DAMIANO da Pola (de Galinetis, Galineta, de Gallinetis, Gallineta, Gallinetta)
Nacque a Pola (Istria) da ser Damiano de Valle, detto Galineta (de Galinetis), in data non documentata, ma da collocare nell'ultimo venticinquennio del sec. XIV, come si può dedurre dalla sua affermazione professionale già agli inizi del sec. XV; non abbiamo notizia alcuna sulla madre.
Restano in ombra la prima formazione e gli studi, compiuti forse nella città di origine o in altro centro limitrofo. Poco più tardi, sullo scorcio dei Trecento, D. deve aver raggiunto Venezia, con l'avallo d'autorevoli conoscenti - forse del veneziano Guido Memmo, vescovo di Pola (Sambin, 1962, p. 385) - per insegnarvi grammatica privatamente. Saranno stati i risultati conseguiti a consentirgli di entrare in rapporti con la famiglia Barbo ed ottenere l'incarico di guidare negli studi letterari il giovane Ludovico, accompagnandolo poi a Bologna, sede dei suoi studi di diritto canonico.
È questa la prima notizia sicura, dovuta a D. stesso, il quale al termine della trascrizione delle commedie di Terenzio (in un manoscritto ora a Vienna, Oest. Nationalbibliothek, Cod. lat. 3123, f. 147) precisò d'aver completato quel lavoro il 23 dic. 1401, a Bologna (non a Venezia: Sambin, 1962, pp. 372, 379). Il trasferimento, dopo un decennio circa, a Padova - il soggiorno è documentato con sicurezza dal 1413 (con qualche probabilità dal 1411) fino al 1426 -sembra successivo ad una seconda permanenza a Venezia, al termine della non lunga parentesi bolognese.
Motivi ipotizzati della decisione sarebbero l'attrattiva esercitata da Gasperino Barzizza e il desiderio di non restare lontano dal Barbo, trasferitosi a Padova dopo la nomina (1408) ad abate di S. Giustina, dove avrebbe operato la nota riforma. Dovrebbe coincidere con l'epoca del cambiamento di sede, o seguirla a breve distanza, quella del matrimonio - contratto fra i 30e i 40anni - cui D. si riferisce indirettamente in una polizza d'estimo del 1421 (ibid., pp. 373, 379),mettendo in evidenza quánto gli sia costoso provvedere alla moglie e ai due figli, nonché alle esigenze della professione (compresa l'ospitalità gratuita di due studenti bisognosi secondo una pratica in uso presso alcuni dei maestri più noti, fra cui Guarino e il Barzizza). Della moglie di D. nulla sappiamo, tranne una notizia tarda che segnala, nel 1477, il luogo della sepoltura di lei, Feltre.
Il periodo padovano è contrassegnato da un'intensa attività didattica espletata, a titolo privato, nei locali compresi nell'immobile, preso in fitto per abitarvi, sito in contrada dei Duomo, essendo andati a vuoto, per il protrarsi d'una lite giudiziaria, i tentativi di trasferimento in una casa comprata nel 1420 per 457 ducati (di cui 250 prestati dal Memmo, vescovo di Verona: ibid., pp. 371, 385).
Pur così impegnato, D. appare in grado di far fronte alle spese imposte sia dalla professione, come testimoniano le notizie di ripetuti acquisti di manoscritti, sia dalle esigenze della famiglia - ai due maschi dovevano essere seguite almeno due figlie - donde la necessità dell'acquisto d'un'altra casa, più modesta dell'altra, presto rivenduta (20 ag. 1424) per 70 ducati (ibid., p. 373).
II silenzio che cala su D. dopo il 1426 è interrotto dalla documentazione relativa al suo nuovo soggiorno veneziano: in una procura del 6 maggio 1429, si qualifica professore di grammatica che esercita nella propria scuola in contrada di S. Leone (circostanza ricordata in una sottoscrizione autografa del manoscritto delle Metamorfosi di Ovidio: Vat. lat. 5222, f. 247v). Col successivo passaggio a Udine (estate 1431-primavera 1433) D. assunse un nuovo tipo d'incarico, quello a titolo pubblico. Mentre resta in dubbio se D. abbia insegnato in quello stesso arco di tempo anche a Treviso, è invece sicuro il suo ritorno a Padova, verso il 1436, con una positiva ripresa del lavoro interrotto dieci anni prima e la sua continuazione per circa un ventennio, fino al 1455. Nel secondo soggiorno padovano, D. alternò a lunghi periodi d'insegnamento in città brevi intervalli in cui accettò incarichi esterni, sia da privati sia da enti pubblici. Il caso più cospicuo è quello della condotta offertagli a Feltre, nel 1452-53 (cfr. nota autografa nel citato cod. Vat. lat. 5222; f. 159v), dove entrò in relazione con umanisti locali fra cui G. B. Scita ed il francescano Bernardino; sui rapporti con A. Baratella si fonda invece l'ipotesi d'un precedente soggiorno (1436-39) di D. a Feltre (Sambin, 1962, p. 375).
Dei due figli è documentato in seguito l'inserimento nella società: Giovanni divenne notaio (1447) e Lazzaro, fattosi domenicano, insegnò teologia ed ebbe fama d'oratore. Sono note anche le circostanze delle nozze delle quattro figlie: Maria sposò Il banchiere Giacomo Perigolo (1445) e, dopo la sua morte, il pellettiere Bartolomeo Boatini; Agnola fu moglie dei banchiere Mario Badoer (145 1); Lucia ebbe per marito il giurista veronese Bartolomeo Franco (1455). Nell'anno precedente - il contratto è del 6 giugno 1454: ibid., pp. 392, 398 ss. - D. aveva dato in moglie Caterina al futuro tipografo Panfilo Castaldi, allora prossimo alla laurea in medicina.
D. appare ancora vivo in un documento di cessione di suoi libri del 1455 (ibid., p. 394 n. 2) e in una notizia concernente il figlio Giovanni (1456). È invece citato come defunto in un atto relativo alla figlia Maria (1461), nel cui testamento si ricorda il luogo della sua sepoltura nella chiesa della Trinità a Padova. La data di morte deve perciò cadere nel quinquennio 145661.
La congruenza della documentazione ha permesso alla critica d'eliminare la possibilità di confondere D. con un omonimo, da identificare probabilmente con un Damiano attivo a Padova in una scuola di grammatica sita in contrada, S. Bartolomeo, morto prima del 10 marzo 1454 (ibid., p. 371).
La mancanza dell'inventario impedisce la ricostruzione. della biblioteca di D., le cui caratteristiche sono indirettamente evidenziate da notizie sporadiche, utili a chiarire come il metodo didattico da lui seguito fosse in linea con le proposte degli umanisti, i quali, convinti del valore di norma morale insito negli studia humanitatis, avevano allargato l'ambito degli studi di grammatica, comprendendovi un'ampia scelta di letture. Della nutrita collezione di codici - valutata, nel 1455, circa 100 ducati - sono stati rintracciati solo pochi esemplari. Acquistato da G. A. Barzizza fu il commento all'Inferno dantesco di Benvenuto da Imola (Firenze, Bibl. Laurenziana, Laur. 90 sup. 116, 3). Dovuti alla mano stessa di D. sono il già ricordato Terenzio e un gruppo di sei Vite di Plutarco tradotte da L. Bruni (Napoli, Bibl. nazionale, V G 14) copiato a Padova (data al f. 97v: illeggibile l'anno). Opera di altri amanuensi è uno degli strumenti didattici più cospicui, il già citato codice ovidiano (venduto, più tardi, all'umanista udinese Francesco Diana), dove D. ha registrato, in una serie di sottoscrizioni autografe (f. 247v), le caratteristiche dell'uso fattone (ernendazione e commento del testo, lettura integrale - in luoghi e tempi diversi: Padova-Venezia-Padova: 105-42 -, con destinazioni differenti). È invece lavoro esclusivo d'amanuense quello da D. nella trascrizione d'una miscellanea comprendente lettere di G. Barzizza (Oxford, Balliol College, ms. 132). Molto vaghe le notizie sul codice, ora scomparso, contenente il commento dello stesso Barzizza al cosiddetto carteggio tra Seneca e s. Paolo: non è chiaro se si tratti di trascrizione o di acquisto.
Un maestro, che esercitava un'attività assai intensa e che suscitava vive simpatie ovunque si spostasse, doveva necessariamente stabilire una fitta rete di relazioni con colleghi ed altri esponenti del mondo culturale, cui non erano estranei i suoi figli, né i generi P. Castaldi e B. Franco. Nelle occasioni più diverse D. incontrò uomini di rilievo, come i già citati L. Barbo, G. Memmo, G. Barzizza, A. Baratella, G. B. Scita, il beato Bemardino. Ad essi vanno aggiunti almeno Ognibene Bonisoli da Lonigo e Sicco Polenton, nonché allievi come Iacopo Zeno, poi vescovo di Padova, Sebastiano Borsa, Ottonello Mezzoconti, per non nominare che i più in vista dei numerosi giovani, provenienti dagli ambienti sociali più dispargti, che frequentarono le sue scuole.
L'aspetto meno chiaro delle vicende di D. resta quello economico, caratterizzato ora da un discreto benessere ora da ristrettezze penose: il maestro fu spesso costretto ad indebitarsi per esigenze di decoro. Significativo l'episodio del 1451 quando D. dovette saldare contemporaneamente a due generi le doti pattuite (200 ducati per ciascuno: Sambin, 1962, p. 394 n. 1). Mentre il Perigolo venne tacitato col corrispettivo in biancheria ed arredi, per soddisfare il Franco intervenne il Badoer, che prese in pegno i libri di D., ma li consegnò poco dopo al cognato, a causa del mancato riscatto. Analogamente potrebbe essere motivato il contrasto di D. col Castaldi (ibid., p. 393).
Tuttavia le frequenti difficoltà economiche non intaccarono il prestigio goduto da D., né gl'impedirono di conservare un alto concetto del suo lavoro, di cui intuì la portata sociale. Lo prova la franchezza della richiesta d'esenzione dai tributi, motivata dalla convinzione d'essere creditore della. comunità cittadina per aver prestato un servizio dei massimo interesse come quello dell'insegnamento ("Mi damian da puola maistro de scuola in padoa…" ibid., tav. XL), affrontando dignitosamente le difficoltà ed i rischi della libera iniziativa.
Fonti e Bibl.: Superflua l'elencazione completa dei documenti, rintracciati ed illustrati, correggendone le interpretaz. erronee, da P. Sambin, Il grammatico D. da P. e P. Castaldi, in Italia medioevale e umanistica, V (1962), pp. 371-400. Se ne indicano i più significativi: polizza d'estimo del 1421 (pp. 373 n. 4; 389 n. 1); polizza d'estimo, 28 genn. 1443 (tav. XL, 30); contratto dotale di Caterina, 6 giugno 1454 (pp. 392, 398 ss.); verbale della consegna dei libri. 24 nov. 1455 (p. 394, n. 2); atto relativo a Maria "filia quondam professoris gramatice magistri Damiani", 20 ag. 1461 (p. 376, n. 2). Di grande interesse, anche sotto il profilo delle annotazioni biogr., i codici superstiti: i due autografi, il Terenzio ora a Vienna, Oest. Nationalbibl., Cod. lat. 3123, datato 1401, f. 147, e la traduzione plutarchea del Bruni, ora a Napoli, Bibl. naz., cod. V G 14, f. 97, come i due di altre mani, l'Ovidio vaticano (Vat. lat. 5222, ff. 159v, 247v) e il commento all'Inferno di Benvenuto da Imola, ora a Firenze, Bibl. Laurenziana, Cod. Laur. 90 sup., 116, 3, ultimo foglio. Per la bibliografia, oltre all'esauriente contributo del Sambin, si ricordano: A. Segarizzi, A. Baratella e i suoi corrispondenti, in Miscellanea di storia veneta, s. 3, X (1916), p. 106; Id., Per D. da P., in Scritti stor. in mem. di G. Monticolo, Venezia 1922, pp. 275-79; B. Ziliotto, Le epistole latine di A. Baratella agli amici istriani, in Atti e memorie d. Soc. istriana di archeol. e st. Patria, I (1938), pp. 55-59; P. Sambin, Ricerche di storia monastica medioevale, Padova 1959, pp. 58 s. Più in generale: V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1960, pp. 46 ss.; E. Garin, La letter. degli umanisti, in Storia d. letter. ital., III,Milano 1966, pp. 35 s., 137; G. V. Sabbatelli, Bernardino da Feltre, beato, in Bibliotheca sanctorum, II, Roma 1962, col. 1289; A. Pratesi, Barbo, Ludovico, in Diz. biogr. d. Italiani, VI,Roma 1964, pp. 244 ss.; G. Martellotti, Barzizza, Gasperino, ibid., VII, Roma 1965, pp. 34-39; L. Gargan, Un maestro di grammatica a Padova e a Feltre nel secondo Trecento, in Quaderni per la st. d. univers. di Padova, II (1969), pp. 71-77; Bene Florentini Candelabrum, a cura di G. C. Alessio, Padova 1983, p. XXIX.