DANIELETTI, Daniele Luigi
Figlio di Giuseppe Gaetano e di Maria Anna Fuseri di Antonio, della parrocchia di S. Michele, nacque a Padova il 3 maggio 1756 in una famiglia di tagliapietre e ornatisti. Fratello del padre fu Pietro Antonio, uno dei più noti scultori padovani del Settecento.
Giuseppe Gaetano, figlio di Pietro e di una Maddalena, nacque a Padova il 4 luglio 1714 nella parrocchia di S. Lorenzo (Padova, Curia vescovile, S. Lorenzo, Liber baptizatorum, 1697-1718); fu lapicida: forse da identificarsi con il Giuseppe che il 1º maggio 1753 sottoscrisse accordi per la lavorazione del portale di palazzo Zacco a Padova (L. Puppi, Il rinnovamento tecnologico del Cinquecento, in Padova, Case e palazzi, Vicenza 1977, p. 132).
Le prime notizie biografiche sul D. sono fornite dalla Memoria di G. P. Zabeo (1823). Il D. studiò, come allievo esterno del seminario, grammatica, retorica e greco, ma ben più importante fu lo studio del disegno che intraprese nella scuola pratica di architettura istituita dall'abate D. Cerato nel 1771 nell'ex castello Carrarese. La scuola, che funzionava nei giorni festivi, aveva un indirizzo applicativo ed era aperta a muratori, falegnami e tagliapietra. L'attività del D. fu di continuo legata alla scuola; nel 1776 e 1777 vinse il primo premio per la classe dei tagliapietra; nel 1780 divenne coadiutore di D. Cerato con un modesto stipendio a carico del maestro e dal 1785 "stabile assistente alla cattedra di architettura" (Brunetta, 1976, p. 41).
Nel 1786 il D. compì un viaggio a Firenze, Roma e Napoli e G. P. Zabeo (1823), a questo proposito, cita una sua lettera del 25 maggio e un Giornale del mio viaggio principiato li 31 marzo 1786. Durante il soggiorno a Roma il D. vide ciò che rimaneva delle "Terme dei Romani" già disegnate da Palladio. Successivamente D. Cerato gli fece ricopiare quei rilievi dalla celebre edizione di Londra di Lord Burlington. Specificamente il D. trasse i disegni da un esemplare londinese donato nel 1732 da lord Burlington al marchese G. Poleni, poi pervenuto alla Biblioteca del monastero benedettino padovano di S. Giustina. I disegni del D. furono raccolti in un volume, ora perduto, con una prefazione di D. Cerato.
Nel 1791 aveva pubblicato un suo libretto, a scopo di sussidio didattico per gli studenti, gli Elementi di architettura civile (Padova 1791), contenente diciotto tavole, nozioni di geometria, disegno dei vari ordini, notizie sui materiali da costruzione, indicazioni di semplici strutture e delle varie parti degli edifici, rudimenti di prospettiva. Il D. lasciò qualche indicazione sui testi didattici adottati, dove sono citati "Milizia e li propri scritti" (Brunetta, 1976, p. 25). Quando morì D. Cerato, nel 1792, il D. non fu chiamato alla direzione della scuola, per quanto, di fatto, avesse ricoperto tale incarico alla morte del maestro. Al suo allontanamento dalla scuola non furono estranee motivazioni di ordine politico e, forse, le manovre di S. Stratico (il noto accademico che successe in cattedra a G. Poleni) che era una sorta di sovrintendente della scuola. Dopo i giorni difficili della Municipalità e la partenza dei Francesi, durante la temporanea occupazione austriaca, nel 1798, il D. fu reintegrato al posto di assistente della cattedra nuovamente vacante. Indi fu nominato professore nel Regno italico il 18 dic. 1806 (Lorenzoni, 1913). È da questo momento che l'insegnamento pubblico dell'architettura assunse a Padova un livello universitario, che la scuola di D. Cerato non aveva mai raggiunto. Nel nuovo ordinamento degli studi la "Architettura civile e militare" era inquadrata nella "classe fisica e matematica"; il D. occupò la cattedra fino all'anno della morte, anche se, come risulta da regolari accertamenti fiscali, essendo stato colpito da paralisi, venne sostituito a tutti gli effetti da A. Noale dal 1818-19 Brunetta, 1976, p. 69, n. 5).
Il D. morì a Padova il 9 ag. 1822 (Toldo, 1960).
Il D., descritto da G. P. Zabeo come uomo schivo e studioso, fu legato da viva amicizia all'astronomo G. Toaldo, che pare si sia prodigato, senza risultato, per evitargli il licenziamento nel 1792. Tale amicizia fu certo favorita dalla comunità di vita, poiché la scuola aveva sede nella torre della specola dell'ex castello Carrarese, in stanze contigue a quelle dove si trovava l'osservatorio astronomico. Il D. fu amico di A. Memmo e G. Selva e frequentatore dei salotti più aperti - e malvisti - come quello di Francesca Capodilista (Olivato, 1977). Del resto una ipotesi che può forse spiegare l'esiguo numero di opere realizzate dall'architetto è l'ostracismo da parte delle autorità nei confronti di progetti innovatori, tendenti a rendere Padova una città moderna, diretto non solo verso il D., ma anche verso M. Sanfermo e A. Noale. Gli orientamenti del D. seguono il programma di D. Cerato, ispirato ad una sintesi razionale e funzionale, soprattutto per quanto riguarda il riuso di edifici per scopi pubblici e sociali. Significativo, a questo proposito, è l'impegno del D. per adattare ad ospedale civile il soppresso convento dei gesuiti di Padova.
Il progetto originario di D. Cerato, che si mantiene nella tradizionale struttura conventuale, fu lasciato inalterato dal D., che sottolineò l'esigenza di fornire agli ammalati opportune condizioni di vita (aria salubre, abbondanza d'acqua). Nel 1807 la prefettura del Dipartimento del Brenta lo incaricò di adattare il castello Carrarese a carcere (fu in quest'occasione che la scuola fu trasferita all'università). Il D. aggiunse agli spazi già squadrati del castello altre strutture funzionali e su tale progetto intervenne successivamente G. Jappelli, inserendo adeguatamente alcuni magazzini non utilizzati (Mazza, 1978). Rimasta alla fase progettuale è la ristrutturazione dell'università, di cui sono rimasti i grafici nell'Arch. di Stato di Venezia (Genio civile, b. IV, n. 25; Olivato, 1977, p. 211, n. 154), che testimoniano ulteriormente l'influenza esercitata da D. Cerato, relativamente alla necessità di usufruire di strutture già usate, riqualificandole per nuovi servizi. Nella Biblioteca civica di Padova si conservano due incisioni di D.: una (1778, realizzata da A. Sandi) riproduce la sistemazione del Prato della Valle, secondo l'idea di A. Memmo, tradotta nel progetto di D. Cerato; l'altra (1782, realizzata da I. Colombo) raffigura la Prospettiva del nuovo Ospedale degli infermi di Padova.
Priva di fondamento appare la notizia di G. P. Zabeo (1823) secondo cui il D. avrebbe disegnato le Vedute che adornano la Pianta di Padova di G. Valle, del 1784 (incisa da G. Volpato: cfr. L. Gaudenzio, Pianta di Padova di G. Valle, Padova 1968; L. Olivato, in Alvise Cornaro e il suo tempo, catal., Padova 1980, pp. 251 s.).Nell'ambito delle fabbriche civili, a Padova, spettano al D. - che restaurò i palazzi prefettizio e pretorio e partecipò al concorso per il progetto del teatro veneziano della Fenice (1790), vinto da G. Selva (Brusatin, 1980, p. 261,n. 119) - l'atrio e lo scalone di pal. Zabarella, realizzati secondo canoni di eleganza e semplicità e adottando una tipologia di atrio che rinvia a quella dei palazzi Maldura e Papafava di G. B. Novello (Banzato-Pietrogrande, 1982). Il progetto più notevole è quello di palazzo Donà, oggi sede della Banca commerciale. Probabilmente il D. ottenne la commissione grazie ai rapporti di amicizia che legavano G. Toaldo con P. e A. Donà.
La fabbrica, costruita tra il 1792 e il 1795 nella allora piazza delle Legne, già all'inizio dell'Ottocento fu adibita ad albergo e successivamente acquistata dalla banca. Pur modificata, resta caratterizzata dall'indifferenza nei confronti del supporto ornamentale come punto qualificante della facciata e dalla coerenza stilistica nella realizzazione di un complesso di estrema funzionalità (Olivato, 1977). Altre opere, ricordate da Zabeo (1823), sono: il progetto delle casse dell'organo della cattedrale di Padova (1791), il progetto di una casa compresa tra la chiesa del Torresino e quella delle dimesse, oltre all'attività nel Trevigiano (ospedale di Treviso) e a Recoaro, in provincia di Vicenza; le fonti padovane gli assegnano concordemente anche il progetto della facciata della chiesa delle dimesse a Padova, realizzata, secondo Moschini (1817, p. 63), da Giovanni Battista Danieletti.
Fonti e Bibl.: P. Brandolese, Pitture, sculture, archit. di Padova, Padova 1795, p. 128; G. Moschini, Guida per... Padova, Padova1817, pp. 63 s., 262; G. P. Zabeo, D. D. Memoria, Padova 1823; F. De Boni, Biogr. degli artisti, Venezia 1840, p. 273; N. Pietrucci, Biografia degli artisti padovani, Padova 1858, pp. 97 s.; P. Selvatico, Guida di Padova, Padova 1869, p. 118; G. Lorenzoni, Ricordi intorno a G. Toaldo, ad amici suoi e al suo tempo, in Atti e mem. d. R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Padova, n. s.,XXIX (1913), pp. 314 ss.; O. Ronchi, Guida storico-artistica di Padova e dintorni, Padova 1922, pp. 64, 68, 188; P. Toldo, Precisazioni biogr. su artisti padovani, in Boll. del Museo civico di Padova, n. s., XLIX (1960), 2, pp. 56 s.; G.Brunetta, Gli inizi dell'insegnamento pubblico dell'architettura a Padova e a Venezia, Padova 1976, pp. 13 s., 25, 28, 31-34, 36-40, 42, 44, 51, 62, 64, 66-69, 71, 76 s., 79 ss., 85; L. Olivato, Tradizionalismo, eversione e rinnovamento tipologico nell'edilizia fra Settecento e Ottocento, in Padova, Case e palazzi, Vicenza 1977, pp. 186, 199 s., 211 s., 219; L. Puppi, G. Jappelli, ibid., pp. 231, 244; B. Mazza, Jappelli e Padova, Padova 1978, p. 16; M. Brusatin, Venezia nel Settecento, Stato, architettura, territorio, Torino 1980, pp. 82, 124, 183, 237, 261, 273, 352; P. Fantelli, Le cose più notabili riguardo alle belle arti che si trovano nel territorio di Padova, in Padova, XXVI (1980), 2, p. 22; D. Banzato-E. Pietrogrande, Brevi note su palazzo Zabarella, in Boll. d. Museo civico di Padova, n. s., LXXI (1982), pp. 71-84 passim; L. Puppi-M. Universo, Padova, Roma-Bari 1982, pp. 204, 206, 208 s.; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VIII, p. 359.