Abstract
Il discorso sulla responsabilità civile non può prescindere da una specie di ricognizione della impressionante quantità dei danni provocati nelle società moderne dalle attività umane. In realtà, di recente, dal fatto quantitativo si è passati a un fatto qualitativo: è sufficiente scorrere i repertori di giurisprudenza degli ultimi anni per comprendere come si siano ampliati i confini ordinari di tale settore. Si tratta, per lo più, di lesioni di interessi nuovi che fino ad oggi non avrebbero mai potuto assurgere ad elemento fondamentale di un giudizio di responsabilità. In altre parole, è mutata, e in modo assai sensibile, la stessa concezione di danno e, di conseguenza, delle tecniche della responsabilità civile.
È luogo comune, nella letteratura anche straniera sul tema, avviare il discorso sulla responsabilità civile muovendo da una specie di ricognizione della impressionante quantità dei danni provocati nelle società moderne dalle attività umane.
L'approccio al tema è sovente descrittivo e, diciamolo pure, un po' sinistro: in effetti le statistiche degli infortuni sul lavoro, degli incidenti cagionati dalla circolazione dei mezzi di trasporto, dei più o meno gravi incidenti domestici o degli episodi sempre più frequenti di inquinamento idrico, atmosferico e marino, quando non della circolazione di derrate o partite di prodotti difettosi, sono impressionanti, per la vastità delle dimensioni, per l'ampiezza delle fasce sociali e d'età che colpiscono, per la gravità delle conseguenze (anche di ordine economico) che creano.
Negli anni recenti alcuni incidenti di dimensioni inusitate dovute a nubi radioattive prodotte dall'erroneo funzionamento di centrali nucleari, dalla rottura di grandi dighe, dall'avvelenamento di fonti di approvvigionamento idrico dovuto agli scarichi industriali alla diffusione nell’aria di polveri cancerogene hanno poi sollevato la questione dei danni «di massa» (mass torts), danni catastrofici al quali un tempo non si poteva neppur pensare con la più viva immaginazione. Di essi si parla a proposito delle c.d. responsabilità speciali nei prossimi capitoli.
In realtà non è solo questo il fenomeno più significativo dei tempi moderni: dal fatto quantitativo si è passati ad un fatto qualitativo. È mutata, e in modo assai sensibile, la stessa concezione del danno e quindi delle tecniche della responsabilità civile.
È sufficiente scorrere i repertori di giurisprudenza degli ultimi anni per rendersi conto di come si siano ampliati i confini ordinari di questo settore; per avvertire come situazioni e circostanze che un tempo sarebbero passate sotto silenzio o non avrebbero mai potuto assurgere a elemento fondamentale di un giudizio di responsabilità, oggi, invece, per orientamento consolidato o, più spesso, per modelli giurisprudenziali isolati o comunque innovativi, vengono a mutare il volto tradizionale della responsabilità.
Non si tratta, il più dei casi, di danni cruenti, di lesioni materiali, di distruzione fisica di valori, ma di lesioni di interessi nuovi, ai quali, nella mutante scala di valori accreditata dalla coscienza sociale, il giudice non può più reagire in modo rigoristico o minimizzante.
In tal modo si moltiplicano non solo ulteriormente le occasioni di danno, ma si moltiplicano gli obblighi di comportamento e si estende in modo inusitato la portata normativa della clausola generale; si modifica la nozione di colpa, si rende evanescente il rapporto tra responsabilità e danno, appare anche più elastica (e quindi meno rigida) l'analisi del processo causale.
Ripensando a certi tipi di danno con la mentalità (cioè con il quadro di categorie) imperante solo alcuni decenni fa, il rapporto tra le due situazioni, quella pregressa e quella attuale, può apparire stupefacente.
Si consideri, a mero titolo esemplificativo, il settore degli interessi della persona e della vita per così dire biologica: il danno subìto da un coniuge per l'impossibilità di consumare rapporti sessuali con l'altro dovuta a lesioni procurate a questo da colpa del medico (Cass. 11.11.1986, n. 6607, in Giust. civ., 1987, I, 572); oppure il danno subìto dal marito per la relazione adulterina promossa dal suo garzone con la moglie di lui, ritenuto risarcibile. La sentenza (Trib. Roma, 17.9.1988, in Nuova giur. civ. comm, 1989, I, 559, con nota di V. Paletto) ritiene che la moglie infedele risponde solo se la sua infedeltà provoca danni di natura patrimoniale; il garzone risponde quale terzo che ha indotto all'inadempimento; il danno derivante dal rapimento e dalla scomparsa di un neonato da un reparto ospedaliero (Cass. 4.8.1987, n. 6707, in Foro it. Rep., 1987, voce Resp. civ., 88); il danno biologico risentito dai congiunti del defunto (Trib. Roma, 24.5.1988, in Foro it. Rep., 1989, I, voce Resp. civ., 892; contra Cass. 20.12.1988, n. 6938, in Foro it, Rep., 1988, 67); il danno consistente nelle sofferenze psichiche della vittima per deturpamento del corpo in seguito ad incidente stradale (Trib. Cagliari, 9.1.1985, in Riv. giur. sarda, 1987, 387); il danno morale risentito dai genitori per l'invalidità permanente del figlio minore (Trib. Treviso, 13.3.1986, in Nuova giur. civ., 1987, I, 132); il danno alla serenità della vita familiare cagionato dalle lesioni permanenti riportate da una giovane in seguito ad un incidente stradale (Trib. Milano, 18.2.1988, in Resp. civ. prev., 1988, 454); il danno morale risentito da un neonato per la perdita della madre deceduta nel darlo alla luce (App. Genova, 5.3.1988, in Arch. civ., 1988, 1330); il danno risentito dal minore per essere stato partorito in gravi condizioni fisiche per il mancato controllo preventivo dell'ospedale; il danno risentito dai genitori per non aver potuto prevenire la nascita del figlio non desiderato (Cass. 11.5.2009, n. 10741, in Guida al diritto, 2009, 49).
Ancora. Nel settore della vita di relazione: il danno risentito per la pubblicazione di una falsa inserzione pubblicitaria riguardante la prestazione di cure «estetiche» da parte di un ignaro e malcapitato cittadino e imputato alla concessionaria di pubblicità in solido con la casa editrice (Trib. Roma, 18.2.1980, in Dir. inf., 1987, 597) il danno cagionato dalla pubblicazione di una notizia di cronaca che dà per imputato chi è ancora soggetto a semplici indagini (Trib. Genova, 24.10.1986, in Dir. inf., 1987, 239); la turbativa telefonica ingiuriosa; la sequenza cinematografica in cui si utilizza un cognome realmente esistente (Trib. Roma, 30.10.1985, in Dir. inf., 1987, 595).
E si pensi al settore dei rapporti economici: il danno cagionato da una banca che rilasci informazioni false o inesatte circa la solvibilità del cliente (App. Milano, 14.3.1986, in Banca borsa, 1987, II, 627); il danno cagionato dal prodotto che involge la responsabilità dell'assembler di parte componente (Cass. 9.6.1986, n. 3816, in Giur. it., 1987, I, 1, 1252); il danno risentito dal cliente nel caso di una rapina in banca (Cass. 6.9.1988, n. 1048, in Foro it., 1988, I, 2849); il danno cagionato all'industria produttrice di sacchetti di plastica da una campagna di stampa che ne esalti i pericoli per l'ambiente (Trib. Milano, 30.6.1986, in Arch. civ., 1987, 47); il danno risentito dal datore di lavoro per la corresponsione dei contributi assicurativi e previdenziali durante il periodo di assenza del lavoratore danneggiato da terzi (Cass., 12.11.1988, n. 6132, in Foro it., 1989, I, 742); il danno risentito da un paziente per una trasfusione compiuta mediante plasma contenente il virus dell'epatite B (Cass., 15.7.1987, n. 6241, in Foro it., 1988, I, 144.); il danno derivante ad un cliente dallo scoppio di una bottiglietta contenente una bibita gassata (App. Roma, 18.10.1986, in Foro it., 1987, I, 1589); il danno cagionato dall'attività di picchettaggio svolto per motivi non sindacali (App. Firenze, 28.7.1987, in Arch. civ., 1988, 573); il danno risentito da un cliente per la percezione di interessi bancari riscossi da un uomo politico (Cass., 14.7.1987, n. 6132, in Foro it., 1988, I, 1188, con nota di D. Caruso); il danno risentito dall'investitore in titoli di borsa per il mancato intervento della Consob; il danno risentito da un partecipante ad un pubblico concorso per il giudizio giudicato offensivo espresso dalla commissione esaminatrice, tale da importare responsabilità della p.a. (Trib. Roma, 20.3.1987, in Foro it., 1987, I, 2855); il danno risentito da un parlamentare per le dichiarazioni rese da un collega, nonostante che la Camera avesse negato l'autorizzazione a procedere (penalmente) nei confronti del secondo (Trib. Roma, 19.6.1985, in Foro it., 1988, I, 588).
E che dire del settore dei rapporti tra cittadino e Stato, tra cittadino e singoli dipendenti della pubblica amministrazione? Si pensi al danno determinato da notevole ritardo sul riconoscimento del trattamento pensionistico (Cass., 3.6.1987, in Foro it., 1987, I, 103) o si consideri il danno che si è imputato all'amministrazione regionale che aveva materialmente provveduto alla creazione di un'oasi di protezione e di rifugio per la fauna stanziale e migratoria per le conseguenze ricadute sui proprietari finitimi (App. Perugia, 22.9.1986, in Arch. civ., 1987, 285); i danni imputati alla p.a. a seguito di un incidente stradale cagionato da un agente di polizia al di fuori del pubblico servizio (Trib. Roma, 13.6.1986, in Riv. giur. circ. trasp., 1987, 661); i danni provocati dalla caduta di un albero ad una cappella gentilizia cimiteriale (Cass., 21.1.1987, n. 526, in Foro it., 1987, I, 786); i danni provocati dal comportamento negligente di un ufficiale giudiziario e dalle sue omissioni (Trib. Padova, 28.12.1987, in Resp. civ., 1988, 472); i danni provocati ad un immobile dal mancato tempestivo adeguamento della rete fognaria da parte di un Comune (Cass., 27.1.1988, n. 722, in Resp. civ., 1988, 120); i danni provocati a terreni e attrezzature turistiche derivanti da una modificazione delle correnti marine createsi per la realizzazione di barriere frangiflutti a protezione di reti stradali (Cass., 6.12.1988, n. 6635, in Foro it., 1989, I, 76); il danno risentito da un arrestato per le percosse infertagli dai carabinieri (Cass., 22.9.1987, in Riv. pen., 1988, p. 1021); i danni derivanti ad un tetto della chiesa per cause naturali (App. Roma, 20.12.1987, in Giust. civ., 1988, I, 771); i danni morali risentiti dallo Stato per i fatti di corruzione compiuti da alcuni uomini politici che avevano indotto le autorità all'acquisto di aerei C130 H Lockheed (Trib. Roma, 10.6.1986, in Nuova giur. civ.comm., 1987, I, 45).
In tutti questi casi - e si tratta di fattispecie che non esauriscono lo spettro delle fattispecie di danno via via portate all'attenzione delle Corti - risulta con chiarezza come si sia dilatata la nozione stessa di danno e quale sia la pressione esercitata da questa componente sulla clausola generale di responsabilità.
Che cosa si intende per danno? Dal punto di vista formale la costruzione della nozione di danno è stata investita, negli anni recenti, da una autentica rivoluzione: si è revocata in dubbio o aperta la critica sulla nozione ontologica di danno; sulla sua nozione giuridica; sul rapporto tra danno (elemento) e struttura dell'illecito; sul rapporto tra danno e nesso di causalità; sull'ampiezza del danno risarcibile.
Per chiarire questi aspetti occorre tener conto di alcuni assunti di base:
i) la nozione ontologica del danno oggi tende a dematerializzarlo e a depatrimonializzarlo. Ciò per varie ragioni, di natura teorica e di politica del diritto: “danno” oggi non è più, nella coscienza sociale, nella prassi giurisprudenziale e negli stessi interventi legislativi, il semplice depauperamento del patrimonio della vittima dell'illecito; danno è la lesione di un interesse protetto; dalla lesione possono derivare conseguenze di carattere economico-patrimoniale e di carattere non patrimoniale; ciò dipende dalla lesione del bene tutelato (ad es. la salute, l'onore e in generale gli aspetti della personalità non comportano necessariamente una depatrimonializzazione, se lesi);
ii) la nozione giuridica di danno si configura in termini di danno ingiusto; il significato di questa formula è stato illustrato nei capitoli precedenti;
iii) il danno così inteso è elemento necessario dell'illecito; non si può configurare l’illecito senza prova del danno;
iv) il danno deve essere causalmente collegato al comportamento dell'agente o all’attività del responsabile; e si può fare impiego del nesso causale per selezionare i danni risarcibili. Vi sono però ipotesi normative in cui la selezione avviene secondo la natura (es. danno morale) ovvero le modalità di manifestazione del danno (es. lucro cessante).
Le norme del codice civile fanno un impiego non uniforme dell'espressione «danno» o «danni»; talvolta esse si riferiscono al pregiudizio, alle conseguenze dannose e così via; la terminologia invariabilmente usata indica che questa espressione richiama una nozione unitaria: di volta in volta l'aggettivazione specificherà l'origine del danno (es. contrattuale, extracontrattuale), la natura del danno (fisico, psichico, morale, economico) il bene affetto dal danno (l'integrità fisica, la proprietà, la reputazione e così via), l'entità del danno (grave, lieve) il rapporto con il fatto generatore (diretto, indiretto, prevedibile, imprevedibile). In ogni caso, l'espressione danno allude alla conseguenza di un accadimento fortuito (sinistro), di un fatto umano, ovvero di un inadempimento contrattuale.
Conseguenza che è strettamente collegata quindi al comportamento o all'esercizio di un'attività e all'interesse leso. In virtù di questo collegamento spesso si tende ad appiattire la nozione di danno, non considerandola una semplice appendice del comportamento, non confrontandola con l'interesse (leso) o con la lesione in sé. Ma, seguendo la concezione analitica dell’illecito, il danno è fattore o elemento affatto diverso dall'iniuria (intesa come lesione dell'interesse) e dalla colpa o dal dolo. E ciò spiega perché sia possibile intenderlo come conseguenza, senza neppure aggettivarlo, costruire e usare una nozione unitaria e indifferenziata di danno.
Nei sistemi, come quello di common law, in cui, almeno originariamente, si accredita il principio della tipicità dell'illecito, non può avere cittadinanza una nozione di danno unitaria in quanto non vi è una clausola generale di responsabilità. Occorre specificare la natura del danno. E ciò può avvenire solo collegando il danno con l'interesse leso. In un sistema informato alla tipicità dell'illecito il danno si risarcisce solo se conseguente alla lesione di un interesse tipico protetto.
È in tal modo che si indica la distinzione tra danni alla persona, danni alle cose (o alla proprietà), danni economici, danni morali, che presso di noi serve solo a chiarire il contesto in cui il danno si sviluppa mentre in common law assolve una funzione assai più rilevante, in quanto assurge a criterio selettivo dei danni risarcibili.
In altri termini, l'operazione concettuale e pratica che presso di noi si articola al livello dell'interesse giuridicamente protetto (identificazione del bene leso), in common law si sviluppa ad un doppio livello: identificazione della fattispecie illecita e qualificazione del danno cagionato.
Di recente si sono riesaminate in dottrina le teorie che descrivono l'atteggiamento del giurista di fronte al danno (Salvi, C., Il danno extracontrattuale. Modelli e funzioni, Napoli, 1985, 24 ss., e ora Monateri, P.G., Risarcimento e danno presunto, in Quadrimestre, 1990, 24 ss. La dottrina è per la verità interessata alle tecniche risarcitorie e alla «quantificazione» del danno: v., oltre a Mastropaolo, Danno all’integrità psicofisica, in Alpa, G. - Bessone, M., diretto da, La responsabilità civile, V, 1987, 81; Bonilini, G., Il danno non patrimoniale, in Alpa, G. - Bessone, M., diretto da, La responsabilità civile, Torino, 1999, 377 ss.). Accanto alla teoria che identifica il danno con la diminuzione del patrimonio della vittima, che risale a Mommsen, si colloca la teoria che indica nel danno la modificazione della realtà materiale, cioè la soppressione del bene sul quale ha inciso l'evento (von Caemmerer); infine il danno inteso come lesione dell'interesse protetto (Rodotà).
È quest'ultima la tesi che oggi anche per noi appare più soddisfacente, proprio perché del danno si vuole evidenziare la nozione più ampia, comprensiva sia degli aspetti patrimoniali economicamente rilevanti, sia degli aspetti che non hanno un riflesso patrimoniale immediato.
L’espressione “danno” allude all’evento lesivo e alle sue conseguenze; dal punto di vista civilistico, non è necessario distinguere l'evento dalle conseguenze: di per sé l'evento potrebbe apparire irrilevante, ma le conseguenze patrimonialmente gravose; oppure l'evento potrebbe apparire rilevante ma non avere conseguenze (così Salvi, C., Il danno extracontrattuale. Modelli e funzioni, cit., 52).
Piuttosto, si è segnalato come connotato peculiare del nostro ordinamento la distinzione tra due tipi di danno, quello patrimoniale e quello non patrimoniale, su due modelli di disciplina differenziati e due funzioni differenziate, riparatoria la prima, anche sanzionatoria la seconda (Salvi, C., Il danno extracontrattuale. Modelli e funzioni, cit., 175 ss.; Di Majo, A., La tutela civile dei diritti, Milano, 1987, 177 ss.).
Non si può parlare di danno tipico e di danno atipico: è l’illecito nel suo complesso, e con riguardo alla ingiustizia intesa come lesione di un interesse protetto che può essere tipico (ad es. il danno all’ambiente previsto dalla legislazione speciale) oppure atipico (l’illecito derivante dalla applicazione dell’art. 2043).
Fonti normative
Art. 2043 c.c.
Bibliografia essenziale
Alpa, G. - Bessone, M., diretto da, La responsabilità civile, V, 1987; Alpa, G. - Bessone M., La responsabilità civile, Torino, 1999; Di Majo, A., La tutela civile dei diritti, Milano, 1987; Monateri, P.G., Risarcimento e danno presunto, in Quadrimestre, 1990, 24 ss.; Salvi, C., Il danno extracontrattuale. Modelli e funzioni, Napoli, 1985, 24 ss.