Dalla legge veneziana del 1474 alle privative industriali
La storia dei brevetti nel nostro Paese è complessa, e vanta nobili origini. Il 19 marzo 1474, nella Repubblica di Venezia, venne promulgato lo Statuto dei brevetti, accompagnato da queste parole:
Abbiamo fra noi uomini di grande ingegno, atti ad inventare e scoprire dispositivi ingegnosi: ed è in vista della grandezza e della virtù della nostra città che cercheremo di far arrivare qui sempre più uomini di tale specie ogni giorno.
Negli anni e nei secoli seguenti, agli inventori furono riservate attenzioni tra loro assai diverse, per lo più regolate da contratti di natura privata.
Con l’istituzione delle grandi accademie ‘reali’ delle scienze, tra cui spiccarono in Inghilterra la Royal society (1662) e a Parigi l’Académie royale des sciences (1666), la vigilanza sull’innovazione tecnologica e sulle ‘invenzioni’ divenne finalmente un ‘affare pubblico’ gestito da apposite commissioni di scienziati. L’Accademia delle scienze di Torino, nata un secolo più tardi, fu attenta sin dalle sue origini a «procurare qualche reale vantaggio alla Comune Società», come si poteva leggere nell’art. 3 del suo Regolamento annesso alle lettere patenti del 25 luglio 1783, e l’attenzione per le innovazioni e la concessione di ‘privilegi industriali’ via via divenne una delle sue più importanti attività istituzionali nei rapporti con la società.
I brevetti dovrebbero essere esaminati nel loro pieno inserimento nei contesti legislativi, da un lato, e culturali, dall’altro. Anche se la discussione circa il loro valore come oggettivo indicatore dell’innovazione di un’impresa o di un’intera comunità porterebbe il discorso al di là delle finalità di questo intervento, bisogna riconoscere che la loro importanza storica risiede principalmente nell’essere uno specchio dei processi innovativi, delle tensioni culturali, ma anche dello stesso contesto sociale che li ha visti nascere.
I recenti studi in materia, sia nello specifico di alcune categorie merceologiche sia nella globalità del riflesso internazionale, hanno sottolineato l’importanza che queste pratiche amministrative rivestono per lo storico. Le recenti ricerche condotte nel nostro Paese intorno ai consistenti depositi dell’Archivio centrale dello Stato hanno stimolato anche presso le realtà locali, e in specie nelle Camere di commercio, l’interesse a documentare i propri fondi archivistici. Sotto questo aspetto i brevetti relativi ai marchi di fabbrica, da un lato, e agli oggetti di design, dall’altro, hanno aperto anche al grande pubblico una finestra di notevole interesse e di forte impatto comunicativo.
Caratteristiche del moderno istituto del brevetto
Sono ormai condivise generalmente alcune caratteristiche comuni all’istituto del brevetto modernamente inteso. La tendenza generale è quella che mira alla cosiddetta armonizzazione, cioè alla condizione di allineamento di tali caratteristiche nei vari Stati. In particolare, le tre comuni e condivise da tutti gli Stati sono: novità, livello inventivo e industrialità, cioè possibilità di applicazione industriale.
Per novità s’intende che l’oggetto peculiare dell’invenzione non era noto in precedenza e, in particolare, che non è mai stato descritto pubblicamente né a voce, né per iscritto in qualsiasi lingua e in qualsiasi località del mondo: questa è una caratteristica oggettiva in quanto comprovabile in modo documentale ed è quindi anche identificata come novità estrinseca.
Per livello inventivo s’intende che l’oggetto dell’invenzione che si vuole brevettare non è un’ovvia derivazione di quanto già noto, alla portata senza sforzo eccessivo di un comune tecnico nel proprio ramo di specializzazione. La valutazione di questo aspetto è opinabile e dipende dalle caratteristiche di luogo e soprattutto di tempo in cui l’invenzione da brevettare viene proposta: come tale è un aspetto soggettivo, cioè non è incontrovertibile ed è oggetto di attenta valutazione. Viene spesso identificato come novità intrinseca.
Per industrialità s’intende che l’oggetto dell’invenzione è suscettibile di applicazione industriale, di qualsiasi tipo essa sia; non è possibile proteggere con il brevetto presunte invenzioni che non potranno mai trovare applicazione industriale come, per es., i dispositivi o le macchine che pretendono di implementare il cosiddetto moto perpetuo interdetto dalle leggi della fisica.
Oltre a questi tre principi fondamentali, essenziali e universalmente condivisi, vi sono altre implicazioni quasi sempre presenti nelle varie legislazioni nazionali, sia pure a volte con caratteristiche diverse. Non intendendo fare qui un trattato sui brevetti, questi ulteriori principi vengono richiamati e catalogati semplicemente perché consentono di comprendere meglio il significato della loro rispettiva evoluzione temporale e geografica, con particolare riferimento all’Italia.
Si parla pertanto, con riferimento alle prescrizioni brevettuali e in generale alle disposizioni legislative di tipo brevettuale, di territorialità, di durata e tasse di mantenimento, di registri e di pubblicazione dei brevetti medesimi.
Per quanto riguarda il primo punto, la validità dei diritti esclusivi che il brevetto comporta è sempre limitata territorialmente ai confini di uno Stato, di una federazione di Stati, come, per es., gli Stati Uniti, oppure di una regione genericamente intesa, come, per es., i Paesi della Comunità europea. L’espressione comunemente ricorrente di brevetto internazionale non vuole infatti significare un brevetto valido in tutto il mondo, ma una particolare procedura di esame dei brevetti, denominata PCT (Patent Cooperation Treaty). A differenza dei marchi, la cui durata è sempre rinnovabile, in tutto il mondo la validità dei brevetti è limitata nel tempo; lo standard attuale per quasi tutti i Paesi è di 20 anni a partire dalla data di deposito della domanda di brevetto, ma possono esservi delle diversità di durata Stato per Stato. Per es., negli Stati Uniti fino a qualche anno fa la durata del brevetto era di 15-17 anni dalla sua concessione. In ogni caso, per tutti gli Stati vige l’obbligo del versamento di tasse di mantenimento in vita del brevetto, con decorso di solito annuale e andamento che può differire da un Paese all’altro. Per ciascuno Stato, o organizzazione regionale di Stati, sono previste determinate procedure amministrative che presiedono al deposito, all’esame, alla concessione e alla revoca del brevetto. I brevetti rilasciati da ciascuno Stato vengono raccolti in un apposito registro ufficiale. Bisogna infine ricordare che il brevetto rilasciato dev’essere in qualche modo pubblicato, per fare onore alla sua denominazione di patente, ovvero di documento che si deve «rendere pubblico» (dal latino patere).
Criteri basilari della moderna concezione di brevetto
Storicamente l’istituto del brevetto si basa su un’impostazione di scambio tra l’autorità dello Stato e l’inventore. La tutela legale che l’amministrazione pubblica offre all’inventore in cambio della rivelazione della propria invenzione, conseguente alla descrizione scritta dell’invenzione e alla sua registrazione in un Pubblico registro che dà luogo a un brevetto d’invenzione, è sempre di natura esclusiva (jus excludendi alios); è limitata nel tempo; comporta il versamento di determinate tasse di deposito, esame e mantenimento in vita del brevetto; a fronte di valido brevetto, offre una protezione cautelare molto forte e immediatamente godibile in caso di contraffazione.
La forza di questa protezione si esplica nelle misure cautelari (descrizione, sequestro, inibitoria) irrogate dal magistrato praticamente all’atto della denuncia e, a volte, senza neanche preavvertire il presunto contraffattore (inaudita altera parte); si agisce cioè efficacemente senza dover aspettare l’esito finale dell’eventuale futura causa e la relativa sentenza passata in giudicato: una tale tempestività di intervento legale a difesa dei diritti di un inventore, o meglio del titolare di un brevetto di invenzione che può coincidere o meno con lo stesso inventore, non ha eguali in ambito legislativo.
Le procedure moderne
L’evoluzione delle cosiddette pratiche amministrative del brevetto (ovverosia deposito o registrazione, esame, concessione ed eventuale opposizione) nei vari Stati, e in particolare in Italia, può essere meglio compresa se viene confrontata con quanto avviene attualmente.
L’iter ufficiale del brevetto comincia con il deposito della domanda, atto amministrativo che comporta la stesura di una descrizione scritta dell’invenzione, completa di titolo, riassunto, eventuali disegni e delle cosiddette rivendicazioni; l’adeguatezza della descrizione dev’essere tale che un tecnico esperto nel ramo relativo all’invenzione possa essere messo in grado di realizzarla. La data di deposito della domanda è un aspetto cruciale, perché costituisce prova certa dell’inizio del diritto di esclusiva (first to file) del brevetto che seguirà a rilascio avvenuto. Per es., negli Stati Uniti, prima del 16 marzo 2013, questo diritto poteva essere retrocesso fino al massimo di un anno, se l’inventore era in grado di dimostrare inoppugnabilmente di essere arrivato a formulare, eventualmente nei suoi appunti personali, l’invenzione prima di averla depositata (first to invent).
Secondo elemento da tenere presente è il titolare del brevetto e inventore: il titolare (o i titolari se sono più di uno) del brevetto è la persona che detiene i diritti di godimento in esclusiva dell’invenzione descritta nel brevetto. L’inventore è la persona che ha avuto l’idea di soluzione che costituisce l’oggetto del brevetto. In molti casi le due figure sono coincidenti nella stessa persona che ha avuto l’idea e l’ha brevettata a proprio nome: solo in questo caso si può parlare indifferentemente di titolare e di inventore.
Segue poi l’esame della domanda di brevetto: l’esame, svolto da un apposito ufficio dell’amministrazione statale, può essere formale oppure sostanziale. L’esame formale, come avveniva in passato in Italia, consiste semplicemente in una verifica di regolarità formale della pratica di deposito della domanda di brevetto. L’esame sostanziale, che comunque è sempre preceduto automaticamente da un esame formale, consiste nella verifica da parte di un esaminatore della presenza nella domanda di brevetto dei tre requisiti fondamentali di novità, livello inventivo e industrialità, oltre che del requisito di sufficienza di descrizione.
Importanti sono anche le pubblicazioni di domanda e di brevetto: è attualmente abbastanza consolidato e universalmente diffuso il criterio che la pubblicazione, reale o solamente di libero accesso, della domanda di brevetto avvenga 18 mesi dopo la data di deposito, a meno che non intervenga la richiesta di pubblicazione anticipata da parte del titolare, che comunque non può avvenire prima dei tre mesi dal deposito. Una volta concesso, il brevetto dev’essere pubblicato e reso noto a chiunque; il termine inglese patent, derivato dal latino, usato per indicare il brevetto, significa proprio reso noto.
Se l’esame ha avuto esito positivo e la domanda di brevetto, eventualmente modificata durante l’esame, è stata accettata, si ottiene il rilascio, o concessione, del brevetto; a seconda dei vari ordinamenti statali o regionali, il rilascio può essere provvisorio o direttamente definitivo.
Viene considerato anche lo sfruttamento (enforcement) del brevetto: un brevetto valido che riguardi sia un prodotto sia un procedimento industriale può, anzi in un certo senso deve, essere sfruttato commercialmente in regime di esclusività nei territori nei quali è stato esteso. Le disposizioni di legge comunemente diffuse aprono allo sfruttamento dell’invenzione brevettata e se il titolare del brevetto non lo ha fatto entro tre o quattro anni, rispettivamente dal rilascio o dal deposito del brevetto, chiunque può sostituirlo chiedendo all’amministrazione statale e ottenendone una licenza obbligatoria, sia pure onerosa.
Infine, va tenuta presente l’espropriazione per pubblica utilità: l’autorità dello Stato che ha concesso il brevetto, in alcuni casi anche prima della concessione quando intervengano situazioni di strategia militare, può disporre l’espropriazione per pubblica utilità, sempre a titolo oneroso, del brevetto e anche imporre al titolare e all’inventore il regime di segreto militare sull’invenzione.
Privilegi concessi agli inventori sul territorio italiano prima del 1474
Prima di esaminare nel dettaglio la legge veneziana del 1474, che senza alcuna ombra di dubbio costituisce un primato a livello mondiale di legislazione brevettuale, può essere interessante dare uno sguardo ad alcune anticipazioni nel territorio attuale italiano che preludono in modo approssimato, ma significativo, alle successive logiche evoluzioni dei diritti degli inventori.
In generale si tratta di privilegi concessi dall’autorità locale a singoli individui per premiarli e incoraggiare gli stessi destinatari del privilegio e tutti gli altri a proporre soluzioni ingegnose.
Il codice Marciano greco, conservato nella Biblioteca Marciana di Venezia, riporta un singolare editto erga omnes che risale al 7°-6° sec. avanti Cristo. La Biblioteca Marciana è la biblioteca governativa di Venezia, fra le più ricche e prestigiose del mondo; il suo nome deriva dal fatto che il primo nucleo della stessa biblioteca, costituito dai novecento manoscritti donati alla città di Venezia dal cardinale Bessarione nel 1468, fu inizialmente collocato nella basilica di S. Marco. Secondo questo manoscritto, la città di Sibari, nella Magna Grecia, concedeva qualcosa di più di un privilegio, perché la disposizione, con le caratteristiche di legge, era rivolta non a una determinata persona, circostanza che identifica il privilegio, ma indistintamente a cucinieri che si fossero distinti nell’ideazione di originali ed elaborate ricette culinarie. La traduzione del testo greco suona così:
Se uno dei cucinieri o dei cuochi inventa un piatto originale ed elaborato, a nessun altro è concesso utilizzare la ricetta se non all’inventore stesso prima che sia trascorso un anno, e così, a chi per primo l’abbia inventata sia riservato di trarne profitto durante il suddetto periodo; ciò affinché gli altri, dandosi da fare essi stessi, si segnalino per invenzioni di tal genere.
Se, alla luce delle premesse fatte, esaminiamo questo dispositivo di legge sibarita vi notiamo fondamentali caratteristiche anticipatorie della moderna istituzione brevettuale. Tra queste l’erga omnes: sebbene i destinatari espressi nel dispositivo siano i cucinieri, questo non limita di per sé la fruizione a una determinata categoria, ma conserva la generalità della situazione: chi propone una ricetta originale ed elaborata è di fatto un cuciniere.
Vi è poi il concetto di novità: il significato di originale è ovvio, deve trattarsi di cosa non nota e quindi nuova (novità estrinseca).
Importante è pure il livello inventivo: la parola elaborato tradisce il concetto che non deve trattarsi di una banale derivazione da ricette già note o di semplici cose alla portata di tutti; ci dev’essere un quid di inventivo sia nella proposizione degli ingredienti, sia nel procedimento di esecuzione della ricetta (novità intrinseca).
La legge teneva in conto anche l’esclusività e la durata: il beneficio era limitato a un solo anno; si intendeva che, trascorso questo periodo, chiunque poteva utilizzare la ricetta, il che lascia intravedere il beneficio pubblico che deriva dalla concessione di questa esclusività temporanea.
Un altro fattore era l’incentivazione: è interessante notare la finalità bene espressa di progresso, diremmo tecnico, che la concessione del beneficio si propone per il vantaggio collettivo: «affinché gli altri, dandosi da fare essi stessi, si segnalino per invenzioni di tal genere».
Non è dato sapere, dal contenuto del brano che ci è pervenuto, se fosse previsto, come d’altronde sembra probabile, un obbligo di registrazione pubblica della ricetta a fronte del beneficio di esclusività concesso per un anno; né se agli eventuali contraffattori fosse comminata una qualche ammenda. Non sappiamo neanche se l’inventore della ricetta dovesse versare un tributo alla città di Sibari per il riconoscimento dell’invenzione, oppure se fosse concesso gratuitamente. Questi ultimi sono grossolanamente i soli elementi che non trovano riscontro rispetto alle regolamentazioni attuali in ambito brevettuale.
La legge veneziana del 1474 è l’archetipo più prossimo alle moderne leggi sui brevetti. Il 19 marzo 1474 il Senato della Repubblica di Venezia, con 119 voti a favore, 10 contrari, 3 astenuti (qualificati «non sinceri»), emanò questa legge destinata indistintamente a tutti i cittadini della Repubblica, ma con lo scopo recondito di cogliere l’occasione per incentivare e premiare un certo Giovanni Tedesco che si era dimostrato in grado di introdurre a Venezia l’arte della stampa, piuttosto rara e preziosa a quel tempo.
Va doverosamente rilevato, infatti, che il primo approssimativo documento di Johann Gutenberg sul suo innovativo processo di stampa inventato a Strasburgo risale al 1439 e che allora la diffusione delle informazioni e delle conoscenze era ben lungi da quella attuale. Le copie delle opere manoscritte erano affidate agli amanuensi, per lo più pazienti monaci, con forti rischi di errori di copiatura e di propagazione di errore che si verifica quando da una copia se ne ricava un’altra e così via.
La legge veneziana del 1474, il cui originale è conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia (Senato Terra, Reg. 7, c. 32; cfr. Sordelli, in La legge veneziana sulle invenzioni, 1974, pp. IV-V), non è di facile lettura e una sua ‘traduzione’ in termini più attuali permetterà di esaminare nei dettagli i diversi aspetti che questo straordinario documento manifesta; aspetti e situazioni che costituiscono una pietra miliare per la successiva evoluzione del diritto della proprietà industriale non solamente in Italia. Il documento assegna all’Italia l’assoluto primato mondiale di regolamentazione legale erga omnes dei diritti di proprietà industriale (IPRs, Intellectual Property Rights). Sorprendentemente, tutti i moderni principi di proprietà industriale sono racchiusi nelle poche semplici righe della legge veneziana: novità; livello inventivo; industrialità; registrazione; uso esclusivo; limiti di tempo; condanne ai contraffattori; risarcimento del danno; privilegi dello Stato.
La prima frase, il preambolo della legge veneziana, enuclea il principio basilare dell’istituto stesso della proprietà industriale, sostanzialmente:
La città di Venezia, per la sua grandezza e la sua liberalità, attira da diverse parti del mondo e ospita persone di acutissimo ingegno, capaci di escogitare e realizzare ingegnosi artifici. Se fosse possibile garantire a queste persone che è proibito agli altri di copiare, una volta visti, questi artifici, usurpando all’inventore in questo modo il vantaggio e l’onore della scoperta, queste persone potrebbero esercitare liberamente il loro ingegno e potrebbero trovare e realizzare delle cose che sarebbero di non poca utilità e beneficio per la Repubblica di Venezia.
L’aspetto fondamentale consiste nel fatto di garantire all’inventore che non si rifugia nel segreto per paura di essere copiato il diritto di godimento in esclusiva (jus excludendi alios) della sua invenzione in modo da trarne beneficio lui stesso e, allo stesso tempo, da incentivare nel territorio il progresso tecnico che deriva dalle diverse invenzioni che possono in tal modo essere stimolate, ma soprattutto il beneficio di utilità pubblica che ne ricava lo Stato in cui l’inventore risiede.
La frase di chiusura del dispositivo di legge veneziano garantisce alla Repubblica di Venezia l’uso a suo piacimento, ma sottinteso per pubblica utilità, delle invenzioni che in generale essa tutela: un autentico esproprio per pubblica utilità. La specificazione delle invenzioni in «artificij et instrumenti», che prima non compariva, sembra voler fare chiaramente allusione a quelli che oggi vengono identificati come prodotti e procedimenti brevettati.
Merita il giusto rilievo la finezza giuridica dell’ultima frase, che sembra delimitare l’applicazione dell’istituto dell’esproprio per pubblica utilità in modo tale da impedire abusi e soprusi autoritari. La frase «cum questa però condition, che altri cha i autori non li possi exercitar» sembra voler sancire che, anche nel caso di esproprio nominale dell’invenzione da parte della Repubblica, a produrre gli artifici e ad applicare i procedimenti non possano essere altri che gli stessi inventori: in una parola, l’inventore continua lo sfruttamento della propria invenzione, ma esclusivamente per la Repubblica di Venezia… si spera con adeguata remunerazione.
Privilegi ad personam
Sporadicamente anche prima del 1474, ma soprattutto dopo e, in particolare, successivamente al 1623 (anno dello Statuto di monopoli inglese), viene riscontrato in Italia e nel mondo un elevato numero di privilegi, come tali accordati caso per caso, spesso come conseguenza di una ‘supplica’ e comunque a completa e insindacabile discrezione delle autorità locali costituite.
Persino nella stessa Repubblica di Venezia, dopo il 1474 si riscontrano diversi casi di concessione di privilegi elargiti caso per caso, ad personam, assieme a concessioni di privilegi come espressione di diritto, secondo la cosiddetta «parte», cioè la legge già esaminata del 19 marzo 1474 (cfr. Sordelli, in La legge veneziana sulle invenzioni, 1974, pp. 277-90).
L’elemento interessante che sembra emergere dall’esame dei vari privilegi concessi dalla Repubblica di Venezia entro il 1595 consiste nel fatto che i privilegi ad personam continuano a essere erogati da parte del Senato della Repubblica veneta; mentre i privilegi di diritto, quelli cioè emessi secondo i dettami della «parte», vengono concessi da un’autorità minore: i «Provveditori di Commun». Questo non vuole affatto significare che la splendida delibera legislativa della «parte» non avesse trovato piena applicazione dopo il 1474; ma semplicemente che non ebbe un’applicazione ‘esclusiva’, come sarebbe avvenuto in tempi moderni a valle della promulgazione di una qualsiasi legge.
Occorre fare riferimento alla realtà storica e giuridica di Venezia durante tutto quel periodo: il Senato concentrava tutti i poteri e aveva la tendenza a decidere tutte le questioni economiche, indipendentemente dall’esistenza di leggi. Inoltre il Senato era lo stesso organo che aveva creato la legge e poteva anche ritenersi libero di derogarvi, di sospenderla e di escluderla, tanto più che a quel tempo anche l’emanazione di un privilegio aveva forma di legge e carattere sostanzialmente amministrativo (Sordelli, in La legge veneziana sulle invenzioni, 1974, p. 280).
Resta il fatto che comunque i privilegi emessi dopo il 1474 sia dal Senato, sia dai Provveditori di Commun, rispecchiano sostanzialmente tutte le caratteristiche della «parte», con l’unica eccezione della diversa durata che varia da cinque a venticinque anni e della previsione di un breve periodo di pochi mesi per realizzare il dispositivo oggetto del privilegio e dimostrare la sua effettiva funzionalità a pena della perdita del privilegio.
Il Consiglio del Senato di Venezia, infatti, nel concedere un privilegio usava imporre al richiedente l’obbligo di dimostrare nei fatti, entro un breve e definito periodo di tempo, l’effettiva funzionalità del dispositivo oggetto del privilegio; magnifica salvaguardia, soprattutto nei casi di privilegi concessi per mirabolanti «artifizij» che pretendono di utilizzare il ‘moto perpetuo’.
Il 5 dicembre 1549 il Senato di Venezia concedeva un privilegio per venticinque anni a «Francesco de Mazi Veronese e Consorti» per un macchinario per macinare, «novo modo di far edificij de molini», che funzionava con il moto perpetuo e cioè «senza acqua, vento, homini et cavalli […] con un continuo moto giorno et note masenar si potrà bona summa de formenti, et altre sorte biave». È perentorio l’obbligo imposto dal Senato di Venezia ai beneficiari, «li quali però siano tenuti fabricare a tutte sue spese et dar in luce fra termine de mesi quattro tal sorte di edificij» (Senato Terra, Reg. 36, c. 174).
Il 27 giugno 1520 il Senato accorda a tal «Hieronimo da Niça» un privilegio per venticinque anni per
fare, et far far ingegni et hedificij, si da masenar, segar, folar, cavar, subtigliar arzento dorado et ogni altra cossa […] cum questa conditione che per el far del edificio sopraditto el non vegni a noxere […] e se da mò a mesi sei el non haverà facto lo edificio preditto la presente concessione sia de niun valore (Senato Terra, Reg. 21, c. 129).
Sporadiche e isolate sono le concessioni con carattere di ‘privative industriali’ verificatesi nei vari luoghi dell’Italia rinascimentale prima, e risorgimentale poi.
Una trattazione a parte per la loro massiccia importanza meritano le ‘privative’ con il nome di regie patenti (v. oltre), concesse in Piemonte e nell’Italia preunitaria dai Savoia.
Molto interessanti sono anche le Disposizioni generali emesse a Milano nel 1821 da parte dell’impero austroungarico per la normalizzazione e la regolamentazione delle concessioni «dei privilegi esclusivi»; ne fa fede un editto di Francesco I dell’8 dicembre 1820, pubblicato ufficialmente «dall’Imp. Regia Stamperia di Milano dall’I.R. Governo di Lombardia» nella prima parte della raccolta di Patenti e notificazioni che spazia dal primo gennaio al 30 giugno del 1821 (I.R. Governo di Lombardia 1821).
Nell’Italia preunitaria, dal 14° al 17° sec., si ha notizia dell’esistenza di alcuni privilegi per la fabbricazione, l’utilizzazione e l’uso di apparecchiature, quasi esclusivamente di tipo meccanico, concessi dalle autorità locali a persone qualificate delle arti e dei mestieri.
Non risulta che il fenomeno dei privilegi sia già stato indagato e mappato adeguatamente su tutto il territorio italiano; oltre alla copiosa documentazione che riguarda lo Stato sabaudo, che merita un approfondimento a parte (per il quale v. oltre), le notizie che ci sono pervenute sono relative alla Toscana, e in particolare alla Signoria di Firenze; allo Stato Pontificio, e in particolare a Roma; alla Lombardia sotto l’impero austroungarico. Varrebbe la pena di indagare, per es., il Regno delle Due Sicilie, la Sardegna, con i suoi Giudicati del 15° sec., quali l’Arborea, la Gallura, il Logudoro e il Calari.
La chiatta di Brunelleschi
Si ha notizia che a Firenze nel 1421 Filippo Brunelleschi ottenne dalla Signoria un privilegio esclusivo della durata di tre anni per la costruzione e l’uso di una chiatta munita di paranco, che sembra potersi identificare con il cosiddetto Badalone, adatta al sollevamento e al trasporto fluviale di blocchi di marmo.
Il privilegio della Signoria a Brunelleschi, datato 19 giugno 1421, prevedeva alcuni aspetti, molto interessanti in assoluto per la proprietà industriale: prima di tutto veniva data facoltà a qualunque ufficiale fiorentino, ivi compreso chiunque avesse l’incarico di sorveglianza e di controllo dei corsi d’acqua nel territorio, di sequestrare e letteralmente bruciare, anche di propria iniziativa, qualunque imbarcazione che facesse servizio di trasporto e che in qualche modo costituisse una contraffazione della chiatta di Brunelleschi. Inoltre, al contraffattore veniva comminata una pesante multa; infine, veniva concesso a Brunelleschi di sfruttare la sua invenzione anche per mezzo dell’istituto della licenza a terzi, che doveva essere attestata da regolare contratto notarile nell’interesse del licenziatario, che altrimenti avrebbe rischiato il sequestro e la distruzione del natante.
Il privilegio pontificio sull’arte molitoria a Pompeo Targone
Risale al 6 marzo 1601 un Privilegio pontificio, un Bando, che concede a un certo Pompeo Targone il privilegio a tempo indeterminato per l’introduzione e l’uso in Roma e nello Stato Pontificio di un nuovo ed efficiente sistema per incrementare la produzione di macinato di cereali in un mulino ad acqua o ad aria.
Il Bando prevede la registrazione dell’invenzione («propalato a Noi quella invenzione»); la remunerazione all’inventore, di valore non definito e gratifica una tantum («emolumenti concessigli da Sua Beatitudine per suo Breve dato in Roma, sotto il dì di nove Settembre 1600»); la pubblicazione come affissione alle Porte della Camera apostolica, in Campo de’ Fiori, alle porte delle chiese maggiori e in tutti i luoghi soliti; la validità dell’esclusiva che ha efficacia dopo la divulgazione del privilegio: («dopo la pubblicazione»); una multa di 1000 scudi al contraffattore, suddivisi in 400 scudi alla Reverenda camera apostolica, 300 scudi all’accusatore (probabilmente all’avvocato o al delatore della contraffazione), 300 scudi all’inventore Pompeo Targone, pene corporali al contraffattore ad arbitrio pontificio («oltre le pene corporali ad arbitrio nostro») e infine la responsabilità indiretta: («ai padroni per i garzoni»).
Le regie patenti
I cosiddetti privilegi sovrani, presenti nel territorio italiano anche preunitario con la denominazione di regie patenti e diffusi in molti Stati esteri, costituivano una figura tipica di concessione autoritaria di licenza esclusiva per produrre, commercializzare e usare oggetti realizzati con tecniche di nuova concezione, a volte importate da altri Stati, ivi compresi i relativi procedimenti. La licenza veniva data singolarmente a determinate persone meritevoli della considerazione del sovrano oppure in risposta a una specifica ‘supplica’; non è infrequente la denominazione di brevetto o di patente che veniva data a questo tipo di licenze concesse dall’autorità. Le regie patenti non erano un diritto, ma una concessione governativa, che poteva essere assegnata e revocata dall’autorità costituita in qualsiasi momento e in totale regime di arbitrio; assai spesso le regie patenti rispondevano al bisogno di favorire l’insorgenza e anche l’importazione di tecnologie produttive nuove e redditizie, utili al territorio.
In Piemonte, sotto il dominio dei Savoia, si riscontrano molti casi di privilegi sovrani; è interessante rilevare come alcune disposizioni amministrative, pur risentendo ovviamente delle necessità contingenti dell’epoca, costituiscano autentiche anticipazioni di quanto verrà sancito nella successiva legislazione brevettuale che dal Piemonte verrà progressivamente estesa alla Lombardia e, dopo l’unificazione, al Regno d’Italia.
Si deve alla certosina pazienza di Luisa Dolza il prezioso inventario in ordine cronologico delle richieste di privilegio industriale in Piemonte dal 1814 al 1855, contenuto nel volume I privilegi industriali come specchio dell’innovazione nel Piemonte preunitario (1992). Tra i numerosi casi elencati, nel seguito verrà esaminato in dettaglio il caso particolare, citato a p. 20, del privilegio al tipografo Felice Festa del 2 maggio 1820, conservato presso l’Archivio storico dell’Accademia delle scienze di Torino (Regie patenti, 2 maggio 1820, Mazzo 183, doc. Br 1820, 39).
Il 2 maggio 1820 Vittorio Emanuele I, in risposta a supplica, concede con regie patenti a tal Felice Festa il
privilegio privativo, per anni dieci, per l’esercizio della litografia negli Stati di terra ferma, esclusa la Divisione di Genova, cogli obblighi e condizioni ivi espresse […] onde possa col continuato successo del medesimo [stabilimento di litografia] risarcirsi delle gravi spese per tale oggetto incontrate, e corrispondere alla pubblica espettazione, non che servire al comune vantaggio (in Regie patenti, 1820).
Oltre alla caratteristica propria del privilegio sovrano, che consiste sostanzialmente in una ‘graziosa’ concessione regale in accoglimento della supplica da parte di un suddito («Felice Festa, primo introduttore dell’arte litografica negli Stati nostri, Ci ha supplicati di voler incoraggiare lo stabilimento di litografia da esso aperto in questa capitale…»), si colgono alcuni aspetti che diventeranno fondamentali nel diritto della proprietà industriale: la limitazione temporale e territoriale della concessione della licenza esclusiva e le ragioni eziologiche di incentivazione e remunerazione per l’inventore e di pubblica utilità per il territorio.
La limitazione territoriale, oltre a escludere la Divisione di Genova, precisa e definisce anche il luogo di esercizio commerciale:
Vogliamo però che il detto Festa non possa esercitare l’arte litografica che nella Città nostra di Torino, nei luoghi che saranno scelti d’accordo con la Pulizia, e sotto la vigilanza di questa, e ch’esso sia soggetto agli stessi regolamenti cui vanno soggetti gli Stampatori (in Regie patenti, 1820).
I vincoli sono stringenti: il luogo esatto dell’atelier deve essere a Torino e deve essere ubicato d’accordo con l’ufficio di polizia, che deve controllarlo come fa con gli atelier degli stampatori di allora; anche per il litografo Festa valgono infatti le stesse regole degli stampatori.
Inoltre, il godimento in esclusiva della concessione è sancito
inibendo a qualunque altro di aprire pendente il termine sovraccennato [10 anni] de’ stabilimenti litografici nel territorio compreso nella presente privativa, sotto pena della perdita degli oggetti ai medesimi inservienti, i quali cederanno al Ricorrente, di scudi cento al Regio Fisco applicandi (in Regie patenti, 1820).
Altri elementi quindi, antesignani del diritto di proprietà industriale: esclusività territoriale della concessione dell’esercizio della litografia e sequestro dei mezzi eventualmente serviti a mettere in atto una contraffazione, che vengono consegnati al titolare della concessione; multa di 100 scudi per il contraffattore a beneficio dell’erario.
Non sembra sia previsto alcun tipo di indennizzo per l’inventore, tranne l’acquisizione non onerosa degli strumenti che il contraffattore ha utilizzato per esercitare l’arte litografica senza la necessaria licenza. Non è neanche precisato nulla di quello che sarebbe successo esauritosi il termine dei dieci anni della concessione; sembra scontato che da quel momento in poi l’esercizio della litografia sarebbe divenuto di dominio pubblico, ma non è dato sapere cosa sarebbe accaduto nella Divisione di Genova sia prima, sia dopo la concessione fornita dalle regie patenti a Felice Festa.
Il 28 febbraio 1826 Carlo Felice con regie patenti in 18 articoli regolamentava la materia dell’attuazione dei privilegi esclusivi concessi:
Siamo informati [lamentava il Re nel preambolo della legge] che fra le persone da Noi onorate ed incoraggiate per concessioni di privilegi esclusivi, ne sono alcune, le quali od affatto tralasciano, od indugiano soverchiamente a porre in opera le macchine, e a dare attività alle fabbriche, per cui ottennero il privilegio: e che per conseguente cessa di tornare a profitto dell’industria la protezione ed il favore, che trovano presso di Noi gli autori di nuove ed utili scoperte, coloro i quali loro danno perfezionamento, o primi introducono ne’ nostri Stati invenzioni giovevoli di paesi stranieri (cit. in Muraca, in Speciale Brevetti, 1985, p. 26).
È importante soffermarsi su questa disposizione di Carlo Felice perché fissa delle regole generali sui privilegi già concessi ad personam; regole che devono valere per tutti sudditi. L’altro aspetto interessante, che in qualche modo anticipa le moderne concezioni in fatto di proprietà industriale, è la preoccupazione che l’invenzione, coronata da privilegio regale, venga di fatto effettuata, e cioè realizzata e messa in pratica; questo per impedire che il diritto di esclusiva (jus excludendi alios) venga meramente utilizzato per sbarrare la strada agli altri e non per consentire un godimento in esclusiva per un determinato periodo di tempo all’inventore che ha registrato e mette in esercizio la sua invenzione.
Le misure previste da Carlo Felice per scoraggiare questo tipo di abuso sono più severe di quelle attuali. Le misure attuali prevedono che se entro tre anni dalla concessione, oppure entro quattro anni dal deposito, un brevetto non viene attuato, chiunque ne abbia interesse può chiedere e ottenere dal titolare, ope legis, una licenza obbligatoria, sia pure onerosa, per mancata attuazione; in questo caso l’onere di attuazione ricade sul licenziatario. Le regie patenti di Carlo Felice del 28 febbraio 1826 prevedono (art. 10) invece che:
I concessionari dovranno ogni anno far constare al Consolato, od al Tribunale di commercio del distretto, e sempre al Consolato di Torino, di tenere attivo quel particolar ramo d’industria, per cui hanno ottenuto il privilegio, e di avere inoltre presentato e depositato all’Accademia nostra delle Scienze di Torino, un saggio dei lavori fatti nell’anno precedente, quando il privilegio riguardi qualche fabbrica, o manifattura (cit. in Muraca, in Speciale Brevetti, 1985, p. 30).
Inoltre, la pena per gli inadempienti risulta drastica, come recita l’art. 12 che prevede:
Il Magistrato del Consolato di Torino, ed i Consolati e Tribunali di commercio del distretto, in cui vale il privilegio, informeranno regolarmente, ed a tempo opportuno la nostra Segreteria di Stato per gli Affari dell’Interno, se i concessionari abbiano o no soddisfatto agli obblighi imposti loro dalle Patenti di concessione. Coloro che non vi avranno soddisfatto, né eseguite le condizioni prescritte negli art. 7, 8, 9 e 10, scaderanno dal privilegio (cit. in Muraca, in Speciale Brevetti, 1985, p. 31).
Le patenti di privilegio erga omnes a Milano e in Lombardia
Pur conservando il termine di privilegio, le patenti venivano assegnate a chiunque ne facesse richiesta, seguendo un preciso iter di domanda, che tuttavia viene ancora denominata supplica; non si trattava quindi più di privilegi ad personam, rilasciati insindacabilmente a singole persone che avessero rivolto una supplica all’autorità di governo, ma di accettazione di regolari domande di privativa, formulate in ossequio a precise e predefinite caratteristiche di novità, originalità e industrialità.
Le Disposizioni generali di Francesco I del 28 febbraio 1821 anticipano come disposizioni erga omnes nell’Italia preunitaria le stesse disposizioni di legge sulle privative emesse dai Savoia in Piemonte il 12 marzo 1855 e successivamente, il 30 ottobre 1859, estese alla Lombardia, qualificata come nuova provincia.
Per i tipi della Imperiale regia stamperia di Milano (Patenti e notificazioni parte prima, 1821, pp. 13-42), il 28 febbraio 1821 venne pubblicata su due colonne, una in tedesco con caratteri gotici e l’altra in italiano, una Disposizione di Francesco I, imperatore d’Austria, che reca le caratteristiche di «sovrana patente 8 dicembre 1820 portante un metodo uniforme nella concessione dei privilegi esclusivi per le scoperte, le innovazioni ed i miglioramenti in ogni ramo d’industria».
La sovrana patente si articola meticolosamente in sei titoli e quattro allegati, che costituiscono dei formulari obbligatori di domanda, qualificati come ‘formola A, B, C e D’. La premessa ne precisa lo scopo, che è quello di «introdurre in tutte le provincie della monarchia austriaca un metodo uniforme nella concessione dei privilegi […] e con tal mezzo promuovere lo spirito d’invenzione e portare l’industria nazionale alla maggior perfezione de’ suoi prodotti». I sei titoli sono articolati partendo dal seguente: Dell’oggetto del privilegio esclusivo e della procedura per conseguirlo.
Viene sancita un’impostazione assai innovativa: può ottenere il privilegio esclusivo qualsiasi nuovo ritrovato in qualsiasi ramo dell’industria, sia realizzato nello Stato o all’estero, sia che venga richiesto da un suddito o da uno straniero.
Per ottenere il privilegio deve essere presentata una domanda, secondo l’allegata ‘formola A’, alla «cesarea regia delegazione (ovvero al capitanato circolare)». Nella domanda devono essere indicati e compresi: l’oggetto dell’invenzione; la durata richiesta per il privilegio, che non può comunque superare 15 anni; il deposito di metà delle tasse previste secondo una tabella prestabilita; deve essere chiusa in busta sigillata l’esatta «descrizione […] dell’invenzione o del miglioramento che [il richiedente] pretende avere fatto». In particolare, viene precisato che la descrizione deve soddisfare i seguenti requisiti: essere scritta in tedesco o nella lingua locale; essere sufficiente per permettere di produrre l’oggetto dell’invenzione a «qualsiasi pratico dell’arte, […] colla sola scorta di detta descrizione, e senza nulla immaginare di suo, o correggere, od aggiungere a quanto viene esposto dal postulante»; essere «esattamente rilevato ed indicato ciò che per essere nuovamente immaginato dall’inventore forma il soggetto del privilegio»; la descrizione deve essere chiara e univoca; infine, «non si dovrà occultare cosa alcuna tanto nei mezzi che nella loro applicazione, e non si dovranno per conseguenza indicare mezzi più costosi o non interamente produttivi del medesimo effetto, né dovrà tacersi alcuna delle pratiche necessarie al perfetto riuscimento dell’operazione»; l’aggiunta di disegni o di modelli che permettano di comprendere meglio l’invenzione non è necessaria se la sola descrizione può essere sufficiente.
Oltre al fatto interessante e del tutto nuovo della descrizione che va consegnata in plico sigillato all’ufficio ricevente, il quale non ha il potere di aprirlo (e ciò significa che non è previsto alcun tipo di esame sostanziale delle domande), merita particolare attenzione il contenuto del penultimo requisito, che oggi prenderebbe la denominazione anglosassone detta best mode e che è ancora strettamente vincolante negli Stati Uniti, ma stenta a essere adeguatamente recepito negli ordinamenti moderni europei e degli altri Stati. Viene infatti sostanzialmente impedita l’omissione di particolari importanti della descrizione che impediscano la realizzazione del prodotto brevettato nel migliore dei modi, quantomeno ben noti al titolare del brevetto.
È rilevante che questo principio trovi precisa applicazione già nell’ordinamento dell’impero austriaco del 1820 e pertanto anche nel Lombardo-Veneto, senza per altro venire ripreso con la stessa incisività nella successiva legislazione brevettuale preunitaria, estesa in Lombardia dai Savoia, e neanche in quella riguardante l’Italia unita fino a oggi.
Le restanti disposizioni del titolo I prevedono in sintesi: il rilascio di un attestato-ricevuta da parte dell’ufficio ricevente (‘formola B’) con indicazione di nome e domicilio del ricorrente e di giorno e ora della presentazione della domanda (viene scrupolosamente dichiarato che l’indicazione di giorno e ora servirà in caso di contestazioni con altri eventuali depositanti di invenzioni simili); la ricevuta del versamento effettuato e la mera indicazione dell’oggetto dell’invenzione; la compilazione di un’ulteriore dichiarazione (‘formola C’) controfirmata dal depositante; l’impegno per la «cesarea regia delegazione» a trasmettere entro tre giorni al rispettivo governo la domanda (supplica) e la descrizione, «ma senza aprirla»; viene precisato che non vi è alcun tipo di «esame circa la novità o l’utilità della invenzione», tranne la verifica, entro 8 giorni, che l’oggetto dell’invenzione non sia «pernicioso o contrario alle leggi» e solo in questo caso il governo, non l’ufficio ricevente, è autorizzato ad aprire il plico sigillato; infine, spetta al Dicastero del commercio la formulazione della concessione del privilegio (‘formola D’) da consegnare al «privilegiato» e la pubblicazione della stessa «nei modi consueti».
Segue il titolo II, Dei vantaggi e delle facoltà derivanti dal privilegio, in cui vengono elencate le caratteristiche connesse alla concessione del privilegio: uso esclusivo dell’invenzione per il periodo richiesto, che non può superare 15 anni; ampia facoltà di impiantare laboratori, magazzini o fabbriche per la produzione e lo smercio del prodotto «in qualunque luogo della monarchia»; facoltà di cessione a terzi o di dare licenze; precisa regolamentazione dell’invenzione dipendente, che prevede in maniera affatto moderna gli obblighi dell’inventore del privilegio principale e di quello del privilegio dipendente, oltre a preconizzare l’accordo tra le parti.
Il titolo III, Delle tasse e dei privilegi, stabilisce che la tassa è proporzionale alla durata richiesta; è prevista una tassa fissa per i primi 5 anni e progressiva dal sesto al quindicesimo anno, con la particolarità che la metà delle tasse previste per la durata richiesta viene pagata all’atto della domanda e il resto in rate annuali; l’omesso versamento di ciascuna tassa dovuta determina la perdita irrimediabile del privilegio; se è stata chiesta una durata inferiore al massimo stabilito di 15 anni, è possibile chiedere una proroga prima dello spirare dell’ultima tassa dovuta, ma all’atto della richiesta di proroga occorre versare la metà di quanto dovuto per l’intero ammontare degli anni di proroga, che comunque non possono mai andare oltre il quindicesimo anno dalla data di deposito; le tasse versate non sono mai rimborsabili, neanche se il privilegio viene dichiarato nullo, a meno che non sia intervenuto il sequestro per pubblica utilità.
Nel titolo IV, Del principio, della durata, delle estensioni, della pubblicazione e dell’estinzione del privilegio esclusivo, oltre a ribadire che la durata massima è di quindici anni, viene sancita la differenza, tutt’affatto attuale, tra validità ed efficacia del privilegio: «il privilegio comincia a decorrere dalla sua data, ma non ha forza di legge per la punizione delle contraffazioni che dal giorno della pubblicazione fattane nei fogli pubblici». Viene definita l’estensione territoriale del privilegio che «abbraccia senza eccezione tutto il circondario della monarchia austriaca» e che viene emesso in tre originali, due dei quali sono destinati all’Ungheria e alla Transilvania.
Vengono scrupolosamente elencati tutti i casi di estinzione del privilegio: mancanza dei requisiti di base (lingue consentite, insufficienza di descrizione, best mode); mancanza di novità nel territorio; privilegio identico o molto simile depositato anteriormente; mancanza di attuazione, che si effettua in due modi: se «il privilegiato […] lascia passare un anno intiero dal giorno della concessione del privilegio senza cominciare a porre in pratica la sua invenzione […] [oppure] senza esercitarlo, né può addurre valevoli motivi»; difetto di versamento delle tasse; scadenza dei quindici anni massimi previsti.
Viene precisato che i casi di estinzione valgono anche per le persone che hanno ottenuto il privilegio per cessione o licenza e, soprattutto, viene esplicitamente detto che il privilegio, in qualsiasi modo estinto, diventa di pubblico dominio.
Il titolo V, Del registro dei Privilegi, indica che vengono istituiti due Registri, uno presso «ciaschedun governo» e l’altro presso «l’aulico dicastero che presiede agli affari di commercio». Entrambi i registri hanno lo scopo dichiarato di permettere a «chiunque […] di conoscere con piena certezza i privilegi precedentemente conceduti» con l’indicazione completa dei beneficiari, della data di concessione, della durata e con la annotazione di tutte le eventuali variazioni intervenute successivamente, come, per es., le alienazioni per licenza, eredità, o cessione che devono essere tempestivamente comunicate al governo e annotate «a tergo del privilegio originale» e sul Registro.
Il titolo VI tratta invece Del metodo da tenersi in caso di controversia, e delle penali portate dal nuovo sistema e, stabilito il principio che «il privilegio si fonda sulla descrizione» dell’invenzione, vi vengono fornite le definizioni dei requisiti essenziali per la concessione dei privilegi; i concetti di novità, originalità, perfezionamento vengono espressi e definiti in un modo singolare che merita di essere preso in considerazione.
La «scoperta» è l’equivalente della nostra novità estrinseca, definita precedentemente, e viene riferita a «ogni nuovo ritrovato d’una maniera di procedere in operazioni d’industria, che sia stata bensì usata anticamente, ma poi del tutto perduta, o che in oggi adoperata nell’estero, sia però sconosciuta nel nostro stato». Rispetto all’odierno diffuso concetto di novità assoluta sia nel tempo sia nello spazio, questo concetto di novità è sostanzialmente relativo alle effettive conoscenze in ambito territoriale ed è relegato alla buona fede del conoscere comune.
L’«invenzione» è l’equivalente del livello inventivo e cioè della novità intrinseca. Viene così definita: «Come nuova invenzione si deve intendere la produzione di un nuovo oggetto ottenuto con nuovi mezzi, o d’un nuovo oggetto ottenuto con mezzi cogniti, o d’un oggetto cognito ottenuto coll’uso di mezzi differenti da quelli finora adoperati per conseguire lo scopo rispettivo». Si tratta di un’eccellente definizione che trova piena e universale applicazione anche al giorno d’oggi.
Il concetto di «nuovo» viene ripreso e definito con riferimento a elementi che «non sono conosciuti nello stato né per pratica esistente dei medesimi, né per descrizione contenuta in qualche opera alle stampe»; tuttavia, affinché questa descrizione a stampa possa «abbattere la novità d’una scoperta, d’una invenzione o d’un miglioramento, essa dovrà essere così chiara e precisa da porre in istato ogni pratico dell’arte di costruire od usare ciò per cui fu richiesto ed ottenuto il privilegio». In questo concetto di nuovo che può essere minato solamente da qualcosa di ben definito esistente allo stato dell’arte, viene sviluppato il concetto affatto moderno di livello inventivo, che chiama in causa il cosiddetto tecnico del ramo per evincere se l’invenzione che si pretende di proteggere possiede quel quid in più rispetto a quanto un normale tecnico del ramo, con le conoscenze del momento, sia in grado di realizzare senza sforzo.
Il «miglioramento» o «cambiamento» è l’equivalente del nostro brevetto di perfezionamento, che si lega all’accezione di brevetto dipendente o anche, per certi versi, al modello di utilità. Viene definito come: «aggiunta di qualche apposito meccanismo, metodo o processo d’operazione in un oggetto già precedentemente noto o privilegiato, dalla quale ridondi una maggiore perfezione ovvero un vantaggio economico, sia per l’oggetto che ne forma lo scopo, sia nel modo di ottenerlo». È sorprendente come questa definizione di miglioramento conservi pienamente la sua attuale validità.
Viene demandato al «giudice ordinario» il contenzioso riguardo a contraffazione, risarcimento del danno e legittimità del titolo di privilegio. Il ricorso al giudice ordinario permette l’immediato «sequestro ed asportazione della cosa contraffatta, sia che questa esista presso il contraffattore ovvero presso d’un terzo, o che sia stata importata all’estero».
La multa prevista per la violazione d’un privilegio è di ben 100 zecchini effettivi, che vanno per metà al titolare del privilegio e per metà a vantaggio del fondo di pubblica beneficenza locale; inoltre, il bene contraffatto viene confiscato e dato al titolare del privilegio.
La legge piemontese sulle privative industriali del 12 marzo 1855
Con la nuova legge sulle privative industriali, promulgata da Vittorio Emanuele II il 12 marzo 1855, viene definitivamente tolto all’Accademia delle scienze di Torino il compito di valutare le domande di brevetto sotto il profilo dei contenuti tecnologici e di innovazione.
La legge sulle ‘privative per invenzioni o scoperte industriali’, siglata da Camillo Benso conte di Cavour e da Urbano Rattazzi, costituisce la prima vera formulazione in chiave moderna di legislazione brevettuale.
Era organizzata in sette titoli e 74 articoli; prevedeva una durata massima per il brevetto di 15 anni; la tassa era duplice, una proporzionale alla durata richiesta per la privativa (eventualmente prolungabile) e una annuale ad andamento progressivo; le scadenze erano su base trimestrale; erano previsti i brevetti completivi, cioè i brevetti di perfezionamento legati e dipendenti dal brevetto principale; erano previsti anche i mandatari, cioè i consulenti in proprietà industriale, ma non era obbligatoria la loro intermediazione; era consentito anche agli stranieri di depositare privative industriali.
Le lingue contemplate erano l’italiano o il francese; erano previsti i processi verbali con l’indicazione del giorno e dell’ora del deposito; per le bevande e i commestibili era previsto l’assenso del Consiglio superiore di sanità; la Commissione dei ricorsi era di 15 membri e divisa in tre sezioni (meccanica, fisica e chimica) ognuna delle quali era composta da tre «giureperiti» e da «quattro altri membri tecnici».
Era consentito di prendere visione della descrizione solo tre mesi dopo il conferimento dell’attestato; gli effetti della privativa decorrevano dal momento in cui veniva prodotta la domanda. Il regolamento di attuazione di questa legge fu puntualmente approvato e pubblicato con Regio decreto in data 17 aprile 1855.
La legge piemontese del 12 marzo 1855 fu estesa alla Lombardia con Regio decreto in data 30 ottobre 1859, con le sole modifiche necessarie a regolare e amalgamare la materia delle privative pendenti nelle «Nuove provincie», eredità come abbiamo visto dell’impero austroungarico, rispetto a quelle consolidate nelle «Antiche provincie». Bisogna notare la delicatezza e al tempo stesso il rigore di giustizia e di equità che vennero seguiti per effettuare questa delicata operazione, come è bene illustrato nella relazione introduttiva del medesimo Regio decreto di modifica. Successivamente, in seguito all’unificazione con il Regno d’Italia, la legge piemontese del 12 marzo 1855, con le ovvie modifiche strettamente necessarie alle mutate condizioni politiche, fu estesa a tutte le regioni italiane (Muraca, in Speciale Brevetti, 1985, pp. 21-22).
Bibliografia
Regie patenti colle quali S.M. accorda a Felice Festa il privilegio privativo, per anni dieci, per l’esercizio della litografia negli Stati di terra-ferma, esclusa la Divisione di Genova, cogli obblighi e condizioni ivi espresse, 2 maggio 1820, Archivio storico dell’Accademia delle scienze di Torino, Mazzo 183, doc. Br 1820, 30, Torino 1820 (documento di 8 pp. non numerate di cui due bianche).
Raccolta degli atti del governo e delle disposizioni generali emanate dalle diverse autorità in oggetti sì amministrativi che giudiziarj, Parte prima. Patenti e notificazioni pubblicate dall’I. R. governo di Lombardia dal 1° gennaio al 30 giugno 1821, Milano 1821 (in partic. Pubblicazione della sovrana patente 8 dicembre 1820 portante un metodo uniforme nella concessione dei privilegi esclusivi per le scoperte, le invenzioni ed i miglioramenti in ogni ramo d’industria, pp. 13-42).
La legge veneziana sulle invenzioni/La loi venetienne sur les inventions/Venetian patent law. Scritti di diritto industriale per il suo 500° anniversario, a cura di Association internationale pour la protection de la propriété intellectuelle, Milano 1974 (in partic. L. Sordelli, Intérêt social et progrès technique dans la «Parte» venitienne du 19 Mars 1474 sur les privilèges aux inventeurs, pp. 249-97).
Speciale Brevetti, «nt, Notiziario tecnico AMMA, Associazione meccanici metallurgici affini», 1985, 12 (in partic. B. Muraca, La legislazione brevettuale in Italia, pp. 20-29).
V. Marchis, L. Dolza, M. Vasta, I privilegi industriali come specchio dell’innovazione nel Piemonte preunitario: 1814-1855, Torino 1992.
Brevetti del design italiano, 1946-1965/Original patents of Italian design: 1946-1965, a cura di G. Bosoni, Milano 2000.
Immagini della montagna italiana. Marchi di fabbrica, libri e carte geografiche tra il 1869 e il 1930, a cura di F. Cardarelli, M. Di Angelo Antonio, M. Martelli, catalogo della mostra, Roma, Società geografica italiana, Bologna 2006.
V. Marchis, 150 (anni di) invenzioni italiane, Torino 2011.
Disegno e design. Brevetti e creatività italiani, a cura di A.M. Sette, E. Morteo, catalogo della mostra, Milano, Rotonda di via Besana, 2011-12, Roma-Venezia 2011.