CRESPI, Daniele
Figlio di Gaspare, discendente da una famiglia di pittori originaria di Busto Arsizio e imparentato con il Cerano (Milani, 1970, pp. 37 ss.), nacque probabilmente a Milano nell'ultimo decennio del sec. XVI.
Orlandi (1704)afferma che morì di peste nel 1630 all'età di 39anni; in realtà il Registro dei morti (Archivio di Stato di Milano, vol. CXVIII), trascrive la sua morte il 19 luglio 1630 per peste "annorum 33" e le Memorie sulla certosa di Pavia di Matteo Valerio (1645 c.;Milano, Bibl. Braidense: Nicodemi, 1930)indicano che il C. morì avendo superato il trentesimo anno d'età. Inoltre, lo Stato d'anime della parrocchia di S. Eufemia (Milano, Archivio arcivescovile, Arch. spirituale, sez. X, vol. 13) losegna nel 1610 con l'età di 10 anni. L'affidabilità non sempre certa dei documenti non consente una soluzione definitiva.
La data del 1597 circa, su cui la critica oggi sembra assestata, confermerebbe una estrema precocità dell'artista: Borsieri (1619) lo cita infatti come già affermato associandolo a Panfilo Nuvolone.
G. A. Delfinone (1679) registra i primi documenti relativi all'attività del C., e cioè la decorazione nel 1619, "ancor giovinetto", della cupola di S. Vittore al Corpo a Milano, e in particolare il disegno dei Quattro evangelisti dei pennacchi. Il cattivo stato di conservazione e gli interventi di restauro (la targa retta dal S. Marco reca segnato il nome del restauratore, il pittore Agostino Caironi, e la data 1880) lasciano intravvedere l'invenzione delle figure.
L'ascendente della "maniera" di Giulio Cesare e Camillo Procaccini e in parte di Morazzone traspare con maggior forza nei tre dipinti della cappella di S. Antonio ancora in S. Vittore che Delfinone (1679) asserisce esser stata decorata sempre nel 1619. Esibita bravura compositiva, arditezza di scorci e di moto, visionari effetti di luce, insistito studio anatomico caratterizzano questa serie (contemporanei dovrebbero essere gli schizzi dell'Ambrosiana, cod. F 235 inf., nn. 1162, 1164: Bora, 1984).
Non molto distante ma già diversa è la Decollazione del Battista nella cappella di S. Giovanni in S. Alessandro, consacrata nel 1619, che una relazione del 1620 descrive ornata di pitture (Amerio Tardito, 1979); al dipinto - denso di calligrafiche sottigliezze e articolato compositivamente in parte sull'esempio di Cerano e di Giulio Cesare Procaccini - si potrebbe riferire un disegno all'Ambrosiana, in controparte, per il S. Giovanni (Bora, 1973, n. 109). Quasi certamente contemporaneo è, nella sagrestia della stessa chiesa, l'affresco con l'Adorazione dei magi.
Al 1621, secondo un'iscrizione marmorea, risale il compimento della decorazione della cappella dell'Annunciata in S. Eustorgio sempre a Milano.
Perduta la pala d'altare, restano, deperiti, gli affreschi con il Trionfo di Adamo sulla volta - ispirato a Camillo Procaccini -, i Quattro evangelisti sui pennacchi (disegni preparatori sono all'Accademia di Venezia: Moschini, 1931; Bora, 1973;Neilson, 1973), due Profeti e la Visitazione sulle pareti.
L'ingresso nell'Accademia Ambrosiana nel settembre 1621 e la frequentazione solo per pochi mesi (nella riunione del 7 gennaio 1622 il suo nome non compare più) non si sa quanto decise sull'arte del C. (Nicodemi, 1957). È un fatto, tuttavia, che da questo momento si avvia un nuovo interesse per l'arte del Cerano, che in Accademia dirigeva la scuola di pittura, e per quella di Giulio Cesare Procaccini.
Lo mostrano dipinti ascrivibili a quel periodo nei quali la concitazione si fa più contenuta ed emozionalmente più intensa, dalle due versioni della Conversione di s. Paolo (Londra, Heim Gallery; New York, coll. Suida Manning, deposito al Metropolitan Museum), al Riposo nella fuga in Egitto del Princeton University Art Museum, al Cristo deriso ancora in collezione Suida Manning, alla Flagellazione del Museo nazionale di Varsavia (per tutti cfr. Brigstocke, 1980), a cui è da aggiungere il S. Sebastiano del Museo di Brest (P. Rosenberg, in La Revue du Louvre, XXII [1972], fig. 16, p. 347; The Burlington Magaz., CXVII [1975], fig. 94), quest'ultimo, con il dipinto di Princeton, non esente ancora da quella certa affettazione che traspariva nella pala di S. Alessandro (del resto ad essa prossimo cronologicamente). A questo gruppo sono da accostare l'Adorazione dei magi della racc. Ferrario a Busto Arsizio (ripr. in Milani, 1970), di impianto ceranesco in cui già riscontriamo tipologie alla Vermiglio, e l'Ecce Homo già facente parte della collezione Crespi (Venturi, 1900; catalogo Christie's, Roma 15 ott. 1970, lotto 69).
La via intrapresa dal C. negli anni successivi, che ha come sicuro termine di riferimento la serie di dipinti con le Storie di s. Giovanni già nella chiesa di S. Protaso ad monachos e ora in S. Giovanni a Busto Arsizio, è segnata dall'abbandono di ogni arditezza di taglio, moto e scorcio per una più scarna semplificazione compositiva e un'accentuata evidenza del reale in funzione di un'intima e severa espressività. Non secondario dovette essere su di lui l'esempio dell'arte di Vermiglio, reduce dall'esperienza caravaggesca romana, esempio che la tradizione milanese, raccolta dal Lanzi (1809), dava per certo; a questo proposito si è insistito su un parallelismo con la pittura spagnola (Testori, 1955) pur sussistendo, in questo senso, difficoltà di verifica (Gregori, 1973).
Al ciclo decorativo di S. Protaso (databile al 1623 secondo l'iscrizione che si trovava nella cappella) appartenevano anche una lunetta affrescata con la Decollazione del Battista (ricostruibile oggi attraverso un disegno: Bora, 1973; Pacciarotti, 1973) e il Cristo morto, anch'esso ora a Busto Arsizio, di cui era segnalata una variante in collezione privata milanese (Wittgens, 1933;non sembra sua invece la versione del Museo di Belgrado: Gamulin, 1961). Forse a questo periodo risale la Salomè di racc. privata milanese (Milani, 1970) e i due dipinti con i fatti della Vita di s. Eligio della racc. Borromeo all'Isola Bella che Longhi (1917) identificava con quelli un tempo in S. Michele al Gallo a Milano.La ricerca di una contenuta intensità drammatica raggiunta attraverso la spoglia severità d'impianto, l'attento studio della modellazione e degli incarnati e il netto contrasto luce-ombra conducono il C., in questo momento, a suggerire per l'immagine sacra un inedito linguaggio iconografico e espressivo, frutto dell'incontro dell'esperienza caravaggesca con quella della scuola del Seicento lombardo. Esemplare in questo senso è il Digiuno di s. Carlo di S. Maria della Passione a Milano, dove la nudità ascetica dell'immagine e degli oggetti ne esalta la funzione di "exemplum" morale e religioso.
Altri dipinti, sempre in S. Maria della Passione, testimoniano di questa fase, dalle figure di lateranensi e di santi della navata (sicuramente suoi sono il Don Albino Grasso e il S. Aquilino) al Cristo sorretto da un angelo.
Le ante d'organo di S. Maria della Passione (Lavanda dei piedi, Innalzamento e Deposizione dalla croce: disegni al Louvre e all'Ambrosiana) segnano il passaggio, nella pittura del C., a un'intensità drammatica più concitata e insieme a una maggiore complessità e dilatazione compositiva e sontuosità di impasto cromatico. È assai probabile che un simile e tanto repentino mutamento gli fosse derivato da un soggiorno a Genova - lo proverebbe del resto la presenza nella chiesa dell'Annunziata del Vastato di Genova della pala con l'Estasi della beata Giovanna da Cruz risalente a questo periodo (disegno alla Pierpont Morgan Library di New York: Ruggeri, 1968; Neilson, Two drawings..., 1969) - e dalla conoscenza, tra l'altro, delle opere di Rubens, anche se appare di nuovo rivisitato il repertorio manieristico del Seicento lombardo.
Il termine cronologico attorno a cui si può riunire un discreto numero di dipinti con simili caratteristiche è fornito dal monumentale Martirio di s. Marco in S. Marco a Novara, datato 1626; ad esso andrebbero associati la Strage degli innocenti delle Bayerische Staatsgemäldesammlungen di Monaco, l'Andata al Calvario di Brera, la Deposizione nel sepolcro del Museo di Budapest (disegno al Louvre: Neilson, 1979), il Martirio di S. Stefano dei Musei civici del Castello a Milano (deposito di Brera), il Davide placa Saul della racc. Ceroni sempre a Milano (Milani, 1970; Valsecchi, 1973), il S. Agostino della racc. Ferrario a Busto Arsizio (ibid.), il David dell'Isola Bella. A questo periodo risale probabilmente anche un interessante disegno dell'Ambrosiana (cod. F 251 inf., nn. 320-21: Bora, 1984)che reca sul verso una Scena di Giobbe e sul recto uno Studio per una fontana.
Fin dal 1623 (14 aprile e 20 settembre) il C. aveva ricevuto un acconto per l'esecuzione di uno dei dipinti del fregio al di sopra delle cappelle di S. Maria di Campagna a Piacenza; il 4 luglio 1626 otteneva un nuovo acconto per lo stesso quadro non ancora eseguito, e altri pagamenti più tardi (Corna, 1908: identifica i dipinti con Tobia e l'arcangelo e Debora e Barac datandoli rispettivamente 1626 e 1628; solo l'ultimo appare tuttavia del Crespi).
La difficoltà di un'esatta definizione cronologica dei dipinti del C. - che ha indotto la critica a dispareri profondi - consiste soprattutto nella rapidità con cui l'artista assume dati culturali nuovi o, con scarti improvvisi, riprende motivi già sfruttati, aggiornandoli tuttavia su valori stilistici più maturi basati, poco dopo il 1626, su uno studio attento del disegno e dell'anatomia e sull'impiego di tonalità più sfumate. Su questa via dovette condursi attraverso la riconsiderazione di taluni motivi della cultura lombarda cinquecentesca, come si vede in parte nelle sottigliezze chiaroscurali dell'Incredulità di s. Tommaso in coll. privata a Busto Arsizio (Valsecchi, 1973), nella Vergine con Bambino e i ss. Francesco e Carlo a Brera (disegno all'Accademia Carrara di Bergamo: Ruggeri, 1968) e nell'Annunciazione del Museo Granet di Aix-en-Provence.
In questa discontinuità di assunti e sperimentazioni riveste particolare rilievo una serie di opere esemplari per rigore e maturità stilistica e originalità d'invenzione, a cominciare dalla Pietà del Prado (disegno all'Accademia di Venezia: Neilson, 1973; Ruggeri, 1974) giunta in Spagna assai presto e imitata perfino da Ribera (Spinosa, 1978) per la straordinaria modellazione e l'efficace impatto iconografico-devozionale, oltre alla S. Caterina della sagrestia settentrionale del duomo di Milano, il S. Filippo Benizzi dell'Ambrosiana, fino alla pala della Certosa di Pavia con Cristo in gloria e santi datata 1628 (disegni all'Albertina di Vienna e a Berlino: Ruggeri, 1968). Diquesto momento dovrebbero essere anche l'Adorazione dei pastori conservata al Castello Sforzesco a Milano e la Comunione della Vergine di Brera (deposito dell'arcivescovado).
Si avverte via via in queste opere l'esigenza di una sempre maggior chiarezza e leggibilità d'impianto accompagnata dallo schiarirsi delle tinte su suggestione, anche, della pittura emiliana. In tale direzione gli esempi sono forniti dal Battesimo di Cristo di Brera (negli angeli correggeschi, anche se il dipinto è basato su uno schema lombardo cinquecentesco), dalla pala con la Vergine con il Bambino e i ss. Carlo e Francesco dell'Ambrosiana, dall'Incoronazione della Vergine della Pinacoteca di Modena (disegno all'Ambrosiana: Neilson, 1969) e da un disegno al Castello Sforzesco di Milano per una pala con la Vergine, s. Carlo e un santo martire (n. C coll. 114: Bora, 1984), oltre all'Ultima Cena di Brera, ispirata a un tema di Gaudenzio Ferrari ma animata da quella didascalica teatralità che caratterizzerà le decorazioni di Garegnano e, più, di Pavia. Da ricordare anche il Cristo che risana il cieco presso l'amministrazione dell'ospedale di S. Matteo di Pavia (Segagni, 1978).
Gli affreschi della Certosa di Garegnano (Milano), firmati e datati 5 apr. 1629 -, che occupano l'intera navata con busti di Santi e Beati certosini e sei Storie della vita di s. Bruno sulle pareti e sulla volta inframmezzati dalle figure di Angeli, di Cristo, S. Giovanni e la Maddalena -, segnano nel C. il passaggio a un linguaggio narrativo nuovo, giocato sia sulla spettacolarità degli effetti sia su una ben dosata retorica dei gesti e delle pose. Tale linguaggio denuncia in parte la conoscenza dell'arte bolognese, in particolare, come ha individuato la critica (Neilson, 1969; Gregori, 1973), di Tiarini e Lanfranco: è dimostrato che alcune scene di Garegnano sono ispirate ad analoghe incisioni di Theodor Krüger tratte da disegni di Lanfranco (Neilson, A Source... 1969). La tensione espressiva e l'assidua ricerca formale sono documentati da una serie di efficaci disegni preparatori (all'Accademia di Venezia; all'Ambrosiana e al Castello a Milano; a Gallarate, Museo della Società per gli studi patri; in collez. privata francese; a New York Metropolitan Museum; al Museum of Art di Filadelfia). Alla serie nota è da aggiungere uno schizzo per il Raimondo Diocrès conservato al Castello Sforzesco (Bora, 1984) e uno per i certosini, e un angelo dell'arcone centrale (asta Sotheby, Londra, 17 marzo 1975, lotto I.
Anche gli affreschi nel coro della Certosa di Pavia - segnati "Daniel Crispus Mediol. 1630" - presentano Storie di s. Bruno, Sibille, Figure di certosini, Evangelisti, Profeti e Storie evangeliche.
Per l'ampiezza delle superfici affrescate, la ristrettezza del tempo utile alla realizzazione della decorazione (fra il compimento di quella di Garegnano e la morte dell'artista l'intervallo è di poco più di un anno) e le evidenti disparità stilistiche di alcune scene la critica ha supposto l'intervento di aiuti nell'attuazione e nel completamento dell'impresa. Non è possibile qui distinguere le parti autografe da quelle spettanti alla bottega (per un tentativo cfr. Pesenti, 1969); sembra certo tuttavia che il C. avesse fornito in massima parte i disegni preparatori, due dei quali sono per scene del coro e di un'abside (all'Ambrosiana di Milano e a New York, Pierpont Morgan Library, già collezione Scholz: Bora, 1973), e alcuni per i fregi con i Putti (al Metropolitan Museum e a Besançon: Turčič, 1981, e Bean, 1982). Altri sono al Prado di Madrid (per la Maddalena assunta: Pérez Sánchez, 1978, fig. 40, non identificato); alla Pierpont Morgan Library (per l'Adorazione dei Magi, inv. 1981, 40) e al National Museum di Stoccolma (per l'Adorazione dei pastori, inv. NMH 1086/1863). A questo gruppo si associa per analogia di stile un disegno con la Fede al Kupferstichkabinett di Berlino Ovest (Katal. d. Zeichnungen, 16.649: su questi disegni cfr. Bora, 1984).
Rispetto alla decorazione di Garegnano, a Pavia il C. tende a privilegiare l'aspetto narrativo su quello espressivo dando maggior risalto all'impaginazione scenografica e alla teatralità della rappresentazione. Se ne ricava un giudizio limitativo che tuttavia deve tener conto della larga partecipazione di aiuti.
Un problema a parte occupa il catalogo dei ritratti finora ascritti al Crespi. Fra quelli accettati dalla critica sono da ricordare l'Autoritratto degli Uffizi, che reca sul verso la data 1627, e il presunto ritratto di Manfredo Settala all'Ambrosiana, riferitogli sulla base delle fonti seicentesche che ricordano nella Galleria Settala, del C., i ritratti dei fratelli Senatore e canonico Manfredo Settala. L'identificazione del dipinto dell'Ambrosiana non è sicurissima. Esiste d'altra parte alla Witt Library di Londra un'incisione tarda siglata "J. V." e riferita a un dipinto attribuito a G. B. Crespi (forse per un'inversione dei nomi ?) con il ritratto di Manfredo Settala rappresentato seduto a un tavolo con gli oggetti della sua collezione nella stessa posa e taglio compositivo del dipinto del Digiuno di s. Carlo di S. Maria della Passione: non è da escludere che si tratti proprio del dipinto citato dalle fonti.
Convincente appare inoltre il Ritratto di medico del Castello Sforzesco, mentre più difficili da definire, anche se di estremo interesse, sono il Ritratto e la Testa di frate morto di Brera (Valsecchi, 1973, cat. 144, 145).
Il C. morì di peste a Milano il 19 luglio del 1630.
L'inventario dei beni del C., redatto il 27 ag. 1630 (e interamente pubblicato in Nicodemi, 1930, pp. 43-56), elenca nella sua abitazione un gran numero di dipinti spesso incompiuti, e soprattutto una biblioteca fornitissima dove figurano trattati d'arte, libri di anatomia, di architettura, di prospettiva, di antichità romane, di filosofia, letteratura e devozione, a documentare la vasta e problematica cultura dell'artista, la cui importanza nel rinnovamento della pittura del Seicento lombardo non venne recepita dalla generazione successiva.
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