DANNO
(XII, p. 322).
Danno morale. - Cenni storici. - La nozione di danno morale per il diritto romano presuppone il concetto di pena privata e la distinzione fra delitto privato (delictum, maleficium) e delitto pubblico (crimen). Il delitto privato o atto illecito importa una duplice soddisfazione di carattere economico: il risarcimento e la pena. Il risarcimento è la riparazione del danno e il danno (indemnitas dei compilatori) è diminuzione patrimoniale (deminuito o ademptio patrimonii): essa comprende la rei aestimatio e l'id quod interest. La pena (pena pecuniaria), che ripete le sue origini dal sistema delle composizioni, prima convenzionali poi legali, è il sostitutivo storico dell'esercizio della vendetta privata per l'offesa recata. Il risarcimento ristabilisce l'equilibrio patrimoniale che l'atto illecito ha turbato; la pena è inflitta, invece, come riparazione dell'offesa e ad essa si proporziona, indipendentemente dall'esservi stata o meno una lesione patrimoniale. Il diritto romano classico si mantiene quindi fermo al concetto che il danno (etimologicamente connesso con δαπάνη = daps) è soltanto diminuzione del patrimonio e che l'obbligo del risarcimento non si estende oltre l'ademptio patrimonii. Se però ne restano così esclusi i danni non patrimoniali, per la ragione precipua che essi non sono suscettibili, secondo la concezione romana, di aestimatio, presupposto del risarcimento, essi trovano peraltro soddisfazione nella pena che va a favore dell'offeso ed è proporzionata all'offesa.
Tipica azione penale privata, informata alla riparazione dei danni morali, è l'actio iniuriaruim aestimatoria che, introdotta dal pretore, dava diritto all'offeso, in riparazione delle ingiurie patite, di chiedere una certa somma rimessa nella sua aestimatio all'arbitrium del giudice. Tale azione per il diritto classico ha uno sviluppo notevole dovuto, come dice R. Jhering, al progredire del sentimento giuridico romano che, da una concezione di tutela primitiva limitata al patrimonio, si eleva alla protezione anche di interessi morali (tutela dell'onore e della personalità umana).
Il sistema penale privato si riduce nel diritto giustinianeo ormai a una sopravvivenza storica; per i compilatori l'actio legis Aquiliae non è più azione diretta a conseguire una pena ex delicto: essa ormai ha una funzione generale di risarcimento.
Tentativi tuttavia si manifestano nel diritto comune intesi a ripristinare la pena privata, ma l'istituto è ormai un anacronismo. Si genera così il moderno problema del risarcimento dei danni morali che si agita già negli scrittori di diritto naturale e trova la sua più autorevole enunciazione in U. Grozio e in G. A. Eineccio, che riassumono nel concetto di danno ogni lesione del corpo, del patrimonio e dello spirito; né manca infine la voce di economisti e pubblicisti, fra i quali merita particolare ricordo M. Gioia, che, nel suo trattato Dell'ingiuria, dei danni, delle soddisfazioni (Milano 1829), scrive essere rigorosamente richiesta dalla giustizia l'indennizzazione per inquietudine, come lo è per le ferite, proposizione matematicamente certa e giornalmente violata dai tribunali".
Diritto moderno. - La questione della risarcibilità dei danni morali (ted. Schmerzensgeld; ingl. exemplary damages, smart-money) comprendenti sofferenze, patemi d'animo, violazione di affetti, attentati all'onore che non abbiano ripercussione sull'entità del patrimonio, è rimasta insoluta nel codice civile italiano del 1865. Solo il legislatore penale nel 1889 per i reati recanti offesa all'onore della persona e della famiglia concesse al giudice facoltà di assegnare una somma a titolo di riparazione quand'anche il delitto non avesse cagionato danno. Questa norma nel codice di procedura penale del 1913 venne estesa a tutti i delitti contro la persona e a quelli che offendevano la libertà individuale, l'onore della persona e della famiglia, l'inviolabilità del domicilio e dei segreti. Si trattava di una pena sussidiaria, di una multa privata, che, senza costituire un vero e proprio risarcimento, dava però soddisfazione all'offeso nelle particolari ipotesi previste.
Il codice penale del 1930 ha abolito ogni residuo di pena privata, sopprimendo l'istituto della riparazione pecuniaria, e in sua vece ha ammesso esplicitamente la risarcibilità dei danni non patrimoniali derivanti da un fatto illecito penale (art. 185: "Ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che a norma del codice civile debbono rispondere per lui").
Resta peraltro sempre aperta la questione circa la risarcibilità del danno morale nel campo civile (del danno cioè non patrimoniale derivante da fatto illecito civile). La giurisprudenza della cassazione si mantiene sempre ferma alla non risarcibilità di tali danni e quindi respinge qualsiasi argomento di analogia derivante dall'art. 185 del nuovo codice penale; un'autorevole dottrina, invece, ritenendo irrisoluta o per lo meno di dubbia risoluzione la questione nel codice civile italiano (art. 1151), trae decisivo argomento per l'opinione affermativa dalla nuova norma del codice penale e dai principî generali del diritto. La grave questione non potrà trovar soluzione che in sede di riforma del codice civile: già l'art. 85 del progetto italo-francese sulle obbligazioni del 1927 compone tale dissidio (non meno vivo nella dottrina civilistica francese) disponendo che l'obbligo del risarcimento comprende tutti i danni materiali e morali cagionati dall'atto illecito.
Bibl.: Per il diritto romano: R. Jhering, Actio iniuriarum. Des lésions injurieuses en droit romain et en droit franç., Parigi 1888; A. Marchi, Il risarcimento del danno morale, in Bull. ist. dir. rom., 1904, p. 288 segg.; C. Ferrini, Danni, in Encicl. giur., IV, i, p. 12 segg.; id., Delitti e quasi delitti, ibid., IV; P. Bonfante, Ist. dir. rom., 9ª ed., Milano 1932, § 175; id., Obbligazioni (corso di lez.), Roma 1919; G. Rotondi, Scritti giuridici, II, Milano 1922, p. 465 segg. (Dall'actio legis Aquiliae all'art. 1151 cod. civ.).
Per il diritto moderno: G. Giorgi, Teoria delle obbligazioni, Firenze 1909, V, § 161 segg.; C. F. Gabba, Questioni di dir. civ., Torino 1911, II, p. 210; id., Nuove quest., Torino 1912, I, p. 240; G.B. Chironi, Colpa extracontrattuale, Torino 1906, II, p. 320 segg.; V. Polacco, Obblig., Roma 1925, § 126; A. Minozzi, Studio sul danno non patrimoniale, Milano 1917; F. Maroi, Il progetto italo-franc. delle obbl., Modena 1927, p. 35 segg.; P. Calamandrei, Il risarcimento dei danni non patrimoniali, in Riv. it. dir. pen., 1931, p. 171 segg.; L. Coviello, L'art. 185 cod. pen. e la risarcibilità dei danni morali, in Riv. dir. civ., 1932, p. 313 segg.; G. Pacchioni, L'art. 185 cod. pen. e il risarcimento dei danni morali, in Riv. it. dir. pen., 1931, p. 345; G. Maggiore, Il risarcimento dei danni non patrimoniali e la pretesa forza espansiva dell'art. 185 cod. pen., in Studi in onore di U. Conti, Città di Castello 1932, p. 35 segg.; A. Montel, Sulla risarcibilità dei danni morali, in Foro ital., 1932, col. 1622 segg.; R. Demogue, Traité des obl., Parigi 1928, IV, p. 43 segg.
Azione di danno temuto. - Storia. - La cautio danni infecti era nel diritto romano un rimedio giuridico contro i pericoli derivanti da difetto di solidità di un edificio (vitium aedium) o da un opus intrapreso in suo in alieno vel in publico. L'istituto eia già preveduto dalla legislazione delle XII Tavole, ma ne ignoriamo la disciplina. Secondo il diritto pretorio, consisteva in una promessa solenne - di risarcire i danni eventuali - che il proprietario di un fondo, ingiustamente minacciato sia dalla rovina di un edificio, sia da opere di scavo o altre, poteva ottenere, rivolgendosi al pretore, dal proprietario dell'edificio pericolante o dall'autore dell'opera che con la sua inerzia o col suo facere avesse creato il pericolo. Ordinata dal magistrato la cauzione, l'obbligato era posto nell'alternativa (nel caso che si fosse trattato di danno derivante da vizio dell'edificio) di cavere (prestare la cauzione) o carere (perdere il fondo). Nel caso di vitium operis l'alternativa era di omettere l'opus o di interporre la cauzione. Prestata la cauzione, se si fosse verificato il danno, il proprietario del fondo danneggiato poteva chiedere l'adempimento della promessa di risarcimento mediante l'actio ex stipulatu. Se l'obbligato invece non avesse prestata la cauzione, o non avesse rilasciato il fondo o non avesse desistito dall'opera, il pretore concedeva all'interessato la detenzione legale della cosa agli effetti di costringere l'obbligato a prestare la cauzione (missio ex primo decreto). Qualora questa immissione in possesso fosse rimasta senza risultato, seguiva, decorso l'anno, la missio in possessionem ex secundo decreto la quale costituiva una iusta causa usucapionis.
Nel diritto comune la sorte non volge propizia all'istituto. Cade la procedura della missio in possessionem; diviene d'uso la pratica di agire per ottenere la condanna all'interposizione di cauzione: condanna che il convenuto può, peraltro, evitare rilasciando la cosa che minaccia danno. Ci si allontana così dai principî del diritto romano, tanto più che si smarrisce ogni traccia della cautio vitio operis.
Diritto vigente. - Nel codice civile italiano all'art. 699 ricorre menzione solo della denunzia di danno temuto vitio aedium (rimedio sussidiario all'obbligo legale in base all'art. 1155 cod. civ.). Si deriva da detto articolo che chiunque possieda un fondo o altro oggetto esposto al pericolo di un danno prossimo e grave derivante da un qualsivoglia edifizio, da un albero, o da altro oggetto del vicino, può ottenere dal pretore, secondo le circostanze, o che siano emessi provvedimenti atti a ovviare il pericolo o che sia imposta al vicino una cauzione per i possibili danni. È escluso il ricorso nel caso di danno che non sia conseguente al fatto dell'uomo.
L'azione è di competenza del pretore, qualunque sia il valore della causa, se proposta entro l'anno dal fatto che vi ha dato cagione (art. 82 cod. proc. civ.); se promossa oltre l'anno, si applicano le regole ordinarie di competenza. Poiché, per la legittimazione attiva, titolo è il possesso, compete l'azione alle stesse persone a cui compete la denunzia di nuova opera (v. opera nuova, denunzia di, XXV, p. 405). Quanto alla legittimazione passiva, l'azione di danno temuto può essere diretta contro qualunque possessore. Poiché dalla disciplina legislativa delle due azioni si deriva che condizione comune è il motivo di temere un danno a una cosa nostra o da noi posseduta, da parte di un'altra cosa ad altri appartenente o da altri posseduta, così se ne giustifica nel codice italiano l'ubicazione sotto il titolo del possesso, quantunque ormai sia opinio communis che siano da considerarsi azioni sui generis, né petitorie né possessorie. Il loro elemento comune è che dette azioni sono meramerite conservative e interinali e che esula da esse qualunque scopo di accertamento del diritto.