Danza
La danza è una forma d'arte dotata di un suo linguaggio specifico che pone vari problemi interpretativi. Gli stessi danzatori incontrano difficoltà a esprimere la loro arte in parole; le fotografie fissano il movimento in un'immagine statica; i coreografi devono ricorrere a un sistema di notazione estremamente complesso per registrarlo. Agli spettatori, anche quando abbiano una vasta esperienza delle varie forme di danza popolare e delle loro caratteristiche, non viene richiesto di esprimere le proprie valutazioni in parole. Ogni danza appartiene a una particolare area culturale e il rapporto che si stabilisce tra danzatori, musicisti e spettatori è un aspetto dell'esecuzione difficilmente trasmissibile agli estranei.Anche i tentativi di definire la danza sono risultati particolarmente deludenti. Analogamente alla religione, la danza sembra sfuggire a ogni possibilità di definizione, così come risulta praticamente impossibile tradurla in parole o in un'altra forma d'arte.Un possibile approccio per comprendere questo fenomeno tanto elusivo consiste nel prendere in considerazione il più ampio contesto sociale e culturale al quale la danza appartiene, e ciò implica un'indagine antropologica ad ampio raggio.
La danza assume un'importanza particolare in cerimonie rituali di cui spesso costituisce uno degli elementi centrali sia per gli spettatori che per gli interpreti. Essa si fonde con il rituale e di conseguenza l'antropologia del comportamento rituale è strettamente connessa con l'antropologia della danza: pertanto, ogni analisi del rituale è, almeno in parte, una analisi della danza. Se si tiene presente questo fatto, si può notare che la letteratura sull'antropologia della danza, come complemento di quella assai vasta sul rituale, è assai più ricca di quanto comunemente si creda.Negli studi antropologici le tecniche e i tecnicismi della danza restano oscuri, ma il suo contesto è in genere specifico e allo stesso tempo essenziale per comprendere quale ruolo la danza riveste sia per il danzatore che per la società in generale.
Un tentativo pionieristico di indagare la natura della danza fu intrapreso da Curt Sachs (v., 1933) nella sua Storia della danza. La tesi da lui sostenuta, secondo la quale la vera essenza della danza è contenuta nelle forme più primitive, era sostanzialmente intuitiva e Sachs non mostrò alcun interesse per la danza delle zone più remote, né si curò di esaminare gli studi etnografici esistenti sull'argomento. La sua tesi evoluzionistica, inoltre, si basava su ipotesi puramente speculative del XVIII secolo, derivate da Rousseau e abbandonate dagli antropologi già da molti anni.
Tuttavia questa intuizione condusse Sachs in una direzione analoga a quella del sociologo Émile Durkheim (v., 1912), il quale nella sua indagine sui principî fondamentali della religione era andato alla ricerca di una fonte di ispirazione ugualmente primitiva e remota. Quest'ultimo però aveva studiato con maggiore attenzione le testimonianze riportate nelle prime ricerche antropologiche sugli Aborigeni australiani, e le sue opere, sebbene non siano incentrate sulla danza, sono di fondamentale importanza anche in questo campo. Nei suoi scritti alcuni dei passi più interessanti sul comportamento religioso sono quelli relativi alle cerimonie in cui la religione viene espressa attraverso la musica e la danza. La cerimonia nella quale gli Aborigeni, riunitisi stagionalmente in gran numero e da grandi distanze, manifestavano la percezione delle forze spirituali che sembravano emanare dalla collettività era una danza, ed era proprio danzando tutti insieme che essi sperimentavano quel timore del sacro che Durkheim interpretava come la percezione della forza morale della società stessa. C'è un netto contrasto tra l'inferenza speculativa di Sachs e l'interpretazione dei dati empirici di Durkheim. Sachs riteneva che la danza nella sua forma più pura favorisse un'autentica estasi e uno stato d'animo di completo distacco che era possibile raggiungere soltanto nelle società più remote e meno evolute. Durkheim, invece, richiamava l'attenzione sul fatto che proprio tra queste popolazioni più remote si ha la prova più evidente dell'esistenza di forti legami collettivi e di un sentimento di unione tra i danzatori. L'elemento dell'estasi religiosa, il superamento dei limiti, la stessa trasformazione del tempo riflettono un atto di comunione piuttosto che di distacco.La danza, in altri termini, non deve essere considerata solo come un'esperienza esclusivamente personale, ma anche come un fenomeno sociale; ed è la natura della società a fornire un elemento importante per la sua comprensione. Come sosteneva Durkheim, non si tratta di rifiutare le interpretazioni psicologiche, quanto piuttosto di sottolineare la rilevanza del contesto sociale.È opportuno a questo punto individuare i vari tipi di spiegazione proposti per interpretare il fenomeno della danza.
Le interpretazioni psicologiche generalmente sono state formulate in termini di catarsi: si ritiene cioè che la danza serva a sciogliere la tensione in situazioni di difficoltà o di ambiguità. Questa interpretazione è senz'altro pertinente nelle situazioni in cui un senso di incombente sciagura grava sulla comunità, ed è stata utilizzata, per esempio, nelle analisi delle 'epidemie di danza' dell'Europa medievale (v. Backman, 1945). Essa è stata generalmente utilizzata per spiegare la mania del ballo negli anni venti di questo secolo o quella che in tempi recenti si è manifestata tra gli adolescenti (v. Rust, 1969). Anche Evans-Pritchard (v., 1928, p. 458) ha fatto ricorso a questo tipo di spiegazione in quello che è uno dei primi saggi sulla danza scritti da un antropologo: alla danza della birra (beer dance) dei giovani Azande, per esempio, viene attribuita la funzione di convogliare le forze del sesso entro canali socialmente inoffensivi. Una descrizione molto vivida, che si presta a questo tipo di interpretazione, è quella fornita da Lorna Marshall (v., 1969) nella sua analisi della danza della medicina dei Boscimani !Kung dell'Africa meridionale. La danza, che riunisce durante la notte tutti i membri della comunità locale allo scopo di scongiurare le minacce di malattia e di morte, inizia senza formalità; le donne forniscono il sottofondo musicale cantando e battendo le mani. Poi, via via che sale il livello di coinvolgimento emotivo, gli uomini danzano all'interno del cerchio illuminato dal fuoco fino ad arrivare a uno stato di trance e impongono le mani sugli altri per cacciare da loro ogni tipo di malattia. Essi esercitano il loro potere all'interno del cerchio illuminato dal fuoco mentre, al di là di questo cerchio, nell'ombra, pensano che siano in agguato gli spiriti responsabili delle sciagure. La danza dura per tutta la notte raggiungendo due o tre volte l'acme, fino a che l'alba fa recedere le ombre, lasciando nella comunità un senso di sollievo poiché la sventura incombente è stata esorcizzata.
Un approccio diffuso alla danza popolare è quello che sottolinea la sua dimensione ludica: la danza, cioè, è vista come un equivalente adulto delle più spontanee forme di gioco infantile. Questo approccio induce a cercare una spiegazione psicologica, a individuare, cioè, qualche fondamentale elemento che liberi la personalità profonda intrappolata sotto gli strati deposti dall'educazione. La danza, con il suo linguaggio alternativo, è in questo caso vista come una controparte della vita adulta quotidiana. Le danze nuziali dei Samburu del Kenya suggeriscono una ulteriore elaborazione di questo approccio: la danza viene considerata dal punto di vista del processo che si viene svolgendo al suo interno e, al fine di giungere a una comprensione più profonda, si attribuisce grande importanza alla socializzazione e al più ampio contesto sociale (v. Spencer, 1985, pp. 143-156). È utile a questo punto esaminare queste danze più nel dettaglio per illustrare i vari tipi di danza che una determinata cerimonia può stimolare e per comprendere il significato più profondo conferito alla danza dal contesto sociale. I guerrieri Samburu e le fanciulle con le quali essi si uniscono appartengono a sfere molto diverse. La danza li unisce ma, nello stesso tempo, mette in luce le distanze tra i loro stili e orientamenti di vita. Le danze nuziali dei Samburu sono eseguite in un momento di particolare tensione, quando una fanciulla viene portata via al suo amante guerriero e maritata, con un matrimonio combinato, a un uomo più anziano: ogni matrimonio è quindi una dimostrazione del potere dei più anziani sulla vita e le azioni dei giovani, inclusi i guerrieri. La danza nuziale si sviluppa a partire da un'atmosfera estremamente tesa, attraverso una serie di fasi ognuna delle quali ha lo scopo di allentare la tensione. Nella fase iniziale i guerrieri competono con canti e danze per superarsi l'un l'altro e ignorano le fanciulle che restano semplici spettatrici. Ma i guerrieri sono particolarmente sensibili a ogni più piccolo aumento - o diminuzione - di prestigio conquistato superando i rivali nel canto e nella danza di fronte alle fanciulle. Per convenzione, essi non debbono lottare ma, nella tensione della danza, può accadere che comincino a tremare di collera. Il tremito può diffondersi al punto da provocare spesso una perdita di coscienza in seguito a un violento attacco convulsivo. Talvolta, e senza alcun preavviso, viene meno l'autodisciplina che ci si attende dai guerrieri: un'involontaria gomitata o un'esagerata vanteria può indurre un rivale a reagire a colpi di randello e la cosa può finire in una rissa generale. La crescita della tensione è così arrivata a un livello tale da trasformare radicalmente la natura dell'evento e solitamente, in questo caso, la danza viene abbandonata. Tali incidenti sono rari, ma il livello di tensione di questa prima fase è tale che nessuno è in grado di prevedere come la danza si evolverà: se riuscirà a superare l'acme e a passare quindi alla fase successiva, se degenererà in una lotta, se non arriverà al punto culminante del tremito e quindi si esaurirà poco a poco. Se la prima fase si è completata con successo, inizia la seconda, allorché le fanciulle si uniscono al canto e alla danza formando un gruppo serrato che fronteggia i guerrieri. Questi ultimi adesso sono uniti e non sono più in preda al tremito né rivaleggiano fra loro. Sussiste ancora uno spirito di competitività, ma adesso è tra i due sessi che si scherniscono a vicenda come gruppi di rivali alla pari. Questa competitività scompare nella terza fase, che dà luogo a cori senza parole, più ritmati; i due gruppi cominciano a mescolarsi tenendosi per mano e saltando in circolo. Via via l'imbarazzo che ha tenuto divisi i due gruppi di pari si attenua, e in margine alla danza si viene sviluppando, tra i guerrieri e le fanciulle, un elemento ludico non strutturato. Questo esempio rivela assai chiaramente il processo di allentamento della tensione e inoltre suggerisce la presenza di una sorta di regressione verso un comportamento infantile. In altri termini, il processo si configura come un ripercorrere al contrario le fasi della crescita: dapprima i giovani si presentano come guerrieri in un mondo adulto, poi si ha la formazione di gruppi di pari in imbarazzo di fronte alle fanciulle, come nell'adolescenza, infine una perdita crescente delle inibizioni nel gioco. L'allentamento della tensione in fasi successive rappresenta la progressiva liberazione dai diversi livelli di condizionamento culturale imposti durante i primi stadi di sviluppo. I Samburu definiscono la danza come un 'gioco', ma nel contesto di un matrimonio il carattere di gioco spontaneo emerge solo dopo un lungo processo che sembra ripercorrere a ritroso il corso dello sviluppo fino all'infanzia.
Le interpretazioni psicologiche lasciano però irrisolto un aspetto rilevante relativo alla danza, poiché non riescono a spiegare la varietà delle culture e neppure la varietà dei tipi di danza o la ricchezza di aspetti che la caratterizzano. Tale problema fu rilevato da Sachs (v., 1933, p. 12), il quale osservò che, se la danza fosse un'espressione necessaria dell'eccesso di energia e di gioia di vivere presso tutta l'umanità, "sarebbe di scarso interesse per l'antropologia e la storia sociale. Se però si dimostra che una predisposizione ereditaria si sviluppa in modi diversi nei diversi gruppi e che la direzione in cui si esplica è connessa ad altri fenomeni della civilizzazione, allora la storia della danza sarà di grande importanza per lo studio del genere umano". Le spiegazioni psicologiche da sole non rendono ragione della varietà delle risposte umane entro una varietà di contesti culturali. La psicologia fornisce un possibile livello esplicativo per certi tipi di danza, ma ha bisogno di essere integrata da altri livelli esplicativi. Sarà perciò opportuno rifarsi alla posizione di Durkheim - che considerava limitata la spiegazione psicologica - dalla quale si è sviluppata la nozione di funzionalismo.
Radcliffe-Brown, il più importante seguace della linea di pensiero di Durkheim, fece della danza l'elemento centrale della sua analisi del comportamento rituale presso gli abitanti delle Isole Andamane (v. Radcliffe-Brown, 1922). A suo avviso, il mantenimento dell'ordine sociale dipende da sentimenti condivisi e la funzione della cerimonia, in particolare della danza, è quella di rafforzare e trasmettere questi sentimenti. Egli riteneva che una serie di danze degli Andamanesi fossero, più di ogni altra attività, momenti altamente sociali strettamente connessi con sentimenti condivisi. I danzatori, uniti in un'attività collettiva, rispondono a questi sentimenti e li intensificano. Sentimenti morali e rapimento estetico, senso di bontà e di bellezza si combinano nella suprema espressione dell'unità del gruppo attraverso la danza. Altri studiosi che hanno analizzato la danza come mezzo per promuovere l'ordine sociale hanno approfondito questo tema. Per esempio le danze di iniziazione, che conducono all'acquisizione di comportamenti adulti, vengono spesso fatte rientrare in questa categoria (v. Blacking, 1985; v. Hanna, 1978, p. 5), così come le danze associate con l'idea di unità nazionale (v. Blacking, 1973; v. Gluckman, 1963). Poiché stimola emozioni e atteggiamenti che contribuiscono all'ordine sociale, si ritiene che la danza abbia la funzione di integrare nella società.
L'intensità di queste danze non è spontanea né può essere garantita. Come è stato rilevato nel caso delle rappresentazioni nuziali dei Samburu, una determinata danza ha una sua specifica evoluzione interna che genera da se stessa la propria acme; se ciò non accade, l'occasione si trasforma in una non danza e gli esecutori frustrati si disperdono. Durkheim (v., 1912) aveva rilevato un analogo incremento graduale di eccitazione in relazione all'estasi religiosa (attraverso la danza) e Radcliffe-Brown (v., 1922, pp. 252-253), sempre in riferimento alle danze degli Andamanesi, osservava: "Allorché il danzatore si perde nella danza e viene assorbito nella comunità unificata, raggiunge uno stato di esaltazione nel quale si sente colmato di un'energia o di una forza che trascende il suo stato normale, ed è capace di prestazioni prodigiose". In altre parole, l'aspetto 'integrativo' della danza non può essere dato per scontato. Essa è integrativa solo nella misura in cui si crea un rapporto tra tutti coloro che vi sono coinvolti, compresi i musicisti e gli spettatori. Un insieme di singoli individui deve realizzare uno spettacolo concertato, che agirà poi come una calamita attirando gli altri. La cerimonia deve progressivamente aumentare di intensità, spesso fino al verificarsi di fenomeni di possessione e altre forme di estasi che si riferiscono ad aspetti della vita comunitaria. In questo caso quel momento culminante che si crea nella danza non è altro che il processo generatore della vita comunitaria stessa. La danza è significativa nel contesto della sua esecuzione e all'interno di una determinata comunità può essere percepita come l'essenza della vita sociale sperimentata al suo livello più alto (v. Langer, 1953; v. Spencer, 1985, pp. 15-21).
Nella misura in cui certi tipi di danza generano solidarietà sociale è necessario considerare quest'ultima come riferita a un determinato gruppo sociale e associata frequentemente a sentimenti di ostilità nei confronti di alcune specifiche categorie di estranei. Coesione interna e conflitto esterno sono due aspetti della stessa situazione. Ciò diventa particolarmente rilevante quando si prendono in considerazione danze di gruppo nelle quali la caratteristica predominante è quella della competizione tra gruppi. Questa competizione può essere vista in termini di una segnalazione di confini in cui si inscena la rivendicazione di una determinata area nei confronti di estranei, senza che si arrivi alla violenza. Il confine tra la danza e la violenza in tali situazioni è spesso labile, come dimostra la fase iniziale della danza nuziale dei Samburu, descritta in precedenza, quando i guerrieri di clan rivali gareggiano per la supremazia in presenza delle loro fanciulle e c'è sempre la possibilità, sia pur remota, di una rissa. Questo aspetto è stato messo in evidenza ancor più chiaramente dalla danza dei Maring di Papua, Nuova Guinea, dove la pressione demografica ha dato origine a imponenti manifestazioni di danza che rappresentavano un'esibizione di forza e aggressività per intimorire i rivali e indurli a disperdersi pacificamente (v. Rappaport, 1967, pp. 26-27). Una situazione simile è stata descritta per le dimostrazioni di aggressività delle danze eseguite nelle feste organizzate dagli Yanomamö nell'alta Amazzonia (v. Chagnon, 1968, pp. 109-111). In tali danze è coinvolto lo status: la danza è un'esibizione di forza fisica ed è possibile, anche se raro, che si arrivi alla violenza se, per riaffermare o ridefinire i confini, la tensione sale oltre un certo limite.
C'è un interessante contrasto tra le danze che manifestano solidarietà sociale agli estremi opposti di società dominate dalle differenze di classe. Nelle danze di corte associate con le élites dominanti, come nella tradizione Hawaii, in Ruanda o perfino nell'Europa del XVIII secolo, la raffinatezza della danza escludeva efficacemente gli arrampicatori sociali diminuendo la possibilità di una competizione diretta, e dava luogo a una reale dimostrazione di coesione tra i privilegiati rinforzando le barriere fra i gruppi sociali (v. Kealiinohomoku, 1979, p. 50; v. Maquet, 1961, pp. 117-118; v. Rust, 1969, p. 60). Per coloro che sono relegati al fondo della gerarchia sociale, invece, le danze dimostrative, in forma di carnevale o di mascherate, possono assumere una connotazione più apertamente 'politica'. In questo caso le forme popolari di danza possono essere usate per creare un ampio seguito tra gli oppressi, senza arrivare a un confronto diretto che potrebbe essere controproducente, sia provocando una risposta autoritaria, sia richiamando pochi seguaci e rivelando così una sostanziale debolezza. Il richiamo al popolo attraverso la danza può tuttavia diventare una notevole dimostrazione di potere con implicazioni a lungo termine. Il ruolo della danza nello sviluppo dei movimenti popolari è stato rilevato nel caso della Nigeria durante il periodo coloniale (v. Hanna, 1977). Questo tipo di danza dimostrativa è ben illustrato dall'annuale carnevale organizzato a Notting Hill, a Londra, dalla minoranza etnica emarginata degli immigrati dalle Indie Occidentali. Questo carnevale, come ha dimostrato Abner Cohen (v., 1980), riesce a donare una valenza estetica ai simboli della povertà di questa gente, quali ad esempio vecchie latte di benzina finemente 'accordate' e messe a punto per creare gli intensi ritmi di danza di una steel band, che trasformano l'occasione in un'esibizione incomparabile di musica, colore e danza riuscendo a guadagnarsi ampia popolarità. Ma al fondo di questa esibizione vi è una protesta contro la condizione di sfruttamento in cui tali minoranze si trovano e il ricordo storico del carnevale nelle Indie Occidentali che celebra la riuscita rivoluzione del secolo scorso a Trinidad.
Così, ai due estremi della scala gerarchica, la danza viene vista come una manifestazione di solidarietà mettendo in rilievo l'inattingibile esclusività dell'élite all'estremo superiore, e l'imponente esibizione di coesione popolare e di forza potenziale tra gli emarginati.La danza può sempre essere vista come una forma di marcatura dei confini in una situazione che in altre circostanze potrebbe diventare politicamente esplosiva. In questo caso la danza è più che una semplice forma d'arte, o piuttosto è proprio il fatto di essere una forma d'arte che le dà la forza di un richiamo di massa che in talune circostanze potrebbe servire da catalizzatore nel risvegliare il potere delle masse. Questo tipo di danza serve a esprimere lo status politico, lo scontento, e anche la capacità di mobilitare forze imponenti. Come ha dimostrato Terence Ranger (v., 1975) riferendosi alle danze popolari dell'Africa orientale, l'ardore di leaders ispirati nell'organizzare elaborate e disciplinate danze dimostrative è un fattore assai rilevante della capacità di organizzare forme più esplicite di protesta politica.
La danza come forma di arte popolare diretta contro l'autorità politica esemplifica nel modo più chiaro due nozioni di Victor Turner (v., 1969): quella di communitas e quella di antistruttura. Turner sottolinea che la struttura delle cerimonie rituali è spesso in contrasto con la struttura di potere della vita quotidiana, particolarmente quando la stessa esistenza umana è in qualche modo minacciata. Di fronte ai disastri naturali i confini tra i gruppi sociali o tra le élites e i sottoposti si rivelano fragili. Problemi di mortalità, di sterilità, di epidemie e di carestie uniscono tutti. È questa la communitas che costituisce spesso un aspetto del comportamento rituale, scavalcando le differenze sociali e legittimando un certo grado di protesta popolare contro chi detiene il potere. Questa struttura alternativa del mito e del rituale implica un'opposizione di idee piuttosto che di persone. L'importanza della danza in tali occasioni risiede precisamente nella sua capacità di unire danzatori e spettatori in un unico gruppo - ma in questo caso non si tratta di solidarietà contro gruppi rivali, bensì contro la minaccia del cosmo stesso. Gli spiriti in agguato nell'ombra durante la danza della medicina dei !Kung sono espressioni di tali forze cosmiche che minacciano i danzatori, ed essi li debbono tenere a bada danzando fino a che non siano dispersi dalle luci dell'alba. In tali danze è spesso presente l'idea di possessione da parte di spiriti che, pur essendo al di fuori della società, sono tuttavia strettamente associati con le fortune e le sfortune dell'individuo. In altre occasioni la nozione di communitas si combina con quella di solidarietà contro i potenti secondo un rituale di ribellione che si esprime attraverso la danza, nella quale le ambiguità del potere sono associate con le ambigue e potenti forze della natura (v. Gluckman, 1963).
È in questo contesto che ci si può accostare all'analisi delle danze sceniche che rappresentano temi drammatici. È opportuno, anche in questo caso, fare riferimento a un esempio: le mascherate dei Kalabari della Nigeria sudorientale descritte da Robert Horton (v., 1963). La caratteristica principale dei Kalabari è la competitività aggressiva della loro vita quotidiana; essi credono nell'esistenza di antenati rivali che istigano le varie stirpi all'antagonismo, e di spiriti dell'acqua straordinariamente combattivi che sono stati parzialmente ammansiti e che influenzano i destini degli uomini. Contro questa competitività ogni villaggio ha un gruppo di danza maschile, all'interno del quale è dato particolare rilievo all'ordine, alla cooperazione, all'armonia. I membri più influenti di questi gruppi sono quelli che, per inclinazione, risultano i meno competitivi. Compito primario di ogni gruppo è allestire, durante la stagione in cui le attività agricole hanno una pausa, uno spettacolo composto da trenta o più rappresentazioni in maschera. Le donne hanno il ruolo di spettatrici e si lasciano coinvolgere dall'atmosfera festiva. Paradossalmente l'argomento delle mascherate è quello delle azioni maligne degli spiriti dell'acqua. Si ritiene che siano questi spiriti competitivi a ispirare la creatività e gli stessi spettacoli, suggerendo i soggetti, ispirando i danzatori e possedendoli quando lo spettacolo arriva al culmine, cosicché ciò che si vede in scena sono gli spiriti dell'acqua che impersonano se stessi. Si ha così una interessante interazione, nell'ambito della danza, tra competitività e cooperazione. Il soggetto delle rappresentazioni e la convinzione di essere posseduti dagli spiriti dell'acqua riecheggiano la competitività della vita quotidiana, ma l'atmosfera in cui la mascherata è rappresentata è quella di una generale armonia. È come se, nella loro stagione di riposo e di svago, i Kalabari mettessero in ridicolo e deplorassero il proprio modo di vivere - la parodia di se stessi in altri momenti - trasformato in una forma di spettacolo. Tuttavia nello stesso tempo essi manifestano la loro venerazione per gli spiriti dell'acqua che influenzano così fortemente la loro vita. Come interpreti e come spettatori essi mettono in ridicolo la competitività, e tuttavia le rappresentazioni rafforzano l'ideale competitivo della loro esistenza normale. L'elaborazione in chiave estetica cui la danza si presta innalza il tema della competizione a un livello più alto, al di sopra dell'esperienza quotidiana, e tuttavia intellegibile attraverso quella esperienza.Nelle danze sceniche generalmente gli spettatori così come i danzatori sospendono la loro normale esistenza per vedere lo spettacolo a un diverso livello, uniti nella partecipazione all'evento e spesso consapevoli solo intuitivamente della sua attinenza col loro stile di vita in tempi diversi dal momento presente. Espressa spesso in termini di esseri mitici o fittizi dotati di poteri soprannaturali, la fonte della loro stupefazione e lo stesso linguaggio attraverso cui essa si esprime derivano dalla loro società. Il linguaggio ambiguo della danza si presta a interpretazioni alternative da parte dei coreografi, dei danzatori e degli spettatori.
L'ultimo approccio di cui ci occuperemo è in qualche modo il più inconcludente, sebbene sia quello che ha maggiormente attirato l'attenzione negli anni recenti. Esso considera il linguaggio della danza come analogo al linguaggio verbale, con le sue strutture profonde e le sue forme sintattiche, ed è particolarmente promettente in relazione ai temi precedentemente trattati della danza come spettacolo. Si sono cercati dei paralleli tra la danza e il linguaggio verbale: la danza in generale, con il suo insieme strutturato di possibilità e con il suo potenziale creativo; le danze in particolare, con la loro forma strutturale di fondo; infine la danza come attività di gruppo, con le sue modalità di comunicazione non verbale (v., ad esempio, Martin e Pesovar, 1961; v. Royce, 1977, pp. 192-211; v. Williams, 1978; v. Hanna, 1979). Questo però ci riconduce al problema degli aspetti non articolati della danza. Là dove la danza come spettacolo ha un suo codice sufficientemente esplicito, come nei Tonga (v. Kaeppler, 1972), per definizione questo codice non è una struttura profonda. Se invece il codice è implicito e il linguaggio particolarmente non articolato, il problema di un'indagine più approfondita rispetto al livello di questo linguaggio è una questione di interpretazione personale e non può trovare una risposta definitiva. Gli stessi danzatori non riescono a esprimere tutto ciò in parole e, come ha rimarcato Best (v., 1978), alcuni tra gli studi meno soddisfacenti sulla danza sono proprio quelli in cui è stato fatto un tentativo di questo tipo.
Al fondo di questa ricerca di strutture nascoste sembra esservi una profonda incomprensione tra coreologi e studiosi di scienze sociali comparate interessati alla danza. Generalmente i coreologi sostengono che, per comprendere le possibilità fisiche del movimento umano e l'esperienza del danzatore, è necessaria una preparazione coreografica completa. D'altro canto gli studiosi di scienze sociali comparate, come gli antropologi, hanno un altro tipo di formazione che prevede un gran numero di tecniche specifiche, e il numero di competenze in altri campi che essi possono acquisire è limitato. Tuttavia sussiste anche un interessante parallelo tra ciò che queste divergenti specializzazioni cercano di fare: nella misura in cui coreografi e danzatori si sforzano di interpretare l'esistenza umana e di esprimerla entro i limiti dei loro ideali culturali, essi selezionano l'esperienza e distorcono la realtà per affermare il proprio punto di vista. La stessa danza è una distorsione strutturata del comportamento normale. Allo stesso modo gli antropologi cercano di interpretare e pertanto devono necessariamente selezionare, strutturare e anche distorcere quando costruiscono i loro modelli dell'esperienza umana per tentare di comprenderla. Questo è nella natura di ogni scienza, e le scienze sociali non sono un'eccezione. I coreografi, gli artisti e gli scienziati sociali in generale, nella misura in cui cercano di interpretare, sono obbligati a seguire strade simili sebbene i loro scopi e i loro linguaggi siano diversi.Si torna così all'affermazione iniziale, ovvero che la danza diventa comprensibile entro il suo contesto rituale e ogni struttura più profonda deve essere posta in relazione con la struttura profonda di tale contesto. Nessun singolo livello esplicativo - psicologico, funzionale e strutturale - può bastare a spiegare la danza, mentre tutti possono avere importanza. L'antropologia della danza non è appannaggio esclusivo di una scuola di pensiero e neppure dei coreologi. Essa nasce dalla etnografia della danza nel suo contesto rituale e può contribuire alla nostra comprensione del comportamento rituale. La danza è una forma di comportamento rituale e ogni studio della danza è anche, necessariamente, uno studio del rituale.
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