DALLE MASEGNE
Famiglia di scalpellini e scultori veneziani operosi nei secoli XIV-XV.
Il soprannome "De Masignis" si trova solo in una parte dei documenti bolognesi; esso però venne dato anche ad altri scultori petroniani (Supino, 1914-15, doc. XIII). Si è pensato che questo soprannome fosse l'indicazione di una professione (quella di commerciante in macigni), osservando però che di solito i mercanti di pietre venivano detti "mercanti di macigne". F. Rodolico (Le pietre delle città d'kalia, Firenze 1953, p. 197) classfflca inoltre un tipo di trachite che sarebbe stata chiamata "masegna". L'uso di questo soprannome Dalle Masegne è entrato negli studi critici a partire da M. Oretti (sec. XVIII) e dovrebbe essere mantenuto per evitare malintesi (per tutto questo cfr. Rambaldi, 1920, pp. 64 ss.).
Capostipite fu Antonio, scalpellino, del quale non rimane nessuna opera.
Di Jacobello (Jacomello) e Pierpaolo, figli di Antonio, sono sconosciute le date di nascita. Jacobello viene menzionato sempre per primo nei documenti, il che potrebbe indicare che era il più anziano dei due fratelli (Rambaldi, 1920, p. 66).
Spesse volte, ma non sempre, Pierpaolo e Jacobello insieme hanno firmato i contratti e ricevuto pagamenti, come era l'uso nelle botteghe veneziane a conduzione familiare (per gli usi nelle botteghe dei tagliapietra cfr. Wolters, 1976, pp. 12 ss., e soprattutto S. M. Connell, The employment of sculptors and stonemasons in Venice in the Fifteenth Century, tesi di dottorato, Warburg Institute, London 1976). Risulta spesso impossibile dedurre dal testo dei numerosi documenti chi dei fratelli abbia inventato o eseguito un'opera e se si sia servito di uno o più collaboratori. Tentativi di definire lo stile individuale si devono a Gnudi (1950), Heusinger (1967) e Wolters (1976).
Conviene perciò trattare l'opera dei due fratelli cronologicamente ed insieme per non forzare il contenuto dei documenti e non suggerire una sicurezza non ancora acquisita nella individuazione dell'opera dell'uno o dell'altro.
Il 25 ag. 1383, a Mantova, furono mosse a "Iacomellum et Petrepaulum fratres de Veneciis" accuse di aver molestato una donna. Francesco Gonzaga raccomandò in una lettera di punire i due fratelli con il carcere duro (Rambaldi, 1920, pp. 66 ss.). I protagonisti di questo episodio sono sempre identificati con jacobello e Pierpaolo e solo Heusinger (1967, p. 21) ritiene questo particolare troppo insicuro per poterne dedurre un loro soggiorno mantovano.
Il 3 ag. 1386 la presenza di un "Petrus paulus quondam. Antonii de Veneciis" è documentata a Bologna, dove venne accusato di adulterio (Supino, 194-15, doc. XIV). Si è tentato di vedere in questo fatto una conferma della notizia del 1383. A quel tempo Pierpaolo viveva in casa degli eredi di Giovanni da Legnano, morto il 16 febbr. 1383, sulla cui tomba (Bologna, Museo civico medioevale; cfr. Wolters, 1976, n. 136), della quale non conosciamo la data, troviamo la firma dei due fratelli. Il 2 ott. 1386 venne affidata ai "magistris Jacomelo et Petro Paulo fratribus et filiis quondam magistri Anthonii Taiapetre de Veneciis de contrata Sancti Iohannis decolacii" l'erezione di un portale per la chiesa dei domenicani a Modena (l'indicazione del documento in Bariola, 1904; Poi pubblicato per intero da Heusinger, 1967, pp. 22, 186 ss.). Entro dieci giorni avrebbe dovuto seguire a Bologna un pagamento in acconto di 200 ducati "pro parte solucionis laborii". In questi anni pare che Pierpaolo abbia compiuto un viaggio forse anche prolungato in Toscana, come si può dedurre dallo stile delle sue opere più tarde (ibid., p. 174).
Il 16 nov. 1388 i due fratelli sottoscrissero il contratto per l'esecuzione dell'altar maggiore di S. Francesco a Bologna (Davia, 1843, pp. 6 ss.; Supino, 194-15, doc. I; Wolters, 1976, n. 138), opera che avrebbe dovuto essere terminata entro il settembre 1391. Dai documenti non risulta però quale fosse in quel periodo la residenza dei Dalle Masegne. Il 2 dic. 1388 essi ricevettero un primo pagamento a Venezia (Supino, 194-15, doc. II), dove vivevano nella "contrata sancti Pauli".
Il 12 ag. 1390 ottennero a Bologna un secondo pagamento per l'altare, e vennero detti "habitatores civitatis Bononie in capella Sancti Laurentii Porte Sterii" (ibid., doc. III). Il 7 apr. 1391 "Petrus Paulus quondam Antonii de Venetiis magister et merchator lapidum Istrianorum sive marmoreorum" accettò l'incarico di fornire tre basi di pilastri per la facciata di S. Petronio di Bologna (Supino, 1910, p. 10). Il 19 giugno 1391 i fratelli ricevettero un pagamento per i lavori all'altare di S. Francesco (Supino, 1914-15, doc. IV); doveva seguirne un altro di 100 ducati "cum unus ex dictis magistris qui presentialiter ad civitatem Venetiarum personaliter vult se transferre ad civitatem Bononie reversus fuerit". Fino al 27 ag. 1392 vengono detti residenti a Bologna (ibid., doc. VII), e il 10 maggio 1396 Pierpaolo, "procurator et numptius specialis ad infrascripta et alia magistri Iacobelli sui fratris", viene menzionato solo per aver preso in consegna 100 ducati (ibid., doc. XII). Da Venezia jacobello aveva dato una procura a Pierpaolo per dichiarare che con questo pagamento il convento aveva adempiuto a tutti i suoi impegni.
Per certe somiglianze con la struttura dell'altare bolognese si sono voluti attribuire ai D. anche i due tabernacoli di S. Marco a Venezia, eseguiti probabilmente nel 1388 (cfr. Wolters, 1976, n. 137). Dello stesso periodo potrebbe essere un S. Antonio del J. B. Speed Art Museum di Louisville nel Kentucky, attribuito (Wolters, 1976, n. 139) a Pierpaolo.
Nel 1394 i due fratelli firmarono la iconostasi di S. Marco a Venezia, cosa che fa pensare ad un inizio dei lavori verso il 1392-93 (per le vicende dell'iconostasi cfr. Wolters, 1976, n. 146). Poco dopo il 12 febbr. 1395 essi ricevettero un pagamento di 1.780 ducati.
Nello stesso anno, il 26 ott. 1395, "jacomelo da Venesia" si impegnò con Francesco Gonzaga ad erigere la facciata del duomo di Mantova per la somma di 2.000 ducati (cfr. Torelli, 1913, pp. 67 ss.; Marani, 1960, pp. 73 ss.; Wolters, 1976).
Il 13 apr. 1398 venne affidata a Pierpaolo un'altra fornitura di pietra per S. Petronio a Bologna (Gatti, 1889), mentre in una lettera del 27 maggio 1399, mandata a Venezia, Francesco Gonzaga dichiarò che Jacobello, nel marzo 1397, aveva fatto un quarto della facciata di Mantova, avendo però ricevuto la metà della somma che gli spettava (Torelli, 1913, pp. 67 ss.). Pare che fossero stati vani tutti i tentativi di convincere l'artista a finire i lavori. Il 29 ott. 1398 è menzionato un "laborerium quod fecit magister Iacomellus tayapetra in capella domine", a Mantova, che non ci è rimasto (ibid., p. 68). Quest'opera, di cui non sappiamo nulla di preciso, era dunque già terminata alla data suddetta, essendo stata iniziata chiaramente dopo il 20 apr. 1396 (Rambaldi, 1920, p. 73 n. 2). L'11 "marzo" 1399 Jacobello scrisse una lettera all'arciprete della cattedrale ("amico charissimo"), perché comunicasse a Francesco Gonzaga che intendeva recarsi a Milano (Torelli, 1913, p. 68). Il 12 luglio 1399 Francesco Gonzaga irriviò una lettera da cui traspare la sua grande stima per Jacobello (ibid.).
Sappiamo però poco sull'ipotetico soggiorno milanese. Non è ancora provato che il "Giacomolo da Venezia" attivo insieme con il fratello al duomo di Milano sia da identificarsi con Jacobello.
Se pensiamo alle condizioni poco allettanti che sarebbero state fatte in Milano a questo artista altamente stimato a Venezia, Bologna e Mantova, si rafforza il sospetto che nel nostro caso si tratti di altri artisti. La presunta presenza dei fratelli D. a Milano non solo ha portato ad attribuzioni a mio avviso insostenibili, ma si è anche creduto di vedere una loro influenza sull'arte lombarda (cfr., per es., G. Mariacher, Orme veneziane nella scultura lombarda. I fratelli D. a Milano, in Ateneo veneto, CXXXVI [1945], pp. 25 ss.); la Romanini (1955) attribuì loro perfino la facciata trecentesca del duomo di Milano. Le date però confutano questa ipotesi e suggeriscono invece che Jacobello abbia conosciuto questa facciata qùando disegnò quella del duomo di Mantova.
D'altra parte, che jacobello avesse intenzione di recarsi a Milano risulta dalla lettera dell'11 marzo 1399 con cui a "Giacomelo da Venezia e suo fratello" fu concesso di partecipare per un periodo di prova di tre mesi ai lavori del duomo di Milano (Annali, 1877, p. 197). Nel settembre dello stesso anno (Bocciarelli, 1958, p. 76) furono sistemate due volte le vertenze economiche con un "Magistro Jacomello de Veneziis inzenario [sic] fabricae". Il 12 ott. 1399 "Maestro Giacomelo da Venezia e suo fratello" furono dispensati dai lavori perché il duca di Pavia voleva che lavorassero solo per lui (Annali, 1877, p. 198). Il 26 ottobre dello stesso anno "Giacomolo da Venezia" è ancora membro di una commissione per i lavori al duomo (ibid.).
Prima del 27 maggio 1399 (la facciata del duomo di Mantova non era ancora compiuta), Jacobello aveva accettato l'incarico di erigere la tomba di Margherita Malatesta, moglie di Francesco Gonzaga, nella chiesa di S. Francesco a Mantova, senza però dare inizio ai lavori (Wolters, 1976, n. 147). Nello stesso anno Pierpaolo viveva a Venezia, dove il 30 dicembre concluse con Francesco Gonzaga il contratto per la costruzione della stessa tomba (doc. in Torelli, 1913, pp. 70 s.; resta soltanto la figura giacente di Margherita Malatesta, in palazzo ducale), promettendo inoltre di terminare anche le altre opere lasciate in sospeso dal fratello.
Dal 4 luglio 1400 al 28 ott. 1401 Pierpaolo ricevette pagamenti per lavori fatti alla facciata dei duomo di Mantova (ibid., p. 69), e nel settembre 1401 è comprovata la sua presenza a Mantova (ibid., p. 70). Il 20 ott. 1401 Pierpaolo ricevette l'incarico di eseguire varie finestre tonde per la facciata del duomo, e pagamenti ad esse riferentisi sono documentati fino al 1409 (Marani, 1960, pp. 76 ss.). Pierpaolo, come ha dimostrato il Marani, non dovette adeguarsi al contratto stipulato dal fratello, ma poté modificare il progetto d'esecuzione. A partire dall'ottobre 1401 si lavorava alle numerose figure ancora mancanti. Il 18 ott. 1401 fu saldato il conto per le opere della facciata, eseguite sotto la guida di Jacobello (Torelli, 1913, p. 69). Senza entrare qui in merito ai problemi posti dall'architettura della facciata, si ricordino però due documenti figurativi cui finora non si è prestata attenzione: il quadro di J. Tintoretto (Monaco, Alte Pinakothek; riprodotto in H. Tietze, Tintoretto, London 1948, fig. 221), e un disegno della seconda metà del Cinquecento a Londra (riprodotto e descritto in Pli. Pouncey-J. A. Gere, Italian Drawings in the Department of Prints and Drawings in the British Museum. Raphael and his Circle, London 1962, p. 274, cat. 291) che documentano, probabilmente con esattezza, alcuni dettagli del portico, come i capitelli. Marani (1960, p. 84 n. 44) e anche Paccagnini (1960, pp. 243 s.) hanno avanzato la proposta che due leoni, oggi davanti alla chiesa di Quingentole, appartenessero in origine al portale del duomo.
Il 2 ott. 1400 Pierpaolo concluse il contratto per la decorazione della finestra verso il molo della sala del Maggior Consiglio del palazzo ducale a Venezia (Paoletti, 1893, 13 p. 3; Wolters, 1976, n. 143). Tre anni dopo, il 14 maggio 1403, lo scultore si trovava in condizioni di salute assai precarie ("... gravi infirmitate corporea"), come risulta dal suo testamento (Paoletti, 1893. I, p. 4 n. 1). Marani (1960, p. 97) suppone che nel dicembre 1406 fosse ancora in vita, poiché il 15 di quel mese "Bernardo Horoxi chomesario de Piero Polo" aveva ricevuto un pagamento, ma questo Bernardo non viene menzionato fra gli esecutori testamentari.
Jacobello si trova citato ancora una volta nel 1409 a Bologna, dove cercava di far valere i suoi diritti per lavori fatti all'altar maggiore di S. Francesco, ma senza successo (Supino, 1914-15, doc. XIII).
Pierpaolo aveva un figlio di nome Antonio che nel testamento del 1403 risulta ancora minorenne.
Questi non è da confondere (come informa gentilmente il dott. I. Fiskovič) con quell'"Antonius q. magistri Pauli de Venetia habitator Sibeneci et magister fabricae ecciesiae S. Iacobi de Sebenico", il quale dal 1435 fino alla comparsa di Giorgio Orsini, nel 1441, era capomastro del duomo di Sebenico (I). Frey, Der Dom von Sebenico und sein Baumeister..., in Jahrbuch des Kunsth. Institutes der K. K. Zentraffiommission…, VII [1913], pp. 1-69 passim, docc. 10, 12; Rambaldi, 1920, p. 64 n. 4).
Pierpaolo e jacobello hanno dominato l'arte scultorea a Venezia tra il 1380 e il 1420. Rimane però ancora del tutto incerto il loro ruolo nell'edilizia sia monumentale sia minore a Venezia.
La relazione dei D. con l'arte toscana fu riconosciuta assai presto. Selvatico (1847) scrive che i due fratelli "... si posero a studiarla imitando le maniere dei Pisani insigni" (p. 104); Schnaase (1876) li definì successori fedeli dello stile toscano. La componente lombarda, esistente a mio avviso solo in Jacobello, venne rilevata implicitamente già dal Cicognara (1823, III, p. 291) con la sua attribuzione al D. - espressa però con riserva - dell'arca di S. Agostino a Pavia, e dal Perkins (1883). Una speciale importanza alla esemplarità delle opere di Nino Pisano venne data da Gnudi (1937), Fiocco (1947) e Mariacher (1947). Che Jacobello e Pierpaolo fossero usciti dalla bottega di Andriolo de Santi è stato supposto da Krautheimer (1929, p. 208), Bettini (1932, p. 348) e da Gnudi (1937, p. 29). Quest'ultimo (ibid., p. 30; 1950, P. 52) vide però Jacobello soprattutto nell'ambito della tradizione veneziana: "dagli scultori bizantini e romanico-bizantini ad Andriolo de Santi, dai mosaicisti di San Marco e Maestro Paolo, da cui muove jacobello ... l'antico pathos e le antiche convenzioni espressive". Influenze transalpine sono state poi rilevate soprattutto nelle figure di Jacobello (così Krautheimer, 1929, p. 208). Contro una componente transalpina si è pronunciato, credo in modo convincente, lo Gnudi (1937, p. 30): "cioèin sostanza il linguaggio stilistico, è profondamente diverso e distingue l'arte di Jacobello da quella d'oltralpe nell'essenziale, limitando le affinità all'esteriore".
I documenti e l'ovvia differenza stilistica tra alcune delle opere commissionate ad ambedue i D. potrebbero rivelare una suddivisione dell'opera dei fratelli come proposta da chi scrive anni fa (Wolters, 1976, pp. 62 ss.). Ci sono delle rassomiglianze nel modellato e nel comune rapporto con la tradizione scultorea lombarda (per es. le opere di Bonino da Campione) nel rilievo della tomba di Giovanni da Legnano, nelle sculture della parte mediana dell'iconostasi marciana, nella piccola scultura del doge A. Venier inginocchiato (Venezia, Civico Museo Correr: ibid., n. 142) e in due Santi in S. Stefano a Venezia (ibid., n. 145), opere, che a mio avviso possono essere attribuite a Jacobello.
Differenti invece, e quindi attribuibili a Pierpaolo, sono le sculture dell'altare bolognese (rovinato tra l'altro dai vari restauri) che mostrano una profonda conoscenza della scultura toscana precedente, ed innanzitutto di Andrea e Nino Pisano. Lo stesso rapporto con prototipi toscani si riconosce nelle sculture delle parti laterali dell'iconostasi marciana, realizzate posteriormente a quelle della parte centrale, e nel S. Antonio del J. B. Speed Art Museum di Louisville nel Kentucky. Le sculture summenzionate potrebbero essere autografe. Altre, come quelle della finestra verso il molo della sala del Maggior Consiglio nel palazzo ducale a Venezia, risultano opere di anonimi collaboratori, mentre il disegno per la struttura architettonica, che ricorda l'altare bolognese, potrebbe essere di Pierpaolo che firmò il contratto. Anche la figura giacente di Margherita Malatesta, frammento della sua tomba, non risulta a mio avviso autografa.
Non è del tutto certo che fosse figlio di jacobello il Paolo di Jacobello che ha firmato due tombe: quella di Iacopo Cavalli (morto nel 1385) in Ss. Giovanni e Paolo a Venezia e quella di Prendiparte Pico della Mirandola (morto nel 1394) in S. Francesco a Mirandola (descrizione in Campori, 1855). Queste due opere non presentano affinità stilistiche o tipologiche tali da permettere, senza la presenza delle firme, di attribuirle allo stesso artista. Queste differenze potrebbero essere il risultato di nuove esperienze vissute dallo scultore in Lombardia dove avrebbe potuto studiare sculture nate nella cerchia di Bonino da Campione.
Se il "magister Paulus lapicida", che l'11 genn. 1412 si vide dimezzare dalla Signoria veneziana la cifra annuale di 40 ducati che da essa riceveva (come "proto" della basilica di S. Marco?) sia identico con Paolo di Jacobello non è cosa certa, ma probabile, considerando gli incarichi ufficiali che Paolo avrebbe in seguito ricevuto (doc. in Paoletti, 1895). In una lettera del 19 marzo 1414, firmata dal doge Tommaso Mocenigo, si parla di un tale "Paulo lapicida" che era andato a Lucca per l'acquisto di marmo che doveva servire alla decorazione delle facciate di S. Marco. Affinità stilistiche con figure della tomba di Prendiparte presentano un S. Antonio ed un S. Paolo Eremita (?) della facciata meridionale della basilica. Ci sono inoltre affinità in due dei quattro Padri della Chiesa (quelli verso occidente) della facciata nord (Wolters, 1976, p. 246). Altre sculture potrebbero essere state eseguite dai suoi presunti collaboratori.
Rare sono state le attribuzioni a Paolo di Jacobello; comunque certamente non è suo il monumento sepolcrale di Ilario Sanguinacci agli Eremitani di Padova, attribuitogli dal Moschetti (1934).
Fonti e Bibl.: Bologna, Bibl. comun. dell'Archiginnasio, ms. B30: M. Oretti, Pitture nelle chiese della città di Bologna... nell'anno 1767, p. 89; L. Cicognara, Storia della scultura, Prato 1823, III, pp. 291, 374 ss.; V. Davia, Memorie stor. artist. intorno alla tavola figurata già esistente sul maggiore altare della chiesa di S. Francesco di Bologna prima del 1776, Bologna 1843; P. Selvatico, Sulla architettura e sulla scultura in Venezia, Venezia 1847, pp. 104, 119-24, 146; C. Schnaase, Gesch. d. bildenden Künste, VII, Düsseldorf 1876, pp. 471, 474 s.; Annali della Fabbrica del duomo di Milano…, I, Milano 1877, pp. 197 ss.; C. C. Perkins, Historical Handbook of Italian Sculpture, London 1883, pp. 202, 205; A. Gatti, La fabbrica di S. Petronio, Bologna 1889, p. 77 doc. 25; P. Paoletti, L'architettura e la scultura del Rinascimento a Venezia, Venezia 1893, ad Ind.; A. Venturi, Storia d. arte ital. [ 1901-40], cfr. Index a cura di J. D. Sisson, Nendeln 1975; G. Bariola, Riassunto di una confer., in Atti e mem. d. R. Deputaz. di storia patria per le provincie modenesi, s. 5, IV (1905), p. XII; I. Supino, La scultura in Bologna nel sec. XV. Ricerche e studi, Bologna 1910, ad Ind.; P. Torelli, J. e P. P. D. a Mantova, in Rassegna d'arte, XIII (1913), pp. 67-71; I. Supino, La pala d'altare di J. e P. P. D. nella chiesa di S. Francesco in Bologna, in Mem. d. R. Accademia delle scienze d. Istituto di Bologna, cl. di sc. mor., XI (1914-15), pp. III-55; L. Planiscig, Geschichte der venezianischen Skulptur im XIV Jahrh., in Jahrbuch der Künsthist. Sammlungen des Allerhöchsten Kaiserhauses, XXXIII (1916), pp. 31-212 passim; P. L. Rambaldi, Nuovi appunti sui maestri J. e P. P. da Venezia, in Venezia. Studi di arte e di storia a cura della direzione del Museo Civico Correr, I (1920), pp. 63-88; R. Krautheimer, Zur venezianischen Trecentoplastik, in Marburger Jahrbuch für Kunstwissenschaft, V (1929), pp. 193-212; S. Bettini, L'ultima e la più bella opera di P. P. D., in Dedalo, XII (1932), pp. 347-59; C. Gnudi, J. e P. P. D., in Critica d'arte, II (1937), pp. 26-38; C. Baroni, Scultura gotica lombarda, Milano 1944, ad Ind. (non concordiamo con l'attrib., pp. 143 s., del S. Giovanni Evangelista, fig. 323); G. Mariacher, Orme venez. nella scultura lombarda: i fratelli D. a Milano, in Ateneo veneto, CXXXVI (1945), pp. 25 ss.; G. Fiocco, Fatti veneti alla mostra della scultura pisana del Trecento, in Arte veneta, I (1947), pp. 134 ss.; G. Mariacher, Note su Nino Pisano e la scultura gotica veneziana, in Belle Arti, I (1947), pp. 140-49; C. Gnudi, Un altro frammento dell'altare bolognese di Giovanni di Balduccio, ibid., pp. 165-81; Id., Nuovi appunti sui fratelli D., in Proporzioni, III (1950), pp. 48-55; P. Toesca, Il Trecento, Torino 1951, ad Ind.; I Maestri della scultura, 11, R. Roli, I D., Milano s. d.; A. M. Romanini, Apporti veneziani in Lombardia. Note su J. e P. D., in Venezia e l'Europa (Atti del XVIII Congresso internaz. di st. d. arte, Venezia 1955), Venezia 1956, pp. 176-80 (l'ipotesi è confutata dalle date); G. Bocciarelli, Di una probabile opera di J. D. a Milano, in Arte lombarda, III (1958), pp. 73-76 (non concordiamo con l'attribuzione); E. Marani, Nuovi doc. mantovani su J. e P. D., in Atti e mem. d. Accademia virgiliana... di Maritova, n. s., XXXII (1960), pp. 71-102; G. Paccagnini, in Mantova. Le arti, I, Mantova 1960, ad Ind.; W. Wolters, Über zwei Figuren des J. D. in S.to Stefano zu Venedig, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, XXVIII (1965), pp. 113-20; L. Heusinger, J. und P. D., München 1967 (tesi di dottorato); J. Gitlin Bernstein, Three Statues ori the Cathedral of Milan attributed to Jacomello and P. D., in Il duomo di Milano, Milano 1969, pp. 95-105 (non concordiamo con l'attribuzione); W. Wolters, La scultura veneziana gotica (1300-1400), Venezia 1976, ad Ind.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 200-03 (s. v. Masegne); Encicl. Ital., XII, p. 240.
Le opere di Paolo vengono menzionate in qua si tutte le pubblicazioni che riguardano Pierpaolo e Jacobello. Vedi inoltre e in part.: A. Moschetti, Gli "Scrovegni" e gli "Eremitani" a Padova, Milano 1934, p. LXXIX; G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati Estensi, Modena 1855, pp. 379 s. (Polo di Jacomello); P. Paoletti, Raccolta di documenti inediti per servire allastoria della pittura veneziana nei secc. XV e XVI, fasc. II, Padova 1895, p. 8; W. Wolters, La scultura…, 1976, cit., pp. 62 ss., 213 ss.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, pp. 202 s. (con altra bibl.).