Danimarca
Geografia umana ed economica
di Berardo Cori
Stato dell'Europa centro-settentrionale. Al censimento del 2002 la popolazione era di 5.368.354 abitanti, saliti a 5.431.000 a una stima del 2005. Il tasso d'incremento demografico è rimasto piuttosto modesto (0,3% annuo nell'intervallo 2000-2005): ma la prevista crescita zero non si è verificata, né tanto meno l'avvio di un progressivo decremento demografico. È aumentata invece la concentrazione della popolazione, in quanto sull'isola di Sjælland (dove si localizza l'area metropolitana di Copenaghen) la densità media supera i 300 ab./km2. Continua a crescere la durata media della vita (77 anni nel 2005) e a diminuire il tasso di mortalità infantile (ridotto al 4,5‰ nel 2006). Il bilancio migratorio internazionale è solo leggermente positivo, ostacolato da provvedimenti legislativi recenti (una legge restrittiva è stata approvata nel 2002).
La struttura economica della popolazione attiva vede ulteriormente abbassarsi la quota degli addetti all'agricoltura, ormai ridotta al 3% del totale; in regresso anche gli attivi del secondario (24% della popolazione attiva totale nel 2003, contro il 26% nel 1997), anche se il suo apporto al prodotto interno lordo risulta crescente (24% nel 2005). Quasi i tre quarti dei danesi attivi, comunque, lavorano e producono nel settore terziario.
File:VOL_1_Tab_danimarca_01.jpgCondizioni economiche
La superficie coltivata della D., pari a poco meno dei due terzi di quella totale del Paese, sfiora i 2,7 milioni di ettari (2002). Le colture dominanti sono l'orzo e il grano (1,4 milioni di ettari), seguite dai foraggi (600.000 ha), mentre circa 200.000 ha vengono tenuti a riposo a rotazione. La D. nel 2004 ha prodotto 4.893.300 t di grano e 3.727.400 t di orzo: per quest'ultimo si colloca all'undicesimo posto nella graduatoria mondiale dei produttori, risultato rilevante se si considerano le modeste dimensioni territoriali del Paese (ma vanno tenute presenti sia la natura pianeggiante del territorio sia la notevole meccanizzazione dell'agricoltura). Per quanto riguarda l'allevamento, emerge quello dei suini, altamente specializzato: con i suoi 13,3 milioni di capi (2004) la D. si colloca al tredicesimo posto nel mondo. Queste risorse agricole e zootecniche assicurano al Paese una buona posizione nelle esportazioni verso gli altri Paesi nordici, ma anche verso la Germania e il Regno Unito. Il settore primario si completa con una vigorosa attività peschereccia: con un milione e mezzo di tonnellate di prodotto (2002), ricavato essenzialmente dai banchi del Mare del Nord e dalle Fær Øer, la D. si colloca al primo posto fra i Paesi dell'Unione Europea, e al sedicesimo nella graduatoria mondiale.
Le risorse minerarie provengono principalmente dal mare, in particolare dal settore danese del Mare del Nord, da cui si estraggono (a parte il sale) petrolio e gas naturale (nel 2004, oltre 19 milioni di t del primo e 9,4 miliardi di m3 del secondo); queste produzioni sono di sviluppo relativamente recente, e dagli anni Novanta del 20° sec. sono all'incirca raddoppiate, rappresentando un fattore assai importante per la crescita economica del Paese. La stessa capacità di raffinazione (quasi 9 milioni di t nel 2002) non riesce a tener dietro all'espansione della produzione di petrolio grezzo. Dal punto di vista energetico vanno inoltre segnalate le centrali marine eoliche, la cui tecnologia innovativa riesce a coprire circa il 13% del fabbisogno energetico nazionale.
L'industria danese mostra una gamma produttiva assai ampia: impianti siderurgici sono in funzione ad Ålborg, Frederiksværk e Varde; l'industria chimica dei superfosfati è molto sviluppata e si pone in chiaro rapporto con la fiorente agricoltura; numerosi sono i cantieri navali (Copenaghen, Helsingør, Nakskov, Odense, Svendborg, Ålborg, Frederikshavn), com'è naturale in un Paese marittimo; molto variegata l'industria meccanica, le cui produzioni spaziano dai macchinari agricoli alle biciclette (diffusissime in un Paese di pianura); infine le industrie alimentari, che vanno dagli zuccherifici alle celebri fabbriche di birra localizzate nella capitale.
Nel 2003 il Paese ha superato i 1000 km di rete autostradale, e dal 2000, dopo l'apertura del ponte stradale e ferroviario tra l'isola di Sjælland e la Svezia meridionale (16 km), è entrato in funzione un collegamento terrestre internazionale tra Copenaghen e Malmö (fino ad allora il traffico sull'Øresund era garantito da veloci ma costosi servizi di traghetto marittimo), in funzione di un'autentica conurbazione internazionale fra la D. e la Svezia. Questi veloci collegamenti stradali internazionali hanno incrementato il traffico turistico in entrata (oltre 2 milioni di arrivi nel 2003), che tuttavia, a un esame dettagliato dei dati, non supera ancora i flussi in uscita.
Le contee autonome
Della D. fanno parte due territori esterni di dimensione assai diversa, tradizionalmente a essa legati e da essa controllati, pur in regime di larga autonomia e con vaghe prospettive di futura indipendenza: le piccole isole Fær Øer e la più grande isola della Terra, la Groenlandia, quest'ultima extraeuropea dal punto di vista prettamente geografico.
Le Fær Øer, arcipelago subartico a metà strada fra la Scozia e l'Islanda, sono 22 isole, di cui 17 abitate, con poco meno di 50.000 abitanti. Autonome dal 1948, non hanno mai aderito all'Unione Europea pur fruendo, attraverso la madrepatria, di alcuni vantaggi dell'adesione di quest'ultima. Dal 2000 sono in corso negoziati per un'indipendenza totale dalla Danimarca. L'allevamento ovino (68.000 capi nel 2004) e la pesca (137 t di pescato nel 2002) rappresentano le principali attività economiche.
L'immensa Groenlandia appartiene alla D. dal 1721. Regione autonoma dal 1979, si è ritirata dalla CEE nel 1985, pur rimanendo territorio esterno associato all'Unione Europea. Al censimento del 2003 vi sono stati contati 57.000 abitanti (cifra rimasta analoga a una stima del 2005), distribuiti in un certo numero di villaggi con poche migliaia di abitanti ciascuno. Le attività economiche fondamentali sono la pesca (del merluzzo in particolare), con un apporto alla composizione del prodotto interno lordo del 35%, la conservazione del pesce, la caccia alle foche e alle balene, l'allevamento ovino.
Bibliografia
G. Bendure, N. Friary, Denmark, London 1999 (trad. it. Torino 2000); Scandinavia profiled, ed. B. Turner, London 2000; Landscape change and scenario studies, ed. A. Höll, H. Mørch, København 2002.
Storia
di Francesca Socrate
All'inizio del 21° sec. le questioni principali al centro della vita politica danese erano sostanzialmente due: la politica sull'immigrazione e il processo di integrazione europea. Fin dalla metà degli anni Novanta del 20° sec. si era andata infatti affermando una corrente d'opinione fortemente xenofoba che nelle elezioni anticipate del marzo 1998 aveva premiato con più del 7% dei voti (pari a 13 seggi) il nuovo Dansk Folkeparti (DF, Partito popolare danese), presentatosi con una campagna tutta incentrata sulla necessità di più rigidi controlli sui flussi di immigrati. Quanto alla seconda questione (nonostante l'impegno del governo di centrosinistra, alla guida del Paese dal 1993, a favore della partecipazione della D. all'Unione Europea), dai primi anni Novanta l'opinione pubblica aveva manifestato a più riprese un deciso antieuropeismo, tanto che i due partiti che avevano fatto della pregiudiziale antieuropeista la loro caratteristica pressocché esclusiva (il Folkebevægelsen mod EU, Movimento popolare contro l'Unione Europea, e lo Juni Bevægelsen, Movimento di giugno) avevano ottenuto, nelle elezioni per il Parlamento europeo del giugno 1994, più del 25% dei voti. La diffidenza verso l'Unione Europea era già emersa d'altronde nel 1993, quando il trattato di Maastricht era stato ratificato tramite referendum popolare solo in seguito all'esenzione da alcune clausole quali la moneta unica, la politica della difesa e la cooperazione tra le forze di polizia dei Paesi membri, e si manifestò di nuovo nel 1998, quando l'approvazione, sempre tramite referendum, del successivo trattato di Amsterdam fu dovuta soprattutto alle novità ecologiste inserite nello stesso trattato, sottolineate dalla campagna elettorale del governo di centrosinistra tesa a sollecitare la sensibilità ambientalista diffusa nell'opinione pubblica danese.
Nonostante i risultati delle nuove elezioni europee del giugno 1999 registrassero una tenuta dei partiti che sostenevano l'adesione alla UE (confermarono infatti i rispettivi consensi sia i liberali, Venstre, sia i socialdemocratici, Socialdemokratiet), la profonda diffidenza di gran parte dell'opinione pubblica danese si fece nuovamente sentire nel settembre 2000, quando il 53% dei votanti bocciò l'adesione alla moneta unica. Si era configurato così uno schieramento trasversale che vedeva uniti, contro i sostenitori dell'euro (socialdemocratici, liberali, establishment economico e finanziario, sindacati e importanti testate giornalistiche), l'estrema destra xenofoba del partito popolare, la coalizione di sinistra Lista unitaria rosso-verde (Enhedslisten - de Rød-Grønne) e il Partito socialista popolare (Socialistisk Folkeparti), tutti accomunati, seppure da punti di vista diversi, dal timore di una perdita di sovranità nazionale (in materia di immigrazione, di welfare, ma anche di una vera e propria identità culturale) a vantaggio dell'Europa. Le elezioni politiche anticipate del novembre 2001 riportarono al centro del dibattito politico la questione degli immigrati, rivelando anche in questo caso, in larga parte dell'elettorato, il radicarsi di paure e ostilità soprattutto verso la componente islamica. I liberali, guidati da A.F. Rasmussen, sostenitori di una linea di rigore in materia di immigrazione, ottennero 56 seggi (contro i 42 del 1998) e il Partito popolare, su posizioni apertamente xenofobe, passò da 13 a 22 seggi; il Partito popolare conservatore (Konservative Folkeparti, KF) ottenne 16 seggi, mentre i socialdemocratici registrarono una grave sconfitta (da 63 a 52 seggi) che li portò a perdere il tradizionale predominio parlamentare. In quello stesso novembre il Paese tornava così, dopo sette anni, a essere governato da una coalizione di centrodestra (conservatori e liberali) guidata da A.F. Rasmussen. Nonostante le iniziali prese di distanza dal Dansk Folkeparti pubblicamente espresse dal premier all'inizio della legislatura, nel luglio 2002 il nuovo governo adottò una serie di misure restrittive sull'immigrazione, sul diritto di asilo e i permessi di ingresso nel Paese, misure passate in parlamento proprio grazie all'appoggio esterno del Partito popolare che da quel momento fu mantenuto per tutta la legislatura. La perdita elettorale del 2001 provocò contrasti e crisi all'interno dei partiti usciti sconfitti: tra i Socialdemokratiet il leader P.N. Rasmussen si dimise per essere sostituito, nel novembre 2002, da M. Lykketoft, mentre il Partito popolare cristiano (Kristeligt Folkeparti), sotto la spinta del movimento giovanile, avviava un processo di rinnovamento che portava all'assunzione di un nuovo nome (Cristiano democratici, Kristendemokraterne) e alla nomina di un nuovo presidente, M. Karlmose Nielsen (che si sarebbe poi dimessa nel 2005). Le gravi tensioni internazionali alimentavano frattanto nel Paese un'opinione pubblica sempre più xenofoba. Nelle elezioni anticipate del febbraio 2005 l'elettorato premiò la linea tenuta dal governo verso l'ingresso nel Paese di lavoratori extraeuropei aumentando i consensi verso i due partiti più radicali della coalizione: mentre i liberali, infatti, registravano una perdita, passando da 56 a 52 seggi, i conservatori e i popolari salivano, rispettivamente, a 18 e 24 seggi. La radicalizzazione politica si rispecchiava anche nella grave perdita elettorale dei socialdemocratici, che scesero a 47 seggi. Sul piano internazionale, nel 1999 la D. partecipò, come Paese membro della NATO, alla guerra in Iugoslavia (marzo-giugno), e nel 2003, nonostante le profonde lacerazioni nell'opinione pubblica, il parlamento votò la partecipazione all'invasione dell'Irāq guidata dagli Stati Uniti. In seguito alla caduta del regime di Ṣaddām Ḥusayn la D. mantenne le sue truppe nel Paese, suscitando una forte opposizione interna che si manifestò anche, nel 2005, nella significativa crescita elettorale, da 9 a 17 seggi, del Partito liberal radicale (Det Radikale Venstre), che aveva avversato, fin dall'intervento del 2003, la scelta governativa.