CATTANEO, Damiano
Figlio di Leonardo e di Selvaggia Salvago, nacque in Genova attorno alla metà del sec. XIV. Iniziò gli studi giuridici, senza trascurare però l'attività commerciale alla quale si dedicavano assai attivamente quasi tutti i membri della famiglia che, proprio in seguito ad alcune fortunate operazioni commerciali, avevano acquisito un prestigio ed una potenza economica tali da inserire i Cattaneo tra le più cospicue famiglie genovesi.
La prima notizia sul C. si ricava da un contratto stipulato nel gennaio 1370 tra un genovese ed un castigliano nel quale egli funge da teste. Al 1373 risale il suo primo importante incarico: in quell'anno gli venne infatti conferito il comando di alcune galee inviate contro l'isola di Cipro.
Il suo inserimento nella vita pubblica avveniva in un periodo cruciale quando la Repubblica, turbata da profonde discordie cittadine per il dogato, doveva affrontare Venezia nell'annosa lotta per il predominio nel Levante. In questa lotta si inserì la disputa sorta tra Genovesi e Veneziani a Nicosia nell'ottobre 1372 in occasione delle cerimonie per l'incoronazione del nuovo re di Cipro Pietro II: la disputa su questioni di protocollo nascondeva il profondo contrasto tra le due Repubbliche, sorto in seguito all'abile politica svolta da Venezia nei confronti del giovane sovrano, il quale aveva finito per abbandonare la politica filogenovese ed era arrivato anche a fare uccidere molti genovesi residenti nell'isola e ad impadronirsi dei loro beni. Nel dicembre 1372Genova decise di organizzare una spedizione punitiva al comando del fratello del doge, Pietro Fregoso; ma per la mancanza di mezzi fu costretta a prendere tempo e a ricorrere al prestito forzoso di alcuni cittadini che finanziarono la spedizione e costituirono la "compera nova mahonae Cipri".
Mentre si andava preparando la flotta, nel marzo 1373 vennero inviate contro Cipro sette galee al comando del C., il quale aveva l'incarico di far conoscere le condizioni poste dalla Repubblica per desistere dall'inevitabile rappresaglia e di attaccare nel caso di risposta negativa. Il sovrano, che non era riuscito ad ottenere da Venezia un valido appoggio militare, sembrava propenso a trattare. Ma nel maggio il C., forse informato dell'imminente arrivo del resto della flotta, passò all'offensiva e con un'insolita tattica militare riuscì a portare danni all'isola e nel contempo a far sorgere sospetti nella popolazione creando così scompiglio nel campo avverso. Infatti mise a sacco Nicosia e Pafo, attuando però una sorta di discriminazione nei confronti dei beni e delle abitazioni dei più autorevoli ciprioti, in parte distrutte, in parte lasciate intatte, in modo da far nascere il sospetto di segrete collusioni con il capitano nemico. Durante questa impresa il C. sarebbe stato protagonista di due episodi esaltati dai cronisti genovesi; avrebbe cioè sottratto alla cupidigia dei suoi equipaggi tutte le donne catturate e avrebbe salvato dalla vendetta dei compatrioti un genovese al servizio del re, il quale l'anno precedente aveva partecipato alla strage dei genovesi, sostenendo che costui si era limitato ad obbedire agli ordini di chi lo pagava. A parte questi episodi leggendari, il C. si comportò valorosamente e nell'ottobre si unì nell'assalto contro Famagosta alle altre trentasei galee che avevano raggiunto l'isola al comando del Fregoso: il suo apporto risultò determinante per l'espugnazione della città ed i patroni delle galee, con il consenso dell'ammiraglio, vollero dargli ciascuno in dono 50 fiorini (in tutto 2.000 fiorini), come tangibile segno del loro apprezzamento.
Dopo aver fatto valere le sue capacità di uomo d'azione a Cipro il C. mise in mostra anche la sua esperienza di uomo di legge: lasciato nell'isola dall'ammiraglio per negoziare le condizioni di pace, fu l'artefice delle convenzioni stipulate nell'ottobre 1374 tra Genova e Pietro II di Lusignano, in virtù delle quali il re si impegnava a rifondere ai maonesi oltre due milioni di fiorini, dando in pegno la città di Famagosta e consegnando in ostaggio molti suoi familiari, tra i quali lo stesso figlio, erede al trono.
Per la sua opera il C. avrebbe ricevuto dal re 8.000 bisanti secondo l'accusa mossagli alcuni anni dopo da alcuni patroni i quali, appellandosi alle disposizioni genovesi che facevano divieto ai magistrati in oltremare di ricevere danaro a qualsiasi titolo, chiesero che la somma fosse ripartita tra tutti i partecipanti alla spedizione. Il C. respinse questa accusa, sostenendo invece di essere rimasto al servizio dell'ammiraglio per ben ventitré mesi senza percepire alcun compenso. Successivamente però fu costretto a consegnare i duemila fiorini ricevuti in dono dai patroni, nonostante egli sostenesse di averne ricevuti solo millecinquecento; ma nel 1393, quasi vent'anni dopo le vicende cipriote, ottenne finalmente soddisfazione perché i Padri del Comune riconobbero ingiusta la condanna in virtù della quale il C. era stato costretto a privarsi dei duemila fiorini che costituivano la sua unica remunerazione per i quasi due anni trascorsi a Cipro al servizio di Genova.
La fama derivatagli dall'impresa di Cipro indusse la Repubblica a far ricorso ancora all'abilità diplomatica del C. all'inizio del 1378 quando venne inviato a Venezia per chiedere alla Serenissima l'evacuazione di Tenedo ed evitare così l'inizio delle ostilità. Qualche mese dopo l'infruttuosa missione a Venezia, si recò presso Pietro IV d'Aragona per negoziare una pace che tenesse neutrale il sovrano nel conflitto in atto tra Genova e Venezia: le trattative furono difficili, perché il re avanzava pretese su tutta la Sardegna e sulla Corsica, ma Raimondo de Villanova e il C. riuscirono a comporre le divergenze e sottoscrissero, il 10 ott. 1378, un trattato di vitale importanza per Genova, impegnata nella guerra di Chioggia. Dopo il 1378 il C. scompare per un certo periodo dalla scena politica: forse l'instabilità interna le lotte tra le famiglie rivali per il dogato, la difficile situazione economica lo indussero a rimanere nell'ombra e a dedicarsi alla professione forense o al commercio. Nel 1381 fu comunque uno dei componenti dell'ufficio di guerra; nel 1383 proferì un lodo arbitrale e nel 1384 prestò un'assicurazione in favore di una nave mercantile diretta nelle Fiandre.
Qualche anno dopo, durante le complesse vicende del Grande Scisma d'Occidente, approdò a Genova Urbano VI e durante il soggiorno in questa città, protrattosi dal settembre 1385 al dicembre 1386, il C. riuscì in qualche modo ad entrare nelle grazie del pontefice che lo creò maresciallo della Chiesa e nel 1389 senatore di Roma. Per pagargli i suoi servigi come maresciallo, nel marzo 1389 il pontefice ordinò al collettore apostolico in Tuscia di versare ad un rappresentante del C. a Pisa quasi mille fiorini. In quello stesso anno, in qualità di senatore, il C. ratificò gli statuti dei merciai e dei mercanti di panno di Roma e venne successivamente inviato come ambasciatore a Perugia. La morte di Urbano VI, avvenuta nell'ottobre 1389, pose termine alla sua carriera presso la Curia pontificia, anche se sembra che il C. godesse di un certo credito presso il successore, Bonifacio IX. Il papa infatti nel giugno 1391 gli concesse, in deroga al "devetum" al commercio con gli infedeli, di poter condurre o far condurre ad Alessandria d'Egitto su una o più navi merci fino all'ammontare di 50.000 fiorini con l'esclusione di legname, ferro ed altre merci proibite. Nel dicembre dello stesso anno il C., che era patrono di una cappella nella chiesa di S. Maria di Castello in Genova, rinunziò al diritto di servirsi di un proprio cappellano per i servizi divini. Dopo il ritorno a Genova il C. aveva quindi ripreso la sua fortunata attività commerciale e si era reinserito nella vita politica locale, forte anche del prestigio che gli derivava dall'essere stato senatore e dall'aver acquisito il titolo di milite.
Furono questi anni cruciali per Genova che, esposta alle continue lotte tra i Guarco, gli Adorno, i Fregoso, i Montaldo per la conquista del potere ed oberata anche da debiti enormi nei confronti dei cittadini che si rifiutavano di fare altri anticipi, fu costretta a destreggiarsi tra la Francia e Milano che cercarono di approfittare di questa congiuntura favorevole per estendere la loro signoria sulla città. Così, se a metà del 1394, durante il suo breve dogato, Nicolò da Zoagli sembrava propenso ad accordarsi con Gian Galeazzo Visconti, nel 1396 il ritorno al potere di Antoniotto Adorno determinò invece il passaggio della città sotto Carlo VI di Francia.
In ambedue le circostanze fu sempre il C. a condurre le trattative: il 1º ag. 1394 gli vennero conferiti insieme con Federico da Pagana pieni poteri per trattare e firmare con il Visconti una lega, ma la rinunzia al dogato di Nicolò da Zoagli, avvenuta il 18 agosto, impedì il prosieguo della missione. Durante le successive, convulse, lotte tra le solite famiglie per il potere, durante le quali dietro i tradizionali nomi di guelfi e di ghibellini si nascondevano odi e rancori di varia natura, la casa del C. venne bruciata dai ghibellini fautori dell'Adorno. Nonostante questo incidente, i rapporti personali tra il nuovo doge, Antoniotto Adorno, ed il C. dovevano essere piuttosto cordiali se poco dopo, nel dic. 1394, quest'ultimo e altri tre uomini di legge furono incaricati di risolvere insieme con il vicario ducale le numerose controversie insolute a causa dei precedenti disordini interni. Quando poi la situazione divenne insostenibile anche per l'Adorno a causa dell'opposizione dei rivali e delle pressioni esercitate sulla Riviera di ponente dai Francesi e nell'Oltregiogo dai ribelli sobillati dal Visconti, si decise di affidare ad uno straniero il governo della città. Il negoziatore prescelto fu ancora il C. che con Pietro Persio fu nominato ambasciatore a Parigi il 15 luglio 1395: ai due vennero conferiti, il 27 luglio, ampi poteri per la durata di sei mesi, allo scopo di trattare la cessione di Genova alla Francia. I due ambasciatori rimasero in Francia dall'agosto 1395 al marzo 1396 e concordarono quelle condizioni che, sottoposte a Genova varie volte all'approvazione di diverse assemblee di cittadini, vennero definitivamente ratificate il 25 ott. 1396. Con il passaggio della città sotto Carlo VI e con la successiva nomina dell'Adorno a governatore, non venne pero raggiunta l'auspicata pace, soprattutto per l'irrequietezza dell'Adorno, che spedì nuovamente in Francia il Cattaneo. Quest'ultimo, mentre si trovava a Parigi, ricevette dall'Adorno la comunicazione del suo proposito di dimettersi da governatore e di ritirarsi a vita privata. A coronamento di queste due missioni in Francia il C. ottenne il titolo di consigliere di Carlo VI: con questo attributo compare in Genova, il 18 marzo 1397, tra coloro che assistettero al giuramento di Valerando di Lussemburgo, nuovo governatore della città inviato dalla Francia.
È questa l'ultima testimonianza sulla vita pubblica del C., che nel 1407, insieme con il fratello Carlo ed un altro congiunto fu impegnato in un contratto con Benedetto Cattaneo, il quale ricevette in accomenda 6.000 lire per operazioni commerciali in Fiandra. È quindi probabile che il C., il quale aveva contratto due matrimoni con donne appartenenti a famiglie cospicue, con Eliana Zaccaria di Manuele dei principi di Chio prima, e con Eliana di Cassano Doria dopo, nell'ultimo periodo della vita si sia dedicato solo alle proprie faccende, allontanato forse dalla vita pubblica dal governatore francese, Jean Lemeingre detto Boucicault, che si circondò esclusivamente di funzionari e di ufficiali francesi a lui fedeli. È ignota la data di morte, avvenuta comunque prima dell'aprile 1428 quando uno dei figli, Simone del fu Damiano, figura tra gli assicuratori di varie navi mercantili diretti nelle Fiandre.
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