DELOC, Daniele (Daniele da Cremona)
Nacque a Cremona, probabilmente nella prima metà del sec. XII.
Il D. è autore di una traduzione in antico francese di due trattati di falconeria, rispettivamente dell'arabo Moamin o Moamyn (per le diverse grafie del nome cfr. l'editore del testo: N. Tjerneld, Moamin e Ghatrif, Traités de fauconnerie et des chiens de chasse, Stockholm 1945, p. 24, da cui si trarranno tutte le citazioni del D.) e del persiano Ghatrif o Tarif. Del D. sappiamo solo quanto egli stesso dice nella rubrica iniziale della sua opera, in cui si presenta come "de Cremone nez" e affezionato "serven au noble roi de Sardaigne" (I, Pref. 1).
Secondo il Werth (p. 173), autore di un importante studio bibliografico sui trattati di caccia e falconeria in antico francese, il D. potrebbe identificarsi con un certo Daniele, falconiere di Federico II, citato in un passo della Historia diplomatica Friderici secundi di J.-L.-A. Huillard Bréholles (II, Paris 1859, pp. 969 ss.), come inviato a Malta per cercarvi dei falconi. Lo Zingarelli (p. 142), non trovando menzione in nessuna fonte documentaria dell'esistenza del D., congettura che l'autore dell'opera non sia il D. ma lo scriba Angelus de Franchonia, che firma la copia del manoscritto. Questi, un tedesco della Franconia, come lascerebbe credere il nome, per conferire maggior prestigio alla sua traduzione, l'avrebbe presentata come scritta in Italia e da un familiare stesso della corte che passava, all'epoca, come massima legislatrice in materia di falconeria e di caccia. In realtà, nessun fatto linguistico, come si vedrà appresso, indica un'origine germanica dell'autore o dello scriba stesso, anzi, numerosi tratti sembrano indicare la provenienza del testo da un ambiente dell'Italia settentrionale, e, più precisamente della Lombardia, conformemente alle esplicite affermazioni del D., di essere lombardo (oltre all'explicit già citato, cfr. anche I, Prol., 5;si trovano, inoltre, qua e là, allusioni dirette al parlare lombardo, cfr. 1, 24, 2 e IV, 1, 4).
Nel prologo dell'opera si legge che il Libro di Moamin fu tradotto dall'ebraico in latino da Maestro Teodoro, per ordine di Federico IL In realtà, come attestano concordemente i codici della versione latina e dei volgarizzamenti italiani del testo, il Libro di Moamin non fu scritto in ebraico, ma in arabo. Dall'arabo fu poi tradotto in latino dal citato Maestro Teodoro, del quale il Werth trovò numerose menzioni ancora nel codice diplomatico dell'Huillard Bréholles circa gli anni 1239-40 (I, pp. 529 ss.) come "philosophus, fidelis noster", sicuramente conoscitore della lingua araba, come risulta da altri documenti. Su colui che tradusse Ghatrif dal persiano al latino non si sa nulla. Il ms. francese indica "mestre Tariph de perse" come "compilleres premierement" e come "cil qui le translata de persien en latin" (Ghatrif, Intr., 2), indicazione che non si ritrova nei manoscritti latini dell'opera e che è probabilmente errata. L'ipotesi che Teodoro sia anche il traduttore di Ghatrif è stata scartata dal Werth (p. 173). Del resto, Teodoro, citato continuamente come traduttore nel testo di Moamin, sia nella versione del D. sia in quella latina, non è mai menzionato in Ghatrif.
I due trattati di falconeria furono assa diffusi nel Medioevo, specialmente quello di Moamin, come attestano i numerosi codici rimastici della versione latina e i volgarizzamenti italiani (per un elenco dei primi e dei secondi, si veda il Tjerneld, pp. 1-10), che completa il regesto del Werth. La versione in antico francese dei due trattati di falconeria a cura del D. ci è tradita da un unico manoscritto del sec. XIV, che appartenne già alla Biblioteca dell'Università di Padova e di là passò poi alla Bibl. naz. Marciana (Francesi XIV [= 279]). La traduzione è, probabilmente, il primo testo scritto in lingua d'oïl nella penisola italiana. Esso non manca di interesse per la storia della fortuna di questo genere di trattati nel Medioevo e per quella della conoscenza e dell'uso nel sec. XIII in Italia della lingua d'oïl, come lingua per eccellenza della prosa narrativa e didascalica, così come il provenzale lo era stato della poesia lirica. Notissima, sulla divulgazione e sul prestigio di cui godeva la lingua francese all'epoca, la testimonianza di Dante nel De vulgari eloquentia, I, X, 2: "Allegat ergo pro se lingua oïl quod, propter sui faciliorem ac delectabiliorem. vulgaritatem, quicquid redactum sive inventum est ad vulgare prosaycum suum est", che si rifaceva al giudizio del suo maestro Brunetto Latini sulla lingua d'oïl come "la parleüre plus delitable et plus commune a toutes gens" (Livresdou Tresor, a cura di F. J. Carmody, Berkeley 1948, I, 1, 10).
L'opera fu commissionata al D. da re Enzo, e la scelta linguistica fu certamente del regale committente, tanto che il D. sente il bisogno di scusarsi per l'imperfetta conoscenza della lingua impostagli (ma è anche una tipica captatio benevolentiae): "Tot soie je povre letreüre et de povre science garnic, e tot soit greveuse chose a ma langue profferre le droit françois, por ce que lombard soi" (I, Prol., 5-6). In effetti, per quanto la lingua del testo sia, secondo P. Meyer, "assez correcte" (p. 78), ilfrancese del D., pur detratto quanto sia imputabile al copista del manoscritto, è screziato di italianismi, soprattutto nel lessico; in cui i termini italiani appaiono leggermente francesizzati. Il testo mostra molti dei tratti caratteristici delle opere franco-italiane: aie senza palatalizzazione, il trattamento d'e finale, la caduta di t, s finali, s impura senza vocale protetica, l'uso dei pronomi vestre, vetre, il presente oit, poit, i possessivitonici invece di quelli atoni, se seguito dal futuro, e così via (per un completo esame linguistico del testo si veda l'edizione del Tjerneld, nel capitolo dedicato alla linguai pp. 31-81, e l'utilissimo glossario). Sono compresenti una serie di fatti linguistici propri ai dialetti dell'Est e del Nord della Francia. Molto frequenti sono i latinismi, com'è naturale per un'opera che ha come fonte una versione latina. Un gruppo di termini tecnici, che conservano la forma che avevano nel testo latino, ricordano le origini orientali dei due trattati. Lo scriba rivela le abitudini scrittorie di un italiano del Nord. Se fu germanico, come sembra indicare il suo nome e come lo credono il Frati (p. 74) e lo Zingarelli (p. 142), certamente, secondo il Tjerneld, non lo rivela nella trascrizione di Moamin e Ghatrif.
Indicazioni fornite dallo stesso D. nella sua opera inducono a credere che questa sia stata commissionata da re Enzo, mentre si trovava prigioniero dei Bolognesi. Nella prefazione al libro di Moamin si legge che il testo fu "coreit par le roi meeme en la cité de Bologne" (I, Pref., 1). Èinverosimile, infatti, che Enzo abbia soggiornato a Bologna prima del 1249, essendo Bologna città nemica dell'imperatore. Dal momento che, probabilmente, il giovane re godeva nella cattività di una certa libertà che gli permetteva di poetare e di incontrare persone (si veda in proposito L. Frati, La prigionia di re Enzo, Bologna 1902, pp. 28 ss.; C. Falletti, Re Enzo a piede libero?, in Misc. tassoniana di studi stor. e lett., Bologna-Modena 1908, p. 55), nulla impedisce il fatto che durante la prigionia abbia potuto commissionare e revisionare la traduzione francese del libro di Moamin. L'anno 1249, in cui ebbe luogo la battaglia di Fossalta, sembra imporsi, dunque, come terminus a quo.
Altre notizie fanno supporre che la traduzione del libro di Moamin sia stata terminata mentre re Enzo era ancora in vita. Nel capitolo finale dell'opera di Moamin il D. ringrazia il re, che "a deigné loer" il suo lavoro (IV, 43, 3), e nell'introduzione al libro di Ghatrif dice chiaramente che il re lo ha incaricato della traduzione del secondo testo, "apreés ce qe je ai, la merci nostre seignor, finé le livre de Monayn fauchonier" (Ghatrif, Intr., 2). Il termine ante quem diverrebbe, in definitiva, il 1272, anno della morte di re Enzo. Ma la questione è resa complessa da uri. passo dell'introduzione al libro I in cui il D. parla di re Enzo al tempo passato. Secondo la ricostruzione del Tjerneld, i due prologhi che precedono il testo di Moamin, ambedue di mano del D., furono scritti in epoche diverse. Forse il D. presentò al re, a Bologna, in un primo momento, solo una parte della traduzione munita del primo prologo, e successivamente ne intraprese la fine e la redazione definitiva. Fu allora che egli aggiunse il passo già citato "coreit par le roi" (I, Pref., 1) e il capitolo finale di Moamin in cui tutto indica che il re era ancora in vita. Successivamente, dopo la morte dei re, il D. poté avere occasione di occuparsi nuovamente della sua opera, e introdurre àllora, nel riassunto che precede il libro I di Moaniin (1, Intr., 6-8), il breve ritratto morale del giovane re, che ne ricorda il nobile carattere e la triste sorte: "Mes fortune envieuse, qe tot adés agrevoie et gueroie as meillors, li fu trop longement marastres et enemie, dont ce fu doumages trop grans, kar chevalerie, pris et valor empirent trop par sa mesceance".
L'opera di Moamin, nel manoscritto francese, è composta da quattro libri, di cui i primi tre trattano degli uccelli di rapina e delle loro medicine e cure, e il quarto degli altri animali da caccia, e principalmente dei cani. I quattro libri sono preceduti da una prefazione, da una tavola che enunzia il titolo dei capitoli di tutta l'opera, e dai due prologhi già citati. Al libro IV segue un breve epilogo. La seconda parte della traduzione del D. comprende l'opera di Ghatrif composta da un breve incipit e dalla tavola dei capitoli che ne indica 75 e non 66, come sono nel testo. Il cap. I è costituito da un succinto prologo attribuito dal D. a maestro Tarif o Ghatrif. Chiude l'opera un breve capitoletto non compreso nella tavola.
Bibl.: H. Werth, Altfranzösische Jagdlehrbücher nebst Handschriften-bibliographie der abendländischen Jagdlitteratur überhaupt, in Zeitschrift für romanische Philologie, XII (1888), pp. 171-78; P. Meyer, De l'expansion de la langue française en Italie pendant le Moyen Age, in Atti del Congresso internaz. di scienze stor. ... 1903, IV, Roma 1904, p. 78; C. Frati, Re Enzo e un'antica versione francese di due trattati di falconeria, in Misc. tassoniana di studi stor. e letter.., Bologna-Modena 1908, pp. 61 ss. (con una descrizione dettagliata del citato manoscritto marciano); G. Bertoni, Il Duecento, in Storia letter. d'Italia, Milano 1930, pp. 73 ss.; N. Zingarelli, Letteratura franco-italiana nei sec. XIII e XIV, in Atti d. Società italiana per il progresso delle scienze, XXII (1933), pp. 141 ss.; A. Roncaglia, IlTrecento, in Storia d. letter. ital., II, Milano 1965, p. 729.