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DĀR al-ḤARB

di Carlo Alfonso Nallino - Enciclopedia Italiana (1931)
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DĀR al-ḤARB

Carlo Alfonso Nallino

Espressione araba divenuta tecnica nel diritto musulmano, la quale significa "sede della guerra" e designa il complesso dei territorî soggetti a dominio non islamico e non abitati da musulmani; il resto del mondo costituisce il dār al-islām (v.) o "sede dell'islamismo". L'infedele del dār ḥarb, cioè non suddito dello stato musulmano, si chiama (ḥarbī (vocabolo tradotto con hostis nelle versioni ufficiali francese e italiana del Codice dello statuto personale musulmano egiziano del 1875); i suoi beni e la sua persona sono fuori legge e quindi leciti a qualsiasi musulmano, a meno che egli penetri in territorio musulmano munito di amān (v.) o salvacondotto; in questo caso diventa musta'min "che ha ricevuto sicurtà", ma se prolunga senza interruzione per oltre un anno la sua dimora in terra islamica si trasforma in dhimmī (v.), ossia infedele suddito dello stato musulmano. Il dovere del capo dello stato islamico, quando abbia la forza necessaria, è di muover guerra ai territorî del dār al-ḥarb e conquistarli, salvo che con essi esista trattato di tregua; la pace perpetua con essi è inammissibile. Se un territorio abitato da musulmani cade in potere definitivo degl'infedeli, senza che vi sia speranza di riscossa, esso diventa dār al-ḥarb e i suoi musulmani hanno l'obbligo di emigrare, secondo il diritto classico; ma, dopo l'occupazione europea di territorî musulmanî in Asia e in Africa nel sec. XIX, alcune fatwà compiacenti, provocate dai governi francese e inglese, hanno mitigato questa teoria e affermato che un territorio del dār al-islām occupato permanentemente da infedeli non diventa dār al-ḥarb finché ai musulmani vi sia lasciata la libertà di culto e l'osservanza del loro statuto personale (famiglia, successioni, waqf e materie connesse). Le molte questioni concernenti il dār al-harb sono trattate nei libri giuridici musulmani nel capitolo sul gihād (v.) o guerra santa.

Bibl.: D. Santillana, Istituzioni di diritto musulmano malichita, Roma 1926-1931, I, pp. 64-68, 76; W. Heffening, Das islamische Frendenrecht, Hannover 1925; ‛Abdu 'r-Raḥīm, I principî della giurisprudenza musulmana, trad. di G. Cimino, Roma 1922, pp. 481-484 (utile per la giurisprudenza ḥanafita tarda). Per una speciale dottrina ḥanafita sul "divario fra i due territorî", che ha curiosi riflessi sul diritto successorio e su alcune moderne scappatoie giuridiche in materia di contratti altrimenti illeciti, C.A. Nallino, Delle assicurazioni in diritto musulmano ḥanafita, in Oriente moderno, VII (1927), pp. 446-471.

Vedi anche
dhimmī Suddito non musulmano di uno Stato islamico, munito di un patto di protezione ( dhimma): tale categoria comprende solo i seguaci di religioni con libri sacri che anche i musulmani riconoscono per rivelati, cioè ebrei, cristiani e zoroastriani. hanafiti Seguaci della scuola musulmana di rituale e di diritto basata sugli insegnamenti di Abu Hanifa (m. 767 d.C.). È considerata la più liberale tra le quattro scuole ortodosse dell'islam. La scuola degli h., nata in Mesopotamia, fu imposta nel 19° sec. a tutti i tribunali dell'Impero ottomano e attualmente ... al-Musta‛īn Califfo abbaside (sec. 9º), che regnò dall'862 all'866. Il suo breve regno si svolse tutto nella lotta col cugino al-Mu῾tazz e fra gli intrighi dei generali turchi Waṣīf e Bughā. Riportò (865) la residenza califfale da Sāmarrā a Baghdād, ma poco dopo fu costretto ad abdicare e ucciso. fatwā Risposta fornita a un giudice musulmano da un giurisperito (faqīh) su un quesito presentatogli per sapere se una certa fattispecie sia regolamentata dalla sharī‛a e quali siano le modalità per applicarne il disposto. In questo caso il faqīh viene detto muftī. I tribunali sciaraitici, attualmente non ...
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