Dante Alleghier, s'i' so' buon begolardo
È il sonetto (Rime CVIII) che Cecco Angiolieri indirizzò a D., non si sa bene se in risposta per le rime a un sonetto di D. che non ci è pervenuto, o come ritorsione a qualcosa che gli era stato riferito D. avesse detto contro di lui. Il sonetto è certamente del tempo dell'esilio di D. e posteriore al 1303, anno in cui D. si era fatto, come dice Cecco, " lombardo " (v. 8). È tuttora incerto se Cecco si era fatto " romano " (v. 8) in quel medesimo anno. Non aiuta molto, per fissare la cronologia del sonetto in termini ristretti (Cecco morì nel 1311), quel che sappiamo del pistoiese Guelfo Taviani che rispose per le rime con un suo sonetto (Cecco Angelier, tu mi pari un musardo) in difesa di D. a quello di Cecco. Il Taviani fu a Siena, patria di Cecco, nel 1307 e nel 1308, ma può aver composto il suo sonetto anche prima o dopo. Il Barbi, collocando nell'edizione del 1921 il sonetto fra le " Rime varie del tempo dell'esilio " insieme con i sonetti di corrispondenza fra D. e Cino, che precedono la canzone Amor da che convien, inclina per una cronologia che non vada oltre il 1307. Il sonetto di Cecco è improntato a violenza polemica e a una certa canagliesca trivialità non priva di esiti efficacemente espressivi, ma nella prima terzina c'è un momento di resipiscenza in cui s'inserisce un fugace segno della stramba malinconia di Cecco, quando dice che " sventura o poco senno " di tutti e due li ha condotti a quella triste tenzone.
Bibl. - A.F. Massera, Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli, Bari 1920, II 135; C. Steiner, Il Canzoniere di Cecco Angiolieri, Torino 1925; M. Marti, Poeti giocosi del tempo di D., Milano 1956; M. Vitale, Rimatori comico-realistici del Due e Trecento, Torino 1956; G. Cavalli, Rime di Cecco Angiolieri, Milano 1959.