DALLE CATENE, Gian Gheramo
Figlio di Antonio da Parma, ma residente a Modena "ab infantia", è documentato come pittore fra il 1520 e il 1533. Il 25 marzo 1520 "Zangirardo Cathena pictore da Modena" scrive da Roma a Borsio Bertelotti a Firenze, chiedendo appoggi per la controversia legale che si era recato a sostenere contro alcuni ebrei di Modena (Arch. di St. di Firenze, Mediceo av. il Princ., 118, lett. 86, in Fontina-Lunghetti, 1977). Dalla lettera risulta che il pittore ha sostato a Firenze e che è in contatto con concittadini residenti a Roma, Ludovico Rangoni e Lorenzo Bergomozzi, cantore papale. A tale controversia e alla giovane convertita a cui si accenna nella lettera si potrebbe forse agganciare il successivo ricordo di archivio, che è del 5 marzo 1522, quando, a Modena, Salomone ebreo versa 150 lire al pittore e alla moglie (Campori, 1855). Il 20 giugno dello stesso anno risulta impegnato a dipingere l'altare della cappella Castelvetro in S. Pietro, per cui sottoscrive ulteriore obbligo notarile il 10 novembre successivo (rogito trascritto nel 1700 da Lazarelli, ripreso da Malmusi, 1851, e Campori, 1855. ultimamente controllato da Baracchi Giovanardi, 1982). Nel 1523 viene chiamato a giudicare gli affreschi di Adamo ed Agostino Setti in S. Lazzaro (Bertoni, 1919) ed il 9 marzo dell'anno successivo ricorre come testimone di un atto notarile (Lancellotti, [1503-1554]). Il 17 ag. 1528 sottoscrive l'impegno per la seconda sua opera nota, l'altare della cappella Beliardi, tuttora in S. Pietro (Giovannini, 1985). Il 16 giugno 1533 si dichiara debitore nei confronti di Giovanna Tassoni, ad istanza del cui procuratore era stato imprigionato (ibid.).
La notizia (segnalata da Giorgio Bonsanti e Richard Sherr) che il D. fu a Roma qualche tempo prima di eseguire la Madonna fra i ss. Luca e Giovanni Battista della cappella Castelvetro di S. Pietro (1522) aiuta ad inquadrare la precocità e complessità di un'opera essenziale per gli sviluppi dell'ambiente in cui maturerà poi Nicolò Abbati.
Gli elementi dosseschi, per quanto di precoce estrazione (tavola di S. Agostino a Modena, ora all'Estense), non bastano a fissare l'identità culturale dell'opera, che cade in parallelo al Begarelli, lo scultore allora esordiente, ed è informata delle medesime fonti raffaellesche e sansoviniane. Il braccio levato del Battista dipende inequivocabilmente dalla specifica formula iconografica diffusa dalla bottega di Raffaello. La chiarezza stereometrica delle figure, e più in particolare il ritmo della Madonna col Bambino, derivano dal Peruzzi; e non tanto dall'incisività moltiplicata del cartone bolognese del 1522, quanto dai suoi esiti più monumentali, romani.
Più complesso è seguire i successivi svolgimenti del pittore. Grazie ad un'assoluta coerenza morfologica e qualitativa, gli si è potuto riferire il S. Alberto di Sicilia posto sull'altare del Carmine nel novembre del 1530 (Ferretti, 1982). Sembrerebbe così precisarsi una traiettoria verso un naturalismo sensualmente naturalizzato, per certi aspetti alternativo all'intellettualizzante eccentricità di Dosso Dossi, ripetutamente attivo per Modena. Ma la coerenza di questo percorso viene complicata dalla seconda opera documentata, l'Assunta dell'altare Beliardi in S. Pietro, che il pittore s'impegnò a consegnare per il Natale del 1528 e che era già collocata nell'aprile del 1530.
I modelli begarelliani e dosseschi sono ripresi in maniera più prosciugata e purista. E l'impianto simmetrico della scena può apparire come una risposta polemica alla nuovissima spazialità dell'altare che il Correggio aveva da poco collocato nella confraternita modenese di S. Sebastiano. Il tono devozionale del racconto pittorico (che diventa scioltissimo nella predella) si accosta all'Ortolano e al Garofalo.
L'organizzazione della bottega potrebbe aiutare a spiegare lo scarto rispetto all'altare, immediatamente successivo, di S. Biagio. Sembra possibile riconoscere (specie nel gruppo degli Angeli) la mano di quello stretto, ma assai più debole, derivato del D. che è stato ricostruito sotto il nome convenzionale di "Pittore modenese in Lucchesia" (Ferretti, 1982). In tale ricostruzione l'Assunta occupava una posizione liminare, a più alta tenuta espressiva. Ma il successivo rinvenimento del documento del 1528 non autorizza a travasare tutta la serie di opere sparse fra Modena e la Lucchesia in quella che verrebbe ad essere la seconda fase del D. (Giovannini, 1985; Guandalini, 1985). Tale serie scende verso tempi in cui il pittore non risulta più documentato. E, comunque, una caduta intellettuale così marcata potrebbe spiegarsi solo attraverso informazioni a più diretta impronta biografica.
Le altre attribuzioni al pittore non sono giustificate. In particolare la Crocefissione della Gall. Estense, riferitagli da Venturi (1894 e 1929), si è rivelata di recente opera di N. Abbati (Benati, 1984). Tale riconoscimento impone di ridiscutere radicalmente la corrente ricostruzione della giovinezza di Nicolò; ma l'indubbio richiamo di stilemi tipici del D., così come il fatto che Longhi (1934) riferisse a Nicolò il primo altare di S. Pietro) confermano l'importanza del D. per la formazione del più giovane concittadino. Al D. è stata attribuita (Guandalini, 1985) anche la Madonna in gloria fra i ss. Pietro e Paolo della parrocchiale di Pianorso (Modena). Tale opera conferma che Dosso trovò a Modena adesioni tempestive, già attorno al 1520. Ma il rapporto del D. con il ferrarese non appare mai così esclusivo. Potrebbe invece trattarsi di una testimonianza dello svolgimento in senso dossesco del notevole pittore dell'altare Pelumi in S. Pietro.
Fonti e Bibl.: T. de' Bianchi, detto de' Lancellotti, Cronaca modenese (1503-54), Parma 1865, II, p. 9; Modena, Bibl. Estense, ms. (sec. XVIII): M. A. Lazarelli, Inform. del Monasterio di S. Pietro di Modena, parte 2, cc. 192, 199 (v. anche Baracchi Giovanardi, 1984); C. Malmusi, Not. ... della ch. di S. Pietro in Modena, in Ann. stor. mod., I (1851), pp. 86 s.; A. Pezzana, Storia della città di Parma, Parma 1852, IV, pp. XXV s.; G. Campori, Artisti ital. e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, pp. 146 s.; C. Pini-G. Milanesi, La scrittura di artisti italiani (secc. XIV-XVII), Firenze 1869-76, n. 129; A. Venturi, L'arte emiliana..., in Arch. stor. dell'arte, VII (1894), p. 102; N. Pelicelli, in U. Thieme-F. Becker, Künstlerexikon, VI,Leipzig 1912, p. 184 (sub voce Catena Giov. Gerardo dalle); G. Bertoni, I pittori della chiesa di S. Lazzaro, in Gazzetta dell'Emilia, 19-20 ott. 1919; Il patrim. storico-artistico della Congr. di carità in Modena, Modena 1920, pp. 31 s., n. 1; A. Venturi, Storia dell'arte ital., IX, 4, Milano 1929, pp. 387-90; R. Longhi, Officina ferrarese [1934], Firenze 1956, p. 90; R. Pallucchini, I dipinti della Galleria Estense, Roma 1945, pp. 94 s.; A. Ghidiglia Quintavalle, in Arte in Emilia, Parma 1960, pp. 85-87; Id., S. Pietro in Modena, Modena 1966, pp. 14 s., 17 s., 22, 39 s., 51, 53; C.L. Ragghianti, Pertinenze francesi del Cinquecento, in Critica d'arte, 1972, n. 122, p. 56; G. Soli, Chiese di Modena, Modena 1974, III, p. 116; A.M. Fontina-C. Lunghetti, Autografi dell'Arch. Mediceo avanti il Principato..., Firenze 1977, p. 238, tav. CXIX; M. Ferretti, Ai margini di Dosso (tre altari in S. Pietro a Modena), in Ricerche di storia dell'arte, 1982, n. 17, pp. 61-70; O.Baracchi Giovanardi, in M. A. Lazarelli, Pitture delle chiese di Modena, Modena 1982, p. 112; D. Benati, in S. Pietro di Modena. Mille anni di storia e di arte, Cinisello Balsamo 1984, pp. 101-05; O.Baracchi Giovanardi, Regesto, ibid., nn. 16, 20; M. Ferretti, in Lanfranco e Wiligelmo. Il duomo di Modena (catal. della mostra), Modena 1984, p. 585;G. Guandalini, Ilpalazzo comunale di Modena, Modena 1985, p. 87;C. Giovannini, Il quadro dell'"Assunta" di G. G. D. nell'altare Beliardi della chiesa di S. Pietro di Modena, in Millenario di S. Pietro, Modena 1985, II, pp. 129-135.