DARIO I (Dārayavahush; Δαρεῖος; Darīus)
Dareiaios figlio di Wishtāspa, in italiano, correntemente, Dario di Istaspe è il nome regale del privato persiano Spantadāta, successo come "Gran Re dei Persiani" a Cambise II.
L'inizio del suo regno (521-486) fu alquanto difficile perché le varie regioni dell'Impero si erano staccate: dovette anzitutto sopprimere il pretendente Gaumāta - detto il "falso Smerdi" - e poi lottare coi re di altri paesi, per ricondurli sotto il potere centrale; si spinse poi fino alla valle dell'Indo. In seguito fu indotto a rivolgere la sua attenzione a Occidente verso i paesi dell'Egeo: nacque così la lunga e infruttuosa impresa contro i Sakai (Sciti). Conosciamo la serie annuale delle sue imprese dalla grande iscrizione di Bīsutūn (v.), dove è scolpito anche un suo ritratto; nonché dal testo di Erodoto (iv, 1-145). Gli Sciti evitarono il combattimento e D. dovette ritirarsi; ma Tracia e Macedonia furono stabilmente occupate. Verso il 499 ha inizio la rivolta delle colonie greche dell'Asia Minore che termina il 494 con la presa di Mileto; del 492 è il naufragio di Mardonio al monte Athos e nel settembre del 490 Dati e Artaferne sono sconfitti a Maratona (Herod., vi, 117). Poco dopo D. muore.
È nel clima artistico di una monarchia rigidamente assoluta che si deve valutare l'effigie di D. che compare così spesso sui bassorilievi dei suoi palazzi a Susa e Persepoli, che riecheggiano del resto i motivi iconografici del rilievo assiro con una nuova sensibilità.
In un rilievo di Persepoli D. è seduto con Serse in piedi dietro il trono: le due figure sono isocefale, però D. è seduto e quindi lo si deve considerare di statura più alta. La capigliatura raccolta in massa alla nuca sotto la benda, la lunga barba a tre zone, ma, più che altro, la lunga veste a masse di pieghe parallele a tagli aguzzi e uniformi, ricordano da un lato i rilievi della Tomba delle Arpie, e dall'altro - per l'effetto ottico, beninteso - alcuni documenti arcaistici greci; gli scambi infatti tra la Ionia e la Persia erano assai frequenti e, d'altra parte, il trasporto delle statue dei Tirannicidi di Antenor da Atene in Persia dimostra l'alto interesse dei Persiani per l'arte greca.
Non c'è ethos, né poteva esserci, nei ritratti ufficiali persiani (si noti il distacco con cui D. uccide un leone alato, su un rilievo di Persepoli); ma per vie più semplici e ingenue è ugualmente raggiunto il voluto effetto psicologico. Gli stessi caratteri di impersonalità e aulicità si ritrovano nelle altre raffigurazioni di D.: dall'effigie sulle monete, i darici (poi imitati dai suoi successori) nei quali il re è raffigurato come un arciere semi-inginocchiato, con l'arco nella sinistra e una freccia nella destra, a quella sui sigilli cilindrici, che riprendono gli schemi iconografici assiri. Il ritratto scoperto a Nimrud Dagh si scosta notevolmente dagli altri conosciuti, essendo stato eseguito secondo canoni stilistici locali.
Bibl.: Swoboda, in Pauly-Wissowa, IV, 1901, cc. 2184-2211, s. v. Dareios; F. W. König, Relief und Inschrift des Koenigs Dareios I, Leida 1938. Monete: E. Babelon, Traité monn. grecq. et rom., II, Parigi 1907-1910, vol. i, cc. 253-264; vol. 2, cc. 48-58, 63-72; J. de Morgan - K. J. Basmadjan, Man. numism. orient., I, Parigi 1923-1936, pp. 36-41; A. B. Brett, Cat. Greek Coins. (Mus. Fine Arts, Boston), Boston 1955, p. 228 ss., nn. 2205-8, tav. 103.