DANESE di Cecco (da Viterbo)
Dai documenti risulta capomastro e architetto attivo essenzialmente a Viterbo in un periodo di mezzo secolo, dal 1467 al 1518,anno della sua morte.
Il merito di aver proposto all'attenzione degli studiosi tale personaggio spetta allo storico viterbese Cesare Pinzi, che in un suo articolo del 1890 produce una serie di testimonianze documentarie traendole dai protocolli notarili e dalle Riforme del Comune di Viterbo, eliminando inoltre l'equivoco in cui era caduta la storiografia precedente che aveva confuso Danese di Cecco con Dionisio di Cecco da Viterbo, fabbro (I. Ciampi, Cronache e statuti... di Viterbo, Firenze 1872, pp. 417 s.).
Cecco, padre di D. fu impiegato spesso dal Comune di Viterbo intorno alla metà del XV secolo; infatti si hanno deliberazioni in cui gli si affida la realizzazione delle volte nei locali sotterranei del palazzo comunale (Pinzi, 1890, p. 303, n. 1), così come lo "acconcime della fontana de Sancto Silvestro", dove, tra l'altro, il 9 marzo 1450deve "rizare la collonna colla pila come stava prima con duj canelle et sequitare infine ad la fontana de Macello maiure": il tutto per 32ducati d'oro (Viterbo, Arch. com. presso la Bibl. com. degli Ardenti, Riforme, vol. XII, f. 161).
Il 25 nov. 1449 gli èdato un altro cottimo per riparazioni, trasformazioni e potenziamento "fontane sancti Syxti".
Quella di "fontaniere" - attività d'altronde molto delicata nel passato, affidata a persone di provato mestiere (si pensi a Francesco di Giorgio Martini che esordì ed emerse a Siena proprio in questa pratica) - sembra essere la specializzazione di Cecco. E infatti nei documenti non vi è mai riferimento alla realizzazione di alcunché che riguardi l'aspetto formale.
D. seguì l'attività del padre, pervenendo però ad una maggiore professionalità e notorietà, in sintesi effettuando il salto che separa la risoluzione esclusivamente costruttiva e subordinata da quella progettuale e organizzativa di un certo impegno. Nei documenti tra il 1467 e il 1475 D. risulta assai di frequente prescelto per arbitraggi di opere murarie (Pinzi, 1890, p. 303).L'esordio operativo importante lo ebbe nei lavori del portico della chiesa domenicana di S. Maria in Gradi a Viterbo, dove nel 1475 "debia facere tre arcate si di pietra sopra le scale nanti in de la facciata... con colonne, ad similitudinem" di quelle già realizzate, verosimilmente a partire dal 1466 (data incisa nel fregio) e da completare con un lascito di 200 ducati di Antoniuccio Gatti (Arch. di Stato di Viterbo, Notarile Viterbo, protoc. n. 777).
Va ricordato che tale portico, costituito da cinque arcate, è organizzato da pilastri con colonne addossate, in una complessa strutturazione architettonica che lo pone come una matura elaborazione, se si considera il momento della sua ideazione, pur presentando certi "provincialismi" nel dettaglio decorativo e ricordi di esperienze architettoniche precedenti in alcune sue soluzioni.
Nel 1477 D. compare per la prima volta nel cantiere di S. Maria della Quercia, quando unitamente a Cristoforo di Pietro da Como, rende arbitraggio su una vertenza insorta tra vari muratori (Pinzi, 1890, doc. XII).
Negli anni che seguono, fino al 5 nov. 1481, D.doveva essere diventato sempre più "indispensabile" nei lavori della Quercia, dato che in questa data egli, definito "massarium Comunis Viterbii", si impegna con questo per un anno a "ponere omnes suas operas pro utilitate et constructione dicti palatii [del governatore del Patrimonio] noviter conficiendi" e di non occuparsi di altri lavori, ad eccezione "obligatione ad quam tenetur pro edificiis Beate Marie de Quercu" (Pinzi, 1890, p. 303, n. 1). Per la Quercia infatti il 17 maggio 1481 siha un documento di conciliazione in una "differentiam, questionem et controversiam" tra vari magistri "super compositione inclaustri et columnati Ecclesie" (Pinzi, 1890,doc. XIII); dai "periti di parte", uno locale ed uno lombardo, si può desumere come la controversia, probabilmente originata per motivi "quantitativi", avesse finito facilmente per sconfinare in ambiti più concettuali, riassumibili nella diversità - sicura - di linguaggio tra i magistri lombardi e i magistri locali. È infatti un eclettismo formale quello che si nota nel chiostro, dove la zona terrena (sistema delle quadrifore e dell'esteso mezzanino) si presenta goticizzante, e il primo piano invece di un ben maturo e compiuto linguaggio rinascimentale. È spiegabile solo come un tono encomiastico quanto asserisce il Pinzi (1890, p. 305): "e fu per l'autorità del Danese, se tra i due modelli presentati (del tabernacolo) si prescelse quello bellissimo di Andrea Bregno" (realizzato nel 1490), poiché dai documenti riportati dallo storico questo fatto non appare così evidente (Pinzi, 1890, doc. XVII).
L'ultima decade del XV secolo sarà quella che vedrà D. impegnato in molteplici lavori e tutti di notevole importanza, sempre più nella figura di sovrastante "alle fabbriche del Palazzo dei Priori, del Palazzo del Podestà diruto e caschato per la chaduta della torre del Comune, del palazzo nuovo si fa per lo Governatore con potestà di comperar case... et dar cottimi" (Pinzi, 1890, p. 304). Quando fu deciso che "la Chiesa di S. Laurentio si magnifichi" dai Priori di Viterbo sotto la spinta del vescovo Francesco Maria Settala Visconti, fu "facto fare uno bello modello al Danese" per la chiesa che "se farà dalle fondamenta de novo, e tal volta de marmo in pochi anni" (Pinzi, 1890, p. 303).
Da ciò si desume che D. doveva ormai aver acquisito la personalità e le capacità proprie di un architetto.
Non si riesce a comprendere come insorgesse questa decisione di ristrutturare completamente il S. Lorenzo, che con la sua particolare veste romanica era estremamente vicino al linguaggio rinascimentale (basti pensare alla somiglianza con la costruenda basilica di S. Maria della Quercia) ed inoltre era stata "attualizzata" nel suo impianto planimetrico e in varie soluzioni funzionali e formali intorno agli anni dopo la metà del secolo sotto Pio II. Fatto sta che per la morte del Settala l'iniziativa s'interruppe lasciando come principale segno l'eliminazione della Schola cantorum.
Il Pinzi (1890, p. 304) scrive che "la soprastanza del Danese" nel cantiere della Quercia si protrasse "a quel che pare molto a lungo, giacché durava ancora dopo il 1500".
Prova della fama di cui godeva D. nel campo dell'ingegneria idraulica è data dalla partita di pagamento emessa il 23 dic. 1501 dalla Tesoreria papale con la seguente causale: "pro iudicando et conspiciendo opere magistri Alberti de Placentia per eum facto circa fontem in platea sancti Petri" (Rossi, 1877). Appositamente chiamato a Roma da Viterbo, D. effettuò la perizia unitamente a Pierdomenico da Viterbo, da identificarsi con Pierdomenico Ricciarelli. La permanenza a Roma, durata ben 14 giorni, può costituire probante indizio che D. e il suo aiutante Pierdomenico non effettuarono una perizia "formale", bensì procedettero ad un accurato controllo dell'intiera conduttura d'adduzione dell'acqua alla fontana, forse esteso ad altri impianti del Vaticano.
Il Signorelli (1938, p. 237 e n. 46) accenna che D. fu presente in vari lavori nella chiesa di S. Maria Nuova. Sempre più impiegato come "perito di parte", sia dal Comune sia da altre strutture, D. venne chiamato dal cardinale Francesco Todeschini Piccolomini ad effettuare una perizia insieme con "Magistro Filippo" nell'ambito dei lavori di restauro e rimodernamento del complesso abbaziale di S. Martino al Cimino (Bibl. Apost. Vaticana, Arch. del Capitolo di S. Pietro, Introitus et Exitus, n. 4, 1490-973 f. 110r). Nel 1509 fece una perizia per il cardinale Fazio Santoro su alcuni immobili che dovevano essere acquistati da questo per ampliare il proprio palazzo viterbese (Pinzi, 1893, p. 134 e docc. XII e XXIII).
Il 28 dic. 1517 D. fece testamento lasciando erede la figlia Rosata e disponendo un lascito al nipote Vincenzo (Pinzi, 1890, p. 304 e nota 1).
Ulteriori ricerche nell'estesissimo fondo notarile di Viterbo dovrebbero permettere il reperimento di altri atti, con cui definire l'attività e la personalità di D., che si pone senza dubbio come il "tecnico" più utilizzato nell'attività architettonica di Viterbo tra l'ultimo ventennio del secolo XV e il primo decennio del XVI secolo.
D. morì a Viterbo nel 1518.
Fonti e Bibl.: I. Ciampi, Cronache e statuti della città di Viterbo, Firenze 1872, pp. 417-418; A. Rossi, Spogli vaticani, in Giornale di erudizione artistica, VI (1877), pp. 204 s.; C. Pinzi, Memorie e documenti inediti sulla Basilica di S. Maria della Quercia a Viterbo, in Arch. stor. dell'arte, III (1890), pp. 300-305 con App.di documenti; Id., Gli Ospizi medioevali e l'Ospedal Grande di Viterbo, Viterbo 1893, p. 134 e documenti XXII, XXIIIin App.;G. Signorelli, Viterbo nella storia della Chiesa, Viterbo 1938, II, I, pp. 224 s., 237, 265, 273; 2, p. 395