DAMINI
Famiglia di pittori del sec. XVII, tutti figli di un Damino: Pietro, Giorgio e Damina.
Pietro, secondo la biografia del Ridolfi (1648), attendibile perché scritta a meno di venti anni-dalla sua morte, nacque a Castelfranco Veneto, nell'anno 1592. Giovanissimo, egli si sarebbe esercitato a lungo su esempi di grafica nordica, in particolare di Dùrer, e sugli scritti del Lomazzo, apprendendo i principi matematici e prospettici del domenicano Bovio da Feltre e "il modo di trattar colori" dal concittadino Giovan Battista Novello, seguace di Palma il Giovane. Pur procedendo quindi da tradizioni locali ispirate al tardomanierismo, egli riesce a staccarsene e guarda, piuttosto che a Tintoretto, a Paolo Veronese, attraverso anche la mediazione delle opere padovane di Dario Varotari.
La sua posizione è abbastanza vicina al classicismo del Padovanino, con un ulteriore processo di semplificazione formale, impostogli probabilmente anche dalla nuova cultura socioreligiosa e dal gusto della committenza, in parallelo alla contemporanea produzione di G. B. Bissoni. Mentre una particolare stringatezza formale, una grafia secca, cui corrisponde una tavolozza spesso impermata su toni grigi, lo accomunano per certi versi a Leandro Bassano. L'opera di rinnovamento spirituale in senso controriformistico iniziata dalla Chiesa in quegli anni trova io lui un facile divulgatore dei relativi dettami iconografici.
A vent'anni (Ridolfi, 1648), quindi nel 1612, Si trasferì con i fratelli minori, Giorgio, Damina e Floriano, a Padova. Forse del periodo precedente la partenza sono le piccole tele con le SS. Lucia, Apollonia, Barbara e Agata (Melchiori, 1720-1727, p. 87), dove i riferimenti palmeschi e i ricordi veronesiani sono espressi con un colore particolarmente povero, mentre la semplificazione formale sembra prefigurare il nuovo discorso devdzionale voluto dal Baronio e dal Borromeo per la riforma dell'arte sacra (Bordignon Favero, 1975. II, p. 14). Opera giovanile potrebbe essere anche l'unico dipinto di tema profano rimasto: Venere che piange Adone (Rizzi, 1974, p. 63; Pallucchini, 1981, p. 87), di collezione privata veneziana, firmato, di ispirazione veronesiana. Il Melchiori (1720-27, p. 87) ricorda, infatti, una Venere conservata in casa Novello a Castelfranco. Tuttavia va ricordato che la sistemazione cronologica delle opere giovanili di Pietro, come del resto di gran parte della sua produzione, è assai problematica e può essere tentata solo in via di ipotesi.
La prima commissione importante a Padova intorno al 1612 è la pala con S. Gerolamo e il ritratto del committente, per l'altare della famiglia Selvatico, già consacrato nel 1603, nel duomo (Ridolfi, 1648, II, p. 243), dove l'artista sembra aver avuto presenti, oltre a Leandro Bassano, modelli nordici. Lo stesso soggetto verrà poi ripetuto nel piccolo rame firmato della collezione Efisio Chinelli a Ferrara (Rizzi, 1974, p. 62). Sempre a Padova, non lontano dal S. Gerolamo dovrebbero collocarsi la Crocifissione, firmata, per la cappella Barbarigo in duomo (Rossetti, 1765, p. 140), di cui esiste uno studio preparatorio in un foglio della British Library di Londra (Bettagno, 1966, n. 24), e l'Adorazione dei Magi del Museo civ., proveniente dal convento di S. Stefano, (Rossetti, 1765, p. 263). Queste opere, con la loro prosa di immediata lettura, gli garantirono il consenso della committenza ecclesiastica a Padova, dove gli Ordini religiosi di recente costituzione gli richiesero opere imperniate sulla funzione di salvatori dei loro santi titolari (Fantelli, 19783 p. 101), pubblicizzando poi presso altri confratelli le doti divulgative del pittore. Così, a Vicenza, come riferisce il Ridolfi (1648), Pietro eseguì decorazioni ad affresco agli zoccolanti, ai teatini ed ai serviti, dipingendo varie altre opere per le chiese cittadine.
Tra il 1617 e il 1619 realizzò per la chiesa di S. Domenico di Chioggia un ciclo, firmato e datato, dedicato al tema della salvezza, raffigurante un Episodio della guerra contro gli Albigesi e S. Domenico fa confessare il capo mozzo di una donna di malaffare; S. Domenico consegna il rosario e Il salvataggio di un naufragio. Secondo i Tietze (1944, p. 164), un disegno del Louvre (n. 4802) potrebbe costituire una memoria di un ulteriore episodio non più esistente. Le tele, due lunette e altrettanti riquadri sottostanti documentano una sempre maggior capacità narrativa. Sotto questo profilo il D. raggiunge un momento particolarmente autonomo nel telero con S. Bernardo che converte il duca di Aquitania, firmato e datato 1619 (Ridolfi, 1648, II, p. 245), opera già conservata nella chiesa di S. Bernardo di Murano, insieme ad un pendant con S. Bernardo che guarisce un'ossessa, finiti, rispettivamente, in seguito alle soppressioni, il primo a Brera che lo concesse in deposito al seminario arcivescovile (sede di Venegono; Ottino Della Chiesa, 1969, p. 34), il secondo nella sacrestia di S. Domenico di Chioggia (Rizzi, 1974, p. 62 n. 8). Pietro vi appare completamente svincolato dalla dominante cultura tardomanieristica veneta.
Nel frattempo, secondo il Ridolfi (1648), inviava opere a Castelfranco: per i serviti una Madonna tra i ss. Rocco e Agostino (Melchiori, 1720-27, p. 86) e per S. Maria la Vergine col Bambino che porge l'abito carmelitano al b. Simeone Stock, s. Filippo Neri e angeli (ibid., p. 85); mentre per il duomo di Asolo eseguiva un S. Prosdocimo che battezza s. Giustina (Ridolfi, 1648, II, p. 244). Di questi stessi anni, se non un po' precedente, è il Miracolo del cuore dell'avaro, della chiesa padovana di S. Canziano, ricordato dal Rossetti (1765, P. 106) e recuperato da un recente restauro (Spiazzi, 1981, p. 140). Databile dopo il 1619 ed entro il 1621 (Fantelli, 1978, P. 101) è la grande tela conservata nella sala della Giunta municipale di Padova con il Capitano Silvestro Valier, succeduto alfratello, che riceve le chiavi del comando.
L'episodio di cronaca contemporanea, avvenuto il 20 dic. 1619, è tradotto con efficace immediatezza, mentre i personaggi, nei loro costumi all'ultima moda, costituiscono altrettanti ritratti, ispirati a Leandro Bassano.
Committenti del pittore erano soprattutto i domenicani, che alla fine del secondo decennio gli ordinarono un S. Domenico che salva un'annegata per S. Maria delle grazie in Padova (Ridolfi, 1648, II, p. 244). Nella parrocchiale di Martellago pervenne attraverso una vendita demaniale (Crico, 1833, p. 176), dalla demolita chiesa padovana di S. Agostino un dipinto, firmato, con S. Domenico che salva alcuni naufraghi dalle acque della Garonna (cfr. Arte veneta, XXXIII [1979], p. 232; XXXIV [1980], p. 289), mentre alla veneziana chiesa della Croce fu depositato il pendant, firmato, con S. Domenico e il miracolo dei libri bruciati (Spiazzi, 1975), entrambi ricordati dal Ridolfi (1648). Sempre da S. Agostino proviene la tela, firmata e datata 1622, con L'angelo custode (Ridolfi, 1648, II, p. 244) passata alle Gallerie dell'Accademia di Venezia (in deposito al Museo civico di Treviso). Le conoscenze prospettiche dell'artista sono esibite con particolare virtuosismo ed un sapiente gioco di lumi, mentre la partitura cromatica diventa insolitamente ricca e sonora. Evidentemente Pietro è a conoscenza delle soluzioni luministiche adottate dal Saraceni, oltre che suggestionato dalle Nozze di Cana licenziate nel 1622 dal Padovanino per S. Giovanni in Verdara. Lo stesso uso della luce incontriamo nel bel Battesimo di Cristo, firmato, oggi nella parrocchiale di Telgate (Pedrocchi, 1978, p. 25).
Quattro lunette, già nell'Ufficio di sanità, ora nei depositi del Museo civico di Padova (Grossato, 1965, pp. 24-27), furono eseguite intorno al 1623, come testimonia la data apposta sui SS. Prosdocimo e Giustino; della Madonna col Bambino, insolitamente monumentale, esiste il disegno preparatorio alla British Library di Londra (Bettagno, 1966, n. 23). Probabilmente in quegli stessi anni Pietro affrescò alcuni riquadri della cappella dei notai nel palazzo comunale di Padova che gli sono stati giustamente attribuiti (Fantelli, 1978, p. 104). Conservato nel convento Antoniano della stessa città è il Crocifisso tra la Madonna e s. Giovanni (Ridolfi, 1648, II, p. 244), un tempo sull'altare della cappella del Crocifisso al Santo, fatta erigere nell'anno 1624 da Camillo Santuliana, dove appare evidente il recupero di un gusto neotizianesco, già riscontrabile anche nel dipinto con la Beata Giacoma che scopre il pozzo dei martiri, nella basilica di S. Giustina (Rossetti, 1765. p. 206) e nella Deposizione, firmata, proveniente dalla demolita chiesa patavina di S. Maria Iconia (Brandolese, 1795, p. 230) ed ora nelle raccolte comunali di Castelfranco. Probabilmente negli anni 1622-25 (Fantelli, 1978, p. 103) Pietro dipinse per i teatini di S. Gaetano un S. Carlo che salva un fanciullo e il Martirio dei ss. Simone e Giuda Taddeo (cfr. Arte veneta, XXV [1971], p. 349) e per gli eremitani La Vergine libera un'anima, firmato (Ridolfi, 1648, II, p. 244).
Secondo il Ridolfi, nel 1625, dopo aver reintegrato gli apostoli rubati nell'Ascensione di Paolo Veronese a S. Francesco di Padova, Pietro operò con successo a Crema. Forse fu eseguita durante questo soggiorno la grande tela con il Giovane battezzato da s. Agostino conservata nella Galleria Tadini di Lovere (Pallucchini, 1981, p. 88). Si trattò comunque di una breve parentesi dopo la quale, secondo il Ridolfi (1648, II, p. 245), Pietro continuò la sua produzione padovana, dipingendo per S. Benedetto una Messa e un Transito del santo e S. Leonardo libera un condannato; per S. Prosdocimo la Madonna in gloria tra i ss. Prosdocimo e Benedetto (Brandolese, 1795, p. 161), passata poi, in seguito alle soppressioni, nella chiesa di S. Maria degli angeli di Murano (cfr. Arte veneta, XXIV [1970], p. 313): dipinti tutti caratterizzati da un sempre più spiccato accento padovaninesco. Come del resto le tele raffiguranti la Consacrazione di s. Nicolò a vescovo di Mira, già nella chiesa di S. Nicolò di Chioggia, ora nel depositorio del palazzo ducale a Venezia (Fantelli, 1978, p. 102) e il Matrimonio mistico di s. Caterina, dipinta per S. Maria Nuova di Treviso (Ridolfi, 1648, 11, p. 245), poi concessa in deposito alla chiesa della Croce di Venezia.
Numerosissime sono le opere eseguite da Pietro per la provincia padovana, tuttora esistenti nelle parrocchiali di Fiesso d'Artico, Codevigo, Arquà, Boccon, Saccolongo, Campoverardo, Trebaseleghe, Legnaro Casalserugo, Mellaredo, Stra, Pernumia (Fantelli, 1979, P. 4 n. 17) e Rubano. Egli lavorò, oltre che a Venezia, che conserva ancora un bell'Angelo custode, firmato, ai tolentini (Boschini, 1664), per il Veneto, per il Bergamasco, dove gli viene attribuita la Madonna e santi in S. Bartolomeo a Bergamo (Pasta, 1775), e dove troviamo nella parrocchiale di Cusio un Cristo placato dalla Vergine e i SS. Domenico e Francesco, firmato (Pinetti, 1931). Come annota il Ridolfi (1648), la sua attività si estese anche al Friuli (nel Museo civico di Cividale esiste un S. Domenico che appare alla beata Benvenuta Buriani già nella chiesa della Cella (Donzelli-Pilo, 1967, p. 149), a Zara, giungendo fino alla Valtellina.
Visto l'arco relativamente breve della sua esistenza e l'enorme quantità di opere prodotte, ben superiore prima delle soppressioni, è assai probabile che si sia valso spesso della collaborazione del fratello Giorgio, collaborazione, in assenza di opere certe di quest'ultimo, difficile da quantificare allo stato attuale degli studi.
Non sono state ancora sufficientemente rilevate infine le sue lucide qualità di ritrattista, evidenti anche nelle opere di carattere devozionale e di cronaca, oltre che nei ritratti, come quello di Canonico del Museo di Treviso (Muraro, in Menegazzi, 1963, p. 93) e quello di Cesare Cremonino (Venezia, Fondazione Cini: cfr. ibid., Schede Fiocco).
Pietro morì a Padova, di peste, il 28 luglio 1631 insieme con il fratello Giorgio, come annotava sotto tale data il Tomasino (1631).
Giorgio. Fratello minore di Pietro e nato presumibilmente a Castelfranco Veneto, secondo la testimonianza del Ridolfi (1648, II, p. 246) "si esercitò in particolare nel far ritratti e specialmente in picciole forme", ma anch'egli è registrato dal Tomasino (1631) tra i morti di peste, a Padova del 28 luglio 1631.
Aveva seguito evidentemente Pietro a Padova, dove certo collaborò all'andamento della sua attivissima bottega. Non si conosce nessuno dei ritratti di piccolo formato ricordati, oltre che dal Ridolfi, anche dal Lanzi (1809), che dovettero essere probabilmente assai simili agli Apostoli, eseguiti dalla sorella Damina per il duomo di Castelfranco.
Recentemente è stato proposto il suo nome (Fantelli, 1979, p. 5) per la Natività di Maria della parrocchiale di Selvazzano (Padova) e per l'Incontro tra le famiglie del Battista e di Gesù della chiesa delle eremite di Padova, due dipinti appartenenti all'ambito di Pietro, ma non autografi. A questi si potrebbe aggiungere la Madonna col Bambino e santi della parrocchiale di Giare.
Una chiarificazione della figura e della produzione di Giorgio non potrà che venire da una più puntuale messa a fuoco e sistemazione del troppo ricco catalogo di Pietro, a cui studi recenti stanno contribuendo.Damina. Sorella di Pietro e Giorgio, nacque presumibilmente a Castelfranco Veneto. Morì ad Udine, dove aveva seguito il marito Alessandro Languidis, medico e collezionista di opere di Pietro, verso il 1669 (Melchiori, 1720-27, pp. 87 s.). Ce ne tramandò per primo notizie il Ridolfi (1648, II, p. 246) che, in calce alle vite del fratelli annota: "E di questi ancor vive la Signora Damina lor sorella..., la quale come è valorosa Pittrice, così risplende adorna d'altre singolari Virtù".
Nelle Memorie onorifiche di Castelfranco, manoscritto senza data conservato a Castelfranco Veneto nell'Archivio Avogrado degli Azzoni, risalente con molta probabilità alla metà dei sec. XVIII, si ricorda come si fosse applicata giovanissima allo studio del disegno, sotto gli insegnamenti del fratello Pietro. Adottò poi una tecnica particolare di ricamo "a mosaico", con cui riusciva ad ottenere effetti talmente simili alla pittura da trarre, a prima vista, in inganno anche degli esperti. Opere quasi tutte allora conservate presso i figli.
Nel 1724 il Melchiori (1720-27, p. 137) le assegna dodici piccoli "ritratti" di Apostoli "sparsi" nel duomo di Castelfranco, a cui ella stessa li avrebbe donati, dipinti tuttora conservati nella sacrestia. Concordano nell'attribuzione il Federici (1803) II, p. 96), il Crico (1833), G.P. Bordignon Favero (I ritratti dei dodici Apostoli..., in Fede e vita, Castelfranco Veneto, 1° sett. 1954).
Si tratta di piccole tele di dimensioni uguali (cm 0,73 × 0,71), in cui gli apostoli sono raffigurati a mezzo busto, secondo modi strettamente derivati da Pietro, anche se ad un livello qualitativo decisamente inferiore. Secondo il Melchiori (1720-27) Damina avrebbe dipinto per il battistero del duomo di Castelfranco un Battesimo di Cristo, oggi non più esistente.
Fonti e Bibl.: La bibl. si intende riferita a Pietro; quando riguarda Giorgio e Damma, viene specificato. Padova, Museo civ., Mss. B. P. 1464 X/VI: G. F. Tomasino, Mem. della peste di Padova [1631], VI,f. 26 (anche per Giorgio); C. Ridolfi, Le maraviglie dell'arte [1648], a cura di D. von Hadeln, I-II, Berlin 1914-24, ad Ind. (anche per Giorgio e Damina); M. Boschini, Leminere della pittura, Venezia 1664, p. 381; N. Melchiori, Notizie di pittori e altri scritti [1720-1727], a cura di G. P. Bordignon Favero, Venezia-Roma 1964, ad Ind. (anche per Giorgio e Damina); G. Rossetti, Descrizione delle pitture, sculture, architetture ... di Padova, Padova 1765, pp. 6, 11 s., 14, 40, 96, 99, 101, 106, 116 s., 135, 140, 163, 172-75, 179, 206, 229 ss., 240, 243, 252, 263, 270 s., 363; A. M. Zanetti, Della pitturavenez. e delle opere pubbl. dei veneziani maestri [1771], Venezia 1972, pp. 363 s.; A. Pasta, Lepitture notabili di Bergamo, Bergamo 1775, p. 111; F. 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