Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il cognitivismo ha riportato in primo piano lo studio dei processi che possono legittimamente essere introdotti per spiegare l’attività mentale, che il comportamentismo radicale aveva rifiutato di assumere. L’interpretazione dei processi cognitivi in termini di elaborazione dell’informazione, sul modello del calcolatore digitale, ha influito notevolmente sul suo sviluppo. Questa posizione è poi confluita nella Scienza cognitiva, che a sua volta si è molto avvicinata al campo delle neuroscienze.
La svolta
Il predominio del comportamentismo nel panorama della psicologia del Novecento conosce la battuta d’arresto più importante verso la metà degli anni Cinquanta. Il comportamentismo non è mai stato un fronte omogeneo, e l’idea che esso rimpiazzasse lo studio dei processi mentali con quello del comportamento manifesto è vero solo per le sue tendenze radicali. In generale, è vero tuttavia che esso ha considerato sempre con sospetto l’introduzione di ipotesi sulla mente che non fossero corroborate dal metodo sperimentale, e che tendesse a presentare la psicologia come una scienza naturale.
L’anno della svolta per il cognitivismo, ovvero per il ritorno in primo piano dello studio dei processi mentali, è sicuramente il 1956. In quell’anno si svolse presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology) il Simposio sulla teoria dell’informazione, nel corso del quale il linguista Noam Chomsky delinea le idee della grammatica trasformazionale (che sarebbero state alla base della sua critica al comportamentismo e a Burrhus Frederic Skinner in particolare) e lo psicologo George Miller espose la tesi, poi diventata celebre, sulla capacità della memoria umana a breve termine (limitata a circa sette elementi: “il magico numero sette”). In quello stesso anno si tiene a Darthmout il seminario in cui tre pionieri di quella che si sarebbe chiamata Intelligenza Artificiale (IA), Allen Newell, Clifford Shaw e Herbert Simon, presentano il Logic Theorist, un programma per calcolatore, ispirato ai processi umani di soluzione di problemi visti come processi euristici. Nell’ambito della nascente IA, il Logic Theorist è per i suoi autori un primo passo verso lo studio dei processi mentali che si ipotizza gli esseri umani usino nelle attività di pianificazione e soluzione di problemi. A questo studio essi danno il nome di Information Processing Psychology (IPP, ovvero “Psicologia basata sull’elaborazione dell’informazione”).
La “polarizzazione” tra gestaltismo e comportamentismo
In un articolo pubblicato nel 1958 sulla autorevole rivista americana “The Psychological Review”, Newell, Shaw e Simon, mentre descrivono il Logic Theorist, propongono un confronto tra la IPP e le teorie psicologiche dell’epoca che rappresenta soprattutto una diagnosi dello stato della ricerca psicologica contemporanea: secondo i tre autori, la psicologia attraversa una fase di stallo, dovuta alla “polarizzazione” fra le opposte esigenze dei gestaltisti e dei comportamentisti. I primi si fanno assertori di una psicologia impegnata a rispondere ai complessi interrogativi sollevati dalla natura dell’insight, dai problemi del significato, dell’immaginazione, della creatività; gli altri di una psicologia strettamente operativa, basata sull’osservazione di dati sperimentali valutabili in modo quantitativo (comportamento, apprendimento per prove ed errori, dati della psicofisiologia). Da una parte problemi importanti vengono affrontati con metodi privi del necessario rigore; dall’altra si affrontano problemi più facilmente dominabili, procedendo in modo operativo ma mettendo spesso tra parentesi gli interrogativi più profondi.
Newell, Shaw e Simon considerano quindi che la IPP sia in grado di far proprie le legittime esigenze di entrambi gli schieramenti rivali, riconoscendo la complessità dell’oggetto studiato, la mente – come richiedono i gestaltisti – ma rivendicando nello stesso tempo la necessità di un suo studio rigoroso – come invocano i comportamentisti. Psicologi vicini al comportamentismo come Donald Olding Hebb (1904-1985), Clark L. Hull (1884-1952) e Richard Chase Tolman (1881-1948), e vicini al gestaltismo come Karl Duncker (1903-1940) e Max Wertheimer (1880-1943) dall’altra, vengono dunque identificati tra gli ispiratori principali della IPP, anche se questa sente di “somigliare molto più da vicino” alle posizioni dei gestaltisti.
Dal comportamentismo alla simulazione del comportamento
Il metodo di controllo operativo delle teorie psicologiche proposto dalla IPP non è quello classico delle scienze naturali, solitamente invocato dai comportamentisti. Il punto di partenza è questa volta il calcolatore come macchina generale simbolica, programmato per essere in grado di elaborare strategie euristiche alla soluzione di problemi.
Usando una metodologia già criticata da molti comportamentisti, Newell, Shaw e Simon registrano i protocolli verbali di soggetti che risolvono un problema (di scacchi, di logica ecc.) riferendo “ad alta voce” le procedure selettive o euristiche che essi usano, e le implementano in un programma. Il programma è concepito come una descrizione rigorosa e insieme controllabile passo per passo delle tradizionali nozioni psicologiche relative aIl’attività mentale, alla memoria, alla presa di decisione e così via. L’ipotesi è che i processi computazionali (del programma) sono analoghi a quelli usati dagli esseri umani, così come sono desumibili dai loro protocolli verbali. Il confronto tra il protocollo verbale e la traccia del programma in questa prospettiva mostra se e fino a che punto la simulazione abbia avuto successo, cioè se e fino a che punto processi umani e processi computazionali di soluzione di problemi sono gli stessi, almeno sotto il profilo dell’elaborazione dell’informazione. Ciò giustifica l’ipotesi, e dunque l’impresa stessa della psicologia come scienza: la simulazione dei processi cognitivi su calcolatore.
La scienza cognitiva
L’influsso della IPP diventa pervasivo nel mondo degli psicologi cognitivi tra gli anni Sessanta e Settanta. Basti ricordare qui il volume pubblicato nel 1960 da George Miller, Eugene Galanter e Karl Pribram, Piani e struttura del comportamento. Ma è in generale l’idea dei processi di elaborazione dell’informazione, con la loro complessa e articolata collocazione tra lo stimolo (percezione) e la risposta (azione), a ispirare posizioni anche molto diverse. Oltre al fortunato manuale di Peter Lindsay (1944-) e Donald Norman (1936-), L’elaborazione umana dell’informazione, vanno ricordati almeno gli studi di Jerome Bruner e di Ulric Neisser su diversi aspetti della percezione e della memoria.
È infine nella scienza cognitiva che confluiscono i diversi filoni critici del comportamentismo sviluppatisi a partire dalla metà degli anni Cinquanta. Alla conferenza di San Diego, negli Stati Uniti, organizzata nel 1979 dalla Cognitive Science Society, partecipano psicologi, linguisti e filosofi, oltre a pionieri e ricercatori di IA. Nella scienza cognitiva confluiscono infatti molte delle ambizioni della IPP come scienza della mente, al punto che Simon, intervenendo alla Conferenza, arriva a retrodatare al 1956 la nascita della scienza cognitiva.
La scienza cognitiva diventa rapidamente un’area di incontro di discipline diverse, dalla linguistica alla filosofia, dalla psicologia alle neuroscienze e all’IA. In esse è in diversa misura evidente l’influsso dell’approccio computazionale, ispirato alla macchina di Turing. Tra i contributi principali alla nascita e ai primi sviluppi della scienza cognitiva possono essere ricordate le ricerche sulla comprensione del linguaggio naturale di Roger Schank e di Terry Winograd e quelle sul ragionamento umano di Philip Johnson-Laird.
Nella sua tendenza più radicale, la scienza cognitiva condivide l’ipotesi computazionale del “sistema fisico di simboli” formulata da Newell e Simon nel 1975, secondo la quale alla base dell’intelligenza è la capacità di manipolare strutture simboliche secondo regole, capacità condivisa tanto dagli esseri umani quanto dai programmi per calcolatore. Nel libro Computazione e cognizione del 1984, Zenon Pylyshyn, sotto l’influsso di Newell da una parte e del filosofo cognitivista Jerry Fodor dall’altra, tentava una sistemazione teorica della scienza cognitiva dal punto di vista computazionale. Newell, da parte sua, ha poi riproposto le originarie ambizioni della IPP su un piano molto diverso, quello di Soar, che propone una teoria fortemente integrata di diversi aspetti della cognizione umana: l’idea alla base di Soar è quella per cui tutti gli atti cognitivi sono in qualche modo un lavoro di ricerca e non c’è distinzione tra memoria dichiarativa e procedurale.
Neuroscienza cognitiva
Oltre alle ricerche sperimentali di psicologia cognitiva alle quali abbiamo accennato, dedicate alla percezione, al linguaggio, all’apprendimento, alle diverse forme della memoria, occorre menzionare le ricerche di neuropsicologia cognitiva, interessate alle disfunzioni cognitive che seguono a danni cerebrali. In questo caso lo studio delle varie disfunzioni consente di individuare diversi moduli che compongono la cognizione del suo complesso. I recenti progressi delle neuroscienze hanno dato maggiore spazio e autorevolezza a queste ultime ricerche, che come mai hanno influenzato le nuove tendenze della scienza cognitiva, al punto che si parla comunemente di neuroscienza cognitiva.
Proprio da questo versante sono venute le critiche più agguerrite al cosiddetto “paradigma simbolico” del sistema fisico di simboli, che hanno aperto la strada a nuovi sviluppi nella scienza cognitiva, la cui storia recente viene a coincidere con quella della “nuova IA”. Queste critiche hanno preso spunto dalla separazione tra studio della mente e studio del cervello: una separazione che, sia pure in forme diverse, è stata spesso condivisa all’interno della comunità degli scienziati cognitivi dai tempi della IPP ed esplicitamente sostenuta dai filosofi funzionalisti quale soluzione del “problema mente-corpo”. Nella sua forma estrema, il funzionalismo asserisce che la mente può essere oggetto di studio indipendente dal cervello. Un corollario è la tesi che intende la psicologia una scienza del tutto autonoma dalle neuroscienze, come ha sempre sostenuto Jerry Alan Fodor (1935-). All’opposto, e in forme più o meno estreme, possiamo collocare i filosofi della mente materialisti, ostili al funzionalismo e sostenitori di una “scienza unificata mente-cervello”, secondo l’espressione di Patricia Churchland.