo o che venga richiesto il loro intervento in qualità di esecutori testamentari o per dirimere contrasti di carattere patrimoniale o ereditario), il costante ricorrere del comune patronimico "Bartolini" e delle diverse varianti del cognome, oltre a una serie di sicure ed inequivocabili corrispondenze cronologiche.
Nel ramo di Ugolino "Turrisotto" troviamo meno che altrove la presenza di ceramisti: Ottaviano di Marco di Ugolino, socio della Congregazione di S. Maria dell'Angelo, documentato fino al 1514 quale magister (orcelarius?), e suo fratello Fenzolo, anch'egli ceramista, nel 1505 tutore del giovane orfano di. un collega, nel 1523 procuratore di un lontano cugino, Francesco fu Silvestro, e nonno (?) di un Fenzolo "fu Marco", ceramista nel 1554.
Bartolino de' Lanconelli orzolarius di S. Vitale, morto nel 1471, fu evidentemente nipote, probabilmente in linea primogenita, del Bartolino capostipite. Ebbe tre figli: Cenne, ceramista della parrocchia di S. Abramo nel 1472, Cristoforo, ceramista della parrocchia di S. Vitale, documentato attivo dal 1477 al 1494 e Gaspare, attivo fra il 1471 e il 1499 nella parrocchia di S. Giacomo prima, in quella di S. Antonio poi.
Degli eventuali figli di Cenne non si hanno notizie. La documentazione relativa agli eredi di Cristoforo e di sua moglie Lucrezia Pasolini è invece abbastanza ricca. Ebbe almeno tre figlie, Onofria, Giovanna e Damiana, e due figli, entrambi ceramisti: Cleofa e Garavante. Se del primo si sa solo il nome, la professione, la parrocchia di residenza (S. Vitale) e il suo aver prestato nel 1517 soldi a un nipote ceramista, di Garavante (documentato dal 1479 al 1506, maestro almeno dal 1480, terziario dei domenicani) è nota l'intensa attività di ceramista ed imprenditore.
Come già suo padre anche Garavante ebbe cinque figli di tre dei quali sappiamo poco più del nome: Durina - "Diana" -, Cristoforo e Rengarda, documentati solo nel 1494 e, la prima, nel 150 1. Gli altri due, Andrea e Francesco, furono ceramisti ed entrambi sono documentati dal 1494 al 1524-25.
Nel 1509 Francesco, già maestro da almeno due anni, assolda un lavorante e nel 1510 insieme con il fratello Andrea entra in società con Matteo di Danese Recordati da Castel Bolognese (Arch. di Stato di Faenza, Arch. notarile, S. Rondinini, XIV,cc. 34r-39r, 241r). Ci è ignota la sorte di questa società, mentre sappiamo, per es., che Andrea comprò nel 1515 dal fratello attrezzi della sua bottega e, sempre nel 1515, 70libbre di "azzurro" - la zaffera usata dai ceramisti per gli smalti azzurro-violetti - da Girolamo "Petri" di Norimberga, quello stesso Girolamo tedesco "de Lamania" o "de la magnia" che l'anno seguente ne vendette a suo cugino Giacomo fu Ventura, ad Andrea Viani e a Giuliano Manara, altri maestri produttori come Andrea di pezzi ceramici smaltati di azzurro "berettino". Pur avendogli venduto nel 1515 parte dell'attrezzatura, Francesco rimane come il fratello documentato attivo ancora per un decennio: entrambi sono testimoni, comprano e vendono case, contraggono mutui, ricevono soldi in deposito ed in accomandita, partecipano alle riunioni della corporazione.
Garavante, figlio di Francesco, nato non prima del 1507, e documentato dal 1532 al 1565, viene segnalato maestro dal 1536 ma è detto pittore solo a partire dal 1540.
Nella cinquantina di documenti notarili e non a lui relativi non si trova mai alcun benché minimo accenno a un'opera pittorica. Vengono invece rivelati i suoi rapporti familiari. Ebbe almeno tre sorelle, di due delle quali sappiamo il nome: Rengarda e Giovanna, e di una anonima terza sappiamo il nome del marito: Parino Carli. Contrasse tre matrimoni: con Lucia Boccoli, con Orsolina di maestro Stefano e con Andrea, vedova di maestro Lazzaro. Francesco (forse pittore come lui), Piero Stefano Girolamo e Caterina furono i suoi tre figli (Grigioni, 1935, pp. 402, 559, 696-705).
Della discendenza di Gaspare e di sua moglie (tale almeno dal 1471) Maddalena Bonuzzi sappiamo solo di Bartolino, ceramista come il padre nella parrocchia di S. Antonio, nel 1497 già sposato a Taddea Dal Pane, discendente di una nota e numerosa famiglia di ceramisti e nel 1511 ancora attivo.
Cristoforo di Bartolino e di Taddea Dal Pane fu pittore; è nominato in oltre centotrenta atti notarili stesi dal 1521 alla morte avvenuta nel 1554.
Grigioni (1935, p. 542), come prima documentazione del pittore, riporta un atto del 6 luglio 1524, ma un atto notarile di B. Torelli (Arch. di Stato di Faenza, Arch. notar., XIII, c. 212r) lo segnala testimone già il 23 marzo 1521. Indicato residente in varie cappelle della città (S. Emiliano e S. Clemente prima, S. Margherita, S. Lorenzo, S. Ippolito e S. Stefano più tardi), si sposò probabilmente nel 1531 con Francesca Caroli e da questa ebbe tre figli: Flavio, Giulio e Bartolino. In un atto del 4 giugno 1549 (Ibid., N. Torelli, LXII, c. 223r) dichiara di avere cinquanta anni d'età. Era dunque nato nel 1499.
Quanto alla sua attività artistica si sa di quattro opere, oggi tutte disperse. Di data imprecisata una Madonna in gloria con santi, per la chiesa dei frati conventuali di Lugo, nel corso dell'Ottocento segnalata come facente parte della galleria del marchese Hercolani di Bologna (una volta detta "tavola" e un'altra "tela"). Del 1524 una tavola per la Società dei battuti della Croce di Faenza con la Madonna col Bambino, Cristo resuscitato e santi. Del 1539 è l'affresco con l'Ultima Cena nel refettorio del convento di S. Francesco a Faenza. Infine, è del 1542 la decorazione pittorica (probabilmente con paesaggi) di due camere della casa di Faenza del mercante Giulio Nomi di Castel Bolognese. Pur in strettissimi rapporti con i parenti di sua madre, i maiolicari Dal Pane, non risulta lui stesso essere mai stato ceramista (Grigioni, 1935, pp. 540-69; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXII, p. 286, sub voce Lanconelli, Cristoforo).
Silvestro, morto prima del 1484, ebbe due figli, Antonio e Matteo, entrambi ceramisti. Matteo "Righi" (marito di Lucrezia e padre di una Lucia documentata solo nel 1496come già orfana) è ricordato attivo pressoché costantemente assieme al figlio Andrea, lui pure ceramista, appartenente al terz' Ordine domenicano e sposato con una Benvenuta. Insieme contraggono mutui "ad laborerium in arte bochalorum", vendono e comprano terre, fino a quando, nel 1484,Matteo cede la sua casa e la bottega "cum instrumentis aptis ad artem orzolarie" in S. Eutropio, acquisendo in cambio una casa in S. Abramo. Probabilmente si ritira dall'attività, pur continuando a risiedere a Faenza, prima nella nuova casa in S. Abramo e poi in S. Tomaso, sempre insieme al figlio; un documento del 1487lo dà abitante a Castel Bolognese: i rapporti con la casa avita erano evidentemente ancora strettissimi.
Dei due figli di Antonio, Federico e Silvestro, non si sa molto. Il primo, terziario domenicano come il cugino Andrea, è documentato dal 1495al 1519; Silvestro morì nel 1496, lasciando quattro giovani orfani, affidati alle cure di due appartenenti a due diversi rami della famiglia, rispettivamente cugini di terzo e di quarto grado di Silvestro: una delle tante testimonianze della concreta solidarietà riscontrabile in questa, per certi versi, tipica famiglia "allargata" di artigiani urbani della prima età moderna. Dei quattro orfani i due maschi diventarono entrambi ceramisti: Tommaso (documentazione dal 1497al 1523) a Faenza e suo fratello Francesco (documentazione dal 1497al 1532) a Roma: nel 1514, 1523e ancora nel 1532è ricordato dal Grigioni (1952, p. 48) quale uno dei tanti "vascellari" romagnoli, e in particolare faentini, operanti a Roma nel Quattro e nel Cinquecento. Anche un loro cugino Rustighello, il figlio di Federico, era ceramista: del terz'Ordine dei domenicani come suo padre, fra i documenti che lo ricordano merita menzione quello del 1527che lo vede pagato dai priori della Casa di Dio di Faenza per una commissione di maioliche.
Giacomo "Riccio delle orcie" è il progenitore del ramo più numeroso e più complesso fra i quattro esaminati, e anche il più interessante, non foss'altro per la presenza al suo interno, e senza soluzione di continuità, di sette generazioni di ceramisti. Suoi figli furono Nicola, morto nel 1475senza discendenza, e Ventura "Righi", maestro ceramista, marito di Gentile figlia di "Burgio becharius", proprietario di terre ad Anconata, morto nel 1474. Ventura ebbe cinque figli: Antonia, nota sin dal 1473e nel 1493già moglie del ceramista Tommaso Mancini, Giacomo, Tommaso, Nicola e Vincenzo, tutti maestri maiolicari.
Vincenzo e Tommaso, rispettivamente documentati dal 1473 al 1502 e dal 1473 al 1500, abitavano l'uno in S. Vitale e l'altro prima in S. Tomaso e poi in S. Abramo. Di entrambi è ignota una eventuale discendenza. Si sa peraltro che Tommaso aveva sposato nel 1493 Bartolomea Isacchi, figlia e sorella di ceramisti.
Giacomo, e ancor più Nicola, dei quattro fratelli sono certamente i più documentati: molto spesso li si incontra in atti notarili riferentisi alla loro professione ed alle loro attività: comprano e vendono case e terre, prestano denaro (Nicola nel 1505, Giacomo nel 1512),contraggono mutui "ad negotiandum in arte urzolarie" (negli anni centrali della sua attività Nicola arrivò a contrarne regolarmente fino a due-tre all'anno), assoldano lavoranti (Nicola nel 1503e 1505),comprano piombo e stagno (Giacomo nel 1496), "azzurro" (Giacomo nel 1516 e Nicola nel 1520),l'enorme quantità di 1400 fascine di legna (Nicola nel 1522), sono chiamati dai loro più famosi colleghi a far da testimone o da fideiussore in importanti atti (così Nicola nel 1490per il testamento di Pietro Viani). Nel 1507Nicola è console dell'arte, successivamente è fra i quattro maestri incaricati di redigerne lo statuto (1518) e di stilare (1519) un'importante rettifica ad un documento societario del 1497, ponendosi dunque insieme ai rappresentanti dei Viani, dei Fornari, degli Orcellari e dei Manara tra i più importanti ceramisti faentini del primo Cinquecento.
Abitante in S. Bartolomeo, Nicola ebbe due mogli, Gentile (almeno dal 1504 al 1511) e Francesca, documentata tale nel 1519; fu attivo fino al 1527. Il fratello maggiore, Giacomo, nel 1494 si trasferì da S. Tomaso - ov'era la casa paterna - in S. Eutropio prima e in S. Vitale poi e continuò l'attività almeno fino a quando, nel 1511, non vendette la casa ("cum una fornace a quoquandis vasis fictilibus") in S. Tomaso ai fratelli Pirotti. Sposò tale Bartolomea Ghetti e il suo nome ricorre in documenti diversi fino all'anno 1520.
Le loro rispettive discendenze non potevano in un certo senso non essere legate al mondo dei ceramisti. Giacorno ebbe una figlia maritatasi l'8 febbr. 1519 con l'"orcelarius" Domenico di Danese della famiglia Recordati e un Ventura, sposatosi nel 1508con una Catarina, e padre a sua volta di un altro ceramista, Antonio "figulo super rotam" (torniante) operante negli anni 1526-1530.
Fra gli credi di Nicola sono da ricordare una Lucrezia, andata sposa nel 1517a un ceramista (?) di Solarolo, e un Bartolo sposatosi intorno al 1524con Antonia Marchetti, altra appartenente a una famiglia dalle solide tradizioni ceramiche. Nicola era nonno di quel Nicolò che nel 1556vendette una cassa di maioliche al cardinale Ippolito d'Este di Ferrara.
Questo Nicolò è il padre di un Rustighello, ceramista, acquirente nel 1576 di 800 fascine di legna e nel 1596 socio di Ambrogio fu Filippo di Errano e con lui debitore di un altro noto maestro, Melchiorre fu Giulio Corona, per maioliche fornite loro da quest'ultimo. L'ipotizzata (Guasti, 1902, pp. 64 s.) presenza di Rustighello a Montelupo nel 1585 appare assai improbabile e per altro non confortata da alcun documento certo, come pure non si hanno testimonianze di una sua eventuale attività in altra città. Forse non più attivo nella bottega ma sempre stimato maestro, vediamo Rustighello testimone in atti notarili e matrimoniali fino al 1625.
Anche Rustighello ebbe discendenza maiolicara - e ciò a nove generazioni di distanza dal capostipite Bartolino -: una Francesca, nota dall'atto di matrimonio del 1590, e un Antonio che nel 1616 e ancora nel 1624 sappiamo impegnato in società "ad exercendum et traficandum in arte figulinarie" con Clemente Succi prima, con Andrea Mazzanti poi, entrambe le volte in una bottega presa in affitto da Battista fu Sante Mazzanti.
Iniziata quasi nell'ombra, l'attività di questa famiglia di maiolicari si sviluppa fino a permettere ai suoi ultimi discendenti di intrattenere rapporti con i Corona, i Succi, i Mazzanti: i maggiori nomi del Seicento ceramico faentino.
I documenti degli archivi faentini riservano ancora notizie dei D.: ad esempio di un maestro Piergiovanni fu Ventura (1487), che peraltro sappiamo non essere figlio di Ventura "Righi" fu Giacomo; di tre ceramisti: maestro Petronio (1477), suo figlio maestro Giacomo (1477-1504) di S. Bartolomeo e suo nipote Ventura (1510- 1515), forse del ramo di Giacomo "Riccio" fu Nicola; di due Domenico, l'uno anziano del Comune nel 1442 e l'altro ceramista nel 1536, dei quali non è possibile stabilire né la paternità né alcun altro collegamento con gli altri D. (cfr. U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IX, p. 403).
Fonti e Bibl.: Faenza, Bibl. del Museo internazionale delle ceramiche: Annali della ceramica, ad annos;Ibid., Biblioteca comunale, Schedario monsignor Rossini, ad voces; C.Malagola, La fabbrica delle maioliche della famiglia Coronain Faenza, Milano 1882, p. 19; A. Bertolotti, Artisti in relaz. coi... duchi di Mantova nei sec. XVI e XVII, Modena 1885, p. 57; F. Argnani, IlRinascimento delle ceramiche maiolicate in Faenza, Faenza 1898, pp. 275, 280 s., 283, 289-92; G. Guasti, Di Cafaggiolo e d'altre fabbriche di ceramiche in Toscana, Firenze 1902, pp. 64 s.; Documenti: serie faentina. Docum. relativi alla famiglia Manara, a cura di C. Grigioni, in Faenza, XX (1932), pp. 157-60, 177; G. Ballardini, Dagli Accarisi ai Ferniani attraverso F. Vicchi (15891644) e i "Giorgioni" (1645-1693), ibid., XXIII (1935), pp. 71, 81; C. Grigioni, La pittura faentina dalle origini alla metà del Cinquecento, Faen za 1935, pp. 402, 540-569, 696-705; Documenti: serie faentina. La Ca' Pirota, a cura di C. Grigioni, ibid., XXV (1937), pp. 40 s.; C. Grigioni, La bottega del vasaio del bel tempo, ibid., pp. 71, 87; G. Ballardini, I Mazzanti ed altri maiolicari faentini del Seicento, ibid., XXXI (1943-45), pp. 9, 15 ss.; Figulini romagnoli aRoma nel Quattro e nel Cinquecento. Faenza, a cura di C. Grigioni, ibid., XXXVIII (1952), p. 48.