Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Uomo dall’esistenza tumultuosa, dalla personalità versatile, profondamente legato allo sviluppo commerciale britannico, diviso tra impegno politico e ispirazione letteraria, Daniel Defoe è l’autore di un numero impressionante di opere di generi diversi. Divenuto famoso grazie alla pubblicazione di Robinson Crusoe, è ritenuto l’inventore del romanzo borghese, incentrato sulla rappresentazione dell’esperienza quotidiana, vista nella sua concretezza.
La formazione e la carriera
Daniel Foe nasce nel 1670 nella parrocchia di St. Giles a Cripplegate (Londra), da una modesta famiglia borghese di lontane origini fiamminghe, appartenente alla setta protestante non conformista dei dissenzienti, che prendevano le distanze dalla Chiesa anglicana. Solo dopo i trent’anni comincia a firmarsi come Defoe, aggiungendo al proprio nome un prefisso nobiliare. Ai dissenzienti erano interdette le università di Oxford e Cambridge, dunque Defoe frequenta l’Accademia dissenziente di Newington Green, gestita dal revedendo Charles Morton: l’istruzione ricevuta presso questa istituzione è determinante per la sua formazione, particolarmente ampia, e ha senza dubbio un’influenza significativa sul suo stile letterario, modellato dalla lettura della Bibbia.
Nonostante fosse destinato al ministero religioso, nel 1863 Defoe intraprende la carriera di agente commerciale: il commercio costituisce infatti il suo interesse principale. Per un decennio si occupa di compravendita di merci, viaggiando sia in patria che all’estero; questa esperienza gli permette di diventare un osservatore particolarmente acuto della realtà economica e sociale. Sposatosi nel 1684 con Mary Tuffley, padre di una prole numerosa, Defoe si considera un esperto anche di questioni relative alla famiglia, su cui scriverà trattati pedagogici.
Il temperamento spregiudicato lo porta spesso in situazioni difficili, tanto da essere costretto a sfuggire ai creditori e a sottoporsi a diversi processi: nel 1692 deve fronteggiare la bancarotta, ma riesce a negoziare condizioni di ripianamento dei debiti che gli evitano la prigione; da quel momento, tuttavia, deve fare i conti con i debiti pressoché di continuo. Oltre alle attività in ambito commerciale e al lavoro trattatistico e giornalistico, Defoe si impegna politicamente, prima unendosi alla ribellione (fallita) del duca di Monmouth contro Giacomo II, poi sostenendo la causa di Guglielmo d’Orange, futuro Guglielmo III, e divenendo uno dei suoi polemisti più attivi.
Il suo primo successo è Il vero inglese (The true-born Englishman), un poema satirico pubblicato nel 1701, di cui va molto fiero, che analizza la composizione eterogenea del popolo inglese, e comprende un appello antixenofobo a favore della dinastia olandese degli Orange. La carriera di Defoe viene tuttavia segnata dalla pubblicazione del suo libello più famoso, Il modo più rapido per disfarsi dei dissenzienti (The shortest way with the dissenters), del 1702: il metodo suggerito parodicamente consiste nel bandire dall’Inghilterra tutti i membri della setta dei dissenzienti e nell’impiccare i predicatori. La sua ironia non viene apprezzata e anzi fa infuriare sia i dissenzienti che gli anglicani: processato come autore di un libello sedizioso contro la Chiesa anglicana, viene esposto al pubblico ludibrio e imprigionato a Newgate, da dove viene rilasciato per intercessione di Robert Harley, conte di Oxford, che in cambio ottiene i suoi servizi di polemista e agente segreto per conto dei Tories moderati. Defoe svolge queste attività con zelo ed energia, viaggiando, scrivendo relazioni e pamphlet. Visita specialmente la Scozia nel periodo della legge sull’unione di Inghilterra e Scozia del 1707, mantenendo informati i suoi datori di lavoro sulle reazioni della popolazione in un momento delicato e di trasformazione della Gran Bretagna in Regno Unito.
Con una donazione, Robert Harley permette a Defoe di sistemare i suoi debiti e di dedicarsi alla pubblicazione di una rivista (“The Review”), che lo occupa dal 1703 al 1714, trattando una grande varietà di argomenti, fra cui religione, commercio, morale. È un periodo di intensa attività giornalistica, che si accompagna agli incarichi di agente segreto per il governo. Ma i suoi nemici politici, con vari pretesti, riescono a farlo arrestare e imprigionare di nuovo. Nel 1714, con l’accesso al trono di Giorgio I e l’ascesa dei Whigs, Defoe mantiene il suo ruolo di informatore; la sua posizione anticattolica gli garantisce il favore del governo; del resto, nei suoi scritti è evidente la ricerca continua dei principi della tolleranza e del libero scambio di opinioni, che promuove la libertà delle idee. Negli anni successivi intraprende la carriera di romanziere, che gli dà la fama, ma non la ricchezza. Nonostante il peggioramento delle condizioni di salute, resta attivo fino agli ultimi anni di vita; muore povero nel 1731.
L’invenzione del romanzo moderno: Robinson Crusoe
Daniel Defoe
Robinson Crusoe
15 luglio. Ho cominciato la mia minuziosa Esplorazione dell’isola. Prima sono andato al corso d’acqua situato nel fiordo di cui ho già parlato, dove avevo attraccato con le mie zattere; poi l’ho risalito per forse due miglia, trovando che il flutto della marea non si spinge oltre, e che da quel punto c’è un piccolo ruscello d’acqua corrente molto dolce e molto buona: essendo nella stagione secca, a tratti non c’è però quasi acqua, o almeno è così scarsa che la corrente si spegne. Sulle rive di questo torrente ho trovato varie savane, o delle praterie intere, molto belle, dolci, e molto erbose: nelle zone più elevate, vicino alle alture che con tutta evidenza non sono mai state inondate, ho scoperto una gran quantità di piante di tabacco, verdi, dai grandi e robusti germogli; ma ci sono altre Piante diverse che non ho riconosciuto, e che forse hanno virtù che non immagino nemmeno. Mi sono messo a cercare la radice di Cassava o manioca, che serve per fare il pane agli indigeni dell’area, ma m’è stato impossibile scoprirne. Ho visto enormi piante di aloè, ma non ne conoscevo ancora le proprietà. Ho visto anche qualche canna da zucchero selvatica rinsecchita per mancanza di coltivazione. Poi, per questa volta mi sono accontentato di queste scoperte, me ne sono tornato riflettendo sul modo d’istruirmi sulle virtù e la bontà delle Piante e dei Frutti che potrò scoprire, però senza giungere a una conclusione, siccome in Brasile ho osservato troppo poco la natura per aver conoscenza delle piante dei campi, o più precisamente perché anche la poca conoscenza acquisita non serve a nulla in questa desolazione.
D. Defoe, Robinson Crusoe, trad. it. di A. Cavallari, Milano, Feltrinelli, 2010
Daniel Defoe
Robinson Crusoe
Successe che un giorno sul mezzodì nell’andare verso la mia barca m’apparve con grande sorpresa sulla spiaggia l’Orma di un piede nudo di un uomo, nitidamente visibile sulla sabbia: restai fulminato come se avessi visto un fantasma: ascoltai, guardai intorno a me, non sentii niente, non vidi niente, salii sopra un’altura per vedere più lontano, percorsi la spiaggia su e giù, ma c’era solo quell’orma, non vedevo che quella, mi avvicinai per vedere se ce n’erano altre, per capire se si trattasse di un’allucinazione; ma c’era poco spazio per le fantasie, perché lì c’era la reale orma di un piede, dita, tallone, insomma ogni parte del piede: come fosse venuta non potevo neppure immaginare.
Dopo cento agitati pensieri, stordito e fuori di me, mi lanciai in fuga verso la mia casa fortificata, corsi senza toccarre terra, come si dice volai, terrorizzato al massimo, guardandomi però indietro a ogni passo, ingannandomi a ogni cespuglio e ogni albero, immaginando che ogni tronco a distanza fosse un uomo: non è infatti possibile descrivere le varie forme che prendeva ogni cosa dentro di me per effetto della mia immaginazione spaventata, quante idee assurde si formarono nella mia fantasia, che strane e inverosimile fisime mi vennero lungo il cammino. Quando arrivai al mio castello, che ormai chiamavo la mia casa, mi precipitai dentro come un uomo inseguito: non ricordo se scavalcai con la scala o entrassi dal buco della roccia che chiamavo porta, e nemmeno lo potei ricordare il giorno dopo: perché mai una lepre spaventata s’è tuffata nella sua tana, o una volpe nel suo buco di terra, con più terrore di me alla fine di questa fuga.
Quella notte non dormii: perché, contrariamente alla logica della Paura, alla stessa pratica che nella paura seguono di solito tutte le Creature, più lontano mi trovai dalla causa del mio terrore e più grande fu la mia angoscia: ero così turbato dal fantasma del fatto accaduto che concepivo solo immagini sinistre anche se il fatto era adesso lontano.
D. Defoe, Robinson Crusoe, trad. it. di A. Cavallari, Milano, Feltrinelli, 2010
Nel 1719, all’età di quasi sessant’anni, Defoe scrive Robinson Crusoe , il suo primo romanzo, che inaugura un periodo molto produttivo dal punto di vista narrativo, caratterizzato dalla pubblicazione di diversi romanzi in rapida successione. L’intuizione di Defoe consiste nel porre i suoi personaggi in contesti contemporanei; in particolare, il successo degli eroi e delle eroine creati da Defoe dipende dalla loro capacità di muoversi in una dimensione basata sull’importanza dell’acquisizione dei beni materiali. Il ruolo economico degli individui, infatti, coincide con il loro peso nella società, un elemento che ben si inserisce nell’ambito della nascente economia capitalistica. Il rilievo attribuito ai singoli è dunque fondamentale: a livello narrativo esso si traduce nell’uso della prima persona, che permette di ottenere un alto grado di verosimiglianza e di approfondire l’analisi delle motivazioni personali dei personaggi all’interno di una società che premia l’iniziativa individuale.
La strana vita e le sorprendenti avventure di Robinson Crusoe (The Life and Strange Surprizing Adventures of Robinson Crusoe), comunemente conosciuto come Robinson Crusoe, si presenta come un’autobiografia fittizia. All’inizio del romanzo Robinson ha diciotto anni: anziché seguire i consigli del padre, che gli raccomanda di rimanere nella condizione intermedia di coloro che non detengono il potere, ma non soffrono la povertà, il giovane disobbedisce e sceglie la vita avventurosa del mare, rifiutando dunque la tranquillità di un’esistenza borghese. Una volta naufragato su un’isola deserta, egli si dedica proprio a ricreare la condizione borghese in tutti i suoi aspetti. Il rapporto con Dio rimane, ma non è privo di ambiguità, perché Robinson conserva un atteggiamento devoto, condanna la sua disobbedienza all’autorità paterna, ma poi da autentico puritano si ingegna nell’operare concreto e nel lavoro quotidiano.
Prima del naufragio il personaggio di Defoe vive numerose avventure, viene addirittura ridotto in schiavitù cadendo nelle mani dei pirati, anche se poi riesce a fuggire, e a sua volta diviene uno schiavista, facendo fortuna in Brasile come proprietario di piantagioni. Durante un viaggio, al largo delle coste del Cile, la nave su cui trasporta gli schiavi fa naufragio e lui è l’unico a sopravvivere: comincia in questo modo l’avventura di Robinson su un’isola deserta, dove rimane per ventisette anni, trasformando il territorio incolto in suolo fertile e produttivo, con l’aiuto iniziale della grande quantità di masserizie recuperate coraggiosamente dalla nave. Tra gli strumenti necessari alla colonizzazione c’è anche il fucile..
Oltre che la coltivazione della terra, Robinson intraprende l’allevamento del bestiame, in un regime di perfetta autosufficienza. La scoperta di un’orma, dopo quindici anni di completa solitudine, ma anche di ricorrenti timori, cambia completamente la sua prospettiva, perché si rende conto che sull’isola sbarcano di tanto in tanto gruppi di cannibali. Anni dopo, Robinson salva da un rito cannibalesco una vittima designata, Venerdì (Friday), che diventa il suo schiavo. La vita dei due scorre tranquilla fino all’arrivo di una nave spagnola, anche se Robinson ribadisce il suo ruolo di padrone (master) nei confronti del fedelissimo servitore: piano piano l’isola si popola, finché Robinson non trova il modo di tornare in patria, dove resta per un certo periodo, prima di ripartire e proiettarsi verso nuove avventure. La popolarità del romanzo viene infatti confermata da alcuni seguiti.
Le avventure di Robinson Crusoe si basano sulla vicenda reale di un marinaio scozzese dalla vita turbolenta, Alexander Selkirk, abbandonato sull’isola deserta Juan Fernandez per cinque anni. Tuttavia l’autore utilizza soltanto questo episodio dell’esistenza di Selkirk; su quell’isola erano stati abbandonati anche altri uomini, i cui racconti di sopravvivenza possono aver influito sulla creazione di Robinson Crusoe.
Robinson, mercante e schiavista, naufragato su un’isola disabitata, cerca di ricostruire la struttura materiale della madrepatria. Le necessità della vita quotidiana vengono soddisfatte grazie all’ingegno e al lavoro incessante. La componente introspettiva e morale è centrale: tuttavia l’azione pratica prevale sull’aspetto introspettivo e, non a caso, nel tempo Robinson Crusoe diventa il modello del romanzo di viaggio e d’avventura in terre sconosciute. Nella contrapposizione tra la solitudine e la necessità delle relazioni umane, spicca per la sua assenza l’elemento femminile, e dunque l’intreccio amoroso. In realtà, conta piuttosto il mondo materiale e non il rapporto con l’altro, che viene percepito solo in termini utilitaristici.
Il romanzo esplora le dinamiche della colonizzazione, che implica la presa di possesso materiale del territorio sconosciuto, coltivato e sfruttato, e insieme cerca di stabilire il dominio sulle popolazioni native. Venerdì è l’emblema del colonizzato, che viene istruito come un bambino affiché impari la lingua inglese e la religione cristiana. La questione dell’imposizione del linguaggio e della cultura dominante raffigurata attraverso il rapporto tra il padrone e il servo ha suscitato l’interesse della critica postcoloniale, che ha ravvisato nel Robinson Crusoe l’archetipo della master narrative coloniale, ossia l’esempio più significativo della rappresentazione del dominio del colonizzatore sul colonizzato, appartenente a un’epoca precedente la creazione effettiva dell’impero britannico, in cui la spinta verso l’esplorazione e lo sfruttamento degli spazi extraeuropei è già molto forte.
Il romanzo moderno, che nella tradizione anglosassone assume il nome di novel, prende le mosse nell’Inghilterra di inizio XVIII secolo, una terra sempre più basata sul commercio: il romanzo interpreta i cambiamenti etici e sociali e Robinson Crusoe ne costituisce l’esordio. In Le origini del romanzo borghese (1985) Ian Watt sostiene che la vicenda di Robinson definisce la nascita dell’individualismo borghese, esprimendo l’interesse per la vita quotidiana che si sviluppa in una società individualista, caratterizzata dal sorgere del capitalismo e dalla diffusione del protestantesimo. La logica del profitto è la vocazione di Crusoe, che incarna la concezione puritana della dignità del lavoro. Il successo dell’opera, sia in termini di pubblico che in termini di analisi critica, è avvalorato anche dalle numerose riscritture del romanzo, come le cosiddette Robinsonnades, i cicli di avventure sulle isole deserte, tra cui le opere di Robert Michael Ballantyne L’isola di corallo (The Coral Island) del 1856 e di Robert Louis Stevenson, L’isola del tesoro (Treasure Island) del 1883, per arrivare fino alla contemporaneità, in cui ha svolto un ruolo importante la prospettiva postcoloniale proposta da Foe (1984) di J.M. Coetzee, lo scrittore sudafricano che riscrive la vicenda di Robinson attraverso il racconto di un personaggio femminile, e crea un tessuto intertestuale in cui Robinson Crusoe viene contaminato da Moll Flanders e Roxana . In questo modo, Coetzee scuote dalle fondamenta la dimensione maschile e patriarcale dell’originale, mentre Venerdì acquista un nuovo, ben più drammatico, rilievo. In Foe, infatti, Venerdì ha subito la mutilazione della lingua e mostra l’impossibilità del colonizzato di raccontare la sua versione della storia.
Le altre opere
Il successo induce Defoe a scrivere le Ulteriori avventure di Robinson Crusoe (Further Adventures of Robinson Crusoe), pubblicate nello stesso anno; seguono altri romanzi, Captain Singleton, nel 1720, Moll Flanders e Colonel Jack nel 1722, Roxana nel 1724. Captain Singleton esplora l’universo criminale, costituito da ladri, ma anche da prostitute e cortigiane, che rappresenta l’oggetto di un costante interesse per Defoe. Singleton è un avventuriero e un pirata, anche se poi scopre le virtù della religione e dell’onestà; del resto, lo sguardo indagatore di Defoe, pronto a mettere in discussione anche i valori borghesi, permette la costruzione di intrecci pieni di inganni, travestimenti e camuffamenti. Il denaro è sempre al centro delle storie narrate.
Moll Flanders è l’autobiografia di una prostituta, la cui esistenza, priva del senso morale, è dettata dalle esigenze economiche. Soldi e sessualità vanno di pari passo: la prostituzione era una scelta che si imponeva alle donne dei ceti più bassi alla ricerca di stabilità economica attraverso la sessualità. Moll narra le sue relazioni con mariti e amanti, che toccano addirittura l’incesto, la sua carriera di ladra, deportata infine nelle piantagioni della Virginia fino al raggiungimento del benessere economico e affettivo. Viene così delineato il percorso di riscatto dalla povertà e dalla degradazione di una figura femminile che vuole conquistare un posto nella società, anche se è costretta a fare la ladra e la prostituta. Rifiutando la condizione subalterna della domestica, Moll cerca di mantenersi contraendo matrimoni economicamente vantaggiosi, che tuttavia regolarmente falliscono. Solo come ladra riesce a raggiungere l’indipendenza economica. L’elemento picaresco e il romanzo di avventura si intrecciano con le storie di criminali: significativa è la prospettiva femminile, presente anche in Roxana, che ha per protagonista un’altra donna, la quale passa attraverso vicende diverse, l’abbandono, la ricchezza, la prigione, il pentimento, e nel frattempo, lasciata dal marito, si trasforma in una prostituta d’alto bordo, vendendo spregiudicatamente il suo corpo ai potenti del regno, tanto da potersi identificare con un’amante del re Carlo II. In Colonel Jack, invece, viene posto al centro del romanzo il percorso di un trovatello non privo di coraggio e spirito di intraprendenza.
Nel 1720 escono anche Memorie di un cavaliere (Memoirs of a Cavalier), che illustrano la presa di coscienza politica di un giovane gentiluomo di fronte alla guerra civile, affrontando il problema della sua educazione e apprendistato alla vita. Andrew Newport combatte nella guerra dei Trent’anni e poi durante la guerra civile inglese, più per obblighi di classe che per convinzioni personali. Il giornale dell’annata della peste (The Journal of the plague year), invece, il resoconto in prima persona presentato come documento autentico della peste del 1665 a Londra, anche se pubblicato nel 1722, introduce la prospettiva di un borghese che vede la società disintegrarsi mentre nella capitale infuria la peste. L’impiego dei bollettini delle morti e il tentativo di individuare un ordine nel caos confermano una vocazione realistica, che costituisce anche un nuovo modo di narrare. L’opera intende essere un monito per il presente e una prova delle capacità di resistenza dimostrate dai londinesi nel passato: esempio di cronaca aneddotica, una sorta di giornalismo fittizio, il giornale include le riflessioni di un singolo di fronte a un evento drammatico che interessa tutta la comunità.
Anche la scrittura di viaggio viene praticata da Defoe: il Viaggio attraverso l’intera isola della Gran Bretagna (A Tour through the Whole Island of Great Britain) (1724-26) è un diario in cui emergono l’orgoglio per la ricchezza e il benessere del regno inglese, il compiacimento per la crescita economica del Paese, e in particolare per la preminenza e la centralità di Londra, punto di riferimento da cui si misura l’espansione mercantile inglese. Gli interessi religiosi di Defoe si traducono in un trattato massiccio, e a suo modo ben documentato, sul demonio, The History of the Devil (La storia del demonio), del 1726, riprova che il razionalismo dell’inizio del Settecento non esclude mai rigurgiti religiosi e radicate superstizioni.
Complessivamente Defoe, come giornalista e poligrafo, produce una mole colossale di scritti, circa quattrocento, in gran parte trattati, manuali e saggi. Del resto, il suo successo come romanziere deriva dalla capacità di ricreare il romanzo come se fosse cronaca, dando inizio alla tradizione del novel o romanzo borghese. Le eroine e gli eroi di Defoe, a partire da Robinson, sono molto convincenti, appartengono a un contesto sociale ben preciso, sono consapevoli del ruolo del denaro, combattono con una visione etica che mostra contraddizioni e incertezze, ma che comunque conferma la ricchezza e l’individualità dei singoli personaggi.
Daniel Defoe
Le inclinazioni del capitano Sigleton
Le avventure del capitano Singleton
E pronto com’ero ad ogni sorta di ribalderie, audace, arrovellato d’animo e senza il minimo morso di coscienza per la carriera cui m’ero buttato o per cosa alcuna che mi potesse toccar di fare e tanto meno per l’apprensione delle possibili conseguenze; imbarcatomi, dico, con quella ciurma, che mi portò infine a far combutta con i più famosi pirati dell’epoca, alcuni dei quali hanno terminato i loro giorni sulla forca, penso che il dar conto di alcune tra le mie successive avventure possa riuscire interessante; ma occorre io dica anzitutto che (parola di pirata) non mi saprò, no davvero, ricordare per intero di quella grande varietà di casi, i quali formarono una delle più scomunicate carriere che uomo avesse mai modo di sciorinare agli occhi del mondo.
Io che, come ho già lasciato comprendere prima, ero ladro nell’istinto, e portato alla pirateria da una profonda inclinazione, mi venni a trovare nel mio proprio elemento, né mai intrapresi cosa alcuna al mondo con soddisfazione più schietta.
D. Defoe, Opere, a cura di C. Izzo, trad. it. di A. Rizzardi, Firenze, Sansoni, 1958
Daniel Defoe
Una donna può stare benissimo senza un uomo
L’amante fortunata ovvero Lady Roxana
Io risposi che una donna, finché stava sola, era pari ad un uomo nella sua capacità politica, perché aveva il pieno possesso di quanto era suo, e l’intera direzione delle proprie azioni; che non era sorvegliata da nessuno, non avendo da render conto a chicchessia e non essendo soggetta ad anima viva. E recitai questi due versi di...: “Oh, è piacevole essere liberi; la più dolce amante è la libertà”.
Aggiunsi, che qualunque fosse la donna la quale, avendo un patrimonio, lo desse via per divenire la schiava di un grand’uomo, cotesta donna era una sciocca, e non era buona ad altro che a far l’accattona. Essere mia opinione che qualunque donna fosse adatta ad amministrare e godersi il suo patrimonio, senza bisogno di un uomo, così come poteva fare un uomo senza una donna; che, se avesse in mente di divertirsi, poteva pagarsi il lusso di mantenere un uomo, come un uomo fa con un’amante; che, finché era sola, rimaneva padrona di sé; ma se dava via cotesto potere, meritava di diventare la più miserabile creatura del mondo.
D. Defoe, Opere, a cura di C. Izzo, trad. it. di A. Rizzardi, Firenze, Sansoni, 1958
Daniel Defoe
Robinson Crusoe
7C052
Smisi ora di pensare alla nave o a quello che potevo cavarne fuori, oltre a ciò che poteva essere gettato a riva dei suoi resti; come in verità accadde di vari frammenti, che tuttavia mi furono di scarsa utilità.
Pensavo ora soltanto al modo di mettermi al sicuro dai selvaggi, se ne apparissero, o dalle bestie feroci, se ve n’erano nell’isola, e studiai molti sistemi e modi di costruirmi un’abitazione, e se in una caverna sotterra o in una tenda sopra la terra. Decisi in breve così per l’una cosa che per l’altra, e penso non sia inopportuno che io descriva il modo e il risultato del mio lavoro.
Mi convinsi per prima cosa che il luogo dove mi trovavo non rispondeva allo scopo, particolarmente perché era un bassopiano fangoso in vicinanza del mare, e pensai che non sarebbe stato sano, tanto più che non c’era acqua dolce nelle vicinanze. Decisi quindi di cercare un terreno più salubre e più conveniente.
Fissai alcuni punti dei quali dovevo tener conto nella mia situazione: in primo luogo, la salute e l’acqua dolce, come ho detto; in secondo luogo, di essere al riparo dagli ardori del sole; in terzo luogo, di non essere esposto agli attacchi di creature rapaci, uomini o bestie che fossero; in quarto luogo, di essere in vista del mare, per modo che, se Dio mandava qualche nave al largo dell’isola, io non perdessi la possibilità di esserne raccolto, la quale possibilità non ero ancora disposto a bandire dalla mia speranza.
Cercando il luogo adatto, scoprii una piccola radura a ridosso d’una collina, il cui fianco, da quella parte, era a piombo come la facciata d’una casa, cosicché nulla poteva rotolarmi addosso dalla cima. Nel fianco della roccia c’era una cavità, assai poco profonda, che somigliava all’ingresso o imboccatura d’una caverna; ma in realtà non s’apriva nella roccia né una vera e propria caverna né un passaggio.
Decisi di piantare la mia tenda sulla spianata, esattamente davanti alla cavità. Si trattava d’una radura larga non più di cento metri e lunga il doppio, che si stendeva a guisa di prato davanti alla mia porta, e scendeva poi irregolarmente da ogni parte verso il bassopiano bagnato dal mare. Poiché era situata sotto il fianco nord-ovest della collina, mi trovavo ogni giorno riparato dal sole, finché esso non giungesse ad una posizione intermedia tra occidente e mezzogiorno, che in quelle regioni è all’incirca il luogo dove tramonta.
Prima di rizzare la tenda tracciai davanti alla cavità un semicerchio di circa dieci metri di raggio dalla roccia e di venti metri di diametro tra un estremo e l’altro.
Lungo questo semicerchio piantai due file di pali molto robusti che conficcai nel terreno finché furono saldi come pilastri: l’estremità più grossa lasciai sporgere per circa due metri e aguzzai in cima. Le due file non distavano più di una dozzina di centimetri l’una dall’altra.
Presi poi i pezzi di cavo che avevo tagliato a bordo della nave, e li disposi uno sopra l’altro, entro il cerchio tra le due file di pali, sino in cima, puntellando l’opera dalla parte interna con altri pali, conficcati di sghembo, all’altezza di circa un metro, come speroni a sostegno d’una muraglia. Questo bastione era così valido che né uomo né bestia avrebbe potuto aprirvisi un varco o superarlo. Il lavoro mi costò molto tempo e molta fatica, specialmente il taglio dei pali nel bosco, il trasporto di essi sul posto e il piantarli nel terreno al modo che ho detto.
D. Defoe, Opere, a cura di C. Izzo, trad. it. di A. Rizzardi, Firenze, Sansoni, 1958
Daniel Defoe
Considerazioni per non impazzire
Robinson Crusoe
Presi ora a riflettere seriamente sulla mia situazione e sullo stato in cui ero ridotto, e misi le mie considerazioni per iscritto; non tanto per lasciarle a chi venisse dopo di me - era infatti assai probabile che avrei avuto pochi eredi - quanto per liberare i miei pensieri dal meditare giornalmente su di esse, e affliggere l’anima mia. E poiché la ragione cominciava ora a prevalere sulla disperazione, presi a consolarmi come meglio sapevo, e a opporre il bene al male, così da fissare i punti che distinguevano il mio caso da casi peggiori. Registrai quindi con molta imparzialità, come in una partita di “dare e avere”, le consolazioni di cui godevo di contro alle miserie di cui soffrivo, così:
Male Bene
Sono gettato su un’orribile Ma sono vivo, e non an-
isola deserta, senza nessuna negato come tutti i miei
speranza di essere salvato. compagni d’equipaggio.
Separato, per così dire, Ma di tutto l’equipaggio
dal mondo intero, sono pre- della nave sono anche stato
scelto per condurre una vita prescelto per scampare alla
infelice. morte; e Colui che mi ha
miracolosamente salvato dalla
morte può liberarmi anche
dalla condizione in cui mi
trovo.
Sono diviso dall’umanità, Ma non sono condannato
tutto solo, bandito dalla so- alla fame e a languire in un
cietà umana. luogo brullo, che non offra
possibilità di vita.
Non ho abiti con cui co- Ma mi trovo in un clima
prirmi. caldo, dove, se avessi abiti,
mi sarebbero poco meno che
inutili.
Sono indifeso e senza Ma sono stato gettato su
mezzi di resistere agli attacchi di un’isola dove non vedo
d’uomini o di belve. belve che possano farmi del
male, come ne vidi sulle coste
dell’Africa: e che cosa sa-
rebbe stato di me se avessi
fatto naufragio lì?
Non c’è con me anima Ma Dio ha prodigiosa-
viva a cui io possa parlare o mente sospinto la nave tanto
che mi possa dare conforto. vicino alla costa da permet-
termi di prender fuori quello
che mi consentirà di sopperire
ai miei bisogni, o di rifor-
nirmi del necessario, finch’io
iva.
Tutto considerato questa era una prova indiscutibile che non c’è, si può dire, condizione al mondo tanto disgraziata da non presentare elementi negativi o positivi di cui essere riconoscenti. E questa esperienza della più miserevole condizione che mai si desse al mondo sia di monito che in ogni contingenza, anche la più disperata, si può sempre trovare qualcosa da cui trarre conforto e da mettere nella colonna dell’attivo nel bilancio del bene e del male.
D. Defoe, Opere, a cura di C. Izzo, trad. it. di A. Rizzardi, Firenze, Sansoni, 1958
Daniel Defoe
Nota dell’autore sull’opera
Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders
Da qualche tempo il mondo è talmente soverchiato da romanzi e libri d’avventure, che riuscirà difficile a una storia privata venir presa per vera, quando in essa i nomi e le altre circostanze del personaggio siano taciuti; e su questo punto dovremo contentarci di lasciare che il lettore dia sulle pagine che seguono la propria opinione, per la quale ci rimetteremo al suo beneplacito.
Fate conto che qui è l’autrice che scrive la sua storia; fin dal bel principio del suo ragguaglio espone le ragioni per cui le pare di dover nascondere il suo vero nome, dopo di che non avrà occasione di parlar oltre della faccenda.
Bisogna avvertire che l’originale di questo racconto venne acconciato in nuove parole, e lo stile della famosa signora di cui si parla, un tantino alterato; in special modo, si è fatto sì che costei raccontasse la storia con parole più modeste di quelle che non abbia adoperato la prima volta, dato che la copia capitataci fra mano era stata scritta in un linguaggio più degno di persona ancor rinchiusa in Newgate che non dell’umile penitente ch’ella ha in seguito asserito di essere.
La penna impiegata a rifinire questa storia e ridurla quale la vedete attualmente, ha trovato non poche difficoltà nel darle una veste presentabile, e far che si esprima in un linguaggio leggibile. Quando una donna depravata nella sua prima gioventù, una donna anzi, che nasce frutto della depravazione e del vizio, si risolve a dare un ragguaglio di tutte le sue azioni perverse, e discende persino alle occasioni e circostanze particolari attraverso cui si aprì per lei la strada della corruzione e non dimentica tutti i successivi passi mossi nel delitto per un periodo di sessant’anni, si trova in un bell’impaccio l’autore che voglia rivestire la storia in modo così decente da non dar luogo, specialmente a lettori corrotti, di volgerla a suo pregiudizio.
D. Defoe, Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders, trad. di C. Pavese, Torino, Einaudi, 1938