LATTES (Lattes Ajò), Dante
Nacque a Pitigliano il 13 sett. 1876 da David e da Emilia Ajò.
Il padre, rimasto vedovo, si era risposato solo secondo il rito ebraico. Pertanto il L. - frutto di un matrimonio non riconosciuto - fu costretto a far uso del doppio cognome.
Trascorse la prima infanzia a Pitigliano, poi la famiglia si trasferì a Livorno dove il L. frequentò il collegio rabbinico sotto la guida di Elia Benamozegh. Conseguito il grado di rabbino, nel 1898 si trasferì a Trieste invitato da Aronne di Vita Curiel, direttore del periodico Il Corriere israelitico; iniziò così la sua carriera giornalistica, affiancata da un incarico di insegnamento dell'ebraico presso le locali scuole israelitiche. Nel 1900 sposò una delle figlie di Curiel, Emma, che gli diede due figlie, Lina e Nora. Nel 1903, alla morte del suocero, divenne direttore del Corriere, incarico che mantenne fino allo scoppio della prima guerra mondiale.
Il pensiero politico-religioso del primo L. fu fortemente influenzato dagli anni di studio presso il Collegio rabbinico di Livorno. Fin dai suoi primi articoli il L. intraprese una sua personale, e per certi versi isolata, campagna intesa ad affermare la centralità dell'ebraismo nei suoi molteplici aspetti filosofici, storici, culturali e teologici nel mondo moderno. Intendeva in tal modo reagire a una visione, dominante in ambienti del mondo ebraico dell'Europa occidentale, secondo la quale si tendeva a relegare gli "israeliti" a un ruolo secondario mentre si andavano sviluppando nuove forme di antisemitismo politico e di nazionalismo e trionfava una religione del laicismo che sosteneva su più fronti la fine e l'inutilità del pensiero teologico e delle religioni. Il L. si oppose a tale visione con piglio polemico, atteggiamento che non lo abbandonò per tutta la vita. L'ebraismo non era per lui un sistema religioso o culturale marginalizzato e figlio di un mondo in rapida via di estinzione, ma un complesso di valori universalmente valido che spesso rivelava una insospettata capacità di rispondere, sulla base di insegnamenti classici e antichi, alle esigenze dell'uomo contemporaneo. L'intento del L. era apertamente politico, il che ne fa una personalità piuttosto singolare fra gli intellettuali impegnati nelle comunità ebraiche italiane ed europee tra Ottocento e Novecento. Il riemergere dell'antisemitismo politico consigliava a molti una certa dose di prudenza e comunque una generale volontà di sottrarsi alla polemica nella convinzione che la sovraesposizione avrebbe solo nuociuto e contribuito ad agitare gli animi dei più accesi antisemiti; in quello stesso periodo, in cui alle accuse di "complotto giudaico" e di diretto impegno ebraico nelle questioni politiche il mondo ebraico rispondeva nelle comunità occidentali presentando un ebraismo tutto culto e religione, il L. andava proponendo un pensiero politico e un sistema di critica sociale che - a suo dire - traevano origine proprio dai testi della tradizione. Si è parlato a questo proposito di una sorta di "modernismo" ebraico e lo stesso L., dopo la Grande Guerra, intrattenne buoni rapporti con Ernesto Buonaiuti.
In un saggio programmatico apparso nel Corriere israelitico del 1907, Scendiamo in campo, il L. affrontava la questione della missione del popolo ebraico, che egli identificava innanzitutto nella dimensione nazionale, soggettiva, volta nel periodo biblico alla creazione di un "popolo modello, una supernazione, un nucleo di uomini moralmente perfetti che fossero segnacolo di virtù e di perfezione alle società pagane". Una missione che con l'epoca diasporica diveniva "ufficio da compiere senza tregua in seno al mondo, in relazione alla propria civiltà nazionale". Il concetto di missione del popolo ebraico assumeva per il L. un significato carico di valenze politiche, culturali e morali.
Erano politiche quando poneva come centrale l'adesione incondizionata, ma critica e autonoma, all'azione del movimento sionista; culturali, dal momento che il L. proclamava la superiorità di una "idea ebraica" rispetto ai sistemi filosofici e giuridici di tradizione classica greco-romana. La sfida era duplice: da un lato al mondo non ebraico, cui il L. chiedeva di voler riconoscere il reale valore dell'idea di Israele. Dall'altro agli ebrei assimilati e integrati nelle società europee, che per moda o per convenienza negavano alla cultura e alle tradizioni ebraiche un valore moderno, considerandole un oscuro retaggio di superstizione.
Da ultimo fu sul piano morale che il L., affrontando soprattutto problemi di benessere sociale, non poteva dirsi disgiunto dal carattere politico e culturale della missione di Israele. Su questo piano, infatti, il L. si spese molto, schierandosi apertamente e dimostrando simpatie socialiste, lottando soprattutto per affermare un ideale di democratizzazione nella vita amministrativa e all'interno delle comunità ebraiche e per una più generale emancipazione sociale delle masse di sottoproletariato ebraico che popolavano l'Europa centrorientale.
Nel 1915, in qualità di cittadino italiano, il L. dovette lasciare Trieste e si rifugiò in un primo tempo a Firenze, presso la casa di Alfonso Pacifici, dove nello stesso anno venne fondato il settimanale ebraico Israel. Nel 1916 fu nominato rabbino della piccola comunità ebraica di Siena, incarico che abbandonò repentinamente dopo essere stato colpito dal lutto per la morte della giovane figlia Nora. Nel 1917 si trasferì a Roma, collaborò alla casa editrice La Nuova Italia e proseguì il suo lavoro giornalistico e politico per il settimanale Israel, propugnatore di una costante campagna sionistica indirizzata alla rinascita nazionale e culturale del popolo ebraico. Nel 1919, dopo un viaggio a Londra per riprendere i contatti con l'Organizzazione sionistica mondiale, ne fondò un ufficio distaccato a Roma dove iniziò la collaborazione con Mosè Beilinson, e avviò un intenso programma di traduzioni e pubblicazioni di scritti dei principali autori della letteratura ebraica russa e palestinese attraverso la casa editrice Israel.
Le linee guida del pensiero del L. furono definitivamente fissate nel 1923 con la pubblicazione dell'Apologia dell'ebraismo (Roma) in cui si precisarono i contorni di questo "ufficio morale" cui il popolo ebraico sarebbe stato chiamato.
Il principale dono che Israele aveva fatto all'umanità era - per il L. - quello di riuscire a pensare un "Dio Uno ed Unico, universale ed incorporeo", non un'astratta idea filosofica, "ma un'idea che doveva investire tutta la vita individuale e collettiva". Prima di tale visione mancava oggettivamente quell'idea di umanità "la quale fu invece consustanziale col pensiero d'Israele; doveva mancare una concezione dell'etica degna di questo nome, perché non universale, perché non assoluta". Da questo impianto teorico emergeva un ebraismo tutto inteso a valorizzare gli elementi di umanità ed eticità, lontano dalle forme bigotte di credenze particolari o nazionali, un messaggio che si può definire democratico e che avrebbe caratterizzato le linee di azione politica e culturale intraprese dal L. nella sua attività di maestro, giornalista e, per brevi tratti, uomo politico.
Nel 1925 fondò il periodico culturale La Rassegna mensile di Israel, che divenne presto la più importante sede di dibattito culturale e di divulgazione storico filosofica dell'ebraismo italiano. Nello stesso anno si recò a Gerusalemme per partecipare alla cerimonia di inaugurazione dell'Università ebraica. Membro dell'Unione delle comunità israelitiche dal 1933, continuò a dirigere la Rassegna, e nel contempo insegnò ebraico presso la scuola di lingue slave e orientali e presso il collegio rabbinico di Roma. Nel 1935 si recò a Tripoli per tentare un'azione di mediazione con il governatore Italo Balbo, che aveva decretato l'espulsione del rabbino Gustavo Castelbolognesi, reo di essersi opposto all'apertura dei negozi di sabato. Nell'ottobre del 1936 si recò a Londra, su incarico del governo, insieme con Angiolo Orvieto, per cercare di influire, attraverso l'Organizzazione sionistica, sul governo britannico nel tentativo di scongiurare le sanzioni economiche decretate contro l'Italia dopo l'aggressione militare all'Etiopia. Nel 1936 fu anche a Ginevra per partecipare alla fondazione del Congresso mondiale ebraico.
I numeri della Rassegna e le monografie pubblicate per la casa editrice Israel offrirono ai lettori italiani un consistente numero di traduzioni di testi politici e di letteratura - per lo più dall'ebraico e dal tedesco - che rendevano accessibili forme culturali proprie del mondo ebraico dell'Europa orientale. Una vera e propria letteratura "nazionale", ricca anche di spunti politici e di legami con l'ormai consolidata esperienza del movimento sionista faceva in tal modo la sua comparsa nel panorama letterario italiano. Ovviamente la Rassegna non si occupava esplicitamente di politica e il suo direttore bilanciava gli interventi per non suscitare l'attenzione della censura del regime fascista. Tuttavia negli anni Trenta non mancarono prese di posizione contro la politica britannica in Palestina e, dal 1933, esplicite condanne della politica razzista in Germania. Vennero inoltre ospitati interventi dell'ala socialista del movimento sionista e la stessa firma di David Ben Gurion non fu censurata dal regime.
È d'altronde noto che Mussolini pensò per un certo periodo alla possibilità di utilizzare in chiave antibritannica il movimento sionista riservando una certa attenzione alla presenza italiana in Palestina.
Già alla Fiera del Levante di Bari era stato mostrato interesse per le realizzazioni delle prime colonizzazioni palestinesi; era inoltre stato istituito l'insegnamento dell'ebraico moderno presso l'Istituto italiano per l'Oriente a Roma e dell'italiano presso il ginnasio Herzlia di Tel Aviv. Altri segnali, come l'addestramento di giovani ebrei sionisti revisionisti guidati da Zeev Jabotinsky alla scuola navale di Civitavecchia, o la nomina dell'italiano David Prato alla carica di rabbino capo della comunità ebraica di Alessandria d'Egitto, segnalano la particolare attenzione che il regime fascista riservò all'attività del sionismo. In quel contesto il L. si mosse da protagonista, tra l'altro tenendo personalmente l'insegnamento dell'ebraico moderno presso l'Istituto italiano per l'Oriente. Il lavoro del L. fu dedicato soprattutto alla divulgazione della cultura ebraica contemporanea, secondo una concezione del sionismo legata alla visione "spirituale" di Achad Ha'am. Ne parlò in termini assai chiari in una conferenza tenuta il 20 marzo 1926 presso l'Associazione della stampa subalpina di Torino, dedicata ai "Poeti e pensatori ebrei contemporanei".
Per il L., il sionismo spirituale "è la ricerca della via che conduca lo spirito d'Israele al suo porto e ridia al popolo la coscienza della sua unità storica e la capacità di conservare il suo patrimonio spirituale non solo, ma di creare anche nuovi valori morali. […] L'amore di Sion non dev'essere per Achad Ha'am la soluzione proposta allo Judenschmerz, al dolore, alle sofferenze, alle difficoltà materiali ed economiche dell'individuo ebreo, ma deve ricondurre nel popolo lo spirito smarrito nelle vie dell'esilio".
La natura dei suoi incarichi (fu segretario e poi presidente della Federazione sionistica italiana dal 1918) e la schiettezza che traspariva dai suoi scritti lo posero in cattiva luce presso il regime fascista; con l'emanazione della legislazione razziale nell'autunno del 1938 il L. fu inoltre posto sotto sorveglianza. Nel febbraio del 1939 riuscì a ottenere un passaporto con l'aiuto di una cellula clandestina antifascista e si imbarcò a Brindisi per la Palestina, dove visse fino al 1946 proseguendo la sua attività di insegnamento, di traduzione e di divulgazione.
Gli anni di permanenza in Palestina avevano contribuito a radicare nel L. la convinzione della necessità il sionismo verso una dimensione culturale più ampia. In questo giocò un ruolo decisivo l'amicizia con Martin Buber, nel cui impianto teorico il L. non tardò a identificarsi.
Tornato a Roma nel 1946 riprese la sua attività al servizio dell'Unione delle comunità israelitiche, di cui fu vicepresidente dal 1952 al 1956. Nel 1947 polemizzò con Benedetto Croce, criticando una sua frase poco felice sulla necessità per gli ebrei di cancellare distinzioni che sarebbero state pretesto per le recenti persecuzioni patite. Dal 1948 riprese la pubblicazione regolare della Rassegna, di cui fu direttore fino alla morte, e diede alle stampe, oltre a numerosi articoli, alcuni libri di alta divulgazione ebraica e un intero Commento alla Bibbia (in collaborazione con il nipote Amos Luzzatto) che costituirono una fondamentale fonte di acculturazione per la comunità, così duramente provata dalla guerra e dalle persecuzioni.
Nonostante la febbrile attività, negli ultimi anni venne accentuandosi quel senso di isolamento che non lo aveva mai abbandonato. In effetti, pur essendo l'opera del L. decisiva per comprendere la storia dell'ebraismo italiano del Novecento, la sua autonomia rese il suo lavoro difficilmente semplificabile.
Il L. fu sionista convinto, ma con visioni che variano dall'impianto teorico spiritualista alla pratica politica weizmaniana. Fu antifascista con simpatie socialiste, mai però tradotte in militanza politica, e rabbino senza mai esercitare l'attività (fatta salva la breve parentesi senese). Giornalista, saggista e docente di ebraico, ma non ridusse mai la sua attività a un ruolo unico. Di carattere chiuso, nonostante la forte carica comunicativa nei suoi ruoli pubblici, riservò la sua amicizia a pochissime persone tra cui Alfonso Pacifici, Riccardo Bachi, il cognato Riccardo Curiel, il presidente dell'Unione delle comunità israelitiche Felice Ravenna. Fra i suoi allievi vanno ricordati oltre a Enzo Sereni, lo storico Attilio Milano, Guido Tedeschi, Giorgio Romano e Augusto Segre, oltre al nipote Amos Luzzatto.
Trasferitosi nel 1956 a Venezia e poi a Padova, proseguì fino all'ultimo la sua attività giornalistica. Il L. morì a Dolo, presso Venezia, il 19 nov. 1965.
Tra le sue pubblicazioni si segnalano Il sionismo, Roma 1928; Nel solco della Bibbia, Bari 1937; Aspetti e problemi dell'ebraismo, Torino 1970.
Fonti e Bibl.: F. Pardo, L'ebraismo secondo B. Croce e la filosofia crociana, Firenze 1948; R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino 1961; Nel primo centenario della nascita di D. L., in La Rass. mensile di Israel, XLII (1976), n. 9-10 (numero monografico dedicato al L.); G. Luzzatto Voghera, D. L.: ebraismo, nazione e modernità prima della Grande Guerra (1898-1914), in Bailamme, 1991, n. 8, pp. 113-138; A. Luzzatto, D. L.: una presenza ebraica fra le due guerre, in Il Portavoce. Rass. bimestrale ADEI-WIZO, marzo-aprile 1991, pp. 10-13; D. Bidussa - A. Luzzatto - G. Luzzatto Voghera, Oltre il ghetto. Momenti e figure della cultura ebraica in Italia fra l'Unità e il fascismo, Brescia 1992, ad indicem.