danno
Insieme di conseguenze sfavorevoli che un evento ha prodotto a carico di un soggetto determinato, e segnatamente a carico della sua persona e/o dei suoi beni (d. individuale) ovvero a carico di una pluralità indifferenziata e non personificata di soggetti, e dunque a carico di beni non suscettibili di appropriazione esclusiva (d. collettivo). Il d. rileva per il diritto in vista dell’obbligo di riparazione gravante su uno o più soggetti determinati, individuati all’esito di un apposito giudizio di responsabilità.
Nei diversi ordinamenti, anche in quelli in cui alla riparazione in natura sembra essere riconosciuto un ruolo preminente (BGB, Bürgerliches Gesetzbuch, paragrafo 249), il meccanismo primario di reazione contro il d. è rappresentato dal risarcimento monetario. Giuridicamente, quindi, assume rilevanza una nozione patrimoniale di danno. Il d. risarcibile si identifica con la differenza negativa che si determina nel patrimonio della vittima in conseguenza di un evento lesivo. La riparazione del d. si realizza, infatti, attraverso il pagamento di una somma di denaro pari a quella differenza.
La nozione patrimoniale di d. resta valida anche quando, in alternativa al risarcimento per equivalente, la riparazione avviene attraverso la diretta rimozione delle conseguenze dell’evento lesivo (risarcimento in forma specifica). In tal caso il d. risarcito è un d. materiale e non patrimoniale. Anche la riparazione in natura non prescinde, però, dalla logica del pregiudizio economico, come attestano i due limiti ai quali è, in genere, subordinata la sua operatività nei diversi ordinamenti: il limite della possibilità, anche solo parziale, e quello della non eccessiva onerosità (art. 2058 c.c.). Il bene leso è dunque risarcibile solo se a esso si può attribuire un valore di scambio.
Il d. non patrimoniale, cioè la compromissione di valori puramente spirituali della persona, è risarcibile solo a patto di attrarre anche quei valori in una logica propriamente mercantile e, dunque, che anche per essi si ritenga socialmente accettabile l’idea dell’equivalenza monetaria. La sensibilità contemporanea, indubbiamente, procede in questa direzione. Nondimeno, in taluni ordinamenti (anche quello italiano), il legislatore ha inteso circoscrivere in maniera rigorosa le ipotesi di risarcimento del d. non patrimoniale (art. 2059 c.c.; paragrafi 253, 847 BGB), riconoscendo il carattere ‘politico’ della scelta di tutelare i valori della persona con il rimedio risarcitorio. Tuttavia, non sembra che ciò sia bastato a porre un argine all’estensione dell’ambito del risarcimento del d. non patrimoniale. La giurisprudenza italiana, per es., ammette il rimedio risarcitorio per qualsiasi compromissione della sfera personale del soggetto che abbia rilievo costituzionale. Tale necessario rilievo costituzionale dell’interesse protetto dovrebbe preservare la rigorosa tipicità del risarcimento del d. non patrimoniale prefigurata dal legislatore. In realtà, però, non c’è compromissione di valori personali che sia davvero priva di copertura costituzionale, cosicché si è pervenuti a un esito di generalizzata risarcibilità del d. alla persona. In questo ambito il rimedio risarcitorio subisce una trasformazione significativa anche sotto il profilo funzionale. Non vi è dubbio, infatti, che la condanna pecuniaria del responsabile non assolve a una funzione (compensativa) di tutela del patrimonio del danneggiato. La finalità perseguita da questa forma di risarcimento è piuttosto di tipo solidaristico e, talora, anche di ordine puramente sanzionatorio e di prevenzione generale.
Un d. non patrimoniale assume rilevanza giuridica solo in virtù del giudizio di disvalore che è possibile formulare nei suoi confronti. Tale giudizio non è peraltro irrilevante neppure rispetto al d. patrimoniale. In molti ordinamenti, infatti, una pura perdita economica non è sufficiente ad attivare la tutela riparatoria, essendo a tal fine necessario anche un giudizio di disvalore sul danno. In particolare, nell’ordinamento italiano, il legislatore ha previsto la risarcibilità solo di quei d. patrimoniali che possano ulteriormente qualificarsi in termini di ingiustizia (art. 2043 c.c.). Non c’è accordo, però, su cosa debba esattamente intendersi per ingiustizia del d., che dalla maggioranza è intesa come una clausola generale. Ciò significa che la valutazione di ingiustizia dev’essere operata dal giudice nel caso concreto, attraverso una ponderazione degli interessi contrapposti del danneggiante e del danneggiato, in base a parametri desumibili dall’ordinamento nel suo complesso e innanzitutto dalle previsioni costituzionali. In quest’ottica la tutela contro i d. opera anche come meccanismo di selezione degli interessi tutelati, un meccanismo affidato, in definitiva, al governo giurisdizionale. Secondo una diversa visione, invece, un d. può dirsi ingiusto solo se c’è lesione di una situazione già tutelata dall’ordinamento, sicché il risarcimento opera piuttosto come una sanzione per la violazione di una norma preesistente.