DALVERZIN TEPE
Località dell'antica Battriana settentrionale (odierno Uzbekistan), situata sulla riva destra del corso medio del Surkhan Daryä, ove gli archeologi sovietici hanno riportato alla luce i resti di una città fortificata che, fondata all'epoca del regno greco-battriano (III-II sec. a.C.), raggiunse il suo massimo splendore sotto il dominio kuṣāṇa, qui attestato tra il I sec. a.C. e il III sec. d.C., allorché divenne il capoluogo della parte centrale della vallata del Surkhan Daryā. A partire dal IV sec. d.C. il centro conobbe un periodo di decadenza, interrotto da una parziale ripresa fra il VI e il VII sec., quando la media valle del Surkhan Daryā divenne la sede del principato di Čaganian, per poi essere totalmente abbandonato nell'VIII secolo.
Le prime ricerche archeologiche a D. T. risalgono al 1949 e furono seguite agli inizi degli anni '60 da un rilievo topografico e da trincee nel perimetro delle fortificazioni. Lo scavo sistematico del sito venne intrapreso a partire dal 1967, a opera della spedizione dell'Istituto di Storia dell'Arte dell'Uzbekistan, diretta da G. A. Pugačenkova. Lo scavo, non ancora completato, ha tuttavia consentito di ricostruire nel suo insieme e nelle diverse fasi storiche la fisionomia del sito che può essere considerato il principale centro urbano della media valle del Surkhan Daryā in epoca greco-battriana e kuṣāṇa.
D. T. si eleva su un promontorio, isolato a E, S e O da uno scosceso pendio e collegato alla piana alluvionale solo nel lato N. La città presenta un impianto approssimativamente rettangolare (650 x 500 m) nel quale è possibile distinguere una città bassa e una città alta che occupa l'angolo SE. La parte più antica dell'insediamento urbano è costituita dalla città alta (100 x 150 m) che risale al periodo del dominio greco-battriano ed è difesa da una robusta cinta muraria in terra pressata. Altre tracce di questa prima fase sono costituite da ritrovamenti ceramici là dove, successivamente, si svilupperà la città bassa. Dopo un breve periodo di regressione, forse collegabile all'invasione śaka, D. T. conosce, a partire dal I sec. a.C., una progressiva espansione documentata anche dalla cinta fortificata che racchiude la città bassa e che, nel corso del II-III sec. d.C., viene rimaneggiata e rinforzata con l'inclusione di casematte. In questa fase, che corrisponde politicamente al dominio kuṣāṇa (I sec. a.C.-III sec. d.C.), si assiste allo sviluppo urbano della città bassa, ove vengono costruite numerose abitazioni ed edifici religiosi. Il microrilievo ha rivelato una notevole irregolarità dell'impianto viario, un fenomeno questo che G. A. Pugačenkova (altri non condividono questa opinione) tende a considerare come l'esito di una scelta urbanistica destinata a creare una struttura difensiva più efficace in caso di invasione nemica. All'interno della città i cantieri di scavo hanno fin qui portato alla luce un quartiere artigianale (DT9), un gruppo di dimore patrizie (DT5, 6, 12), una struttura abitativa (DT7) trasformata in tutto o in parte in un tempio in pieno periodo kuṣāṇa, e più recentemente, un santuario buddhista. Un primo santuario buddhista, anch'esso edificato in epoca kuṣāṇa, era già stato rinvenuto fuori dalle mura. A partire dal IV sec. appaiono chiari segni di decadenza sia nelle abitazioni civili, ove sono state osservate anche tracce di incendio, sia nelle strutture religiose, che vengono abbandonate.
I resti archeologici di D. T. per la loro varietà e ricchezza fanno di questo sito un punto fondamentale di riferimento per la ricostruzione della storia della cultura materiale e religiosa della Battriana settentrionale in epoca kuṣāṇa.
Le dimore patrizie, che si elevano nella città bassa, forniscono un interessante esempio della concezione e dell'organizzazione dello spazio abitativo. Il materiale da costruzione è, come anche altrove in Battriana, costituito da mattoni crudi. Lo studio dettagliato delle abitazioni DT5 e DT6, collocate nel settore O, consente di sottolineare alcuni elementi caratteristici. Si tratta di due edifici affiancati l'uno all'altro e accomunati da un identico sistema di scansione dello spazio. L'ampia superficie complessiva dell'abitazione (42 x 34 m in DT5 e 46 x 41 m in DT6) è divisa mediante un lungo corridoio in due settori, uno dei quali riservato all'abitazione vera e propria, l'altro a funzioni di rappresentanza: le due zone, comunicanti fra di loro, sono dotate anche di ingressi indipendenti. La facciata principale è formata da un portico colonnato seguito da un vestibolo che immette nella sala di ricezione vera e propria. La zona di rappresentanza era decorata con affreschi o soffitti a cassettoni con sculture lignee fitomorfe. Per ciò che concerne l'origine di questo tipo di architettura civile, mentre gli archeologi sovietici ne sottolineano il carattere tipicamente locale, P. Bernard ritiene che in essa si debba piuttosto riconoscere una tradizione greco-battriana. In tutte le abitazioni private sono state rinvenute, in stanze diverse, nicchie con focolari che secondo G. A. Pugačenkova sarebbero legate al culto del fuoco (P. Bernard suggerisce invece una funzione non rituale, ma utilitaria). Nel IV sec. d.C. entrambe le abitazioni rivelano chiari segni di decadenza. In particolare ci sono tracce di incendio in DT5, ove è stato rinvenuto anche un tesoro, frettolosamente sepolto. Fra gli oggetti vanno ricordate alcune barre d'oro che portano inciso il peso in caratteri kharoṣṭhī, bracciali, un pettorale decorato al centro da cilindri con turchesi incastonati, orecchini e un fermaglio (?) con decorazione in stile animalistico. Nelle rovine di DT6 è stato trovato, sepolto, un tesoro di monete d'oro del sovrano kuṣāṇa Vāsudeva (III sec. d.C.), la cui presenza fornisce un prezioso terminus post quem.
Fra gli edifici con funzione religiosa un posto di primo piano spetta a DT7, innalzato nell'angolo NO della città bassa. Si tratta di un santuario (o di una struttura abitativa con santuario domestico) a pianta rettangolare (32 x 13 m) edificato alla fine del II sec. a.C. e costituito da dieci stanze. A partire dal I sec. d.C., esso subisce un rimaneggiamento della pianta, e compaiono decorazioni scultoree e pittoriche. Queste ultime, pur se in condizioni frammentarie che impediscono una ricostruzione precisa della scena raffigurata, costituiscono una fra le più antiche testimonianze della pittura dell'Asia centrale. I frammenti comprendono il busto di un personaggio maschile, con barba, baffi e un diadema intorno alla fronte, raffigurato mentre solleva con entrambe le braccia sul proprio capo un fanciullo. Lo affianca una figura femminile, di cui rimangono viso e braccia, che tiene altri due bambini. Altri frammenti pittorici comprendono un quarto bambino, una testa femminile, un braccio ed elementi fitomorfi e geometrizzanti. Le immagini rivelano una forte sensibilità per il volume e il movimento, espressi sia nella resa di scorcio dei volti, sia mediante una sorta di chiaroscuro. La gamma cromatica impiegata comprende bianco, nero, rosso, rosa e giallo carico. Quanto al significato della composizione, la coppia con bambini è stata interpretata come la raffigurazione di un sacerdote e di una sacerdotessa che presentano e affidano dei fanciulli alla protezione di una divinità femminile. La statua di quest'ultima, realizzata come d'abitudine in Battriana in argilla cruda, compare in condizioni assai frammentarie in prossimità del pannello dipinto e sarebbe da identificare con la Grande Dea di Battriana.
Ugualmente dedicato a una divinità femminile protettrice della fertilità sarebbe un secondo santuario edificato nel quartiere artigiano (DT9), nell'angolo SO della città bassa.
Il tempio è architettonicamente assai modesto, ma presenta una notevole decorazione scultorea e pittorica, di cui rimangono diversi frammenti. L'edificio è composto fondamentalmente di un vestibolo e di una cella dotata, lungo il muro di fondo, di un bancone in muratura. Su quest'ultimo erano collocati due gruppi scultorei in argilla cruda che comprendevano una figura femminile stante accompagnata da fanciulli. Della composizione rimangono alcune teste e frammenti di gambe e vesti. G. A. Pugačenkova attribuisce il santuario al culto di una divinità femminile, Nana o Ardokhšo. Anche se non è possibile identificare la dea, il carattere religioso della costruzione è confermato da tutta una serie di oggetti di sicuro significato rituale (un rhytón in ceramica, un brucia-incensi, un piccolo altare in calcare). I ritrovamenti monetari consentono di proporre per questo santuario una cronologia che va dal I al III sec. d.C.
I più notevoli resti scultorei di D. T. provengono dal santuario buddhista DT1, collocato fuori le mura, 400 m a N. Esso comprende uno stūpa, di cui rimane solo la base rettangolare (8 x 7 m), circondato su tre lati da corridoi deambulatori chiamati convenzionalmente «sala degli idoli» (a N), «sala dei re» (a O) e un corridoio ausiliario a S. Nella «sala degli idoli» erano collocate statue di stucco raffiguranti il Buddha, dei Bodhisattva, monaci buddhisti e devatā (divinità minori): insieme a immagini assai frammentarie ci sono giunte molte teste ben conservate che mostrano chiare tracce della policromia originaria. Dalla «sala dei re» provengono numerose sculture raffiguranti il Buddha e donatori in costume kuṣāṇa. In entrambi i gruppi vige un rigoroso simbolismo proporzionale e un preciso interesse per i realia, particolarmente evidente nella resa dei dettagli dell'abbigliamento. Assai interessante è la tecnica di esecuzione delle sculture, già attestata ad Ai Khānum. Esse sono realizzate con un nucleo centrale di argilla applicato su un'anima di legno e coperto in ultimo da un sottile strato di stucco; fra lo stucco e l'argilla era collocato un tessuto che aveva la funzione di legare insieme i materiali evitando, al tempo stesso, l'assorbimento troppo rapido dell'umidità, che avrebbe potuto provocare lesioni nello stucco. Dal punto di vista formale queste immagini rivelano una sensibilità plastica e volumetrica di carattere ellenizzante e sono ispirate da un ideale di bellezza ben diverso da quello espresso, p.es., nei frammenti scultorei di DT7, legati a canoni assai lontani dalla tradizione classica. Il santuario DTi è datato da G. A. Pugačenkova al regno del sovrano kuṣāṇa Vima Kadphises (I sec. d.C.), mentre B. Staviskij preferisce la nozione più ampia di «periodo kuṣāṇa».
Si deve infine ricordare il mausoleo DT14, collocato fuori le mura, fra il santuario buddhista e la cinta fortificata. Si tratta di una costruzione a pianta quadrata (13 x 12,50 m) con un corridoio centrale sul quale si aprono otto piccole stanze (2,70 x 1,25 m) con copertura a volta. Esso presenta notevoli somiglianze con il mausoleo della necropoli di Ai Khānum. Secondo G. A. Pugačenkova entrambi deriverebbero da un prototipo battriano non pervenuto, laddove P. Bernard pensa piuttosto che un modello greco-battriano del tipo di Ai Khānum sia all'origine di quello di Dalverzin Tepe. Il mausoleo DT14 fu costruito nel II sec. a.C. e venne utilizzato in fasi successive fino al IV sec. d.C. I riti funerari sono quello dell'inumazione di cadaveri nel primo e nell'ultimo periodo, e quello della deposizione di resti ossei nella fase centrale. Quest'ultimo rituale è stato collegato a un culto di tipo zoroastriano, ma potrebbe anche essere letto come traslazione di cadaveri inumati e poi rimossi per far posto a nuove sepolture.
La città di D. T. fornisce una preziosa testimonianza della civiltà e dell'arte battriana in epoca greca e kuṣāṇa, dalla quale emerge non solo la persistenza degli elementi ellenistici ma anche la loro profonda trasformazione realizzata sulla base di un gusto e di una tradizione locale, evidente sia nell'organizzazione dello spazio architettonico, sia nella visione estetica espressa nelle sculture e nei frammenti pittorici.
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