CASATI, Danese
Nato a Milano intorno al 1628 da Gerolamo di Paolo Nicolò e da Bianca Crivelli, rimase orfano di padre in tenera età: già nel 1.631, infatti, la madre passava a seconde nozze con Lazzaro Crivelli. Dopo aver compiuto gli studi secondari, conseguiva giovanissimo il dottorato inutroque iure. Il 16 marzo 1644 presentava domanda d'ammissione al Collegio dei giureconsulti, nel quale veniva ascritto il successivo 2 maggio. Con l'acquisizione del titolo di dottore collegiato, che costituiva requisito preferenziale, se non unico, per l'accesso alle supreme cariche dello Stato, prendeva inizio la sua brillante carriera amministrativa: già nel 1646 e nel 1647 figura tra i giurisperiti della Fabbrica del duomo.
Nel 1655 veniva eletto luogotenente del vicario di provvisione, ufficio che, a norma delle nuove costituzioni, comportava l'automatica assunzione del vicariato di provvisione allo scadere del mandato annuale, come infatti avvenne con il C. nel 1656. In quello stesso anno gli veniva conferita la carica di consultore del S. Ufficio. Quattro anni più.tardi, giungeva per lui il primo incarico di rilievo: il 15 marzo 1660, veniva designato dal Consiglio generale della città a svolgere una missione diplomatica presso la corte di Madrid.
Motivo principale dell'ambasceria era quello di esprimere l'esultanza e la gratitudine dei Milanesi per la conclusione della pace dei Pirenei. firmata l'anno prima (novembre 1659). Ma dalla missione la città si riprometteva anche risultati più concreti, come appare dalle istruzioni consegnate al C.: in primo luogo, come conseguenza della cessazione delle ostilità, una drastica riduzione delle forze militari di stanza nello Stato, il cui mantenimento incideva pesantemente su di una economia già prostrata da decenni di guerre; quindi, un provvedimento finanziario atto a sanare il bilancio della città, reso deficitario dagli anticipi alla Regia Camera erogati attraverso il Banco di Sant'Ambrogio; infine, la concessione di qualche speciale privilegio, mediante cui si rendessepalese la particolare benevolenza della Corona verso i sudditi del capoluogo lombardo, nella fattispecie, la concessione della "naturalezza" spagnola ai cittadini di Milano.
Partito nel maggio 1660, il C. giungeva a Madrid il 28 giugno. Dopo essere stato ricevuto in udienza da Filippo IV, l'inviato si adoperava attivamente per ottenere che i Consigli di Stato e d'Italia dessero parere favorevole alle richieste della città. Ma i suoi sforzi erano destinati a urtare contro la lentezza dell'apparato burocratico spagnolo.
A quasi un anno dal suo arrivo, l'unica decisione che il C. aveva potuto ottenere era la riduzione a seimila effettivi delle truppe acquartierate nel Milanese. Cifra, questa, che rappresentava circa il doppio di quella giudicata soddisfacente dal Consiglio generale, il quale desiderava riportare le forze militari agli organici fissati un secolo prima, in occasione della pace di Cateau-Cambrésis. Per quanto riguardava gli altri punti delle istruzioni, in particolare per ciò che concerneva l'erogazione dell'aiuto finanziario, i ministri spagnoli avevano aggiornato ogni decisione in attesa di ricevere informazioni più dettagliate dal governatore di Milano.
Appariva chiaro, quindi, che nonostante le ripetute sollecitazioni dell'ambasciatore milanese, mancava a Madrid la volontà politica di intervenire a favore della città: il Consiglio generale era perciò costretto a prendeme atto e, pur riconoscendo che le trattative erano state condotte dal C. nel modo migliore, il 18 maggio 1661 gli impartiva l'ordine di rientrare. Tornato a Milano, l'ambasciatore presentava, il 13 dicembre dello stesso anno, la relazione conclusiva e si vedeva riconfermate la stima e la riconoscenza delle autorità cittadine.
Dopo la parentesi spagnola, il C. riprendeva la carriera amministrativa. Il 3 genn. 1664 veniva eletto per la seconda volta luogotenente del vicario di provvisione, con conseguente promozione, nel 1665, all'ufficio di vicario. Il 30 maggio di quello stesso anno, succedeva ad Ippolito Brivio nel seggio di decurione perpetuo del Consiglio generale. Il 17 apr. 1666 diveniva avvocato fiscale, carica che avrebbe occupato per tre anni: il 9 sett. 1669, infatti, Carlo II, accogliendo le istanze presentate dal Consiglio generale in occasione di una precedente vacanza, lo nominava senatore.
Nel dicembre 1670 il C. partiva per Roma con l'incarico di intavolare trattative, assieme al reggente napoletano Antonio di Gaeta, in vista di un accordo con la Santa Sede sulla vexata quaestio dell'immunità ecclesiastica. Problema, questo, al quale le autorità spagnole erano particolarmente sensibili, nella misura in cui l'applicazione estensiva del diritto d'asilo nelle chiese rappresentava un attentato alla pienezza dei poteri giurisdizionali dell'autorità civile e impediva un'efficace repressione della delinquenza. Ma, nonostante che il C. si fermasse a Roma sino al febbraio 1672, non gli fu possibile addivenire ad una intesa.
L'insuccesso della missione non intaccava, però, la stima di cui il C. godeva a Madrid. Nel 1678, infatti, veniva chiamato in Spagna ad occupare il posto di reggente milanese nel Supremo Consiglio d'Italia: carica prestigiosa che, nella prassi amministrativa lombarda, preludeva ormai generalmente ad una successiva promozione alla presidenza del Senato, o, quanto meno, a quella di uno dei due magistrati delle Entrate. Sebbene il C. conservasse fino alla morte il titolo e gli emolumenti di reggente, egli di fatto non ricoprì mai l'incarico. Partito da Milano il 10 sett. 1678, in Savoia lo raggiungeva l'ordine di rientrare per prepararsi a compiere una visita generale nel viceregno di Napoli.
L'istituzione dei visitatori generali rispondeva all'esigenza, sentita fin dagli inizi della dominazione spagnola, di mantenere le amministrazioni periferiche sotto il controllo del potere centrale. Ma il carattere saltuario delle visite - ad onta di una Prammatica di Carlo V che, nel viceregno, le rendeva obbligatorie con frequenza triennale - e i compiti prevalentemente punitivi affidati ai visitatori, avevano finito col privare l'istituto della sua efficacia: venivano, cioè, colpiti gli abusi, senza che per questo si provvedesse a eliminarne le cause, come la visita del C. avrebbe dimostrato. La sua nomina, peraltro, rappresentava un fatto inconsueto, perché, proprio per garantire una efficace azione repressiva, sin dal secolo precedente, era invalso l'uso di affidare l'incarico di visitatore a elementi spagnoli. Ciò si sarebbe dovuto verificare anche nel 1678: il 20 agosto, infatti, il Consiglio d'Italia aveva proposto al sovrano i nomi di alcuni ministri spagnoli. All'ultimo momento, però, era stato preferito il C. perché, trovandosi ancora a Milano, avrebbe potuto raggiungere più rapidamente la sua destinazione. Se la nomina, quindi, era stata ispirata dall'esigenza di stringere i tempi, il fatto che si fosse potuto scegliere un magistrato italiano dimostrava quale alto concetto si avesse del C. a corte. E ciò, tanto più se si considera che, a differenza dei suoi immediati predecessori spagnoli, inviati nel viceregno con compiti limitati, egli godeva delle più ampie facoltà di controllo e d'indagine.
Il C. giungeva a Napoli il 28 apr. 1679 e il 10 maggio prendeva ufficialmente possesso della carica nel corso di una cerimonia pubblica. Dopo aver emanato gli ordini generali, nel giugno egli dava inizio alla visita, presenziando alle udienze dei tribunali della capitale; successivamente, proseguiva l'indagine in tutto il viceregno. Attraverso le sue inchieste, emergevano le croniche disfunzioni dell'apparato burocratico, paralizzato dall'eccesso di personale e dall'enorme mole di lavoro arretrato, la lentezza dei procedimenti giudiziari, il disordine amministrativo. Contemporaneamente venivano a galla numerosi episodi di frode, di corruzione, di malversazione, di abuso di potere.
Di fronte a questi casi, il C. aveva, sin dall'inizio, proceduto con fermezza, ponendo sotto accusa gli imputati e destituendo i colpevoli. La sua severità doveva, però, procurargli l'ostilità dei ceti dirigenti, in particolare quando, nel marzo 1680, egli intimava l'esilio a sessanta miglia dalla capitale al reggente Giacomo Capece Galeota, duca di Sant'Angelo, e, insieme con lui, al duca di Montesardo, suo genero, e al duca della Regina, suo nipote.
Data la personalità e il rango degli inquisiti, sorse nella nobiltà il timore che il C. intendesse procedere anche contro i baroni, per quanto riguardava l'esercizio della loro giurisdizione nei feudi. Timore accresciuto dal fatto che il visitatore aveva lasciato intendere di essere in possesso di lettere segrete che gli conferivano poteri in tal senso.
I baroni, riunitisi in assemblea, ricorsero al viceré; dato che questi non aveva voluto prendere posizione, essi si appellarono al sovrano, ottenendo partita vinta: il 5 luglio 1680, il Consiglio d'Italia ordinava al C. di. raccogliere informazioni sull'operato dei baroni solo extragiudizialmente e con la massima discrezione. La visita era così destinata a concludersi in modo non dissinúle dalle precedenti: il cedimento delle autorità centrali dinnanzi alle pressioni del baronaggio ne aveva praticamente compromesso i risultati e il C. si limitava a pronunciare un numero ristretto di condanne e ad inviare in Spagna una serie di relazioni.
Il 3 apr. 1681, egli lasciava Napoli per rientrare a Milano. Il 1° dicembre dell'anno successivo, a coronamento di una lunga e onorata carriera, Carlo II lo nominava membro del Consiglio segreto: per motivi che rimangono da chiarire, il C. prendeva possesso della carica soltanto nel 1697. All'epoca, ormai quasi settantenne, egli aveva già cominciato ad appartarsi dalla vita pubblica; il 13 dic. 1694, infatti, aveva rinunciato al seggio di decurione a favore del congiunto Francesco.
Morì a Milano il 3 nov. 1700.
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