Vedi DAMOKRATES. - 2 dell'anno: 1959 - 1994
DAMOKRATES, 2° (v. vol. II, ρ 997)
Lo scultore cretese, figlio di Aristomedes, originario di Itanos, era attestato finora solo da una firma letta da Onorio Belli, alla fine del XVI secolo. La firma (Δαμοκράτης (Άρια) Άριστομήδεος Ίτάνιος έποικος έ[ποίησεν]), registrata tra le iscrizioni di Hierapytna, stava «sotto i piedi di una statua che ebbe il sig. G. Mocenigo... provveditore generale l'anno 1594... La statua era di donna vestita, maggior del naturale». La statua passò, per legato testamentario, allo Statuario della Repubblica Veneta e si identifica con certezza con la grande statua femminile n. 264 del Museo Archeologico di Venezia. La sua connessione con la notizia del Belli non era avvenuta finora, perché nel restauro a cui la scultura fu sottoposta tra il 1598 e il 1613, la base iscritta (probabilmente guasta) fu sostituita, per motivi statici, con un compatto plinto moderno. Allo stesso restauro la critica recente ha imputato, oltre all'aggiunta del braccio sinistro moderno, la connessione al torso di una testa di Atena, già provvista d'elmo metallico, ma non pertinente. Quindi, poco prima del 1930, il vecchio restauro fu scisso. La testa fu valutata come un originale greco di età classica; il corpo fu ritenuto una copia romana derivata da un originale della fine del IV sec. a.C. La notizia del Belli connessa alla statua veneziana permette ora, oltre al recupero di un raro esemplare di scultura databile (come lo fu ripetutamente la firma) in periodo ellenistico, di definirne anche la provenienza cretese da Hierapytna, dove i Veneti eseguirono ripetute ricerche per il loro collezionismo, e di precisarne il significato storico.
Il torso, nelle aree non ripassate dal restauro, rivela la freschezza di un originale ellenistico. Poiché la figura replica schemi iconografici della seconda metà del IV sec., è probabile appartenga ormai alla tendenza classicistica, della seconda metà del II sec. a.C. Sul dorso è conservato un tipico sistema di incastri per l'applicazione delle ali lavorate separatamente. Che essa raffigurasse in origine una Nike sembra provato, oltre che dai modelli iconografici di periodo tardoclassico, come la Nike di un rilievo dall'Ilisso (Atene, Museo Nazionale 2668) e quella su un distatere di Alessandro Magno, anche dal costume a bretelle incrociate sul petto, come nella Nìke di Cirene e in numerosi altri confronti. La statua dovette subire, già in età romana, un riadattamento. Nell'area del petto si nota con chiarezza un abbassamento dei dorsi del panneggio e un sistema di fori per l'applicazione di un'egida metallica. Fu quindi trasformata in Atena. È in questa seconda fase (e non nel Rinascimento) che vi fu adattata la testa di Atena, già fornita di un elmo metallico. Con questo nuovo aspetto essa dovette giungere da Creta, stando alle più antiche notizie archivistiche che la riguardano nonché ai suoi rapporti metrici, con un'altezza complessiva di m 2,70, e alla qualità del materiale (marmo bianco a grossi cristalli). Anche la testa di Atena è un originale tardoellenistico che replica un archetipo classico di fine V secolo. L'opera proviene, forse, dal Santuario di Atena Poliàs che era l’epiphanèstatos tòpos della città, dal quale pervennero in Europa, fin dal Cinquecento, iscrizioni con decreti. È noto che questo santuario fu ricostruito dopo la vittoria di Hierapytna (145 a.C.) sulla città di Praisos, capitale degli Eteocretesi; ed è probabile che proprio in quella occasione si sia provveduto alla creazione di nuove statue di culto. Tra queste non poteva mancare la dea titolare del santuario, mentre la Nìke, per le sue dimensioni colossali, doveva celebrare quella vittoria sugli Eteocretesi, che segna anche, nonostante le successive lunghe discordie con la vicina Itanos, il dominio di Hierapytna su tutto il settore orientale dell'isola. La statua di D. è quindi un'opera celebrativa di uno degli eventi militari più importanti della città, prima della conquista romana. Opera di un ellenismo tardo, ormai retrospettivo e classicistico, attesta una produzione locale cretese che illumina il ricordo delle fonti scritte ed epigrafiche di altri nomi di artisti cretesi di periodo ellenistico, come Timocharis di Eleutherna, Pythokritos e Simias, suoi discendenti e allievi, che acquistarono poi cittadinanza rodia.
Bibl.: L. Beschi, La Nike di Hierapytna, opera di Damokrates di Itanos, in RendLinc, XL, 1986, pp. 131-146, tavv. i-viii; id., La scoperta dell'arte greca, in S. Settis (ed.), Memoria dell'antico nell'arte italiana, III, Torino 1986, pp. 336-337; Β. Andreae, Fixpunkte hellenistischer Chronologie, in Beiträge zur Ikonographie und Hermeneutik. Festschrift für N. Himmelmann, Magonza 1989, p. 242. - Sulla statua n. 264 A e sulla testa n. 264 Β del Museo Archeologico di Venezia: G. Traversari, Sculture del V e IV sec. a.C. del Museo Archeologico di Venezia, Venezia 1973, p. 38, n. 18, p. 149, n. 64; A. Gulaki, Klassische und klassizistische Nikedarstellungen (diss.), Bonn 1981, p. 436, fig. 151.