DAMIANO
Nato in Dalmazia, visse sin dalla più tenera età a Ravenna dove si trasferirono i suoi genitori: nella capitale dell'Esarcato compì gli studi e svolse la sua carriera ecclesiastica. Il suo biografo Agnello lo descrive piccolo e minuto, con un carattere schivo e dolce.
Nel 693 D. venne eletto come successore dell'arcivescovo Teodoro, il quale aveva riportato la Chiesa ravennate nella giurisdizione romana, ponendo fine allo scisma apertosi nel 666 in seguito al privilegio di autocefalia concesso alla medesima Chiesa dall'imperatore Costante II. In conformità agli impegni assunti dal suo predecessore, D. si recò a Roma per essere consacrato e ricevere il pallium dalle mani del Pontefice Sergio: a Roma sottoscrisse le tre promesse tradizionali, riguardanti i dogmi e le questioni giurisdizionali ("promissio fidei"), la disciplina ecclesiastica ("cautio"), la fedeltà verso l'unità della fede e lo Stato ("indiculum"). Ben presto ebbe occasione di dar prova della sua fedeltà alla Chiesa romana. Il concilio Quinisesto, o in Trullo, che si era da poco concluso (692), aveva aggiunto alle decisioni dogmatiche del V e del VI concilio ecumenico alcuni canoni disciplinari contrari agli usi occidentali. L'imperatore Inviò a Roma gli atti del concilio, chiedendo la sottoscrizione del papa, dell'arcivescovo di Ravenna e del vescovo di Cagliari. Il papa Sergio si rifiutò di sottoscrivere il documento e D. adottò la medesima decisione. Non solo: quando Giustiniano II inviò in Italia il protospataro Zaccaria perché conducesse con la forza il papa a Costantinopoli e le truppe dell'Esarcato e della Pentapoli mossero verso Roma impedendo la partenza del pontefice, non sembra che D. si sia opposto all'azione dell'esercito e, anzi, si può pensare che egli l'abbia addirittura. favorita.
L'autorità di D. nel campo civile fu notevole perché durante il suo episcopato per due volte (prima del 701 e dopo il 705) Ravenna rimase per un lungo periodo senza esarca: in queste circostanze l'arcivescovo diventava il rappresentante del potere centrale di grado più elevato. Anche la politica civile di D. si caratterizza per l'accordo con Roma. Nel 701 l'esercito d'Italia mosse verso Roma con il proposito di attaccare il nuovo esarca - il cubiculario e patrizio Teofilatto - appena giunto da Costantinopoli. L'esarca venne salvato dal pontefice Giovanni VI e poté in seguito raggiungere la sua sede; ma questa rivolta, che sembra aver avuto cause economiche e motivi prettamente romani - malcontento dei grandi proprietari di questa città per le angherie degli agenti fiscali bizantini -, sta a dimostrare chiaramente la solidarietà allora esistente tra Ravenna e Roma. D., che pure non compare in primo piano in questo episodio e che in seguito dovette intrattenere con, l'esarca i consueti rapporti di collaborazione, era alloralamassima autorità a Ravenna e non dovette opporsi alla decisione dell'esercito di muovere verso Roma.
D. fu un attento amministratore del cospicuo patrimonio della Chiesa ravennate: la sua gestione, comunque, non può essere ricostruita, perché proprio durante il suo episcopato un incendio, forse doloso, distrusse completamente l'archivum vescovile. L'attivà edilizia da lui promossa non fu particolarmente consistente: comunque, a S. Apollinare in Classe si conservano due lastre che portano il suo nome e che dovevano costituire le parti laterali di una cattedra vescovile o di un banco presbiteriale. Si può allora legittimamente ritenere che egli fece effettuare lavori nel presbyterium di questa chiesa: probabilmente è da attribuire a lui anche la costruzione della cripta dell'abside.
L'episcopato di D. ha lasciato nella tradizione il ricordo di un periodo di relativa tranquillità, turbata soltanto dalle risse che scoppiavano di tanto in tanto tra gli abitanti dei diversi quartieri la domenica dopo la messa, fuori le porte della città. Al riguardo Agnello riporta un episodio significativo. Gli abitanti del quartiere di Porta Pusterla, decisi a vendicarsi di quelli di Porta Teguriensis che li avevano battuti, già due volte, li invitarono ad un convito e durante il pasto li assalirono, li massacrarono tutti. e, infine, occultarono i loro corpi. Il giorno dopo i congiunti degli scomparsi organizzarono ricerche in tutta la città. D. proclamò allora un digiuno di tre giorni e promosse processioni e preghiere. Quando il fetore fece individuare i cadaveri, gli assassini vennero catturati e condannati a morte, mentre le loro case furono rase al suolo, le loro proprietà date alle fiamme e il loro quartiere prese il nome di "regio latronum".
Dopo aver guidato la Chiesa ravennate per sedici anni, D. morì nel 709. Venne sepolto a S. Apollinare in Classe, come era uso per gli arcivescovi ravennati a partire da Mariniano. L'identificazione del suo sepolcro con il secondo sarcofago della navata settentrionale - decorato da due agnelli, con sullo sfondo alcune palme, affiancati da una corona di alloro gemmato posta intorno ad una croce latina - è incerta, dato che gli specialisti sono discordi sulla datazione del sarcofago.
La tradizione orale, tramandataci da Agnello, attribuiva a D. vari miracoli, per la verità molto banali. Così, egli avrebbe ottenuto con la preghiera che Dio resuscitasse un fanciullo in modo da potergli impartire gli ultimi sacramenti; un santo uomo avrebbe visto un personaggio misterioso, di grande bellezza, che stava dietro D. mentre questi celebrava la messa; un ebreo, che assisteva di nascosto ad un'altra messa di D., avrebbe visto un agnello sull'altare al momento della consacrazione e si sarebbe convertito al cristianesimo. Per quanto nella letteratura venga talora indicato come santo o come beato, questa modesta fama di taumaturgo non fu comunque sufficiente a far nascere un vero culto di D. nella Chiesa ravennate.
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