DE' BOSIS (De' Bossis, De' Buscis), Daniele
Originario di Milano, ma cittadino di Novara, è il più importante dei pittori operanti nella bottega di famiglia assai attiva, prevalentemente in area biellese, tra la fine del sec. XV e l'inizio del XVI. Il D. è anche il primo della famiglia di cui sia accertata l'attività di pittore.
Egli è documentato per la prima volta il 19 maggio 1479 in un contratto, stipulato a Biandrate, già di particolare impegno, dato il prestigio religioso e culturale della antica chiesa prepositurale di S. Colombano e l'estensione del ciclo che il pittore è chiamato ad affrescare dai canonici e dai rappresentanti di quella comunità, a fianco di altri due artisti novaresi: Paolo da Casaleggio (noto solo corne identità documentaria) e Tommasino de Corizario, alias Cagnola, l'esponente più in vista di Novara e contado a fine sec. XV (Arch. di Stato di Novara, Archivio notarile. Andrino Zaccheo 1471-1482).
L'atto già menzionato dal Morandi (1916), ma poco noto quanto al contenuto, è viceversa molto preciso nelle prescrizioni del programma iconografico da seguire, prevedendo un'articolata decorazione, oggi perduta. Entro l'agosto di quell'anno doveva essere dipinta la grande cappella a Mezzogiorno, intitolata a S. Maria e ai SS. Sebastiano e Fabiano, con al centro volta l'Agnus Dei o Dio Padre, fiancheggiato dai Quattro dottori della Chiesa entro le "usuali" finte architetture, nel sottarco dodici Profeti con sottostanti figure dei Santi titolari Sebastiano e Fabiano, nell'arcone trionfale l'Annunciazione e sulle pareti tutte le Storie della passione di Cristo entro riquadri, con previsto particolare spicco e sviluppo dimensionale dello scomparto raffigurante la Crocefissione o il Cristo in croce tra i due ladroni. Il ciclo della Passione doveva essere affrescato in analogia a quello, che è anch'esso oggi perduto, dipinto forse dagli stessi artisti nella importante chiesa francescana di S. Maria di Betlemme, poco fuori Vercelli, considerato dai committenti come modello di riferimento esemplare. Sul fondo della cappella di Biandrate, "circum archa" dovevano infine comparire le Sette opere della misericordia. Precise prescrizioni richiamavano ripetutamente all'uso, per l'intero ciclo, di colori di ottima qualità e di i auro fino" per aureole e "in omnibus aliis locis ubi et in quibus ordo depinture id exigerit"; per questo, delle 110 libre imperiali pattuite quale compenso complessivo dell'opera, da ultimare entro la festa di S. Michele, dopo regolare collaudo di "altro esperto pittore", 20 vennero immediatamente pagate al momento dell'atto per la sola fornitura dei colori, mentre io soltanto furono versate ai pittori come apertura di credito per l'inizio lavori, con l'impegno tuttavia di un rimborso quotidiano da parte dei canonici committenti, per le spese di trasferta.
Del ciclo più nulla rimane, quantomeno in vista. Né può considerarsi un frammento della originaria decorazione la piccola Madonna con Bambino sulla parete destra dello scurolo di S. Sereno al piano superiore, pur appartenendo allo stesso atelier pittorico, come rivelano gli stringenti confronti con i riquadri votivi di analogo soggetto della chiesa di Madonna delle Grazie a Garbagna, dove poco dopo, nell'aprile 1481, dipinse e firmò appunto Tommaso Cagnola.
Altro riferimento certo riguardante il D. è la convocazione alla corte sforzesca, l'8 dic. 1490, di "Magistro Daniello cum soi compagni", da parte del segretario ducale Bernardino Calco tramite il referendario di Novara, per partecipare insieme con numerosi artisti chiamati da tutto il ducato (tra cui in posizione di particolare preminenza lo Zenale e il Butinone per la decorazione "a historia" della sala della Balla) agli allestimenti decorativi progettati in occasione delle nozze di Beatrice d'Este con Ludovico il Moro e di Anna Sforza con Alfonso d'Este (Porro, 1882).
Non si posseggono altre sue notizie fino al 1496, quando, il 19 ottobre, il pittore compare menzionato in altro atto di commissione, stipulato a Biella in casa dell'autorevole ottimate biellese, giureconsulto e consigliere del duca di Savoia, Giacomo Dal Pozzo, per dipingere le pareti della sua cappella gentilizia, intitolata a S. Gottardo, prima a. sinistra della chiesa di S. Giacomo a Biella Piazzo, unitamente alla pala d'altare, tuttora in loco nel coro, firmata e datata 1497 (v. Archivio di Stato di Vercelli, Sez. di Biella, Storia della famiglia Dal Pozzo. Fondazione ed elargizioni, categoria 1, mazzo 4, cartella 5).
L'intera cappella (già in stato di abbandono nel 1600, rimaneggiata nel 1771 e poi soppressa nel 1808) doveva essere decorata internamente e sul prospetto "totam in colore viridi de terra c sulla parete di fondo, ai lati del polittico, dovevano essere dipinte due figure di Santi, ancora da definirsi da parte del committente, "in colore mortuo", e sullo stesso muro, in sede da precisare, le due insegne nobiliari "cum auro et aliis bonis colloribus" dei Dal Pozzo e degli Avogadro (nel 1593 Giacomo Dal Pozzo aveva sposato Maria Avogadro di Zubiena).
Le stesse insegne dovevano comparire anche sulla sommità dell'ancona, culminante tra l'altro con un "forimentum" dorato, analogo a quello fatto eseguire al pittore da un altro patrizio biellese, Bartolomeo Gromo, nella propria pala, dipinta dallo stesso D. verosimilmente poco prima, per l'altare della Vergine Maria nella chiesa eremitana di S. Pietro, una delle più importanti di Biella, distrutta in seguito alle soppressioni napoleoniche, dopo la dispersione di tutti gli arredi. La Pala Dal Pozzo doveva eguagliare il Polittico Gromo per qualità d'intaglio, finezza di colori e ricchezza d'oro e come quello doveva essere dipinta e dorata anche all'esterno e presentare nello sfondo un verziere fiorito contro l'azzurro del cielo.
Il documento biellese, analogamente a quello di Biandrate, contiene molto dettagliate prescrizioni al pittore, definito per la prima volta come originario di Milano, cittadino di Novara, residente a Biella. Fa intendere inoltre come il polittico, a scomparti scanditi da colonne dorate a tortiglioni per la misura complessiva di circa otto piedi di altezza e cinque di larghezza, fosse assai più ricco all'origine di quanto non sia dato oggi vedere: doveva essere infatti circondato da una "cassa" dipinta e dorata, avere la tela di copertura con il Cristo portacroce e la predella marmorizzata con al centro una Veronica, fiancheggiata da due insegne gentilizie. Il dipinto attesta ancora comunque quanto il pittore abbia tenuto fedelmente conto delle richieste del committente, che vi voleva raffigurata al centro la Madonna con Bambino, "habentem mantellum azurem cum fioronibus auri et busto brochato auro", ai lati S. Giacomo "cum sui mantello de zinaprio et cum perfilo aurea circumcircha" e S. Gottardo che presenta il donatore in abiti pontificali "cum mantello brochato pontezato auro cum perfilo peaciali auro... mitria et croseria auri et ferla ac anulis auri in manibus" e, nello scomparto superiore, Cristo di Pietà con la Madonna e s. Giovanni. La prevista consegna. entro il Natale del 1496 non fu chiaramente rispettata, come dicono la data 1497 apposta in calce alla tavola centrale ed il protrarsi dei pagamenti fino al 10 luglio di quell'anno.
Ai 30 fiorini pattuiti in contratto (oltre ad un sestario di vino e tre "staria" di segale) se ne aggiunsero altri 48 e mezzo pagati "a maestro Daniele ... per aver dato il colore alla cappella oltre alla promessa e per la pittura delle porte di detta ancona non incluse nel primo contratto". Inoltre si registrano anche spese "per le 200 uova impiegate come legante dei colori", "per la terra verde portata da Ipporegia", e "per il colore portato da Milano avuto dallo spettabile signor Bartolomeo Gromo", e "per un paio di scarpe e per il vino dato a Maestro Daniele e garzone", durante tutto il tempo che lavoravano nella cappella, "preso due volte al di e oltre il pattuito" (Arch. di Stato di Vercelli, Sez. di Biella, Storia della famiglia del Pozzo ...).
Il Polittico Dal Pozzo, unica opera certa e di costante fortuna critica del D., ben fa conoscere le componenti della sua cultura figurativa, ancora fortemente improntata da esperienze tardogotiche, che conobbero ampia diffusione nel Novarese, a buon livello, tramite il maestro di casa De' Laiti a Verbania, Giovanni De Campo e la sua bottega e il più moderno maestro della pala fittile di Vespolate, di cui il D. pare conservare più puntuale memoria. Tuttavia nella pala biellese lo sforzo di impaginazione prospettica, di impiego consapevole delle potenzialità di luce ed ombra, oltre a citazioni tipologiche assai puntuali, avvertono dell'aggiornamento in chiave spanzottiana operato dal D., in parallelo e in sintonia anche con quanto avevano maturato, già nel decennio precedente, il novarese Giovanni Antonio Merli e il vercellese maestro della Madonna del latte di Villarboit. Non si conoscono ulteriori fonti documentarie sull'attività del pittore, che il 29 ott. 1505 risulta essere già morto, da un confesso di affitto redatto in Novara presso il notaio Giovanni Antonio Rosati dal figlio Francesco e dalla moglie Maddalena de' Cignino (Arch. di Stato di Novara, Archivio notarile, Rosati Giov. Antonio, minutaro n. 7 [1505-07]).
La notizia riportata dal Vesme che in quello stesso 1505 un Battista Bossi milanese dipinse una pala d'altare con Madonna e santi per il monastero di S. Maria del Popolo a Milano, da eseguirsi in analogia a quella già dipinta dallo stesso artista per il "magnifico dominus generalis Sabaudiae" (Schede Visme, IV,p. 1190) non sembra dover coinvolgere in nessun modo il D., neppure per possibili legami di parentela.
Dagli altri documenti invece ricordati dal Morandi (1916), di carattere amministrativo e stipulati dopo la sua morte dagli eredi, in data 11 giugno, 19 agosto, 19 nov. 1509, si può desumere ancora qualche dato circa il suo assai florido stato sociale, avendo egli posseduto in Novara, presso la parrocchia di S. Gaudenzio, una casa con tetto in muratura ed annesse botteghe oltre ad altri edifici, ceduti in affitto.
È stata riconosciuta al D., documentariamente, come s'è visto, personalità di rilievo del tardo Quattrocento biellese, anche una cospicua attività di frescante sulla base di confronti con il ciclo firmato e sorprendentemente datato 1526, cioè vent'anni dopo la morte del pittore, nell'abside dell'oratorio di S. Rocco a Montalto di Mezzana Mortigliengo.
L'incongruenza di una datazione postuma già suggerì al Mazzini (1976), seguito dallo Sciolla (1980), Npotesi che gli affreschi potessero essere stati dipinti da un discendente ornonimo, sulla base anche di un presunto documento, rimasto inedito e tuttora irreperibile, relativo alla più tarda attività di tale artista nel Biellese.
Ma la scarsa affidabilità della data, chiaramente ridipinta in antico (forse quando furono rifatti gli Apostoli di sinistra, rimossi dal restauro del 1970), rende plausibile invece una riconferma di autografia al D., anche e soprattutto per le strettissime convincenti analogie stilistiche e tipologiche con il Polittico Dal Pozzo.
La fresca vivacità della policromia negli affreschi di Montalto, e il loro più accentuato corrivo arcaismo, che ne rinsalda le connessioni tardogotiche con il maestro di Vespolate (particolarmente con i suoi Apostoli dell'affresco con la famiglia Tornielli offerente, già a Briona, ora al Museo civico di Novara), oltre all'assenza di riferimenti spanzottiani, fanno ritenere possibile una esecuzione del ciclo di Mezzana Mortigliengo addirittura in anticipo rispetto alla pala biellese.
Sono già stati riferiti al D. (Romano, 1978) anche i giovanili quattro Santi laterali del lunettone della vecchia canonica del duomo di Novara (la Madonna in trono al centro spetta a johannes de Campo) e la più tarda Madonna degli sposi nella chiesa di Ognissanti, cui si dovranno aggiungere la Madonna del roseto della Sede Est Sesia, già in casa Avogadro, il S. Cristoforo sull'esterno di Cascina Avogadro, tutti a Novara, e la Assunzione della Vergine nel cielo a due mani della parrocchiale di Occhieppo Superiore (Astrua).
In zona di basso Novarese sono ancora riconducibili alla presenza dell'artista e della sua bottega il significativo ciclo absidale con Madonna, santi e donatori nell'oratorio della Madonna del latte a Gionzana (circa 1487), i modesti affreschi votivi con Madonna, Trinità e santi della chiesa cimiteriale di Fara Novarese e, nella zona dei laghi, l'Adorazione dei magi in S. Michele a Suno. Della sua presenza anche in Valsesia rimangono prove tangibili, oltre che nelle già riconosciute Storie di s. Marco (1491 ?; Mazzini, 1976, pp. 177 s.), strappate dalla parete esterna della chiesa omonima, ora nella Pinacoteca di Varallo, nei frammenti con l'Annunciazione e l'Adorazione dei magi (1485?), provenienti dall'oratorio di S. Maria della pietà, ora in S. Giovanni in Monte a Quarona, già creduti della bottega dei Merli.
La prolifica monotonia della tarda bottega del D. trova giustificazione nel fatto che dei suoi tre figli, Giovanni Pietro, Arcangelo e Francesco, sicuramente gli ultimi due continuarono stancamente l'attività paterna, in parallelo con Evangelista e Giovanni Cagnola, figli di Tommaso, talvolta menzionati come testimoni nei loro atti e con i quali si determinò uno stretto scambio di interferenze culturali con esiti di linguaggio figurativo ritardatario, molto semplificato sia negli elementi iconografici sia nelle soluzioni stilistiche.
Arcangelo, ricordato a Novara dal 1505 al 1510 come estensore con la madre degli atti amministrativi della famiglia e ancora quivi il 21 dic. 1512 come beneficiario con i fratelli dell'eredità dello zio Giovanni De Bosis, risulta "abitante a Biella" il 7 marzo 1520, quando presta testimonianza presso il notaio Agostino Ferrero (Schede Vesme, IV,p. 1190). Un riflesso della sua presenza in zona si ha negli affreschi absidali, in parte ancora sotto scialbo, della chiesa di S. Clemente ad Occhieppo Inferiore e in quelli, molto ridipinti, dell'oratorio di S. Rocco a Gaglianico (1526), inoltre nei ripetitivi riquadri con Madonna in trono con Bambino di S. Maria degli Angeli a Callabiana (1526), di S. Antonio a Villa di Ponderano e della parrocchiale di Sandigliano, già a S. Bernardo: tutte assimilabili al prototipo votivo commissionato da Gerolamo Basia, datato 1494 con le iniziali "D.B." (interpretabili come Daniele De Bosis), già sulla casa di via S. Croce, ora di proprietà privata, a Candelo. Ad altra mano affine, sempre della bottega De Bosis, ma invero più felice, parrebbero spettare la teoria di affreschi votivi sulla parete destra di S. Rocco a Montalto (post 1503; cfr. Mazzini, 1976, pp. 108 s.), la Madonna con i ss. Rocco, Fabiano e Sebastiano nel presbiterio della parrocchiale di Sandigliano strappato dall'oratorio di S. Bernardo, e l'affresco di analogo soggetto commissionato da Dorotea Duranda (1528) ora nel municipio a Candelo, tutti derivanti dal riquadro con Santi datato 1486 nell'oratorio cimiteriale di Briona. Ancora alla tarda attività della bottega De Bosis vanno riferiti gli affreschi con Storie della Vergine nella chiesa di S. Pietro a Castellengo, non a caso molto vicini a quelli della chiesa dell'Assunta a Roasio Curavecchia o della Madonna della Serra a Crevacuore (le cui partiture decorative a fioroni ricalcano fedelmente quelle impiegate nei riquadri laterali di Montalto) da tempo riconosciuti come spettanti alla bottega Cagnola. Esemplifica ancora una volta la pedante iterazione dei modelli nell'atelier De Bosis l'Annunciazione di Castellengo, ripresa anche nell'oratorio della SS. Trinità a Sagliano Micca e più rudimentalmente nell'oratorio della Madonna del latte a Gionzana.
Nessuna opera è sicuramente riferibile al più giovane Francesco, che parrebbe aver svolto con maggior fortuna del fratello l'attività artistica, dato che fu oggetto di più accreditate committenze. Nel 1523 dipinse infatti, per il cospicuo compenso di 40 scudi del sole, affreschi in Gattinara negli edifici di proprietà del cardinale Mercurino, gran cancelliere di Carlo V, in collaborazione con Pietro da Novara, noto per gli affreschi firmati e datati 1518 a Roasio Curavecchia e con il più moderno e meglio documentato Giov. Angelo De Canta (Schede Vesme, IV, p. 1555). Nel 1520 Francesco De Bosis aveva già anche ricevuto un pagamento di 80 lire per un teca in argento e oro destinata a contenere la reliquia di uno degli "Innocenti" da parte di Gerolamo Avogadro, canonico del duomo di Novara (Morandi, 1916).
Fonti e Bibl.: G. L. Calvi, Notizie sulla vita e le opere dei principali architetti, scult. e pittorió, II, Milano 1863, p. 242; G. Porro, Nozze di Beatrice d'Este e di Anna Sforza, in Arch. stor. lomb., IX (1882), pp. 497 s.; G. Colombo, Docum. e notizie intorno gli artisti vercellesi, Vercelli 1883, p. 394; A. Massara, La giovinezza artistica di G. Ferrari, in Verbania, maggio 1912, p. 105, n. 1; G. B. Morandi, Schede per la storia della pittura in particolare e dell'arte novarese in generale, in Bollettino storico per la provincia di Novara, X (1916), pp. 4, 9, 11 s., 15; V. Viale, Gotico e Rinascimento in Piemonte, catal., Torino 1939, n. 15, pp. 121 s.; A. M. Brizio, La pittura in Piemonte dall'età romanica al Cinquecento, Torino 1942, p. 193; L. Cassani, I pittori del sec. XV nel Novarese, in Boll. stor. per la prov. di Novara, XXXVIII (1947), p. 12; D. Lebole, La Chiesa biellese nella storia e nell'arte, Biella 1962, I, p. 235; F. M. Ferro, La Madonna del roseto in un affresco del sec. XV, in Bollett. stor. per la prov. di Novara, LIII (1962), pp. 103-109; A. L. Stoppa, Da Tommaso Cagnola al Bugnato..., in L'Omar, 1971, n. 14, p. 36; F. M. Ferro, Affreschi novar. del Quattrocento, Novara 1972, pp. 10, 14; F. Mazzini, in Opere d'arte a Vercelli e nella sua provincia, Recuperi e restauri 1968-1976, cat., Vercelli 1976, pp. 108 ss., 177 s.; G. Romano, in Musei del Piemonte; opere d'arte restaurate, catal., Torino, 1978, p. 61; G. C. Sciolla, Il Biellese dal Medioevo all'Ottocento. Artisti committenti, cantieri, Torino 1980, pp. 55 s., 86, 88, 90, 94; D. Lebole, Storia della Chiesa biellese: La pieve di Cossato, II,Biella 1982, pp. 97 ss., Schede Visme, IV, Torino 1982, pp. 1190, 1245, 1555; D. Lebole, Storia della Chiesa biellese. La pieve di Biella, Biella 1985, pp. 539-42; M. Scarzella-P. Scarzella, Immagini del vecchio Biellese..., Biella 1985, pp. 368, 394-98, 406; E. Mongiano, La conservaz. delle scritture notarili in Piemonte..., in Ricerche sulla pittura del Quattrocento in Piemonte..., III,Torino 1985, pp. 152 60; P. Astrua, Due note documentarie su D. D. …, ibid., pp. 161-74.