DAMASCO
(gr. ΔαμασϰόϚ; lat. Damascus; arabo al-Shāmo Dimashq)
Capitale della Rep. Araba di Siria, situata al margine occidentale del deserto siriano, ai piedi della catena montuosa dell'Antilibano, in una piana ove il fiume Baradā crea una grande e fertile oasi detta Ghūṭa.La città medievale - dapprima sede metropolitana bizantina, poi capitale dell'impero omayyade e in seguito capoluogo provinciale di diverse formazioni statali musulmane - si sviluppò a partire dall'originario impianto cardo-decumanico, probabilmente di remota origine semitica, consolidato e strutturato dai Seleucidi e dai Romani, ossatura di tutte le edificazioni successive. Della città antica restano tuttora leggibili la principale arteria est-ovest, l'antica via Recta, una parte del sistema di lottizzazione in insulae rettangolari, il perimetro emicircolare del teatro e dell'odeon, da alcuni ritenuto un palazzo, il sito dell'agorá, nonché notevoli vestigia del santuario di Giove Damasceno e della via colonnata che conduceva al suo ingresso secondario occidentale.Integrata nell'impero bizantino alla morte di Teodosio I nel 395, D. divenne capoluogo della Fenicia e sede metropolitana da cui dipendevano tredici vescovi. La cattedrale, della quale non rimane alcuna traccia, era legata al nome e al luogo di sepoltura della testa di s. Giovanni Battista e sorgeva sul sito del santuario romano - eretto a sua volta nel témenos del santuario semitico di Hadad -, di cui occupava il settore sud, disponendosi probabilmente secondo uno sviluppo longitudinale in senso E-O, con l'abside rivolta a Oriente.Molto indebolita dal passaggio dei Sasanidi di Cosroe II nel 612, senza subire peraltro gravi distruzioni, e quindi ricondotta sotto il controllo bizantino da Eraclio nel 628, D. fu conquistata dalle armate islamiche in due riprese tra il 635 e il 636.La fortuna della città iniziò con l'avvento al potere della dinastia degli Omayyadi, il cui fondatore Mu῾āwiya, proclamatosi califfo nel 661, trasferì da Medina a D. la sede della capitale imperiale. Le strutture della città paleocristiana e bizantina in quell'epoca non dovettero subire molte trasformazioni, se non per la costruzione della prima Grande moschea e del contiguo palazzo al-Khaḍra, che riutilizzava la residenza dei governatori bizantini; entrambi gli edifici erano addossati al muro meridionale del santuario, ove restava la chiesa di S. Giovanni Battista, conservata secondo gli accordi ancora in vigore.Nei pressi di questo nucleo sorsero in seguito altri edifici e spazi pubblici - la dār al-'adl ('palazzo di giustizia'), la dār al- 'ādl ('casa della felicità') sede del governo, una dār al-khayal ('casa degli ambasciatori'), alcuni mercati e una qayṣariyya, il mercato chiuso e coperto per le merci pregiate -, protetti dalla cittadella, nonché le residenze di alcune famiglie di notabili che andarono a occupare abitazioni confiscate all'aristocrazia bizantina; il grosso della popolazione preferì invece restare accampata presso al-Jābiya, nella vicina regione dell'Ḥawrān.Ritenuta forse ancora poco adatta alle esigenze delle truppe beduine, che desideravano vivere in ampi spazi aperti, D. assunse essenzialmente il carattere di centro politico-amministrativo e religioso, formato - entro una città ancora in gran parte abitata da cristiani ed ebrei - da una piccola comunità musulmana in espansione.Una seconda fase importante del processo di appropriazione della città da parte degli Omayyadi iniziò allorché, durante il regno di al-Walīd (705-715), fu edificata una nuova Grande moschea, estesa a tutta l'area che era stata del santuario pagano: ciò comportò la confisca della chiesa e la demolizione delle altre costruzioni che avevano invaso lo spazio del recinto; tuttavia ancora nel 670, secondo la testimonianza del vescovo Arculfo (Beda, De locis sanctis, II, 4; Corpus Christianorum Lat., CXXI, 1983, p. 171), sussistevano santuari distinti per le due comunità, entrambi nell'area del témenos, anche se non affiancati nello stesso edificio come alcuni studiosi hanno ipotizzato dalla lettura delle fonti. La scelta del sito derivò non solo dall'intenzione di ereditare il prestigio della fede cristiana - restavano comunque ancora quattordici delle quarantadue chiese entro le mura - e dal desiderio di emularne le architetture monumentali, ma anche dalla volontà di adeguarsi alla consuetudine della 'continuità topica' che aveva già suggerito ai cristiani di rispettare il sito del santuario romano-ellenistico di Giove Damasceno. Il vasto recinto rettangolare del tempio (m. 385305) dettò quindi sin dall'inizio ai progettisti le dimensioni totali dello spazio sacro per il culto islamico.L'impresa dovette essere realizzata con un impegno finanziario, tecnico e organizzativo non indifferente: il califfo attirò nel grande cantiere architetti, costruttori e artigiani siriani, persiani e greci e soprattutto artisti di Bisanzio, autori delle famose rappresentazioni murali musive di città ideali con padiglioni e giardini verdeggianti. La moschea assunse allora la struttura definitiva che comprendeva la sala di preghiera a tre navate trasversali con cupola sul vano del miḥrāb e la vasta corte porticata antistante, destinata a restare sostanzialmente inalterata, nonostante le vicende dei secoli seguenti.Un altro intervento di grande rilevanza urbanistica e territoriale fu la costruzione del canale Yazīd, realizzato dallo stesso al-Walīd, nel rispetto delle antiche norme tecnico-idrauliche che regolavano l'uso delle acque del fiume Baradā (Tresse, 1929, pp. 548-549).Sotto gli Abbasidi (750-970), che spostarono la capitale del califfato nella regione mesopotamica e degradarono D. al ruolo di centro provinciale, la città attraversò un periodo di ristagno e di insicurezza, che comportò il saccheggio degli edifici monumentali, lo smantellamento delle difese e perfino la profanazione delle tombe dell'epoca omayyade, in odio alla dinastia sconfitta.Al periodo successivo - che vide D. nell'orbita dei Tulunidi (fine del sec. 9°) e degli Ikhshidi (inizio del sec. 10°) con sede in Egitto, impegnati nel difendere la città contro gli attacchi degli Zanj, dei Carmati e degli Hamdanidi di Aleppo - è forse da attribuire l'edificazione (ante 895), sull'asse del muro nord del cortile della Grande moschea, del Mi᾽dhanat al-῾Arūs ('minareto della sposa'), destinato a segnalare a distanza l'avvenuta completa appropriazione di tutto l'antico santuario da parte della nuova religione (Elisséeff, 1965, p. 289).Con l'avvento del califfato sciita dei Fatimidi (970-1076), anch'esso con base in Egitto e in continua opposizione a quello sunnita di Baghdad, iniziò un secolo di dispotismo e decadenza, non senza perdite per il patrimonio monumentale, aggravate dall'incendio del 1069, che danneggiò anche la moschea degli Omayyadi.La conquista della Siria da parte dei Grandi Selgiuqidi d'Iran (1078-1117) portò a una ripresa delle attività economiche e alla formazione di nuovi sobborghi, come ῾Uqayba a S e Shaghūr a S-O. Sotto il governatore Duqāq (1091-1104) è attestata la costruzione, a O della Grande moschea, del più antico ospedale della città e della prima madrasa di dottrina hanafita, la Ṣādiriyya: due tipiche espressioni del contributo recato alla struttura urbana della D. medievale dalle istituzioni culturali e assistenziali introdotte dai Selgiuqidi.Nonostante alcune fasi di relativa ripresa, come durante il dominio della dinastia dei Buridi (1117-1146), fondata da Tughtagin, D. continuò ad attraversare lunghi momenti di anarchia e di insicurezza, dovendo tra l'altro resistere alle mire di potenti vicini, quali i Selgiuqidi di Baghdad, protettori del califfato sunnita, gli Zangidi di Aleppo, i Fatimidi d'Egitto e i Franchi del regno latino di Gerusalemme.La popolazione, mal governata e minacciata da terrore e miseria, fu costretta a una vita corporativa, con una netta separazione dei quartieri per comunità confessionali e per origine tribale; tale esigenza portò variazioni nell'assetto urbanistico se non nella stessa struttura della città, con la creazione di comparti e quartieri (ḥāra) barricati entro mura proprie, dotati di servizi e milizie autonomi e di sistemi di accesso ramificati con strade private (sharī῾, darb, zuqāq).Solo dopo la metà del sec. 12° iniziò un'epoca propizia per D., con l'avvento degli Zangidi (ad Aleppo dal 1127 e al potere in Siria fino al 1181) e specialmente di Nūr al-Dīn Maḥmūd (sovrano dal 1146 al 1174), che riuscì a realizzare l'unità della Grande Siria, dalla Cilicia alla Palestina, facendo di D. la capitale di un vasto stato unitario e indipendente, baluardo del sunnismo contro i Fatimidi e dell'Islam contro i crociati. Nūr al-Dīn può essere considerato il rifondatore di D. e l'artefice della rinascita della città, operata attraverso un sistema di nuove istituzioni culturali e assistenziali, di opere pubbliche e di architetture militari.Oltre al rafforzamento della struttura urbana primaria - la Grande moschea, la sede del governo, il sistema commerciale e i servizi relativi - Nūr al-Dīn realizzò o restaurò opere di difesa quali la cittadella, la cerchia muraria di forma ovoidale aperta da alcune porte (Bāb al-Saghīr, Bāb Jābiya, Bāb Tūmā, Bāb al-Farāj, Bāb al-Salām, Bāb al-Farādis) e la torre cilindrica che reca un'iscrizione del 1171; fece inoltre sistemare due vasti spazi attrezzati per le esercitazioni e le parate militari. A lui si devono pure la fondazione nel 1161, sulle pendici del monte Qāsyūn, del nuovo quartiere di al-Ṣāliḥiyya e di un gran numero di edifici religiosi (moschee, madrase tra cui quella di 'ādiliyya), nonché l'istituzione di un nuovo dār al- 'adl, divenuto in seguito dār al-sa 'āda, e la costruzione della madrasa funeraria e del māristān (ospedale e scuola di medicina) che portano il suo nome (Elisséeff, 1949-1951).Sulla D. della seconda metà del sec. 12° risulta importante la testimonianza del Tarīkh madīnat Dimashq (Storia della città di Damasco) di Ibn ῾Asākir (1105-1176), un inventario dei monumenti, ordinato secondo un itinerario; oltre al catalogo delle quattrocentoventi moschee - duecentoquarantadue urbane, centosettantotto extra muros - e delle dodici madrase, destinate a diventare cento nel sec. 13°, l'opera elenca con grande precisione i palazzi patrizi, le quindici chiese cristiane, il sistema dei bagni e dei canali, la rete dei santuari, i cimiteri e le porte urbane.L'attività edilizia a D. continuò sotto gli Ayyubidi (1186-1260), anch'essi con base in Egitto, che resero la città sede di una corte principesca e di importanti commerci orientati soprattutto verso i porti italiani.Gli Ayyubidi non vennero meno al programma di rifacimento e di rafforzamento delle strutture difensive già applicato al Cairo e in altre città e località strategiche dei loro domini: molte porte e alcuni tratti della cerchia urbana, in seguito in larga misura demolita, furono rifatti o rimodellati (torre di al-Ṣālih, del 1247), mentre la massiccia cittadella fiancheggiata da dodici torri e lambita a N dal canale Banyās (derivazione del fiume Baradā), che fungeva da fossato, fu a sua volta ricostruita integralmente nei primi anni del sec. 13° da al-Malik al-῾Ādil e restaurata poi da Baybars nella seconda metà dello stesso secolo (Sauvaget, 1930; King, 1951; al-Riḥāwī, 1979; Hanisch, 1991).Con la fine della dinastia ayyubide, a seguito della occupazione di D. da parte delle truppe mongole di Hulagu (1260) e con la venuta al potere dei Mamelucchi, che arrestarono l'invasione mongola, la città continuò a essere politicamente dipendente dal Cairo, come capoluogo della provincia siriana. Con i Mamelucchi Bahriti (1260-1382) si registrò una ripresa di attività, anche perché il sultano Ẓāhir Baybars (1260-1277) risiedette a lungo a D., ove eresse tra l'altro il magnifico Qaṣr al-Ablaq, il distrutto 'palazzo bicolore' che servì da modello per il più famoso omonimo palazzo costruito nella cittadella del Cairo da Muḥammad ibn Qalāwūn.Sulla D. del sec. 14°, ripresasi dalla nuova incursione dei Mongoli del 1300, è rilevante la testimonianza di Ibn Baṭṭūta (Riḥla), che descrisse i principali edifici della città, visitata nel 1326.La storia della D. medievale termina con l'occupazione a opera di Tamerlano (1400), che si rivelò disastrosa per la città non solo a causa dei saccheggi, delle distruzioni e degli incendi - tra l'altro ai danni della Grande moschea e della residenza del governatore -, ma soprattutto perché il sovrano turkmeno fece deportare in Asia centrale tutta la mano d'opera artigianale e gli operai specializzati, con effetti catastrofici sulle possibilità di ripresa della metropoli siriana.Tra i monumenti conservati di epoca medievale va citata in primo luogo una serie di moschee minori, quasi sempre del tipo a sala trasversale e con grande ṣaḥn antistante (per es. la Jāmi῾ al-Tabwa, del 1233; la Jāmi῾ Yalbagha, del 1346; la moschea edificata a O delle mura da Tinkiz, del 1317; la moschea hanbalita Jāmi῾ al-Muẓaffari, del 1201; la Jāmi῾ al-Jadīd, del 1281, con funzione di Grande moschea, nel sobborgo di Ṣāliḥiyya), che confermano la vitalità di un'autorevole tipologia regionale destinata a grande fortuna anche nei secoli seguenti e in aree esterne alla Siria.Complementare alla rete delle moschee, e certamente più diffuso, era il sistema delle madrase, scuole create con apposite fondazioni dagli Zangidi, dagli Ayyubidi e dai Mamelucchi in funzione pro-sunnita; tali scuole erano accolte in edifici di aspetto severo e di volumetria compatta, dotati di una corte interna a quattro īwān che fungevano da aule di insegnamento con alloggi per studenti e insegnanti e che spesso includevano il mausoleo del mecenate (Abū, 1974). Entro le mura le madrase si concentravano nell'area a N della Grande moschea, nel quartiere di Ḥayy al-Khalāṣa (per es. nel periodo zangide al-Nūriyya al-Kubrā, del 1171, e al-Rayḥāniyya, del 1179; nell'epoca ayyubide al-῾Ādiliyya al-Kubrā, del 1217, e al-῾Izziyya, del 1223; nell'età mamelucca al-Ẓāhiriyya, del 1276; Al-Riḥāwī, 1960); un altro gruppo era nel quartiere di Ṣāliḥiyya (per es. le madrase ayyubidi al-Ṣāḥibiyya, del 1232, e al-Murshīdiyya, del 1251).Funzioni e tipologie edilizie analoghe a quelle delle madrase assumevano alcune scuole specializzate quali la dār al-Qurān ('casa dei lettori del Corano') e la dār al-ḥadīth ('casa per l'insegnamento delle tradizioni religiose'), presenti a Ḥayy al-Khalāṣa (Dār al-Qur᾽ān al-Sinjariyya, del 1334), in altri quartieri (per es. Dār al-ḥadīth Nūr al-Dīn, del 1163; Dār al-ḥadīth Tingiz, del 1338) e nel borgo di Ṣāliḥiyya (Dār al-ḥadīth al-Ashrāfiyya, del 1236).L'edificio più diffuso che caratterizza con la sua riconoscibile sagoma diversi settori del paesaggio urbano resta tuttavia il mausoleo a cupola (turba), spesso in associazione con una moschea o una madrasa, ma anche isolato (il primo esempio datato è la turba di Zayn al-Dīn, del 1171) o nella variante locale di mausoleo a due sale con ingresso interposto (per es. a Ṣāliḥiyya la turba di Ketbogha, del 1303; la turba di Yashbak, del 1376, ove uno dei due ambienti dotato di miḥrāb funge da sala di preghiera).Il patrimonio di edifici esclusivamente destinati al culto si arricchiva inoltre delle sedi delle comunità di monaci sufi (ribāṭ, khānqah, zawiyya, takiyya); tra i più antichi superstiti sono la zawiyya al-Qawwāmiyya, del 1271, e, nella zona di Ḥayy al-Khalāṣa, la khānqāh al-Jaqmaqiyya, del 1421.D. era dotata anche di istituti appositamente destinati al ricovero e alla cura dei malati, nonché alla ricerca e alla sperimentazione della scienza medico-chirurgica (detti māristān, bīmāristān o dār al-shifā'); si conservano tuttora il māristān di Nūr al-Dīn, del 1153, nel settore occidentale della città, e il māristān al-Qaymārī, del 1247, a Ṣāliḥiyya.Della ricca dotazione di bagni pubblici (ḥammām) il rilevamento accurato condotto nei primi anni Quaranta (Ecochard, Le Coeur, 1942-1943) ha consentito di accertare che, dei cinquantadue citati da Ibn ῾Asākir, se ne conservavano una dozzina risalenti alla fine del 12° o ai primi anni del 13° secolo.A D. la principale raccolta di arte medievale si trova nel Mus. Nat., la cui sezione delle antichità musulmane, installata nell'ala occidentale, comprende pure l'ingresso monumentale al museo, formato dalla ricostituzione della zona centrale del fronte est - porta tra due torri emicilindriche con elementi murari e di stucco trasportati da tale sito - del palazzo omayyade di Qaṣr al-Ḥayr al-Gharbī, di cui riproduce una parte degli ambienti interni con decorazioni a stucco traforato e affreschi, anche figurativi, provenienti dallo stesso palazzo. Nella nuova ala del Dip. di Antichità arabo-islamiche si trovano anche la sala di Raqqa, la sala di Ḥamā, collezioni di numismatica, di decorazione scolpita in pietra e stucco, di legni scolpiti e dipinti, manoscritti, vetri, vasellame, ceramica, rame e altri metalli, nonché la facciata in pietra di una moschea del sec. 11°, proveniente da Meskené.
Bibl.:
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