Daniel Bovet
Daniel Bovet, premio Nobel per la fisiologia o la medicina nel 1957, ha svolto ricerche in settori disparati: i suoi studi nel campo della chemioterapia e della farmacologia hanno permesso di migliorare la qualità e l’efficacia degli antibatterici, in particolare dei sulfamidici, degli antistaminici, dei simpatolitici (con nuovi farmaci per ridurre la pressione arteriosa, le alterazioni del sistema nervoso simpatico e gli stati di ansia), i miorilassanti (con i curari di sintesi che hanno azione fondamentale in chirurgia perché provocano un rilassamento muscolare). Bovet ha lavorato a lungo sulle sostanze attive sul sistema nervoso, attività che lo ha portato a svolgere ricerche in campo psicobiologico nell’ambito della genetica del comportamento e dei meccanismi dell’apprendimento e memoria.
Daniel Bovet nacque a Neuchâtel, in Svizzera, il 23 marzo 1907. Suo padre, Pierre (1878-1965), era professore di pedagogia all’Institut Rousseau di Ginevra, lo stesso istituto che fu in seguito diretto da Jean Piaget (1896-1980), allievo di Pierre Bovet. La madre, Amy Babut, era invece francese. Compiuti gli studi secondari a Ginevra, Bovet divenne dottore in scienze naturali nel 1927 all’Università di Ginevra. Assistente di Frédéric Battelli (1867-1941) nell’Istituto di fisiologia, conseguì nel 1929 il doctorat ès sciences naturelles con una tesi in zoologia e anatomia comparata sotto la guida di Émile Guyénot (1885-1963). Nello stesso anno entrò all’Institut Pasteur di Parigi, ancora diretto da Émile Roux (1853-1933): Bovet era stato chiamato da Ernest-François-Auguste Fourneau (1872-1949), direttore del Laboratorio di chimica terapeutica, per organizzarvi un’unità di farmacologia e vi restò per quasi vent’anni.
A Parigi Bovet incontrò Filomena Nitti (1909-1994), figlia di Francesco Saverio Nitti, primo ministro nel 1919 e 1920, esule in Francia durante il fascismo. Si sposarono nel 1938 e Filomena, sorella di Federico Nitti (1903-1947) che lavorò con Bovet sui sulfamidici, divenne sua stretta collaboratrice scientifica.
Nel 1947, accettando un invito di Domenico Marotta, direttore dell’Istituto superiore di sanità, Bovet si trasferì a Roma insieme alla moglie. Gli venne affidata la direzione di un grande Laboratorio di chimica terapeutica sul modello di quello del Pasteur. L’attività del suo nuovo gruppo di ricerca fu centrata prevalentemente sui curarici e su una vasta serie di sostanze attive sul sistema nervoso centrale e sulla circolazione cerebrale che segnarono un punto di transizione verso la psicofarmacologia e la biologia del comportamento.
Intorno alla metà degli anni Sessanta del Novecento, in seguito a una crisi giudiziaria che investì l’Istituto, Bovet ritenne opportuno cercare una nuova collocazione: nel 1964 si presentò a un concorso a cattedra e divenne professore di farmacologia all’Università di Sassari, dove restò fino alla fine degli anni Sessanta, alternando la sua attività di ricerca tra Sassari e Los Angeles, nell’ambito del Brain research institute dell’University of California dove si dedicò allo studio dei farmaci colinergici e adrenergici e delle basi genetiche del comportamento.
Questa linea di ricerche continuò poi a Roma, dove si trasferì nel 1969, in seguito alla chiamata da parte della facoltà di Scienze a ricoprire la cattedra di psicobiologia. A Roma Bovet creò il Laboratorio di psicobiologia e psicofarmacologia del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), che diresse per dieci anni continuando la sua attività nel campo della genetica del comportamento e intrattenendo intensi rapporti di tipo scientifico con numerosi gruppi di ricerca italiani e stranieri. Morì a Roma l’8 aprile 1992.
Bovet mosse i suoi primi passi di farmacologo a Parigi, nel celebre Institut Pasteur, mettendo a punto e chiarendo il meccanismo d’azione di numerosi farmaci, antibatterici e antiprotozoari, che avrebbero sconvolto le prospettive della terapia tradizionale. L’ottica in cui si svolgevano le ricerche del Laboratorio di chimica terapeutica dell’Institut Pasteur diretto da Fourneau era ispirata alle idee di Paul Ehrlich (1854-1915) che, all’inizio del Novecento, aveva lanciato il progetto della chemioterapia proponendosi di scoprire le ‘pallottole magiche’, cioè composti chimici artificiali in grado di colpire e uccidere i microbi patogeni senza danneggiare l’organismo che li ospita.
Bovet, come d’altronde lo stesso Fourneau, riteneva che Erlich, insieme a Louis Pasteur (1822-1895), rappresentasse un punto di riferimento storico-scientifico fondamentale per l’emergere di un approccio razionale nella lotta contro gli agenti infettivi. Bovet, tuttavia, non apprezzava Ehrlich soltanto per il suo programma e approccio scientifico, ma anche perché riteneva che nell’opera di un ricercatore la fortuna avesse un ruolo importante. Secondo il biologo tedesco per scoprire dei chemioterapici efficaci, le cosiddette magic bullets, occorrevano quattro G: Geld (denaro), Geduld (pazienza), Geschick (abilità) e Glück (fortuna). Anche per Bovet la ricerca scientifica era un insieme di condizioni non controllabili a priori, che improvvisamente possono dar luogo all’evento della scoperta. Nel suo libro sulla storia dei sulfamidici, scrive cheuno degli ostacoli contro cui si scontra lo storico della scienza è dovuto in parte agli stessi protagonisti: essi ammantano spesso la loro scoperta, frutto in realtà di una ricerca intuitiva, del velo di una logica rigorosa. Uno studio più attento rivelerà che si è trattato di qualcosa di completamente diverso: una creazione artistica, un’attivita ludica, la conseguenza di osservazioni fortuite, compiute talvolta persino nel corso del tentativo di verificare un’ipotesi erronea (Une chimie qui guérit, 1988; trad. it. 1991, p. 73).
In altre parole, Bovet riteneva che la fortuna, il caso, avessero un ruolo importante, anche se la fortuna è difficilmente separabile dalla capacità del ricercatore di intuire che si trova di fronte a un fatto nuovo e che quindi deve cambiare rotta rispetto all’ipotesi originaria.
Con le loro ricerche sui sulfamidici Bovet e i suoi colleghi del Pasteur andarono tuttavia ben oltre il programma di ricerca di Ehrlich in chemioterapia, innovandolo in modo sostanziale. Ehrlich, che nel 1877 aveva messo a punto le prime tecniche di colorazione dei globuli bianchi, aveva sviluppato il progetto della chemioterapia proprio sulla base della scoperta dell’interazione chimicamente selettiva fra le materie coloranti di sintesi e le cellule viventi, microbi compresi: seguendo questo approccio, nel 1882 egli riuscì a colorare il bacillo tubercolare isolato da Robert Koch (1843-1910) nel 1876. Partendo da questi risultati, ritenne che si potesse utilizzare l’affinità chimica fra le molecole coloranti e le cellule batteriche per sfruttare eventuali proprietà battericide del colorante oppure per utilizzare i coloranti come ‘vettori’ in grado di inserire delle molecole tossiche per i batteri. Sulla base di questo programma scientifico, Ehrlich mise a punto nel 1906 il Salvarsan, il primo prodotto di sintesi a base di arsenico, attivo contro il treponema della sifilide.
Il biologo tedesco partiva dal presupposto teorico che la molecola di colorante dovesse essere il costituente essenziale di ogni composto dotato di attività antimicrobica e in particolare dei sulfamidici, farmaci la cui storia inizia nel 1906 quando Paul Gelmo, nell’ambito di studi sul meccanismo delle proprietà tintorie delle materie coloranti, sintetizzò il sulfamide. Nel 1932 il brevetto di un colorante derivato dal sulfamide venne depositato da due chimici della Bayer IG Farben. Due anni dopo, il 15 febbraio 1935, Gerhard Domagk pubblicò sul «Deutshe medizinische Wochenschrift» un articolo in cui si dimostrava l’efficacia del prodotto, il Prontosil rosso, contro le infezioni da streptococchi. Per gli scienziati tedeschi aderenti alla scuola di Ehrlich il Prontosil rosso era efficace in quanto colorante: tuttavia essi non riuscivano a capire il paradosso per cui il Prontosil era efficace in vivo, ma era completamente inattivo in vitro.
Furono appunto le ricerche di Bovet e dei chimici del Pasteur a risolvere questo ‘paradosso’, un problema che era legato alle teorie sostenute da Erlich. Nel 1935, dopo alcuni mesi di tentativi, Bovet, Federico Nitti, Jacques e Therese Tréfouël dimostrarono, infatti, come l’effetto antimicrobico ottenuto con il Prontosil, cioè con il farmaco colorato, potesse essere ottenuto anche con la sostanza bianca, cioè il sulfamide, a partire dalla quale era stato preparato il composto colorato. Il paradosso dell’inattività in vitro del Prontosil era dovuto al fatto che, fino a quando il farmaco manteneva la sua originaria struttura chimica, esso era privo di azione antibatterica, mentre all’interno dell’organismo i processi ossido-riduttivi portavano alla formazione di due molecole indipendenti di cui una, la p-aminophenylsulfamide incolore, era dotata di efficacia contro gli streptococchi. L’azione terapeutica del Prontosil non era quindi connessa alle proprietà coloranti di questa sostanza, come ritenevano Domagk e la scuola tedesca: usando un linguaggio meno scientifico di quello appena utilizzato, Bovet notò che l’‘automobile rossa’ aveva un ‘motore bianco’.
Nel 1936 lo stesso gruppo di ricercatori del Pasteur comprese che i sulfamidici non uccidono i batteri, ma agiscono come citostatici. Donald Woods e Paul Fildes dimostreranno nel 1940 che il meccanismo d’azione dei sulfamidici è basato sulla somiglianza strutturale fra questi composti e l’acido para-aminobenzoico (PABA, Para-AminoBenzoic Acid), per cui il farmaco funziona come un inibitore competitivo. Il PABA è un componente dell’acido folico, che è un metabolita essenziale sia per le cellule procariotiche sia per le cellule dei mammiferi. Tuttavia, le cellule eucariotiche utilizzano l’acido folico preformato, ottenendolo dalla dieta, mentre le cellule procariotiche lo sintetizzano in proprio usando il PABA. Questa differenza rende i sulfamidici degli efficaci agenti chemioterapici, poiché sono in grado di sostituire il PABA durante la sintesi di acido folico.
L’attività di ricerca del gruppo parigino non era però centrata soltanto sulle sostanze dotate di azione chemioterapica, ma mirava più in generale a stabilire il meccanismo d’azione di diverse sostanze, naturali o di sintesi, seguendone il metabolismo nell’organismo o formulando delle ipotesi verosimili. Una simile strategia, fondata sul seguire il ‘cammino’ di alcune molecole attraverso i tessuti e i liquidi del ‘milieu interieur’, fu applicata allo studio dei derivati dell’adrenalina, la sostanza secreta dalla midollare dei surreni. I rapporti tra la costituzione chimica, il metabolismo e l’attività farmacodinamica furono al centro degli ormai classici studi di Bovet, centrati sull’azione di sostanze simpaticomimetiche e simpaticolitiche, in grado di simulare o antagonizzare l’azione dell’adrenalina e della noradrenalina.
Furono studiate intere serie di molecole, selezionando e affinando farmaci dotati di azione vasodilatatrice (soprattutto sulle coronarie), di azione broncolitica (antiasmatica), di azione antipertensiva, attivi sulla muscolatura liscia, quale quella uterina e così via. Negli anni dal 1933 al 1953 centinaia e centinaia di molecole sintetizzate soprattutto dal gruppo di Fourneau e contraddistinte dalla sigla F vennero esaminate da Bovet e dai suoi collaboratori che ne seguirono gli effetti in vitro e in vivo sui vari distretti del sistema nervoso vegetativo.
Il primo prodotto dotato di azione simpaticolitica (un derivato del diossano, l’F883) era stato studiato da Bovet e Fourneau (Recherches sur l’action sympathicolytique de nouveaux dérivés du dioxane, «Comptes rendus de la Societé de biologie», 1933, 113, pp. 388-94) nell’ambito di un programma di ricerca per la scoperta di farmaci antimalarici. Questo fatto innescò una serie di ragionamenti che portarono Bovet alla scoperta degli antistaminici. Il punto di partenza di queste ricerche fu la constatazione che l’adrenalina, l’acetilcolina e l’istamina, tre amine biogene dotate di una potente attività farmacologica, presentano delle analogie nella struttura chimica. L’esistenza di sostanze dotate di azione parasimpaticolitica, come l’atropina, era nota sin dal 1867, quando fu dimostrata l’azione antivagale di questa sostanza. Per Bovet era quindi del tutto ragionevole pensare che potesse esistere anche un farmaco antagonista dell’istamina. Negli anni Trenta non vi era alcuna prova definitiva che l’istamina fosse responsabile delle reazioni allergiche: tuttavia le ricerche di Bovet si rivelarono decisive per suffragare questa ipotesi.
Nel 1937, Bovet e Albert Staub descrissero l’azione antistaminica della timossietildietilamina, una sostanza dotata di azione antianafilattica (Action protectrice des éthers phénoliques au cours de l’intoxication histaminique, «Comptes rendus de la Societé de biologie», 1937, 124, pp. 547-49). La capacità degli antistaminici di esercitare una protezione dallo shock anafilattico confermò in modo definitivo che l’istamina era la sostanza vasoattiva principalmente coinvolta in questa e nelle altre manifestazioni allergiche. Nel 1942 Bernard Halpern introdusse il primo derivato non tossico dei derivati della dietilamina e la terapia antistaminica trasformò in breve tempo il trattamento di numerose malattie allergiche (D. Bovet, Introduction to antihistamine agents and antergan derivatives, «Annals N.Y. Academy of sciences», 1950, 50, pp. 1089-1126). Il farmacologo svedese Börje Uvnäs, nel suo discorso di introduzione al premio Nobel a Bovet (http://www. nobelprize.org/nobel_prizes/medicine/laureates/1957/ press.html [13 aprile 2013]) notò come i suoi studi sull’istamina e sulle altre amine biogene avessero avuto notevoli implicazioni sia dal punto di vista delle conoscenze relative alla fisiologia del sistema nervoso sia dal punto di vista delle loro applicazioni cliniche.
Bovet e il suo gruppo furono quindi in grado di cogliere le connessioni tra le più disparate molecole, naturali o di sintesi, comprendendone i meccanismi fisiologici e farmacologici: lavorando sui rapporti che esistono tra la struttura di una molecola e la sua funzione, fu delineato una sorta di grande affresco in cui vennero incasellate l’adrenalina e altri simpaticomimetici, i derivati del diossano, le amfetamine, i derivati dell’acido lisergico e così via. Questo enorme lavoro di ricerca e classificazione permise di ‘seguire le tracce’ di molecole tra loro simili ma, a volte, dotate di azioni opposte a livello di recettori nervosi che, a quei tempi, erano sconosciuti.
Tra le molecole studiate, i curari di sintesi, attivi a livello delle sinapsi colinergiche tra nervo e muscolo, hanno avuto un ruolo di grande importanza. Proseguendo idealmente i lavori della scuola di Claude Bernard (1813-1878) e del suo allievo Félix-Alfred Vulpian (1826-1887) sui curari, Bovet e Simone Courvoisier ne studiarono l’azione paralizzante. Queste sostanze, alcaloidi estratti dalle piante e utilizzati ancora oggi dagli indios dell’America centro-meridionale per paralizzare la preda, furono introdotte in terapia da Harold Griffith ed Edin Johnson nel 1942 sotto forma di d-tubocurarina, un termine che si riferisce ai tubi di scorza d’albero in cui gli indios dell’Amazzonia conservavano i curari e le frecce avvelenate con essi. Nel 1947 fu introdotta in clinica la gallamina, o flaxedil (D. Bovet, F. Depierre, S. Courvoisier, Y. de Lestrange, Recherches sur les poisons curarisants de synthèse (deuxième partie), «Archives internationales de pharmacodynamie et de thérapie», 1949, 2-3, pp. 172-88), un derivato di sintesi molto potente, da allora utilizzato da generazioni di chirurghi per rilassare i muscoli corporei (D. Bovet, Some aspects of the relationship between chemical constitution and curare-like activity, «Annals New York academy of sciences», 1951, 54 pp. 407-32). A questi studi fecero seguito numerose ricerche sui derivati della succinilcolina, intraprese a Roma con i collaboratori dell’Istituto superiore di sanità (D. Bovet, F. Bovet-Nitti, Curare, «Experientia», 1949, 4, pp. 325-48; D. Bovet, F. Nitti, G.B. Marini-Bettòlo, Curare and curare-like agents, 1959).
Le ricerche di Bovet nel campo della psicofarmacologia e psicobiologia si riallacciano ai suoi studi sui farmaci attivi sul sistema nervoso centrale, agli antistaminici, ai derivati della clorpromazina e ai farmaci adrenergici. Partendo da quelle osservazioni empiriche che indicavano come le diverse sostanze attive sul sistema nervoso e i diversi psicofarmaci esercitassero un’azione variabile da individuo a individuo, Bovet utilizzò i farmaci come ‘sonde’ per esplorare la funzione nervosa e per saggiare la variabilità delle strutture nervose e del comportamento. A questi studi di psicofarmacologia si affiancarono ben presto quelli di genetica del comportamento, basati sull’uso di ceppi selezionati di roditori (G. Bignami, D. Bovet, Expérience de sélection par rapport à une réaction conditionnée d’évitement chez le rat, «Comptes rendus Académie des sciences», 1965, pp. 1239-44) e di ceppi inincrociati (inbred) di topi la cui uniformità genetica li rende simili a popolazioni costituite da gemelli monozigotici. A Los Angeles e a Sassari affrontò il problema delle basi biologiche della memoria (D. Bovet, J.L McGaugh, A. Oliverio, Effects of post-trial administration of drugs on avoidance learning of mice, «Life sciences», 1966, 5, pp. 1309-12) dal punto di vista delle differenze individuali e dei farmaci che interferiscono con la consolidazione della memoria: uno dei risultati più interessanti di questi studi è legato alla dimostrazione del ruolo esercitato dai fattori genetici nel condizionare diversi aspetti della memoria e dell’apprendimento.
Le ricerche nel campo della genetica del comportamento costituirono un approccio innovativo che contribuì a sollevare il problema delle basi biologiche del comportamento in tempi in cui le ricerche di psicobiologia erano appena ai loro albori: quando Bovet iniziò a lavorare in questo settore la psicologia sperimentale aderiva, prevalentemente, alle teorie comportamentiste, implicando che ogni aspetto dell’agire – animale e umano – potesse essere descritto in termini di rapporti tra stimoli e risposte, al di fuori della conoscenza della cosiddetta scatola nera cerebrale.
Seguendo la pista della genetica (D. Bovet, F. Bovet-Nitti, A. Oliverio, Memory and consolidation mechanism in avoidance learning of inbred mice, «Brain research», 1968, 10, pp. 168-82; D. Bovet, F. Bovet-Nitti, A. Oliverio, Genetics of memory, «Science», 1969, 165, pp. 1148-54), Bovet dimostrò che alcuni comportamenti hanno importanti componenti biologiche in quanto dipendono da specifiche differenze del sistema nervoso a livello delle strutture neurobiologiche, dai recettori nervosi all’estensione di alcuni nuclei nervosi cerebrali. Queste differenze possono presentarsi nei loro aspetti estremi, quasi paradossali, in quei ceppi di animali che sono frutto di selezioni o inincroci ripetuti: ma, appunto per questo loro carattere estremo, esse rimandano alla molteplicità dei meccanismi attraverso cui il singolo individuo, o se vogliamo il singolo cervello, opera, risolve problemi, ricorda, dimentica. In altre parole, l’approccio genetico fece sì che anche alcuni aspetti del comportamento fossero considerati alla stregua di fenotipi e che la famosa ‘scatola nera’ rivelasse alcuni dei suoi contenuti, come avvenne a seguito del progressivo affermarsi delle neuroscienze cognitive.
E. Fourneau, D. Bovet, Recherches sur l’action sympathicolytique de nouveaux dérivés du dioxane, «Comptes rendus de la Societé de biologie», 1933, 113, pp. 388-94.
A.-M. Staub, D. Bovet, Action protectrice des éthers phénoliques au cours de l’intoxication histaminique, «Comptes rendus de la Societé de biologie», 1937, 124, pp. 547-49.
D. Bovet, F. Nitti, Structure chimique et activité pharmacodynamique des médicaments du système nerveux végétatif, Basel 1948.
D. Bovet, F. Bovet-Nitti, Curare, «Experientia», 1949, 4, pp. 325-48.
D. Bovet, F. Depierre, S. Courvoisier, Y. de Lestrange, Recherches sur les poisons curarisants de synthèse (deuxième partie), «Archives internationales de pharmacodynamie et de thérapie», 1949, 2-3, pp. 172-88.
Introduction to antihistamine agents and antergan derivatives, «Annals New York academy of sciences», 1950, 50, pp. 1089-1126.
Some aspects of the relationship between chemical constitution and curare-like activity, «Annals New York academy of sciences», 1951, 54, pp. 407-32.
D. Bovet, F. Bovet-Nitti, Rapports de structure entre sympathomimétiques et sympatholytiques. De l’adrenaline à l’ergotamine, «Actualités pharmacologiques», 1953, 6, pp. 21-25.
D. Bovet, F. Nitti, G.B. Marini-Bettòlo, Curare and curare-like agents, Amsterdam 1959.
The relationships between isosterism and competitive phenomena in the field of drug therapy of the autonomic nervous system and that of the neuromuscular transmission, in Nobel lectures. Physiology or medicine 1942-1962, Amsterdam 1964.
G. Bignami, D. Bovet, Expérience de sélection par rapport à une réaction conditionnée d’évitement chez le rat, «Comptes rendus Académie des sciences», 1965, 260, pp. 1239-44.
D. Bovet, J.L. McGaugh, A. Oliverio, Effects of post-trial administration of drugs on avoidance learning of mice, «Life sciences», 1966, 5, pp. 1309-12.
D. Bovet, F. Bovet-Nitti, A. Oliverio, Memory and consolidation mechanism in avoidance learning of inbred mice, «Brain research», 1968, 10, pp. 168-82.
D. Bovet, F. Bovet-Nitti, A. Oliverio, Genetics of memory, «Science», 1969, 165, pp. 1148-54.
Une chimie qui guérit. Histoire de la pharmacie et de la découverte des sulfamides, Paris 1988 (trad. it. Vittoria sui microbi. Storia di una scoperta, Torino 1991).
Ricordo di Daniel Bovet, a cura di G. Bignami, «Annali dell’Istituto superiore di sanità», 1993, 29, suppl. 1 (in partic. curriculum vitae e pubblicazioni scientifiche, pp. 67-104).
A. Oliverio, Daniel Bovet 23 March 1907-8 April 1992, «Biographical memoirs of fellows of the Royal society», 1994, pp. 71-90.
Si vedano inoltre:
Daniel Bovet biography: http://www.nobelprize.org/nobel_ prizes/medicine/laureates/1957/bovet-bio.html (13 aprile 2013).
G. Bignami, Bovet Daniel, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 2012, ad vocem, http://www.treccani.it/enciclopedia/ daniel-bovet_(Dizionario-Biografico)/ (13 aprile 2013).