VAGLIERI, Dante Vincenzo
– Nacque a Trieste il 31 maggio 1865 da Biaggio (sic) Varglien, tipografo originario di Zara, e da Rosalia Busetto, ricamatrice triestina, primogenito di altri quattro figli morti in tenera età.
Non si hanno notizie sui primi anni di formazione; dal 1875-76 Vaglieri (da allora il cognome originario risulta italianizzato, seguito talvolta in atti formali dalla precisazione «recte Varglien»: Morra, in Omaggio a Dante Vaglieri, 2014, pp. 12, 17 fig. 7) frequentò con profitto il ginnasio comunale superiore di Trieste, ove ebbe validi insegnanti (tra cui Guglielmo Braun, Pietro Mattei, Bernardo Benussi, Alberto Puschi) ricevendo un’aggiornata preparazione filologica di modello mitteleuropeo contrassegnata dall’uso della grammatica latina di Ferdinand Schultz e di quella greca di Georg Curtius. Conclusi nel 1883, a diciotto anni, gli studi secondari (riportando il giudizio «maturo con distinzione»: ibid., p. 13) si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’Università di Vienna, passando poco dopo a quella di filosofia; dal semestre invernale dell’anno accademico 1883-84 a quello estivo del 1884-85 seguì i corsi di Otto Hirschfeld (storia antica), Eugen Bormann (epigrafia) e Otto Benndorf (archeologia classica). In un contesto segnato da un crescente diffondersi di aspirazioni e rivendicazioni nazionalistiche, l’acuirsi del sentimento di italianità, forse anche «le inquisizioni della polizia austriaca» (menzionate ma non altrimenti documentate: S. Cella, Piccola Enciclopedia giuliano-dalmata, Gorizia 1962, p. 229; A. Trampus, Vie e piazze di Trieste moderna, Trieste 1989, II, p. 647), spinsero Vaglieri – come molti altri giovani triestini, istriani e dalmati – a proseguire gli studi in Italia.
Iscrittosi negli anni accademici 1885-86 e 1886-87 alla facoltà di lettere dell’Università di Roma entrò in sintonia con Ettore De Ruggiero – docente di archeologia, alternativamente di antichità greche e romane, come Hirschfeld e Bormann già allievo di Theodor Mommsen a Berlino – con il quale si laureò nel giugno del 1887 con una dissertazione pubblicata in quello stesso anno (Le due legioni adiutrici, Roma 1887). Grazie a De Ruggiero fruì di un assegno per il perfezionamento in epigrafia latina e antichità romane che gli schiuse la strada per ulteriori incarichi e lo indusse a stabilirsi definitivamente a Roma. Valendosi del patrocinio dell’avvocato Felice Venezian, figura eminente dell’irredentismo trentino, nell’agosto del 1888 chiese alle autorità austriache il nullaosta all’emigrazione «volendo acquistare per le necessità della sua carriera la naturalità italiana» (Morra, in Omaggio a Dante Vaglieri, 2014, p. 17 fig. 7); divenne cittadino italiano nel 1889 (registrato all’anagrafe di Roma con il doppio cognome Varglien Vaglieri, mai utilizzato).
L’intenso rapporto con De Ruggiero – suggellato dal matrimonio con la nipote Edvige Bongera (1861-1947) da cui nacquero Bice (maggio-giugno 1882), Laura (1893-1989, arabista), Bianca (1895-1978, insegnante, sposatasi nel 1918 con l’archeologo Renato Bartoccini), Attilia (1897-post 1974, architetta) – favorì l’instaurarsi di una stretta collaborazione fra maestro e allievo agevolandone la carriera. L’ingresso di Vaglieri nei ruoli della pubblica amministrazione con la nomina a «conservatore di 3ª classe dei musei e delle gallerie dello Stato» (r. decreto 28 settembre 1889) e l’assegnazione al Museo nazionale romano (decreto ministeriale 18 novembre 1889) furono infatti conseguenza dell’incarico di cooperare al riordinamento delle raccolte epigrafiche che andavano affluendo presso le Terme di Diocleziano conferitogli a titolo gratuito nel dicembre del 1888 da De Ruggiero, responsabile di quelle collezioni.
Frutto dell’intesa con il maestro fu anche la partecipazione dell’allievo alle importanti imprese editoriali promosse dall’antichista napoletano: il Dizionario epigrafico di antichità romane (Roma 1886), per il quale compilò più di quaranta voci, e la Sylloge epigraphica orbis romani, di cui curò i sei fascicoli del secondo volume, Inscriptiones Italiae continens (Roma-Lipsia, 1892-1894), pubblicazioni che aprirono al giovane epigrafista le porte dell’Università.
Abilitato per titoli alla libera docenza in antichità romane ed epigrafia latina presso l’Università di Roma (decreto ministeriale 5 dicembre 1893), vincitore del concorso a professore straordinario di epigrafia romana nell’Ateneo romano nel 1903 ne ebbe l’incarico di insegnamento per il 1903-04 e negli anni successivi; fu stabilizzato nel 1907. Nel 1910 chiese e ottenne la promozione a ordinario dietro parere favorevole della commissione chiamata a giudicare i suoi titoli (Giulio de Petra, Ettore Pais, Giulio Beloch, Ettore Stampini, Attilio De Marchi), unanime nell’apprezzare l’impegno profuso nell’attività didattica, la grande operosità, l’ampia informazione storico-antiquaria dei suoi scritti pur reputando nell’insieme poco originale la produzione in campo epigrafico.
Un ruolo rilevante De Ruggiero ebbe anche nell’introdurre l’allievo in una rivista di notevole prestigio – la bonghiana La Cultura nella quale Vaglieri fu titolare di una rubrica di recensioni (1892) e segretario di redazione (1896) – secondandone una propensione alla comunicazione e alla divulgazione esplicata intensamente e a lungo in vari altri organi di stampa (tra cui il Fanfulla della Domenica, la Rivista d’Italia, la Nuova Antologia) con profitto anche economico, tanto da dichiarare di potere rinunziare a incarichi ministeriali retribuiti poiché «la penna, grazie al cielo, mi frutta» (lettera a Carlo Fiorilli del 9 febbraio 1903: Delpino, in Omaggio a Dante Vaglieri, 2014, p. 23).
Nel servizio al Museo nazionale romano presso la sede delle Terme di Diocleziano Vaglieri passò dal grado iniziale di «conservatore di 3ª classe» (1889) a quello di «adiutore» (1891), «vice-ispettore» (1895), «ispettore» (1898) collaborando strettamente con la direzione via via affidata a De Ruggiero affiancato da Felice Barnabei (1889-92), al solo Barnabei (1893-97), a Giuseppe Gatti (1898-1900).
L’intenso lavoro svolto in quegli anni in un istituto che da deposito di materiali archeologici vari, tra cui non pochi epigrafici, andava acquisendo veste e dignità di grande Museo nazionale delle antichità romane è ben documentato dalla Guida del museo nazionale romano nelle Terme di Diocleziano pubblicata nel 1896 (senza indicazione di autore, ma opera di Lucio Mariani e di Vaglieri come precisato nelle edizioni del 1900 e del 1905). Considerevole fu anche l’attività esplicata in quegli anni in campo epigrafico: oltre alla ricordata impegnativa collaborazione al Dizionario e alla Sylloge epigraphica di De Ruggiero vanno menzionate le numerose note pubblicate a partire dal 1890 nelle Notizie degli scavi (tra cui Nuove scoperte nella città e nel suburbio, 1890, pp. 33, 283 s., 286; Di alcuni studi sulla serie degli Atti Arvalici e di un nuovo frammento di essi, 1892, pp. 267-272; Nuove osservazioni sopra gli Atti dei fratelli Arvali, 1897, pp. 309-322; Nuovi frammenti di tavole arvaliche, ibid.,1898, pp. 120-124; Di un nuovo frammento del così detto elogio di Turia rinvenuto sulla via Portuense, 1898, pp. 412-418) e in altre riviste scientifiche (Notizie di epigrafia romana, in Atene e Roma, I (1898), 4, coll. 194-200; Di una iscrizione romana che ricorda un centurione trecenario, in Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma, s. 5, XXVII (1889), pp. 42-50).
Incaricato nel gennaio del 1901 della direzione del Museo nazionale romano lasciò un mese dopo l’ufficio per l’intervenuta nomina a capo di gabinetto del ministro della Pubblica Istruzione Nunzio Nasi (Ministero Zanardelli, 15 febbraio 1901-3 novembre 1903). Nella nuova mansione si adoperò per l’incremento della presenza culturale italiana all’estero più volte da lui auspicato in articoli pubblicati sul Fanfulla della Domenica nei quali – in un’ottica dichiaratamente nazionalista tra Ottocento e Novecento largamente diffusa nella cultura antichistica italiana – rivendicava all’Italia un ruolo privilegiato nell’Africa mediterranea e nei Balcani quale ‘erede di Roma’ e della sua ‘funzione civilizzatrice’. Significative al riguardo le missioni governative svolte in Egitto nel 1901, in Montenegro e Albania nel 1902 (Scavi di Kom-es-Sciugafa. Ricordi di Alessandria, in Fanfulla della Domenica, XXIII, n. 34, 25 agosto 1901, p. 1; La festa degli amici nelle montagne albanesi, ibid., XXIV, n. 37, 14 settembre 1902, pp. 1 s.; Nell’alta Albania, in Rivista d’Italia, V (1902), 12, pp. 947-965) e, soprattutto, le pratiche compiute per la concessione all’Italia di una missione archeologica in Cirenaica cui anche Vaglieri avrebbe dovuto partecipare (D. Palombi, Rodolfo Lanciani: l’archeologia a Roma tra Ottocento e Novecento, Roma 2006, p. 201 n. 310, con bibl.).
Rivendicando la vitalità delle tradizioni dell’antiquaria italiana operò affinché nelle facoltà universitarie di lettere all’insegnamento dell’archeologia come storia dell’arte antica fosse affiancato quello di antichità (Archeologia o antichità?, in Bollettino della Associazione nazionale dei liberi docenti, 1902, p. 32), ampliando le possibilità di scelta degli studenti. Ebbe a vantare al riguardo di aver ottenuto nel collaborare con il ministro Nasi quanto si era prefisso da tempo: «la riforma della Facoltà di lettere e delle Scuole di magistero [...] tanto utile agli studi italiani che il nome del ministro resterà ad essa legato» (lettera a Carlo Fiorilli del 9 febbraio 1903: Delpino, in Omaggio a Dante Vaglieri, 2014, p. 23; quella riforma, contrastatissima, fu peraltro di brevissima durata: F. Colao, La libertà d’insegnamento e l’autonomia nell’università liberale: norme e progetti per l’istruzione superiore in Italia, 1848-1923, Milano 1995, pp. 350-358).
Terminato nel 1903 il distacco al gabinetto del ministro riprese servizio presso il Museo nazionale romano ottenendo nuovamente l’incarico della sua direzione, sottratto ad Angiolo Pasqui, con cui entrò in aspro conflitto; la terza edizione (1905) della citata Guida del museo nazionale romano nelle Terme di Diocleziano rende conto dell’assetto allora raggiunto dalle collezioni. A seguito di un’inchiesta che rivelò irregolarità nella gestione dell’istituto venne trasferito all’Ufficio per gli scavi e le scoperte di antichità del Regno competente anche sui monumenti del Palatino e di Ostia (decreto ministeriale 29 agosto 1906). Nel nuovo incarico intraprese con Adolfo Cozza nel 1907 ricerche sul Germalo ponendo in luce strutture e materiali protostorici la cui interpretazione come «capanne sepolcrali» di età romulea (Scavi al Palatino. IV relazione, in Notizie degli scavi, 1907, pp. 529-542) fu duramente criticata: interrotte bruscamente le indagini, venne trasferito a Ostia (decreto ministeriale 19 settembre 1907) e incaricato della direzione dell’Ufficio per gli scavi in quel territorio (decreto ministeriale 15 settembre 1908).
A Ostia Vaglieri diede il meglio della sua attività di archeologo avviando un piano organico di interventi da lui stesso sintetizzato in tre punti: completamento dello scavo e cura della conservazione complessiva degli edifici già parzialmente messi in luce nelle precedenti esplorazioni; ricongiungimento delle emergenze monumentali; esecuzione di indagini in profondità per individuare le più antiche fasi di insediamento e chiarire lo sviluppo diacronico della città.
Tra i contributi al riguardo, si vedano, in particolare: Gli scavi recenti a Ostia, in Nuova Antologia, s. 5, vol. 161, 16 ottobre 1912, pp. 529-546; I recenti scavi di Ostia antica, prefazione al volume di L. Paschetto, Ostia colonia romana, Roma 1912, pp. VI -XXVII).
La realizzazione di infrastrutture e servizi adeguati (alloggi per il personale, biblioteca, archivi grafici e fotografici, antiquarium, laboratorio di restauro, magazzini ecc.), la valorizzazione del personale (il soprastante Raffaele Finelli, il segretario Guido Veniali, i disegnatori Edoardo Gatti e Italo Gismondi, l’ispettore Guido Calza), la cura posta nella registrazione dei dati degli scavi (condotti nel solco della metodologia – ‘scavo dell’attenzione’ – introdotta da Giuseppe Fiorelli), l’ampio ricorso ai rilievi grafici e fotografici, l’impiego (mutuato da Giacomo Boni) del pallone frenato per effettuare riprese dall’alto sono tutti aspetti essenziali dell’impegno profuso in quella innovativa stagione di sistematiche ricerche ostiensi la cui attuazione non sarebbe stata possibile senza la disponibilità di regolari e via via crescenti dotazioni finanziarie ottenute in parte grazie agli accordi stipulati con il comitato Pro Roma Marittima per l’utilizzo delle terre e dei residui di scavo nei lavori infrastrutturali e di bonifica.
I puntuali rapporti (una settantina) pubblicati tra il 1908 e il 1914 nella sede istituzionale delle Notizie degli scavi e in altre riviste scientifiche e il volume Ostia: cenni storici e guida (Roma 1914) documentano i grandi progressi compiuti nel volgere di pochi anni nella conoscenza della storia di Ostia e nella valorizzazione delle sue antichità, progressi che ancora in corso d’opera ebbero il pieno apprezzamento di Jérôme Carcopino (Les récentes fouilles d’Ostie, 1907-1911, in Journal des savants, IX (ottobre 1911), pp. 448-468).
Fu ascritto a varie istituzioni accademiche estere: Istituto archeologico germanico (corrispondente, 1890, ordinario, 1902), Φιλολογικòς Σύλλογος Παρνασσòς di Atene (corrispondente, 1901), Istituto archeologico austriaco (corrispondente, 1901), Institut egyptien (corrispondente, 1901); nel 1913 venne insignito della commenda della Corona rumena.
Morì improvvisamente, a Ostia antica, la notte fra il 12 e il 13 dicembre 1913 nell’appartamento di servizio, ove era solito trattenersi a lungo, allestito nel castello di Giulio II.
Le esequie si svolsero nel pomeriggio del giorno seguente: avvolto nella bandiera istriana, il feretro, portato a spalla da operai e studenti, attraversò tutta la città antica lungo il decumano; la tomba è collocata nella chiesetta di S. Ercolano (in seguito luogo di sepoltura di altri archeologi legati agli scavi di Ostia).
Un elenco dei suoi scritti, incompleto quanto alle collaborazioni giornalistiche ma comprendente gli articoli pubblicati sul Fanfulla della Domenica, è contenuto nel Bollettino dell’Associazione archeologica romana, IV (1914), 1 (15 gennaio), pp. 25-27 interamente dedicato a Vaglieri, presidente di quel sodalizio dal 1911.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Divisione Arte antica, Personale (1860-1892), b. 31, f. 1703; Dir. generale antichità e belle arti, Divisione I, Personale cessato al 1956, b. 77, f. 197; Carte Fiorilli, b. 54, f. 1649; Biblioteca Angelica, Carteggio Barnabei, b. 432/1; Museo delle Civiltà - Museo dell’Alto Medioevo, Fondo arch. del personale della ex Soprintendenza archeologica di Ostia, f. Vaglieri, pos. Z1, attualmente irrintracciabile ma menzionato da P. Olivanti, D. V. alla direzione degli scavi di Ostia antica (1908-1913), in Ostia e Portus nelle loro relazioni con Roma, Atti del Convegno... 1999, a cura di C. Brunn - A. Gallina Zevi, Roma 2002, pp. 271-289 (in partic. pp. 272 s. note 11 s.).
Per le progressioni di carriera in ambito universitario e nell’amministrazione per le antichità e belle arti: Annuario del ministero della Pubblica Istruzione e Bollettino ufficiale del ministero della Pubblica Istruzione, ad annos (in relazione alle date dei vari provvedimenti e nomine); M. Bencivenni - R. Dalla Negra - P. Grifoni, Monumenti e istituzioni, II, Il decollo e la riforma del servizio di tutela dei monumenti in Italia, 1880-1915, Firenze 1992, ad indicem.
Profili e commemorazioni: Bollettino dell’Associazione archeologica romana, 15 gennaio 1914, n. 1 (in partic. i contributi di F. Tambroni, D. V., pp. 1-9; G. Calza, D. V. in Ostia, pp. 10-12; G. Costa, Ostia e l’Africa, pp. 13-15; le cronache dei funerali, pp. 28-31, e della commemorazione tenutasi a Roma il 2 gennaio 1914, pp. 31 s.). Per un più ampio profilo biografico e un’aggiornata valutazione delle attività svolte nell’ambito dell’amministrazione per le antichità e belle arti, in particolare a Ostia (mancano contributi sull’epigrafista e docente universitario): Omaggio a D. V. (1865-1913) nel centenario della scomparsa, Atti del Convegno, Roma... 2014, a cura di M. De Vico Fallani - E.J. Shepherd, in Bollettino di archeologia on-line, V (2014), 2 (con relazioni di C. Pavolini, Le ragioni di un incontro, pp. 3-8; R. Morra , D. V. tra Trieste, Vienna e Roma, pp. 9-18; F. Delpino, V. e l’archeologia del suo tempo: qualche nota, pp. 19-26; A Guidi - A. Salvatori, V. e lo scavo del Palatino: la polemica con Pigorini, pp. 27-34; P. Olivanti, «Con abnegazione, amore ed intelligenza»: D. V. a Ostia, 1908-1913, pp. 35-46; E. Rinaldi, I restauri ostiensi di V., pp. 47-54; M. De Vico Fallani, I giardini ostiensi di V. Brevi osservazioni a margine, pp. 55-64; E. Angeloni et al., Con l’occhio dell’archeologo: la fotografia a Ostia negli anni di V., pp. 65-76).