DARDUIN
Famiglia di vetrai attivi a Murano dal sec. XVI.
Il capostipite Enrico di Arduino (Rigo de Arduin nelle carte muranesi: da qui il soprannome Rigo, attribuito per secoli ai membri della famiglia) era tedesco, ligator vitreorum, cioè mediatore tra i mercanti tedeschi ed i produttori muranesi di vetro. Accasatosi a Murano verso la fine del sec. XV, ebbe tre figli, Nicolò Marco e Vincenzo.
Vincenzo (m. 1564) ebbe cinque figli, Giovanni, Nicolò, Girolamo, Paulo, Bortolo. Furono i discendenti di Vincenzo, e più precisamente i discendenti dei figli Giovanni, Nicolò e Bortolo, ad occupare un posto non trascurabile nella comunità isolana e nella storia vetraria muranese. I D. scelsero all'occasione come stemma familiare uno scudo con due dardi incrociati diagonalmente, ricorrendo ad una figurazione suggerita dal loro stesso cognome. Soltanto Girolamo e Bortolo di Vincenzo, Andrea e Francesco di Giovanni, risultano iscritti nel Libro d'oro dei cittadini muranesi, ma anche gli altri esercitarono senza ostacoli l'arte vetraria nell'isola.
Tra i discendenti del primogenito di Vincenzo, Giovanni (1533-1583), padrone di fornace, a cui risalgono i D. muranesi dei nostri giorni, vanno ricordati un Francesco (m. 1578),espatriato a Faenza nel 1621 e presente a Roma nel 1636 a fabbricare cristalli e specchi; un Giovanni (1616-1688), attivo ad Anversa nel 1641; un Piero (1645-1688), attirato a Parigi dal Colbert nel 1665 ma subito rimpatriato; ed un Pietro (m. 1748),deputato della Comunità muranese nel 1747. A questa sua carica si deve la presenza dello stemma dei D. sulla osella muranese di quell'anno, dopo che, grazie ad un non ancora identificato camerlengo Darduin, esso era stato impresso sulle oselle degli anni 1674, 1675, 1676 (sulle oselle commemorative venivano infatti impressi, insieme con gli stemmi del doge e del podestà di Murano, quelli del camerlengo e dei deputati della Comunità muranese).
Tra i discendenti di Bortolo di Vincenzo, giunti fino alla prima metà del sec. XIX, si ricorda il nipote Domenico (1618-1683), che ebbe rinomata fornace all'insegna delle "Due Fortune", gestita con eguale successo dal figlio Giacomo (1655-1715).
Nicolò, di Vincenzo (1546-1599) ebbe vetreria in società con i fratelli Giovanni e Girolamo, benché nel 1566 fosse stato loro contestato il diritto di esercitare tale attività, non possedendo essi tutti i requisiti previsti dagli ordinamenti dell'arte. Non sono emerse finora notizie di rilievo né sulla vetreria di Nicolò né su quella di Giovanni, l'ottavo dei suoi figli ed oggi il più noto dei muranesi Darduin.
Giovanni di Nicolò (1585-1654) condusse fornace propria. Sposò nel 1613 Paulina, figlia di Battista Serena, imparentandosi così coi Serena che nella prima metà del sec. XVI avevano inventato a Murano la tecnica vetraria della filigrana. Benché notificato in podesteria il 21 apr. 1603come cittadino muranese, per un disguido non venne citato nel Libro d'oro di Murano, compilato nel 1605. Morì nel 1654.
Dieci anni prima di morire cominciò a raccogliere le ricette che erano servite al padre ed a lui stesso per l'esercizio dell'arte vetraria in un manoscritto conservato oggi nell'Archivio di Stato di Venezia (Miscell. di Atti div., filza 41) con il titolo assegnatogli più tardi, Secreti per far lo smaltoet vetri colorati,ma che'egli aveva intitolato: Copie di tutti li secretti desmalti cavate dalli Libri, et altre carte della buona memoria di miopadre ridotte in questo Libro, et registrate con ordine, et regola, distinti separatamente tutti i colori che prima erano posti et notati confusamente acciò che volendo far una sorte di smalto, si possiritrovarlo immediate al suo luogo si in corpo, overo trasparente, nel fine poi di essi smalti, sarà notato le paste cioè zallolin vedro dipiombo, pasta da perle, et recchini pasta verde chiara et scura, et d'altre sorte, poi sarà notato il modo di far le calcinationiqual faràbisogno per far alcune sorte di smalti et nelle Calcidonie, di più saràanco notato alcuni avertimenti necessarij per sapersi regolarnell'occorrenza, et a li suoi bisogni.
Alla sua morte (1654) Giovanni lasciò quanto possedeva alla moglie ed all'unico figlio maschio Nicolò (nato nel 1616).
Il ricettario fu ereditato da Nicolò, che però, come la madre, morì l'anno seguente, 1655. Passò quindi presumibilmente alla figlia di Giovanni, Angela, andata sposa nel 1638 a Daniele Miotti (1618-1673) di famiglia vetraria muranese, nota fin dal sec. XVI, e forse proprio il possesso di questo manoscritto, ricco di ricette per smalti, segnò l'inizio della fortuna vetraria dei Miotti (cfr. L. Zecchin, I muranesi Miotti...,in Journal of glass studies, XIII[1971], p. 79). Il manoscritto tra il 1693 ed il 1712 fu continuato da un altro compositore vetrario, che usò le pagine lasciate libere da Giovanni. Finalmente per una via sconosciuta giunse nel XVIII sec. all'Arch. di Stato di Venezia (per una trascrizione del ricettario sino a c. 16r si veda: L. Zecchin, Al curioso lettore, in Boll. ufficiale d. Staz. sperim. del vetro, XII[1968], 1, p. 14; 2, pp. 9 s.; 3, pp. 11 s.; 4, pp. 11 s.;5, pp. 5 s.; 6, pp. 9 s. [sino a c. 5r]; XIII [1969], 1, pp. 13 s.; 2, pp. 9 s.; 3, pp. 11 s.; 4, pp. 13 s.; 5, pp. 9 s.; 6, pp. 11 s. [sino a c. 10r]; XIV (1970), 1, pp. 13 s.; 2, pp. 9 s.; 1 pp. 9 s.; 4, pp. 9 s.; 5, pp. 9 s.; 6, pp. 9 s. [sino a c. 16r]).
Valido strumento di lavoro per più di una generazione di vetrai, il ricettario ha una importanza fondamentale per la ricostruzione della storia tecnologica dell'arte vetraria muranese. È, allo stato attuale delle nostre conoscenze, la più antica e più completa raccolta di ricette, compilata da un vetraio muranese per l'esercizio del suo lavoro, tuttora conservata. Costituisce quindi un documento storico più attendibile di altri ricettari quattro e cinquecenteschi, anteriori ma rientranti piuttosto nella categoria dei "libri di segreti" compilati fuori dell'ambiente vetrario servendosi di fonti muranesi, spesso incomprese e trascritte malamente.
Giovanni volle che il suo ricettario fosse di facile consultazione e presentasse la materia in modo organico ed ordinato; usò un linguaggio tecnico preciso e fece seguire le prescrizioni da annotazioni sulla loro attendibilità, se non le aveva personalmente sperimentate, e sulla loro convenienza con lo spirito pratico dell'artigiano e la fede nell'esperienza che si andava affermando nel suo secolo.
Le prime trentatré carte offrono ricette ricavate dagli appunti di Nicolò, padre di Giovanni, e tra esse trovano posto anche ricette di altra, origine, del suocero Battista Serena e di Filippo Serena, noto esponente della stessa famiglia. In questa prima parte la materia è raggruppata in sette sezioni: Delli smalti trasparenti (cc. 1r-10r), Delli collori in corpo et prima del bianco (cc. 10v-19r), A far vetro de piombo (cc. 19v-21r), Delle paste di diversi colori... per fare pietre d'Anello, Recchini, et altro (cc. 21v-26v), Delle calcinationi (cc. 27r-31r), Della Calcidonia (cc.31v-32v), Avertimenti necessarij da sapersi (c. 33rv).
Nella seconda parte (cc. 34r-37v) trovano posto ricette per smalti da mosaico trovate da Giovanni in un manoscritto dei "caneri" (fabbricanti di canna da conterie, smalti per orefici e pani di smalto per mosaici), datato al 1523. La terza parte contiene (da C. 38r a c. 98r irregolarmente) "copie tratte di un altro libro" per paste vitree e vetri colorati trasparenti, intercalate con quelle aggiunte, sulle carte lasciate libere da Giovanni, da mano sconosciuta tra il 1693 ed il 1712.
Prescindendo dal valore intrinseco dell'opera, alcune ricette del manoscritio offrono la possibilità di modificare alcune pagine della storia della vetraria, fin qui indiscusse. La presenza di ricette per vetro al piombo (cc. 19v-21r) conferma in modo esplicito la pratica della lavorazione del vetro al piombo a Murano molti decenni prima della sua realizzazione da parte dell'inglese George Ravenscroft, inventore del cristallo al piombo inglese. Tra le ricette della terza parte compare quella dell'avventurina o stellaria (cc.38v-39r, 42r), inventata presumibilmente attorno al 1620 e non nel sec. XVIII come alcuni autori affermano.
Vengono suggeriti come opacizzanti, oltre alla tradizionale "calce di piombo e stagno", una miscela di minio-antimonio (c. 37v) ed anche fosfato di calcio, fornito da corna ed ossa calcinate (c. 13v), che si ritenevano una materia prima introdotta nel sec. XVII dai vetrai tedeschi.
Anche le ricette per "calcinar l'oro che va nel rosecchier" e quella di rosso trasparente o "rosecchier" (cc. 27v, 6r), che prevede appunto l'uso d'oro calcinato, permettono di proporre l'anticipazione al sec. XVI (Nicolò, padre di Giovanni, morì nel 1599) e l'attribuzione ai vetrai muranesi delle prime realizzazioni di rosso rubino con l'oro come colorante in contrapposizione alla diffusa convinzione che ne fa una invenzione tedesca del Seicento.
Fonti e Bibl.: Murano, Arch. di S. Pietro, S. Stefano, Liber baptizatorum II (1576-1586), c. 180v (8 genn. 1585: è battezzato Giovanni di Nicolò); Liber matrimoniorum B (1597-1613), c. 295 (2 sett. 1613: Giovanni di Nicolò sposa Paulina di Battista Serena); Liber baptizatorum V (1612-1627), cc. 42r (12 marzo 1616: è battezzato Nicolò di Giovanni), 66v (9 genn. 1619: è battezzata Angela di Giovanni); Liber matrimoniorum E (1532-1644), c. 294 (27 sett. 1638: Daniele di Vincenzo Miotti sposa Anzola di Giovanni); Liber mortuorum C (1641-1675), cc. 135r (12 dic. 1654: muore Giovanni), 137r (6 apr. 1655: muore Paulina vedova di Giovanni), 139r (28 sett. 1655: muore Nicolò di Giovanni); Arch. di Stato di Venezia, Podestà di Murano, busta 201: Libro delle parti ovvero delle annotazioni di quelli, che si a dato in nota nella Comunità di Muran per essere admessi per cittadini l'anno 1602, 20 agosto, c. 25v (21 apr. 1603: gli zii Bortolo e Girolamo notificano Giovanni); V. Zanetti, Sull'avventurina artific.,Venezia 1873, p. 24 (sulla copia Miotti del ricett. Darduin); L. Zecchin, L'atto di nascita dell'avventurina muranese, in Vetro e silicati, I (1956), 2, pp. 25-28; A. Gasparetto, Il vetro di Murano, Vicenza 1958, p. 215 n. 22; L. Zecchin, Le avventure del lattimo, in Vetro e silicati, VII (1963), 40, pp. 23 s.; Id., Fortuna d'una parola sbagliata, in Journal of Glass Studies, X (1968), p. 111; Id., I muranesi D., vetrai alle due fortune, in Vetro e silicati, XII (1968), 69, pp. 20-23; Id., Gli smalti venez. e il "rosechiero", ibid., XIV (1970), 81, pp. 17, 20; Id., Il ricettario di Giovanni D., in Riv. d. Stazione sperimentale del vetro, I (1971), 3, pp. 21-24; R. J. Charleston, Venetian Glass of the Seventeenth Century. An Essay in Identification, in Apollo, CX (1979), 213, p. 405; A. Neri, L'arte vetraria (1612), a c. di R. Barovier Mentasti, Milano 1980, pp. XXIV s., XXXI; L. Zecchin, L'avventurina, vetro muranese, in Rivista d. Stazione sperimentale del vetro, XI (1981), 3, pp. 132 ss.; R. Barovier Mentasti, Il vetro venez., Milano 1982, pp. 79 s., 109 s., 157; A. Gasparetto, in Mille anni di arte del vetro a Venezia, Venezia 1982, pp. 28 s.; C. Moretti, Ricette vetrarie muranesi. Quaderno anonimo del 1847, in Journal of Glass Studies,XXIV (1982), pp. 75 s.