Dall’educazione a distanza all’e-learning
Il rapporto tra tecnologie della comunicazione ed educazione si arricchisce, nel passaggio tra il 20° e il 21° sec., di sfaccettature nuove con implicazioni che investono gli scenari e i modelli dell’educazione. Significativo è il caso dell’educazione a distanza, riproposta in questo secolo come e-learning che si presenta come una risposta promettente nell’ottica di conseguire il traguardo di un apprendimento per tutta la vita (lifelong learning). Mentre penetra nelle istituzioni e nelle prassi per l’alta formazione, l’e-learning si coniuga con riflessioni più ampie relative alla natura della conoscenza e dell’attività educativa; attraverso di esso si rideclinano dicotomie fondamentali della contemporaneità: presenza/virtualità, soggetto/comunità, apprendimento formale/informale.
Paradossalmente, proprio nel momento in cui l’educazione a distanza assume tale rilevanza tende anche a dissolversi; la pervasività delle tecnologie a cui si lega la portano a calarsi nella quotidianità e a divenire parte integrante dei modelli formativi a cui essa stessa cerca di dar vita.
Tecnologia della comunicazionee formazione
È sotto gli occhi di tutti il grande sviluppo delle tecnologie comunicative e la rapidità con cui innovative soluzioni tecnologiche appaiono, evolvono, pervadono la vita quotidiana nei suoi diversi aspetti. Non si tratta solo di apparati che vanno ad accrescere il già vasto strumentario tecnologico offrendo funzionalità aggiuntive: esse entrano nelle pratiche quotidiane, incidono sulle relazioni e appartenenze, sono ‘tecnologie cognitive’, influenzano cioè i nostri modi di pensare e i modelli concettuali con cui noi interpretiamo la realtà.
I loro effetti modificano in modo evidente il senso dello spazio all’interno del quale stabiliamo i rapporti con gli altri. Per lungo tempo le relazioni umane sono state condizionate dal limite fisico della vista e dell’udito, perché era possibile entrare in rapporto soltanto con qualcuno con cui si era in grado di parlare, di cui si poteva udire fisicamente la parola. I limiti sensoriali hanno così scandito i rapporti interpersonali in quanto essere in un altro luogo o nello stesso luogo in tempi diversi rendeva impossibile entrare in contatto, scambiare emozioni ed esperienze. Le tecnologie comunicative (o media) hanno introdotto la possibilità di separare la comunicazione dalla contestualità fisica. La scrittura, da questo punto di vista, è stata la prima e più importante tecnologia della comunicazione: la parola scritta ha infatti la capacità di estendere i suoi effetti oltre i limiti dello spazio-tempo in cui è stata generata; essa conserva il suo messaggio con la recondita speranza di imbattersi in possibili interlocutori futuri, in qualunque luogo questi siano situati.
Il contesto contemporaneo si caratterizza per la straordinaria accelerazione nella produzione di tecnologie comunicative-cognitive. Negli ultimi due decenni queste sono diventate più penetranti, sottoposte a un’incessante metamorfosi e miniaturizzazione a cui si accompagna un pervasivo, accresciuto senso di immanenza ubiquitaria e relazionale: si pensi, per es., alla condizione di prossimità virtuale alimentata dalla telefonia cellulare.
Quando si parla dei recenti dispositivi per la comunicazione, il fenomeno più considerevole è rappresentato da Internet che, come noto, si afferma per il largo pubblico intorno alla metà degli anni Novanta dello scorso secolo, all’apparire del world wide web, il sistema che ha reso agevole la navigazione nella rete e che ha segnato un decisivo passaggio nella storia dei media da tecnologie centriche e monofunzionali, che vedono il soggetto come fruitore sostanzialmente passivo rispetto a un centro erogatore del messaggio, a tecnologie acentriche, polifunzionali e partecipative. Internet si presenta come uno spazio di relazione nel quale si possono riprodurre attività ed eventi della vita quotidiana, che sono caratterizzati da rapporti di reciprocità, transazione economica, intrattenimento, divertimento, arte, apprendimento; in Internet si chiede al soggetto di intervenire, scegliere, cercare, comunicare, socializzare.
Nella rete si sviluppa, inoltre, una particolare fenomenologia identitaria: non più un unico ‘io’, ma molteplici ‘maschere-persone’ entrano in azione; si creano identità pro tempore, assunte solo per il tempo limitato della comunicazione mediale, simulacri effimeri del cyberspazio, mentre si amplificano a dismisura, e allo stesso tempo si volatilizzano, le appartenenze alle aggregazioni sociali a cui la rete dà luogo (nomadismo virtuale).
Di particolare rilievo è l’intreccio che si crea tra Internet, i processi di produzione della conoscenza, i modelli stessi con cui la rappresentiamo: da un lato, Internet costituisce una gigantesca infrastruttura volta ad amplificare gli spazi relazionali che possono supportare in concreto la formazione di conoscenza, dall’altro si presenta come una poderosa metafora capace di impressionare le nostre concezioni della mente e del pensiero e del loro costituirsi a livello individuale e sociale.
Da alcuni decenni sono in corso evidenti cambiamenti nelle forme di produzione della conoscenza scientifica (Gibbons, Limoges, Nowotny et al. 1994). Secondo il modello tradizionale questa procede dalla teoria alla pratica, è attribuita a istituzioni specifiche (università, centri di ricerca), matura in ambiti disciplinari delimitati. Si è tuttavia venuta affermando una modalità che attenua la tradizionale distinzione tra ricerca di base e ricerca applicata, tra scienza e tecnologia, a favore di forme più flessibili, articolate, transdisciplinari che non si avvalgono solo delle strutture universitarie e di ricerca specializzate, ma anche di ambienti non accademici, e che hanno prodotto circuiti in cui i rapporti teorico-pratici appaiono indissolubilmente connessi; si pensi a settori come la biomedicina, l’ingegneria chimica, l’ingegneria aeronautica, la computer science, le scienze dell’ambiente.
Se questo cambiamento ha avuto origine prima di Internet (possiamo in senso lato datare il suo avvio in relazione al formarsi di una information society a partire dagli anni Sessanta-Settanta), è proprio con l’avvento di Internet che viene accelerato e riconfigurato. In particolare a partire dagli anni Novanta, si assiste a un’impressionante proliferazione di comunità virtuali, di gruppi di persone che spontaneamente si dedicano a dar vita sulla rete a forme di dialogo e collaborazione di varia natura. Queste comunità, che alla sociologia tradizionale appaiono ‘imperfette’ perché sradicate da una comune appartenenza storica o culturale, proprio nella condizione decontestualizzata e ubiquitaria insita nella loro virtualità trovano la condizione per diventare agenti di una ulteriore forma di produzione del sapere, possibile solo nel cyberspazio, tipica della nostra epoca, che il filosofo francese Pierre Levy ha efficacemente sintetizzato nell’espressione «intelligenza collettiva».
Internet si presenta così sempre più come la sede di un inarrestabile processo di riconfigurazioni e riaggregazioni reticolari (networking) che, almeno potenzialmente, potrebbe comportare un accrescimento sia delle relazioni interpersonali sia delle conoscenze, secondo un auspicio che del resto era stato avanzato dallo stesso Tim Berners-Lee, il principale ideatore del world wide web: «Il Web è più un’innovazione sociale che un’innovazione tecnica. […] Il fine ultimo del Web è migliorare la nostra esistenza reticolare nel mondo» (Berners-Lee 1999; trad. it. 2001, p. 113).
L’impatto profondo e pervasivo di Internet condiziona fortemente i nostri modelli mentali e intellettivi. Da sempre si è pensato all’intelligenza e ai processi conoscitivi come a qualcosa di interno al soggetto, una costruzione individuale dell’‘io’, disposta in quella scatola misteriosa che chiamiamo ‘mente’. Jean Piaget ha offerto la sistematizzazione più completa di una concezione del genere, in linea con i riferimenti della modernità: un’intelligenza che si sviluppa dentro il soggetto, monodimensionale, in un percorso sostanzialmente unitario e coerente che muove dall’azione senso-motoria all’azione logico-astrattiva. Il cyberspazio però rende evidente come sia facile mettere in sinergia i saperi, le immaginazioni attraverso azioni negoziali e condivise (shared); allo stesso tempo la cognizione viene a perdere la tradizionale connotazione di evento privato per assumere quella di attività allocata anche all’esterno; essa non esiste se non in parte all’interno della nostra mente, perché ci basiamo costantemente su supporti, ausili (materiali, umani) dislocati al di fuori di noi, in qualche caso lontani fisicamente; l’intelligenza è ‘distribuita’, concetto che autori quali Jerome Bruner, David Norman, oltre a Levy stesso, hanno contribuito ad affermare.
All’inizio del 21° sec. si è assistito a una svolta ulteriore all’interno stesso di Internet, con conseguente influenza sui modelli della conoscenza e dell’apprendimento. Ci si riferisce al passaggio indicato comunemente con l’espressione web 2.0, che comincia a diffondersi a partire dal 2004 e che sottolinea un decisivo cambiamento nel rapporto tra l’utente e la rete, nel senso di un’accresciuta partecipazione attiva da parte del primo. Gli utenti diventano in misura maggiore soggetti-autori in un contesto di condivisione o collaborazione; Internet è sempre meno un luogo in cui si ricercano informazioni e sempre più un luogo in cui si costruiscono contenuti personali con strumenti come i blog e i wikis, si condividono risorse e si comunica in forme più coinvolgenti tramite strumenti come instant messager, podcast, servizi di condivisione di foto o filmati. Il web 2.0 è caratterizzato dal cosiddetto social networking, un insieme di attività in virtù delle quali il soggetto che ha fornito una descrizione di sé e delle risorse che rende disponibili nella rete, può ricevere informazioni prodotte da persone con caratteristiche similari; i contenuti riconosciuti come rilevanti in rapporto al profilo designato raggiungeranno automaticamente il soggetto senza passare ogni volta attraverso azioni esplicite di ricerca. Nel mondo del web 2.0 si diffonde maggiore consapevolezza riguardo alle acquisizioni che possono avvenire in contesti e modalità informali. In un mondo pur strutturalmente formalizzato, in quanto digitale, il complesso interscambio delle dinamiche della comunicazione dà luogo a flussi comunicativi e relazionali in forme imprevedibili che portano in primo piano nuove dimensioni della espressività soggettiva (attraverso storie, dialoghi, narrazioni, autobiografie, blog, wiki). Si possono fare allora scoperte significative in momenti inaspettati, in un colloquio con amici, o imbattendosi in una notizia occasionale.
Dietro all’affermarsi di queste tecnologie emerge un orientamento epistemologico radicale, sostenuto da autori come George Siemens e Stephen Downes, chiamato connettivismo, basato su un forte senso di relativismo conoscitivo: la conoscenza è interpretazione di continue emergenze (un’emergenza è, per es., l’onda che percepiamo, che in realtà è la risultante di ben altri fenomeni a livello sottostante) con una propensione a opporsi alle gerarchie a favore di reti ed ecologie capaci di adattamenti rapidi e continui. La conoscenza connettiva vede l’apprendimento come costruzione di network (network forming process), processo che si svolge in modo continuo, imprevedibile, per scontri tra idee che si generano nella rete stessa. La formazione di configurazioni e reti provoca, dunque, un’inarrestabile contaminazione; attraverso di essa esperienze e mondi tradizionalmente separati si compenetrano: intrattenimento, apprendimento, lavoro perdono i loro tradizionali confini.
Se da un lato Internet pone i presupposti per rinnovate forme di costruzione del sapere basate sull’interazione collaborativa e sul networking, dall’altro è evidente come esso produca una sorta di «diluvio informazionale» (per usare un’espressione di Levy), sottoponendo il soggetto a rischi crescenti di dispersività e ingannevolezza. In conseguenza di ciò, anche il problema dell’affidabilità dell’informazione comincia a diventare un tema epistemologico ed educativo di cruciale importanza: nella società tradizionale erano le istituzioni educative a selezionare le conoscenze da acquisire, facendosi garanti della loro affidabilità e rilevanza; in quella dell’informazione, invece, il soggetto è lasciato a sé stesso dinanzi a uno sterminato magma informazionale. Occorre allora fornirgli strumenti critico-culturali necessari per metterlo in condizioni di distinguere ciò che è valido e pertinente da ciò che, intenzionalmente o meno, risulta fallace o comunque fuorviante: il tema della web deception nelle sue complesse forme (Web of deception, 2002) diventa sempre più centrale nelle politiche di media education e di digital competence.
In questo quadro si inserisce il caso emblematico dell’e-learning, in cui possiamo ritrovare gran parte delle problematiche sinora accennate.
Educazione: educazione a distanza
Tra comunicazione ed educazione c’è sempre stata una stretta interdipendenza dal momento che l’atto educativo è un atto relazionale e comunicativo che si svolge tra soggetti che operano nello spazio e nel tempo e qualsiasi mutamento nella struttura spazio-temporale della comunicazione comporta un mutamento nelle modalità di esercizio educativo. La storia stessa è garante del fatto che le innovazioni tecniche nella sfera della comunicazione hanno spesso avuto una ricaduta su quella dell’educazione, vuoi sulle modalità didattiche, vuoi sul versante delle implicazioni cognitive; si pensi, per es., a come la stampa abbia condizionato le forme dell’istruzione e le concrete pratiche di studio.
La condivisione spazio-temporale tra educatore e allievo ha rappresentato un riferimento costante nell’educazione e fa ancora parte del sentire comune ritenere che questa, nel senso vero del termine, si debba svolgere attraverso una compresenza fisica anche se, dall’affermarsi della scrittura, la storia della comunicazione ha mostrato come siano possibili dialoghi educativi a distanza (si pensi agli epistolari scritti a scopo di educazione-istruzione come le lettere di Platone a Dionigi di Siracusa o quelle di s. Paolo rivolte alle comunità cristiane).
La consapevolezza vera e propria dell’esistenza di un’educazione a distanza come ambito a sé stante dell’educazione emerge solo dagli anni Ottanta, quando decade anche l’espressione sino ad allora prevalente di educazione per corrispondenza.
È però negli anni Novanta che l’educazione a distanza registra un incremento esponenziale, trovando uno straordinario alleato in Internet, sia dal punto di vista delle applicazioni concrete nelle organizzazioni sia coniugandosi alle speculazioni teoriche sulla natura della conoscenza e della formazione. La diffusione delle reti telematiche sollecita un ripensamento sui modelli stessi dell’autoformazione e della formazione a distanza, tendendo progressivamente a ricollocarli all’interno di una concezione negoziale, cooperativa e pluricentrica dell’apprendimento che né il libro, né le altre forme tradizionali d’istruzione a distanza possono consentire. In questi anni emerge un ambito di riflessione teorica sulla formazione in rete, indicato con varie espressioni (on-line education, on-line learning, e-learning, computer mediated distance learning, web based learning), sino al prevalere indiscusso del termine e-learning.
La crescente penetrazione dell’educazione a distanza procede in parallelo, oltre che con la diffusione di Internet stesso, con l’affermarsi di un quadro concettuale e normativo. Il tema della conoscenza, intesa come uno dei valori più rilevanti della società in cui viviamo, già introdotto dagli apporti teorici di autori come Peter Drucker, Peter Senge, Ikujiro Nonaka, ripreso con i libri bianchi nel corso degli anni Novanta, e la riflessione su come produrla, conservarla, trasferirla, acquisirla, sono al centro delle politiche dell’Unione Europea che, a partire dal Consiglio di Lisbona del 2000, si propone l’ambizioso obiettivo di rendere l’Europa del 2010 la più competitiva e dinamica economia basata sulla conoscenza.
Una ‘società della conoscenza’ si deve confrontare con bisogni conoscitivi articolati e crescenti. Il problema investe in particolare i sistemi per l’alta formazione (universitaria e postuniversitaria) sottoposti negli ultimi trent’anni a una profonda trasformazione che ha visto un’utenza limitata, con studenti della stessa età, dello stesso retroterra culturale, frequentante a tempo pieno, essere gradualmente sostituita da un’utenza di massa, formata da studenti di tutte le età, di diversa provenienza culturale e sociale, condizione lavorativa o residenziale o appartenenti a categorie con bisogni speciali. Nell’ottica di dare risposta a queste esigenze, alcuni concetti o ambiti assurgono a nuova risonanza o si impongono per la prima volta, espressi, per es., da termini come capitale sociale e knowledge management e altri più specifici relativi alla formazione, che pongono al centro il soggetto e un’offerta formativa più articolata e più estesa (open, flexible learning, lifelong learning, e-learning).
In particolare il concetto di lifelong learning, l’idea cioè di una formazione al di là dei limiti spazio-temporali tradizionalmente imposti dai sistemi educativi estesa durante tutto l’arco della vita, che si è venuto gradualmente affermando a opera di organismi quali UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization), OECD (Organization for Econ-omic Cooperation and Development) e Consiglio d’Europa, si impone come una sorta di paradigma. L’educazione ‘una volta sola’, su cui ha poggiato il sistema scuola, appare sempre più inadeguata dinanzi alle recenti istanze sociali: il rapporto tra vita e apprendimento si è rovesciato in quanto non si tratta più di un apprendimento per la vita, ma di una vita per apprendere; la richiesta che viene avanzata è quella di sistemi dislocabili nel corso dell’intera esistenza, accessibili da ogni luogo. Garantire a tutti un apprendimento secondo le proprie necessità, rispettando bisogni di ciascuno in ogni condizione, tempo e luogo: questa è la sfida con cui la società contemporanea dichiara di volersi confrontare. A questo punto nei programmi d’azione europei del lifelong learning del 21° sec. entra prepotentemente l’e-learning.
E-learning
Con l’avvento del nuovo secolo il rapporto tra tecnologie comunicative ed educazione si fa più intenso e profondo investendo anche la concezione dei processi educativi e gli scenari stessi della formazione.
L’e-learning, definito come l’«uso di nuove tecnologie multimedia e di Internet per migliorare la qualità dell’apprendimento mediante l’accesso a risorse e servizi e a collaborazioni e interscambi a grande distanza» (E-learningeuropa, E-learning, htpp://www.elearn- ingeuropa.info/mail/index.php?page=glossary&abc=E; 18 marzo 2009), rappresenta il complesso di tecnologie e metodologie principale a cui la politica educativa europea, attraverso considerevoli investimenti articolati in differenti iniziative (eEurope, Education and training 2010, e-learning initiative) affida le sue aspettative di successo.
Da questo momento il termine e-learning registra un consenso crescente in tutte le organizzazioni che si occupano di formazione estendendosi, nel giro di qualche anno, da una ristretta cerchia di addetti ai lavori a un pubblico più vasto. I tempi così rapidi di diffusione e l’urgenza delle applicazioni non sembrano però consentire un’adeguata comprensione del concetto e molte sono le accezioni riduttive e le ambiguità che permangono; così accade che il termine, nella sua difficile determinatezza, diventi una sorta di cartina di tornasole o di test proiettivo della concezione che i diversi soggetti già posseggono della natura dell’educazione stessa.
Sul piano teorico la ricerca più avveduta mette in evidenza come l’e-learning non si identifichi con una tecnologia o metodologia unica, bensì possa comportare una varietà di soluzioni flessibili, in evoluzione, suscettibili di molteplici caratterizzazioni. In virtù del fatto che la comunicazione si svolge in un contesto digitale e di rete, rispetto alla didattica in presenza si consentono delle possibilità nuove: i materiali di natura digitale possono, per es., essere attinti, ripresi, modificati e integrati nell’enorme biblioteca rappresentata da Internet; ciò permette di riusare con facilità il lavoro già fatto, anche da altri, e rimodulare percorsi didattici in forme individualizzabili. La possibilità di ac-cedere all’ambiente di lavoro nei momenti più op-portuni e la velocità dell’interazione alunno-tutor consentono possibili personalizzazioni dei ritmi di apprendimento e un’alta qualità nei feedback rilasciati all’allievo; la natura stessa della comunicazione mediata da computer rende possibile stabilire rapporti di condivisione o di collaborazione, a vario grado e livello, con una pluralità di soggetti che possono interagire in una classe virtuale o in gruppi di lavoro on-line, in forme più articolate di quanto sia possibile nei rapporti in presenza.
Nonostante ciò, come del resto accade spesso per ogni innovazione tecnologica, anche in questo caso nella sua prima fase la recente tecnologia riproduce prevalentemente i modelli preesistenti, mostrando una scarsa attenzione alle specificità offerte dalla particolare condizione comunicativa; come era successo in precedenza per la televisione, anche l’e-learning nei primi anni viene per lo più identificato con un sistema efficiente di trasmissione di contenuti o di lezioni in tempo reale: le lezioni in videoconferenza o la distribuzione di materiali all’interno di specifiche infrastrutture tecnologiche di comunicazione nella rete (più comunemente note come piattaforme) rappresentano la soluzione più frequente: prevale dunque un’accezione erogativa del concetto di e-learning.
Solo dopo qualche anno acquistano risalto orientamenti più sensibili alle specificità del mezzo, volti a offrire soluzioni che mettono al centro uno studente on-line attivo, impegnato in attività di interazione dialogica con i tutors e con gli stessi compagni; si assiste allora a una crescente enfasi verso i modelli dell’apprendimento collaborativo, in linea con i suggerimenti del costruttivismo, un orientamento teorico che vede nella conoscenza un processo di costruzione attiva, situata e socialmente negoziata e che tende a diventare il paradigma di riferimento più frequentemente adottato per l’e-learning.
Negli ultimi anni si affacciano sul web nuove cornici teoriche. Mentre la modalità canonica dell’e-learning strutturato tramite corsi, moduli, piattaforme, tracciamenti, valutazioni, comincia a penetrare nelle istituzioni (e-learning formal), ne affiora una seconda caratterizzata maggiormente da partecipazione interattiva, da forme di condivisione e collaborazione anche estemporanee, che si può in senso lato raccogliere nell’espressione e-learning informal o networked learning.
Non a caso, dal web il suffisso 2.0 comincia a essere utilizzato anche per l’e-learning. Stephen Downes (2005) introduce il termine e-learning 2.0, criticando la visione tradizionale dell’e-learning fondata sulla concezione trasmissiva e gerarchica della conoscenza e sostenendo che l’apprendimento è prima di tutto conversazione, racconto, condivisione; esso si realizza nello spazio globale del web senza le limitazioni introdotte dalle piattaforme, riproposizioni digitali degli ambienti di apprendimento chiusi secondo il modello della scuola che crea uno spazio artificiale separato dalla vita: la vera piattaforma è il web stesso.
Complessivamente, in rapporto anche al diffondersi dei più recenti modelli teorici e in relazione ai cambiamenti più generali cui abbiamo accennato (avvento del web 2.0), nei primi anni del millennio le forme dell’apprendimento in rete (e-learning) vedono un graduale spostamento da modelli tradizionalmente istruttivi, che mettono al centro uno studente sostanzialmente recettore di informazioni e contenuti precedentemente strutturati, verso modelli che pongono al centro un soggetto più attivo che partecipa alla costruzione del suo percorso didattico, con un’accentuazione verso l’apprendimento collaborativo in modalità più o meno informali.
Diffusione dell’e-learning in Italia
A partire dal 21° sec. anche nel nostro Paese si è sviluppato un vasto interesse verso l’e-learning e le opportunità da esso fornite, con un’ampia casistica di volumi pubblicati a cui si aggiungono convegni, eventi espositivi, nascita di associazioni, newsletters e così via.
Alcuni momenti significativi hanno accompagnato e favorito la diffusione dell’e-learning e delle tecnologie in questo periodo. Nel 2002, per es., il Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie è intervenuto con un decreto per favorire l’utilizzo del software a codice aperto (open source) nella pubblica amministrazione. Nel 2003, il Ministero della Salute ha accreditato i providers per la formazione a distanza con lo scopo di potenziarne l’impiego per i professionisti della Sanità.
Il mondo universitario che sino ad allora, tranne specifiche iniziative come il Consorzio Nettuno, aveva trascurato l’educazione a distanza, comincia a essere coinvolto in esperienze di e-learning. Nel 2003 viene varato il decreto sulle università telematiche, noto come legge Moratti-Stanca, su cui si è acceso sin dall’inizio un vivace dibattito: tra le critiche principali quelle di rappresentare un volano per favorire una proliferazione incontrollata di pseudoatenei, di separare l’insegnamento dalla ricerca, di subordinare il concetto di qualità al rispetto di standard di tipo strettamente tecnologico, anche se viene riconosciuto a questa iniziativa il merito di aver sottolineato le potenzialità connesse all’impiego della rete come soluzione rilevante per la formazione universitaria e postuniversitaria del futuro.
Nel 2004, per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici, viene approvata una legge che sancisce il diritto di ciascun individuo a usufruire di tutte le fonti informative nell’ambito della pubblica amministrazione, frutto di una sensibilità che da alcuni anni è andata crescendo anche sulla scia delle azioni sostenute a livello internazionale da organismi come il W3C (World Wide Web Consortium) impegnati a favore del diritto all’accessibilità universale.
Accanto alle azioni legislative, vasto è stato in questi anni il movimento culturale di supporto da parte di commissioni, gruppi di studio, associazioni, sotto forma di produzione di linee guida, definizione di profili professionali, costituzione di osservatori, associazioni culturali; si pensi, solo per fare qualche esempio, alle linee guida per l’e-learning nella pubblica amministrazione prodotte nel 2004 dal CNIPA (Centro Nazionale per l’Informatica nella Pubblica Amministrazione), ai lavori del CEPAS, Certificazione delle professionalità e della formazione, e AIF (Associazione Italiana Formatori) intorno alle figure professionali dell’e-learning, alle numerose iniziative culturali della SIe-L (Società Italiana di e-Learning) o agli atti prodotti dal gruppo di lavoro ministeriale per l’apprendimento permanente attivo nel corso del 2007.
Un primo bilancio critico
Mentre nel primo quinquennio del nuovo secolo in Italia, così come in tutto il mondo occidentale, l’e-learning riceve un’enfasi crescente, penetrando nel linguaggio quotidiano e all’interno di scuola, università, pubblica amministrazione e imprese, nel secondo quinquennio comincia a emergere l’esigenza di una valutazione critica: ci si chiede se le aspettative che l’e-learning ha sollevato siano davvero realistiche. Prende corpo la consapevolezza di alcuni errori e si inizia a spostare l’attenzione su criticità e aspetti che prima erano stati trascurati.
Come già accennato, nei primi anni prevale un’identificazione dell’e-learning come riproduzione sulla rete della didattica in aula, assumendo come riferimento il modello ‘lezione’; da qui la rilevanza del modello espositivo del tipo videoconferenza (in sincrono) o trasmissione di contenuti predisposti. Grande enfasi ha avuto la produzione dei learning objects, ossia di prodotti didattici autosufficienti, riconoscibili attraverso metadati, capitalizzabili, riusabili in contesti diversi, assemblabili in moduli e percorsi didattici individualizzabili; in breve, ha predominato una visione ingegneristica dell’educazione, orientata a soddisfare gli standard tecnologici che consentono di garantire la trasferibilità dei materiali tra le diverse piattaforme e la loro integrabilità, ripercorrendo un tragitto non molto dissimile da quanto accaduto in passato. Altre volte, infatti, nella storia delle tecnologie educative – si pensi all’istruzione programmata o all’intelligenza artificiale – si è ritenuto di ridurre i percorsi educativi alla combinatoria di unità prestrutturate, gestibili in modo automatico dai sistemi tecnologici, non considerando appieno i fattori di contesto che richiedono la necessità di continui adattamenti e riformulazioni.
Ciò ha prodotto investimenti spesso eccessivi e precipitosi nella produzione di contenuti, sottovalutando, all’opposto, l’importanza di poter disporre di tutors esperti nella didattica in rete. Solo gradualmente si viene rivolgendo maggiore attenzione ai fattori umani, all’importanza di una tutorship qualificata e alle potenzialità specifiche della didattica on-line, soprattutto nelle forme interattive asincrone, quali approcci prob-lem based, collaborazione, studio di casi.
Sul piano tecnologico ed economico diversi operatori si sono rivolti inizialmente all’e-learning con aspettative eccessive vedendolo come una modalità più efficiente di impiego dei modelli erogativi già propri dei cosiddetti modelli di seconda generazione (basati sull’erogazione massmediale), capaci di conseguire profitti in virtù di economia di scala. Si è però ben presto capito che l’e-learning non è più economico della formazione a distanza tradizionale e che, sia che si basi su contenuti multimediali predisposti (da produrre o acquistare), sia che si incentri sull’impiego di risorse umane (tutorship on-line da formare), richiede investimenti e impegno tutt’altro che trascurabili.
Oltre all’eccessiva rilevanza data ai contenuti e agli standard tecnici per la loro erogazione, una delle preoccupazioni più frequenti che ha caratterizzato i primi anni è stata quella della scelta del software specializzato, le cosiddette piattaforme: in molti casi si è addirittura pensato che l’intero problema della formazione in rete si riducesse alla scelta della migliore piattaforma di e-learning e sono stati compiuti significativi investimenti in tal senso, scelte che quasi sempre sono poi state abbandonate, spesso con ingenti perdite economiche. In breve si viene scoprendo che attuare un progetto di e-learning non può essere identificato con il semplice trasferimento su un canale diverso di una metodologia tradizionale, ma che esso comporta un ripensamento complessivo del modello didattico, un problema di formazione di nuovi profili professionali coinvolti e di integrazione tra settori e servizi tradizionalmente separati e che si dovrebbe pensare alla strategia e-learning come a una modalità per migliorare la qualità della formazione, offrendo una risposta più flessibile a esigenze complesse, piuttosto che come a un mezzo per conseguire ‘risparmi’.
Ben presto cominciano a diffondersi le soluzioni open anche per l’e-learning. Come noto il mondo open (open source, open access) è fautore di una politica emancipatoria, in contrasto con gli interessi commerciali che predominano nella rete: per la prima volta Internet offrirebbe la possibilità di realizzare quello che è stato un antico sogno dell’umanità, la pansofia, un accesso gratuito, libero al sapere per tutti. La diffusione della filosofia e delle applicazioni del mondo open, a cui si lega l’etica del diritto alla conoscenza universale, rappresenta uno dei fenomeni culturali più rilevanti di questi anni anche se, per ciò che riguarda le implicazioni pratiche, il fenomeno ha maggiore impatto in ambiente anglofono data la prevalenza nel mondo di Internet della lingua inglese.
Gli effetti del movimento open source si sono fatti sentire anche sullo sviluppo di piattaforme come Moodle, Atutor, Docebo, per citare alcuni degli esempi più noti, intorno a cui si sono ben presto aggregate comunità composte da centinaia di sviluppatori e migliaia di utilizzatori diffusi in tutto il mondo e che hanno, di fatto, inferto un duro colpo alle politiche dei produttori commerciali, mostrando altresì la velleità delle numerose esperienze proprie dei primi anni, di piattaforme private create a scopi commerciali. Più recentemente il movimento open si è esteso ai contenuti con l’idea di dar vita a biblioteche universali, frutto dell’integrazione di più contributi. Mentre prende sviluppo la nota Wikipedia, un forte stimolo viene dalla svolta avviata dal MIT (Massachusetts Institute of Technology) che ha deciso di rendere accessibili via rete i propri corsi. Sotto l’impulso di queste iniziative pilota stanno ormai emergendo centinaia di archivi di risorse educative digitali aperte, prodotte da diverse università e organizzazioni che raccolgono corsi e altri materiali informativi e didattici rendendoli di pubblico accesso.
Ulteriori riflessioni emergono sul versante socioculturale: il 90% della popolazione connessa riguarda solo il 10% della popolazione mondiale, il resto vive ai margini dell’universo elettronico delle reti. Anzi, la condizione umana si viene ancor più polarizzando: a un’élite che vive svincolata da limiti spaziali si contrappone una maggioranza che non riesce ad accedere ai servizi essenziali per la stessa sopravvivenza; alle vaste e multiformi comunità extraterritoriali che si generano nel cyberspazio fanno riscontro le folte moltitudini reali della ‘non appartenenza’. Il divario digitale (digital divide) non mostra dunque di venir superato negli anni, lo stesso e-learning non riesce ad andare oltre una certa soglia, anche se sono in corso tentativi di diffusione di tecnologia hardware più semplificata (si pensi al cosiddetto computer da 100 dollari, di cui si è fatto promotore lo stesso MIT). Verso aree e gruppi socioeconomici svantaggiati sembra possedere maggiore pervasività la tecnologia cellulare, motivo che sta alla base di un interesse crescente verso il mobile, proprio di questi ultimi anni.
Da un altro punto di vista, alcuni autori (Moore, Shattuck, Al-Harthi 2005) denunciano l’implicita ideologia occidentalizzante presente nei modelli dominanti di e-learning: dietro le piattaforme e-learning e i modelli didattici che esse incorporano predomina una visione culturale dell’educazione tipica del mondo occidentale, niente affatto sensibile ai tratti del resto del mondo; l’enfasi sull’affermazione personale, su critical thinking, critical inquiry, sui formati e modi dell’autopresentazione in piattaforma rispecchiano i modelli educativi e la visione del mondo occidentale.
Negli ultimi anni le stesse prospettive sollevate dall’e-learning 2.0 e le possibili integrazioni tra e-learning formal e informal stanno diventando un tema critico di riflessione. Se da un lato si tende a riconoscere che la dimensione informale dell’apprendimento non può essere ignorata, si sottolinea dall’altro come l’idea, propria degli orientamenti più radicali, di contrapporre all’e-learning strutturato, la soluzione di un apprendimento spontaneo, emergente dalla complessità della rete stessa, rappresenti una soluzione non esente da criticità: il rischio è quello di una deriva comunicazionale in gran parte soggettivistica, occasionale, centrata narcisisticamente sul sé (blog, autonarrazione) con soluzioni di irrilevanza e dispersione, a scapito di un apprendimento significativo, conseguibile con ragionevole efficienza.
Mentre ci si chiede in questi anni quale possa essere la soluzione integrata (formal/informal) auspicabile per la formazione permanente, appare sempre più evidente che tale soluzione andrà opportunamente diversificata a seconda dei contesti. La dimensione informal ha maggiori probabilità di successo con categorie di persone particolarmente motivate, tecnologicamente esperte, capaci di autogestione e interessate alla stessa innovazione tecnologica, mentre rimane di difficile trasferibilità nella maggior parte degli altri casi: i soggetti necessitano per lo più di soluzioni istruttive finalizzate, conseguibili in tempi brevi, e di tutors o docenti capaci di garantire informazioni affidabili ed efficaci.
Ricaduta sui modelli didattici tradizionali
Ogni innovazione nella tecnologia della comunicazione, oltre ad allargare l’orizzonte di applicazione comunicativa e suggerire nuovi modelli didattici, esercita una ricaduta al proprio interno, favorendo una comprensione più analitica delle stesse modalità che l’hanno preceduta e che continuano a essere impiegate nelle forme tradizionali. La scrittura, per es., ha favorito una maggiore riflessività sul linguaggio orale permettendo di comprenderne analiticamente la struttura lessicale e grammaticale; allo stesso modo la multimedialità ha permesso una migliore comprensione della natura stessa del libro, della sua organizzazione interna e ‘navigabilità’, così come la didattica a distanza nel suo apparire come ambito metodologico e tecnologico specifico ha facilitato la comprensione della relazione educativa e delle soluzioni didattiche che essa può consentire.
Alcune significative riflessioni erano state già avviate alcuni decenni orsono dal pedagogista Michael Moore (n. 1938) che, per primo, ha messo in evidenza il carattere fenomenico della ‘distanza’: esiste una distanza nella presenza, una distanza transazionale e, all’opposto, una prossimità virtuale; la distanza si può ridurre attraverso la dialogizzazione della comunicazione educativa, aspetto che può essere sensibilmente modificato dai nuovi media.
In generale ci si rende ora meglio conto che quello che tradizionalmente è considerato il formato ideale per la didattica, il rapporto faccia a faccia, non sempre lo è perché esso comporta, al di là delle difficoltà e dei costi richiesti dalla necessità di essere tutti nello stesso posto allo stesso tempo, una serie di vincoli e limitazioni: quando si è in presenza la comunicazione è necessariamente sequenziale con possibilità di condivisione e collaborazione assai ristrette. Si comprende anche perché modelli educativi o di apprendimento che in passato sono stati proposti come alternativi alla forma della lezione espositiva, di fatto abbiano scarsamente attecchito nella didattica in presenza: si pensi a quelli che necessitano di una forma di individualizzazione dell’apprendimento, che diventa di difficile realizzazione senza un sistema tecnologico di supporto, o alle tecniche basate sul problem solving, che richiedono tempi lunghi di elaborazione, debordanti di norma dai vincoli temporali consentiti dalle ore di attività in aula; si pensi, infine, alle forme di apprendimento collaborativo che per evidenti motivi logistici rimangono difficilmente attuabili all’interno di uno stesso spazio fisico.
La distanza nel suo complesso può rappresentare inoltre un’interessante opportunità per favorire autonomia e personalizzazione. Essa mette al centro l’allievo e la flessibilità dei percorsi, la dimensione collaborativa e, nella sua più recente versione, se pur con i limiti precedentemente indicati, anche dimensioni emergenti caratterizzate da spontaneità, imprevedibilità, scoperta estemporanea.
Integrazione di nuove pratiche di apprendimento nella didattica ordinaria
Mentre il concetto di educazione a distanza balza in primo piano, si avvia il processo della sua ‘naturalizzazione’: la tecnologia per gestire la distanza (la rete) è sempre meno avvertita come apparato estraneo, artificioso, occasionale, volto a compensare una situazione di difetto di specifiche categorie in difficoltà; essa si afferma come condizione essenziale, propria della quotidianità didattica, e si integra con l’esperienza educativa ordinaria.
Mentre prossimità fisica e prossimità virtuale si vengono confondendo, pratiche e settori separati si intersecano: apprendimento, lavoro e intrattenimento si sovrappongono, per molti aspetti si rendono meno distinguibili.
La naturalizzazione e l’integrazione dell’educazione a distanza nelle istituzioni formative e lavorative comportano una ri-mediazione, una riconfigurazione di modelli e media che tira in causa i concetti stessi di apprendimento, comunicazione e conoscenza. Il concetto di mobile learning ha iniziato a concretizzarsi attraverso la disponibilità di dispositivi idonei (palmari, smartphone ecc.); essi aprono la strada a nuove opportunità a metà tra informazione e apprendimento. Le tecnologie diventano più piccole, più personalizzate e permettono di attuare modelli didattici info-learn. Rispetto ai canoni di formazione tradizionale caratterizzati dalla fruizione di interi corsi, si diffondono forme di apprendimento in cui sono gli eventi della vita a guidare i ritmi e le modalità di sviluppo di nuove acquisizioni; la formazione si attua nello stesso contesto in cui il problema si presenta, assume non solo il carattere di risposta a un quesito ma anche di aiuto alla sua soluzione nell’ambito abituale di lavoro, e il materiale formativo è agile, puntuale e circoscritto.
E-learning e integrazione nelle istituzioni per l’alta formazione
Nei primi anni del nuovo secolo l’e-learning comincia a esercitare un impatto crescente anche nelle istituzioni relative alla formazione adulta (università, formazione post lauream, formazione professionale e aziendale). In questo periodo oltre il 90% delle università americane eroga attività educative a distanza o in modalità singola (solo distance education) o duale (corsi a distanza accanto a quelli tradizionali). Nell’unica indagine sistematica esistente per il nostro Paese, attuata dalla CRUI (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) all’interno del progetto ELUE (E-Learning and University Education), il 64% delle 59 università interpellate (il 75% del totale) dichiara che è presente una politica universitaria sull’e-learning, ma da una valutazione analitica delle esperienze risulta che «il processo di diffusione delle nuove metodologie didattiche che ricorrono all’uso di ICT sta prendendo piede in massima parte attraverso processi di tipo bottom up che danno vita all’interno delle università ad una pluralità di esperienze spesso scaturite dalla spinta innovatrice di singoli docenti» (CRUI, ELUE 2006, p. 138).
Negli ultimi anni le università sembrano voler incorporare la distanza nei corsi ordinari con uno spostamento di accento a favore di un’unica modalità in cui distanza e presenza si intersecano; in pratica la maggior parte degli interventi formativi, a partire dal livello universitario, si caratterizza ormai per una particolare integrazione di didattica in presenza e didattica on-line, la cosiddetta modalità combinata o blended; il particolare dosaggio dipende da vari fattori, ma ormai tutte le istituzioni sono sottoposte a questo processo di riconfigurazione.
Non è ancora chiaro se all’interno delle istituzioni universitarie la presenza sempre più diffusa dell’e-learning si accompagnerà nei prossimi anni anche a un più generale ripensamento sulla natura e finalità della università stessa, se in qualche modo ciò comporterà soluzioni organizzative in grado di incorporare più profondamente i nuovi modelli di produzione collaborativa del sapere propri di una società globalizzata o di accogliere la sfida della formazione continua, aprendosi a dimensioni a essa tradizionalmente estranee quale quella rappresentata dagli apprendimenti informali.
Un processo in fieri
Il senso della complessità dell’apprendimento e della profondità dei processi che ne stanno alla base è un dato caratteristico e cruciale del nostro tempo; le dinamiche a esso sottese appaiono più profonde e imprevedibili rispetto a come apparivano nelle interpretazioni psicologiche delle teorie classiche.
L’educazione tradizionale metteva al centro la trasmissione da docente ad allievo, la centralità di saperi strutturati predefiniti, i criteri di valutazione eterodiretti. Questa educazione si attuava in determinati momenti della vita (infanzia e adolescenza) e in specifiche istituzioni (scuola, università).
I nuovi modelli vedono un allargamento del processo formativo per tutta la vita non solo all’interno delle istituzioni finalizzate all’insegnamento, ma dovunque, in ogni momento anche in forme imprevedibili (serendipity). Oltre a ciò, è la concezione stessa della conoscenza coinvolta che cambia; esiste anche una conoscenza informale, emozionale, tacita che mal si descrive e che rimane incorporata nei modelli fisici che si imitano e nei problemi che si risolvono; rispetto a saperi e conoscenze, si privilegiano le competenze intese come applicazione di saperi e abilità in contesti reali e sociali di problem solving.
Il concetto di educazione a distanza giunge alla ribalta negli ultimi anni dello scorso secolo, sulla base della necessità di far fronte a nuove esigenze della formazione proprie di una società in cui il valore della conoscenza appare decisivo; la sua fortuna si lega al fatto di coniugare il proprio destino con quello della rete: all’inizio del nuovo millennio è il mondo dell’e-learning che si presenta come un punto d’incontro decisivo tra tecnologia della comunicazione in rete ed educazione e che riassume in sé le criticità e le aspettative tipiche di questo rapporto.
L’e-learning incorpora gran parte delle problematiche che all’inizio di questo secolo investono sia il mondo della comunicazione, sia quello dell’educazione; nel mettere in campo il proprio strumentario tecnico e metodologico si coniuga con una riflessione più ampia sulla natura della conoscenza e sulla sua costruzione, spinge a un ripensamento sui formati propri dell’educazione tradizionale, favorisce nuove pratiche e stili di apprendimento/lavoro, si compenetra in nuovi modelli e istituzioni per la formazione continua.
Nel frattempo si avvia anche la naturalizzazione dell’educazione a distanza. Ciò significa che questa metodologia si presenta come condizione propria della quotidianità didattica: ricade sulla presenza, si ibrida con essa; il blending, la mistura presenza/virtualità, sembra ormai proporsi come il tratto caratterizzante, come il futuro della formazione a partire dal livello universitario.
La naturalizzazione e l’integrazione dell’educazione a distanza nelle istituzioni formative comportano una ri-mediazione, ossia una riconfigurazione all’interno di un processo che tira in causa i concetti stessi di apprendimento e conoscenza.
Il mondo contemporaneo ci mette dinanzi a una profonda e pervasiva penetrazione delle tecnologie nella vita quotidiana che si accompagna ad ampi e continui processi di contaminazione; apprendimento e lavoro, apprendimento formale e informale si intersecano e sovrappongono; i connotati e le potenzialità dell’e-learning, esempio evidente dell’incrocio tra tecnologia comunicativa ed educazione, sono lungi dall’essersi manifestati appieno, sono destinati a riformularsi in un processo di riconfigurazione che non è tuttora pervenuto a una soluzione definitiva.
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