Dennett, Daniel Clement
Filosofo della mente e psicologo statunitense, nato a Boston il 28 marzo 1942. Allievo di G. Ryle a Oxford, è professore alla Tufts University di Medford, dove è inoltre direttore del Center for Cognitive Studies.
Le ricerche di D. insistono su un vasto orizzonte problematico, che si estende dalla psicologia cognitiva alla filosofia della mente, toccando questioni di intelligenza artificiale e di psicolinguistica, in una prospettiva concettuale fortemente debitrice nei confronti della biologia evoluzionista. Punto di partenza del pensiero di D. è la questione della referenzialità di termini quali mente, coscienza, credenza, desiderio. D. ritiene senza senso risolverla trattando il cosiddetto vocabolario mentalista come se fosse costituito di termini a cui corrispondono entità reali; in particolare, risulta, a suo avviso, fuorviante chiedersi se ciascuno di tali termini corrisponda a uno stato del cervello o sia in qualche modo ricostruibile in una prospettiva riduzionista, a partire da suoi costituenti elementari. Ma ciò non conduce, in D., a un rifiuto del fisicalismo o a un'opzione dualista.
In un celebre esempio di D., se gioco a scacchi con un computer potrei certamente ricondurre ogni sua mossa ai complicati circuiti di cui è composto e alle leggi fisiche che ne determinano i processi di calcolo, ma ne posso più fruttuosamente (e velocemente) prevedere le mosse se lo tratto come agente che dispone di determinate informazioni, si pone determinati obiettivi, e cerca di raggiungerli al meglio. Di qui a chiamare credenze le informazioni di cui il computer dispone e desideri i suoi obiettivi il passo è, per D., breve (affermazione che fa peraltro comprendere come D. tratta il tema della mente umana). Né può, in questa prospettiva, avere senso obiettare che una macchina non dispone di desideri e credenze reali perché il senso dell'operazione di D. è proprio quello di evitare che questi concetti siano riferiti a presunte entità mentali, piuttosto che visti come ingredienti di una descrizione del modo concreto in cui opera un determinato sistema.
Quando ci si trovi, dunque, a interpretare l'attività di una presunta 'entità mentale' (e non importa se intesa come appartenente a persona o ad animale, o se considerata come artefatto comunque complesso), la strategia più fruttuosa è quella di trattarla come un agente razionale che orienta le proprie azioni in relazione a credenze e a bisogni ricostruibili; in breve, considerarla un agente intenzionale e adottare, di conseguenza, una prospettiva intenzionale nell'analizzare i suoi processi di scelta.
Il problema diventa allora non tanto quello di definire la modalità di questa prospettiva, quanto di cogliere la sua cogenza in termini di possibilità di condivisione empatica delle intenzioni (credenze, bisogni) dell'altro, cosa che non può non rinviare a una prospettiva evoluzionista se ci si pone la questione dell'efficacia strumentale di questa condivisione. Sono peraltro proprio le prospettive e le conseguenze della posizione di D. relativamente ai processi di condivisione della "mente" dell'altro che hanno, recentemente, aperto prospettive fruttuose nell'ambito della psicologia clinica e dello sviluppo; per es., nello studio della progressività dell'attribuzione intenzionale in età evolutiva o dei suoi possibili arresti nelle patologie autistiche.
Opere principali: Content and consciousness (1969; trad. it. 1992); Brainstorms. Philosophical essays on mind and psychology (1978; trad. it. 1991); The intentional stance (1987; trad. it. 1993); Consciousness explained (1991; trad. it. 1993); Darwin's dangerous idea (1995); Kinds of minds (1996; trad. it. La mente e le menti, 1997).
bibliografia
W. Bechtel, Philosophy of mind. An overview of cognitive science, Hillsdale (N.J.) 1988 (trad. it. Filosofia della mente, Bologna 1992).
Dennett and his critics. Demystifying mind, ed. B. Dahlbom, Oxford 1993.
Teoria della mente. Origini, sviluppo e patologia, a cura di L. Camaioni, Roma-Bari 1995.
S. Gozzano, Storia e teorie dell'intenzionalità, Roma-Bari 1997.