Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’Ottocento si avviano profonde modificazioni nel sistema alimentare degli Europei. L’ingresso dell’industria nei meccanismi di produzione, trasformazione e conservazione del cibo produce un completo rovesciamento dei modelli di riferimento tradizionale. Il tenore dei consumi tende a crescere anche per i ceti popolari, ma la contrapposizione ricchi-poveri si amplia sul piano planetario.
Un secolo contraddittorio
Nel corso dell’Ottocento il settore dei consumi alimentari viene totalmente rivoluzionato dal modo di produzione industriale, nei luoghi e nei tempi in cui esso si impone. Vi sono pertanto storie diverse nei diversi Paesi, accompagnate da forti tensioni e contraddizioni.
Agli inizi del secolo, il regime alimentare dei ceti poveri (rurali e urbani) tocca sicuramente uno dei punti più bassi di tutta la storia dell’alimentazione: se da un lato la povertà e le sacche di emarginazione, provocate nelle campagne e nelle città dal processo di sviluppo industriale, significano anzitutto fame e sottonutrizione, dall’altro la compressione dei consumi operai (solo tè, patate e pane scuro per gli operai inglesi) è il drammatico costo sociale pagato al decollo dell’industria. Ma la logica stessa della produzione industriale alla lunga non può tenere escluse le classi inferiori dal godimento delle risorse alimentari: per funzionare l’industria ha bisogno di consumatori e quando si sviluppa anche l’industria alimentare, questa sollecita l’allargamento sociale del mercato degli alimenti. La classe operaia si vede perciò offrire una quantità crescente di prodotti e gradualmente si modifica la struttura stessa della dieta popolare, con una duplice inversione di tendenza (quantitativa e qualitativa) rispetto al passato: i cereali diventano meno importanti di fronte al crescere dei consumi di carne, mentre fra i cereali si afferma sempre più il frumento.
La rivoluzione del pane bianco e la conquista del freddo
Per la prima volta nella storia, durante il XIX secolo la farina e il pane bianco di frumento cessano di essere un lusso riservato a pochi e diventano, a poco a poco, un cibo accessibile ai più. Questa “rivoluzione del pane bianco” (definizione di Braudel) è resa possibile sia dai progressi in campo agricolo – con l’impiego più massiccio di macchine e la diffusione di fertilizzanti chimici e anticrittogamici – sia dall’importazione di grano a lunga distanza; la ferrovia e le navi a vapore, che nell’Ottocento rivoluzionano il sistema dei trasporti, consentono infatti di riversare sul mercato europeo grandi quantità di grano provenienti da Paesi lontani, come gli Stati Uniti o la Russia asiatica. È vero che in certe regioni continuano a prevalere i consumi poveri (di patate nel Nord Europa e di mais nel Sud), ma nell’insieme del continente europeo i cereali inferiori – base millenaria dell’alimentazione contadina – subiscono un netto calo d’importanza. Parallelamente anche le preparazioni alimentari come le polente, le minestre, le zuppe (a cui erano principalmente destinati i cereali inferiori) perdono d’importanza a favore del pane, un tempo status symbol del privilegio sociale.
I consumi di carne tendono a crescere, soprattutto grazie alle importazioni dall’Argentina o dall’Australia, le cui immense pianure si trasformano in vere e proprie dispense alimentari per gli Europei. Ciò evidentemente presuppone, oltre alla rivoluzione dei trasporti (navi e ferrovie a vapore), anche la possibilità di conservare a lungo i prodotti durante i viaggi. Da questo punto di vista è dunque fondamentale la “conquista del freddo”, ossia l’invenzione della macchina frigorifera, brevettata nel 1851 dall’americano John Gorrie e perfezionata negli anni successivi dal tedesco Franz Windhausen e dai francesi Ferdinand Carré e Charles Tellier. A quest’ultimo si deve la realizzazione del primo impianto frigorifero su un piroscafo, il Frigorifique, che nel 1876 trasporta in Francia un carico di carne macellata in Argentina, dopo un viaggio di 105 giorni. La tecnica viene poi applicata ai vagoni ferroviari e diffusa, alla fine del secolo, in tutti i Paesi europei.
Analoghe macchine frigorifere consentono di conservare il pesce, che può essere pescato in acque sempre più lontane. Sul piano alimentare tutto ciò significa il superamento delle tecniche tradizionali di conservazione (la salagione in primo luogo, e poi l’essiccazione, l’affumicatura, l’immersione in olio o in aceto), la cui comune caratteristica era quella di modificare in profondità le qualità organolettiche dei prodotti; con la conquista del freddo, invece, i prodotti mantengono caratteristiche più vicine a quelle naturali.
L’industria conserviera e il cibo in scatola
Molti sistemi di conservazione che si affermano nell’Ottocento vengono generalmente presentati come un modo per mantenere le qualità naturali del cibo. Padre dell’industria conserviera è ritenuto a giusto titolo il francese François Appert, che nel 1804 a Massy apre una fabbrica di conserve: tramite un processo di sterilizzazione – di cui di lì a poco le ricerche di Pasteur sui microbi forniranno la spiegazione scientifica – carni e verdure bollite vengono riposte in contenitori di vetro sigillato e poi sottoposte a ulteriore bollitura all’interno del recipiente. Soprattutto i militari e i marinai, per le spedizioni di guerra e i rifornimenti di bordo, diventano clienti di Appert e ne assicurano la fortuna. Ovunque fa scuola il manuale pubblicato nel 1810 dallo stesso Appert, dal titolo L’arte di conservare tutte le sostanze animali e vegetali, che viene tradotto in inglese e in tedesco.
Più tardi, fra il 1830 e il 1840, l’inglese Peter Durand sperimenta per la prima volta i recipienti di latta anziché di vetro. Anche in Germania, con Daubert e Hahn, si sviluppa l’industria dei cibi in scatola che finisce per operare una radicale trasformazione della stessa agricoltura, orientandone le scelte, che appaiono sempre più pesantemente determinate dalla loro compatibilità con le tecniche conserviere. Ciò segna, ad esempio, il successo di coltivazioni come quella degli asparagi, che appaiono particolarmente adatti a essere trattati industrialmente. Negli Stati Uniti l’industria conserviera si sviluppa soprattutto durante la guerra di secessione, per i consueti motivi di approvvigionamento militare. In Italia il primo industriale conserviero è il torinese Francesco Cirio: dapprima esportatore di prodotti freschi sui vagoni frigoriferi e poi fabbricante di piselli in scatola, solo agli inizi del Novecento svilupperà la produzione di pomodori pelati.
Delocalizzazione ed egemonia del modello urbano
Nonostante le forti diversità tra Paese e Paese e – all’interno di ciascuno – tra regione e regione, si possono individuare alcune tendenze comuni di fondo nella storia dell’alimentazione europea del XIX secolo.
In primo luogo, la progressiva “delocalizzazione” del sistema alimentare, con l’apparire sul mercato di prodotti provenienti da sempre più lontano, tende ad allentare il vincolo fra cibo e territorio, sconfiggendo – nei casi migliori – la fame millenaria degli Europei; tuttavia questo avviene a costo di uno sfruttamento sempre più accentuato dei Paesi coloniali o comunque politicamente controllati, le cui risorse vengono quasi integralmente devolute ai consumi dei potenti del mondo.
In secondo luogo, attraverso il processo di “delocalizzazione” si pongono le premesse per una sempre maggiore uniformità del modello alimentare, le cui conseguenze saranno evidenti nel corso del Novecento, provocando una crisi delle identità locali e un complessivo senso di disorientamento culturale nei modelli di consumo.
In terzo luogo, il sistema alimentare europeo tende ad assumere una forte e crescente caratterizzazione urbana, nel senso che i modelli urbani di alimentazione – con tutti i cambiamenti che sono via via intervenuti a definirli – costituiscono ormai la norma e possono tendenzialmente essere imitati da chiunque, affermandosi anche presso le popolazioni rurali. Anche in questo caso, nell’Ottocento si delinea una tendenza che solo il secolo successivo porterà a compimento.