danno non patrimoniale
locuz. sost. m. – Concepito come perdita di utilità non suscettibile di immediata valutazione in termini economici, il danno non patrimoniale risulta di difficile liquidazione e il relativo risarcimento deve attuarsi, necessariamente, per il tramite di un giudizio equitativo. La difficoltà di stimare la lesione patita e la conseguente esigenza di ricorrere a un’operazione intellettuale intrinsecamente approssimativa per determinarne la riparazione hanno spinto il legislatore a limitare le ipotesi in cui accordare tutela al danneggiato; per tale ragione, secondo quanto stabilito dall’art. 2059 del codice civile, il danno non patrimoniale «deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge». La richiamata disposizione è stata interpretata, per lungo tempo, in senso restrittivo. Rinvenendosi nell’art. 185, secondo comma, del codice penale («ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui») l’unica ipotesi normativa rilevante, il danno non patrimoniale era reputato risarcibile soltanto qualora il fatto illecito che lo avesse cagionato integrasse, altresì, un reato. Tra la fine del precedente millennio e l’inizio del nuovo, tuttavia, la situazione è cambiata. Per un verso, è considerevolmente aumentato il numero delle norme contemplanti la risarcibilità del danno non patrimoniale anche in assenza di un illecito penale: è il caso, ad esempio, dei danni cagionati da comportamenti discriminatori per motivi razziali, etnici o religiosi (art. 44, comma settimo, d.lgs. 25 luglio 1988, n. 286), dal mancato rispetto del termine ragionevole di durata del processo (art. 2, primo comma, l. 24 marzo 2001, n. 89), o dal trattamento dei dati personali (art. 15, secondo comma, d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196). Per altro verso, si è sviluppato e consolidato un orientamento giurisprudenziale che, in forza di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2059 del codice civile, ammette la risarcibilità del danno non patrimoniale anche nell’ipotesi di lesione di ‘diritti inviolabili’, inerenti alla persona e privi di natura economica, riconosciuti dalla Costituzione. Il riconoscimento costituzionale di tali diritti – si afferma – ne esige la tutela, così configurando un ulteriore caso determinato dalla legge di riparazione del danno non patrimoniale. Su questa linea, sono stati qualificati come costituzionalmente garantiti, tra gli altri, il diritto alla salute, i diritti all’onore e alla reputazione, il diritto all'intangibilità della sfera affettiva in ambito familiare (con conseguente risarcibilità del danno non patrimoniale sofferto a seguito della morte di un congiunto). All'attuale nozione di danno non patrimoniale risultano riconducibili il cosiddetto danno biologico e il cosiddetto danno esistenziale. Il primo, inteso come lesione dell’integrità psicofisica della persona, trova tutela nell’art. 32 della Costituzione e deve essere risarcito in sé, indipendentemente dalla sussistenza di un danno patrimoniale (si pensi al soggetto che non possa dimostrare di avere subìto un pregiudizio economicamente valutabile perché, ad esempio, incapace di produrre reddito). Il secondo, inteso come compromissione della dimensione esistenziale della persona, derivante dal peggioramanto della sua qualità di vita o dalla necessità di adottare uno stile differente rispetto al passato, deve reputarsi risarcibile soltanto qualora sia accertata la lesione di un diritto inviolabile, tale da dare luogo a una ingiustizia costituzionalmente qualificata, fondata, questa volta, sull’art. 2 della Costituzione. Entrambi costituiscono la sintesi descrittiva dei molteplici aspetti che può assumere, in concreto, l’unitaria categoria del danno non patrimoniale.