Manin, Daniele
Patriota (Venezia 1804 - Parigi 1857). Laureatosi in giurisprudenza a Padova, iniziò la carriera di avvocato, interessandosi nel contempo agli studi letterari e alla politica. Nel febbraio del 1831, sulla scia dei moti nell’Italia centrale, partecipò al tentativo, senza esito, di provocare un’insurrezione anche a Venezia. Negli anni successivi si andò comunque formando a Venezia un movimento liberale, che diede vita a un’opposizione legale all’amministrazione austriaca. Manin si distinse inviando a Vienna petizioni e vivacizzando il dibattito cittadino all’ateneo veneto, che divenne il fulcro del movimento. In una petizione del gennaio 1848 rinnovò alle autorità austriache le richieste del movimento liberale: rispetto della nazionalità italiana, concessione dell’autogoverno, libertà di parola, ingresso nella Lega doganale italiana, abolizione dei privilegi feudali che ostacolavano l’agricoltura, emancipazione degli ebrei, riforma del diritto. Pochi giorni dopo venne arrestato insieme con Niccolò Tommaseo. Durante la detenzione il suo prestigio crebbe ulteriormente e molti ambienti cittadini lo scelsero come guida del movimento liberale. Il 17 marzo venne liberato dai veneziani sollevatisi pochi giorni prima, alla notizia dell’insurrezione di Vienna. Cacciati gli austriaci e proclamata la Repubblica di Venezia, il 22 marzo, fu nominato presidente del governo provvisorio. Favorevole alla creazione di una repubblica federalista, ma lontano dalle posizioni mazziniane, lasciò il potere il 5 luglio, quando l’Assemblea deliberò la fusione di Venezia con il Regno di Sardegna. Dopo la sconfitta di Custoza, e il conseguente richiamo da Venezia dei commissari piemontesi, tornò al potere, decidendo la prosecuzione delle ostilità. Inizialmente governò da solo poi, eletto dalla rinata Assemblea provinciale, fu a capo di un triumvirato, a fianco dei comandanti Giovanni Battista Cavedalis e Leone Graziani. Dopo la sconfitta di Novara, che aveva posto fine a ogni speranza di un’affermazione militare del Regno di Sardegna, ottenne poteri illimitati per guidare la resistenza all’assedio austriaco. Di fronte alle crescenti divisioni in seno alla Repubblica tra moderati e radicali, ai primi casi di insubordinazione militare e al dilagare del colera, il 22 agosto 1849 decise la resa. Andò allora in esilio in Francia, dove si prodigò per guadagnare consensi alla causa italiana. Negli ultimi anni della sua vita rinunciò agli ideali repubblicani, aderendo, dopo avere avviato rapporti con Cavour, al programma monarchico che questi andava proponendo e alla funzione di guida del Piemonte sabaudo nel processo unitario. Fu fautore della formazione di un Partito nazionale italiano, che trovò parziale attuazione, per iniziativa sua, di Giuseppe La Farina e di Giorgio Pallavicino Trivulzio, nella costituzione nel 1856 della Società nazionale.