danno ambientale
locuz. sost. m. – L’attuale definizione di d.a. è dovuta a una disciplina (d. lgs. n. 152/2006, c.d. Codice ambientale) che si pone nel sistema come risultato di una mediazione tra legislatore nazionale e comunitario (direttiva 2004/35/CE). La nozione positiva – introdotta nel sistema dal non più vigente art. 18 della legge n. 349/1986 quale «alterazione, deterioramento o distruzione anche parziale dell’ambiente» – ha avuto un progressivo sviluppo concluso con il menzionato Codice ambientale, le cui norme di riferimento sono costituite dagli articoli 300 e 311. L’art. 300, intitolato proprio al Danno ambientale, contiene una definizione coincidente con il deterioramento delle risorse naturali e dell’utilità da queste arrecata. Ai sensi del primo comma di tale disposizione, infatti, «È danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima». La definizione a carattere generale viene specificata dal comma successivo, che detta un’elencazione di fattispecie, costruite alla stregua della direttiva 2004/35/CE, fornendo un’analitica e documentata classificazione delle risorse la cui lesione comporta danno ambientale giuridicamente rilevante. Il disegno complessivo si completa con l’art. 311. Al pari dell’oramai abrogato art. 18 della legge n. 349/1986, la norma – che disciplina la fattispecie risarcitoria attribuendo esclusivamente allo Stato la legittimazione all’azione e la titolarità del risarcimento – propone una nozione ampia di danno, quale alterazione, deterioramento, distruzione, in tutto o in parte, dell’ambiente. Di qui l’esigenza di individuare quale sia la nozione di danno che il legislatore dell’ambiente recepisce, poiché, mentre l’ampia formula utilizzata dall’art. 311 lascia spazio a molteplici soluzioni interpretative, l’art. 300 contiene, invece, una descrizione analitica, assai dettagliata e comunque coincidente con la lesione all’insieme delle risorse naturali e delle biodiversità protette: un’idea, dunque, materiale di ambiente che non coincide con i concetti di immaterialità del bene e di «valore trasversale» dell’ambiente, più volte affermati dalla Corte costituzionale e dalla giurisprudenza. Se si accogliesse tale accezione di danno, quindi, si giungerebbe a considerare l’ambiente come la sommatoria di singoli elementi naturalistici. Il danno all’ambiente riflette questa configurazione trasversale del valore ambiente e non può consistere esclusivamente nel pregiudizio ai singoli elementi che lo compongono o a una sua sola dimensione, quale è quella ecologico-materiale presa in considerazione dalla normativa speciale. Si pone, dunque, la questione se l’art. 300 preveda una fattispecie tipica di danno, limitata alle sole ipotesi espressamente nominate; o se invece – come pare auspicabile – debba accogliersi un’ampia nozione di danno, le cui singole ipotesi sono elencate solo in via esemplificativa dal legislatore nell’art. 300. La previsione, pur nella molteplicità delle ipotesi regolate e nonostante la dettagliata elencazione delle singole componenti del danno ambientale, non è in realtà esaustiva dell’intera, possibile casistica di eventi pregiudizievoli all’ambiente. Così, ad esempio, non vi compare l’inquinamento atmosferico; ma è indubbio che esso costituisca danno ambientale ai sensi del nuovo Codice ambientale, dal momento che la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera sono espressamente disciplinate dalla Parte V del decreto legislativo n. 152/2006. Conferma di ciò fornisce proprio l’art. 311 che contiene, quanto al danno, una previsione di vasta portata che si discosta di gran lunga dalla tecnica utilizzata dal legislatore comunitario e che presuppone un’idea di danno come pregiudizio del valore ambiente in sé; non, quindi, come lesione specifica, tipicamente prevista, delle sue singole e normativamente individuate componenti.